giovedì 21 febbraio 2019

Thom Yorke-“Suspiria”


Thom Yorke-“Suspiria”

Ammetto che sono stato inizialmente influenzato dal giudizio di un esperto, musicista e melomane, che mi ha parlato in termini entusiastici di “Suspiria”, di Thom Yorke, definendolo l’album dell’anno: della serie… se lo dice lui vado sul sicuro. Beh, non so quali siano i criteri oggettivi che possano portare a decretare la perla del 2018, ma di sicuro il nuovo lavoro della voce solista dei Radiohead non può lasciare indifferenti.
Il progetto nasce come colonna sonora del remake del film di Dario Argento (1977), realizzato da Luca Guadagnino - uscito da poco nelle sale cinematografiche - che ha specificato: “Più che un rifacimento rappresenta un omaggio alla potente emozione che provai quando guardai per la prima volta il film originale”.
E’ quindi da poco in circolo il doppio LP - 25 brani in totale, 80 minuti -  distribuito dalla XL Recordings.
I musicisti che, saltuariamente, si mettono in proprio, sono spesso ossessionati dal ricordo della loro performance migliore ottenuta in gruppo. Le due uscite precedenti di Thom Yorke, elettroniche, realizzate nel 2006 e 2014 (The Eraser e Tomorrow's Modern Boxes), erano però piccoli esercizi in laptop, con melodie tipicamente funeste e testi ironici conditi da aforismi.
Nel 2013 Yorke ha anche pubblicato l’unico album del progetto Atoms For Peace (Amok) - supergruppo in collaborazione con Flea, dei Red Hot Chili Peppers - che appariva come una jam session catturata di nascosto e rovesciata su nastro, interessante soprattutto per il modo in cui emergeva una certa specularità rispetto al lavoro con i Radiohead.
In tutti questi casi la sensazione è che ci fosse una sorta di richiamo, di naturale necessità dei membri della sua band originaria, della capacità di “tessitura” dei fratelli Greenwood, del drumming ipercinetico di Phil Selway, passando per il supporto totale di Ed O'Brien.
Ma in “Suspiria” questo bisogno non si avverte, anzi, le trame appaiono come efficaci e abrasive, densamente strutturate e sinfoniche, sicuramente il miglior album solista di Yorke, se si è preparati ad ascoltare un lungo periodo di musica “oscura”, soprattutto strumentale, di una forza prorompente, che può tranquillamente brillare di luce propria, scostandosi dallo status di mera colonna sonora. 
Yorke, fuori dal suo tradizionale e confortante contenitore, sembra al cospetto di una sfida, un “mettersi alla prova”, e ne esce alla grande.
In una citazione destinata a essere proposta in ogni recensione di questo disco, Yorke ha evidenziato la forza della ripetitività musicale, capace di ipnotizzare l'ascoltatore: "Continuavo a dire a me stesso che è un modo per fare incantesimi. Quindi, mentre ero al lavoro nel mio studio stavo facendo incantesimi”.


Per venticinque anni lo stato d’animo più frequente abbinato al film “Suspiria” ha ruotato attorno ad un’ansia diffusa.
L’ascolto dell’album, già al primo approccio, rimanda invece alla supremazia della bellezza estetica, dell’equilibrio tra aspetti razionali e disordine entropico, anch’esso apprezzabile, se gestito.
Gli aspetti ritmici in mutazione hanno importanza notevole, così come qualsiasi lavoro di Yorke a partire da In Rainbows (2007), anche se esiste sovrabbondanza di figure ripetitive prodotte dall’utilizzo della tecnologia applicata alla musica.
Una musica che capta e propone suoni di vita vissuta - il secondo brano, "The Hooks”, presenta chiazze bagnate e grugniti, ma anche un calore oscuro, così come nella “ballata acquatica” "Unmade"- e ogni tanto incappa in strutture che riportano alla forma canzone - "Open Again" e "Has Ended" (la mia preferita) - e viene facile inserire il disco nel genere “ambient”, un mare di suoni fluttuanti che avvolgono l’ascolto e condizionano il momento contingente.

Per la complessità, la cura dei dettagli e l’impatto sonoro - ed emozionale -, voto massimo per Thom Yorke e il suo “Suspiria”, una colonna sonora destinata a rimanere nel tempo e a caratterizzare il lavoro di Guadagnino.

Il disco è stato anticipato dal singolo Suspirium, premiato come miglior brano originale alla 75esima Mostra del Cinema di Venezia.


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TRACKLIST

1
01. 
A Storm That Took Everything - (01:47)
02. 
The Hooks - (03:18)
03. 
Suspirium - (03:21)
04. 
Belongings Thrown in a River - (01:27)
05. 
Has Ended - (04:56)
06. 
Klemperer Walks - (01:38)
07. 
Open Again - (02:49)
08. 
Sabbath Incantation - (03:06)
09. 
The Inevitable Pull - (01:36)
10. 
Olga's Destruction (Volk tape) - (02:58)
11. 
The Conjuring of Anke - (02:16)
12. 
A Light Green - (01:48)
13. 
Unmade - (04:27)
14. 
The Jumps - (02:38)

2
01. 
Volk - (06:24)
02. 
The Universe is Indifferent - (04:48)
03. 
The Balance of Things - (01:08)
04. 
A Soft Hand Across Your Face - (00:44)
05. 
Suspirium Finale - (07:03)
06. 
A Choir of One - (14:01)
07. 
Synthesizer Speaks - (00:58)
08. 
The Room of Compartments - (01:14)
09. 
An Audition - (00:34)
10. Voiceless Terror - (02:30)
11. 
The Epilogue - (02:46)



giovedì 7 febbraio 2019

The Who al Superbowl il 7 febbraio del 2010



Accadeva nel 2010...

