mercoledì 30 gennaio 2013

I VDGG raccontati da Paolo Carnelli


Finalmente, dopo sei anni di lavoro e di ricerche, vede la luce il primo libro in italiano dedicato ai Van der Graaf Generator, realizzato da Paolo Carnelli.
Non una semplice storia del gruppo (per quella rimandiamo allo splendido The Book, pubblicato da Phil Smart e Jim Christopulos nel 2005), ma piuttosto una accurata e dettagliata ricostruzione storica del rapporto tra il Generatore e il nostro paese. Una saga appassionante, fatta di doppi concerti, sommosse, scioglimenti e ricostituzioni, number one hits, partite a calcio - rugby, location improbabili, inaspettati ritorni, furti, ricatti... e tanto altro ancora!

Il volume, di 244 pagine, è caratterizzato da una vasta sezione iconografica composta da ben 112 immagini in gran parte inedite, comprendenti sia foto d'epoca che materiale d'archivio (locandine, annunci di giornale, biglietti di concerti etc), oltre che da un'appendice dedicata alla discografia del gruppo con tutte le uscite in lp, 45 giri, cd e dvd, e un'altra appendice in cui sono riportate le date e le scalette di tutti i concerti italiani della band. La prefazione è stata scritta dal sassofonista dei VdGG, David Jackson. La narrazione è impreziosita da numerose testimonianze, tra cui quelle inedite di Renato Bartolini, Guido Bellachioma, Marcello Capra, Gianluigi Cavaliere, Beppe Crovella, Michi Dei Rossi, Andrea Dell'Orbo, Franz Di Cioccio, Bambi Fossati, David Jackson, Latte e Miele, Pietro Messina, Tony Pagliuca, Claudio Rocchi, Maurizio Salvadori, Claudio Simonetti, Alan Sorrenti, Arturo Stalteri, Aldo Tagliapietra, Pino Tuccimei, Lino Vairetti, oltre a quelle di decine di fan e di semplici appassionati che hanno avuto la fortuna di assistere ai concerti tenuti tra il 1972 e il 2011 dal gruppo inglese nel nostro paese.

E' possibile ordinare il libro in versione limited (ultime copie disponibili) qui:



venerdì 25 gennaio 2013

ROSES FOR JONI-Valeria Caputo e Silvia Wakte


E’ con grande piacere che annuncio la presenza in Liguria di una mia cara amica, Valeria Caputo, che si esibirà a Calvari in duo, accompagnata da Silvia Wakte. Serata dedicata a Joni Mitchell.
Ecco i dettagli.

Il progetto si chiama, ROSES FOR JONI, lei è Valeria Caputo cantautrice pugliese di adozione romagnola che ha appena prodotto il suo nuovo disco "Migratory Birds" e che nutre apertamente una grande passione per Joni Mitchell la cui poetica le è così affine. L'altra è la bravissima ed eclettica chitarrista Silvia Wakte che ha viaggiato e suonato sin oltreoceano con la sua chitarra elettrica e che ama profondamente il repertorio mitcheliano.




Insieme si propongono in questo omaggio alla Lady of Canyon
Le due musiciste si esibiranno venerdì 15 Febbraio al Muddy Waters di Calvari (Ge) proponendo questo concerto tributo più unico che raro in cui saranno inseriti aneddoti e racconti sulla vita e l'arte di Joni Mitchell oltre che abbracciare il vasto repertorio della cantautrice canadese.


Valeria Caputo: voce, chitarra acustica, chitarra elettrica, dulcimer apalachiano.



Silvia Wakte: voce, chitarra elettrica


Evento sostenuto da: 

"Rosso Chiropratica", a Rapallo e Genova. Per info: 320 1151332

giovedì 24 gennaio 2013

Marco De Luca-Canzoni Inedite


Marco De Luca è un musicista Abruzzese il cui esordio in gruppo risale al 1990, ma da circa dodici anni impegnato come cantautore. Dal suo personale lavoro scaturiscono due album e un EP.
A fine post presento una biografia succinta.
L’ultima sua fatica è “Canzoni Inedite”, cinque brani che Marco utilizza per raccontare un po’ di vita…
I condizionamenti a cui tutti quanti siamo più o meno sottoposti fanno sì che ci interessiamo, acquistiamo e ci appropriamo del mondo di una persona conosciuta, qualunque sia il campo artistico in cui si muove. Ma essere celebri non significa automaticamente