Grande performance al Superbowl il 7 febbraio degli Who di Roger Daltrey e Pete Townshend, al Sun Life Stadium di Miami, nell’intervallo della partita che ha visto vincitori i Saints di New Orleans, al suono di Pinball Wizard e Baba O' Riley!

Suonare nell’intervallo della finale del Superbowl, in diretta nazionale, è un onore riservato solo a grandi artisti dal calibro di Paul McCartney, Prince e Bruce Springsteen. Quest’anno è toccato agli Who, leggende del rock inglese, che sono tornati in auge negli States grazie alle sigle TV dei vari CSI.
Il loro set s’è aperto in modo maestoso con Pinball Wizard, tra giochi di luce e raggi laser, seguito dalla monumentale Baba O’ Riley, in cui Townshend nel break urla, con la grinta di un tempo “It’s Only Teenage Wasteland!”. Non rinuncia a far roteare le braccia, roba da far invidia ai giovani colleghi. Daltrey sembra più compassato ma sempre carismatico.
Dietro i due rocker ultra-sessantenni si agita alla batteria il figlio d’arte Zak Starkey, classe '65, con una giacca rossa degna di Sgt Pepper’s, e il simbolo Mod del bersaglio sui piatti. E ancora in scaletta altri classici immortali come Who Are You Won’t Get Fooled Again.

La partita ha visto lo scontro tra i Saints di New Orleans e gli Indianapolis Colts. Si dice che Obama abbia puntato sui Colts, per scaramanzia. Ha avuto ragione. E’ arrivata la storica vittoria per i Santi di New Orleans, la città del jazz, del Mardi Gras che dopo l’uragano Katrina ha finalmente rialzato la testa.

venerdì 1 febbraio 2019

Fist Of Rage-“Black Water”

Fist Of Rage-“Black Water”
Andromeda Relix

I friulani Fist Of Rage hanno una storia consolidate, nonostante la giovane età.
L’inizio risale al 2004, con la proposizione degli iniziali amori rock, sfociata nel 2010 con il rilascio del primo album di inediti, “Iterations To Reality”, frutto dell’incontro con la Andromeda Relix di Gianni Della Cioppa.
La fortunata collaborazione porta ora all’uscita di un secondo capitolo, “Black Water”, a una distanza temporale ragguardevole, ma è probabile che la maturazione interna alla band, che passa anche attraverso modifiche alla line up, abbia richiesto riflessioni, o più semplicemente l’attesa del momento giusto. E anche questa situazione, vista con occhio esterno, ha significato preciso, in tempi in cui la tecnologia permette di “costruire” qualsiasi cosa, e in tempi minimi.
Per chi non conosce il gruppo, la semplice lettura della formazione suggerisce un potenziale genere - la doppia chitarra, il vocalist puro, sezione ritmica e tastiere -, un’immagine che traccia il percorso del rock tradizionale. Il primo ascolto chiarisce le idee: un frontman dalla voce incredibile (per rimanere entro i nostri confini ho trovato in Piero Pattay similitudini con Roberto Tiranti), un tappeto tastieristico di estrema qualità (Stefano Alessandrini), una percussione ritmica imponente (Saverio Gaglianese al basso e Alfredo Macuz alla batteria), e un caratteristico rimbalzo tra le due elettriche (Marco Onofri e Davide Alessandrini).

Hard rock con venature metal e qualche spruzzata di prog sono il mix proposto, condensato in un album che presenta il classico bilanciamento tra ritmo forsennato e ballad, e parlando di queste ultime occorre sottolineare la bellezza melodica di “Lost” e la chiusura perfetta, “September Tears”, caratterizzata dal duetto vocale tra Pattay e Giada Etro dei Frozen Crown.
I restanti brani sono energia allo stato puro, potenza espressa anche attraverso testi che urlano le problematiche della quotidianità che, sparate ad alta velocità nell’etere, diventano, almeno uno sfogo, per chi crea e per chi ascolta, e mi immagino che i live dei Fist Of Rage siano il condensato micidiale di tale idea.
Il brano che presento a seguire, “New Beginning”, mi pare perfetto per evidenziare il progetto della band, sintesi della loro musica e probabilmente dello status attuale: un nuovo inizio, qualche speranza, musicale e oltre!
Un disco da ascoltare attentamente, non solo per gli amanti specifici del genere.


Tracklist:
01. Just For A While
02. New Beginning
03. Between Love & Hate
04. Black Water
05. Mudman
06. Lost  
07. These Days
08. Awake
09. Set Me Free
10. September Tears

Line-Up:
Piero Pattay – Vocals
Marco Onofri – Guitar
Davide Alessandrini – Guitar
Saverio Gaglianese – Bass
Stefano Alessandrini – Keyboards
Alfredo Macuz – Drums

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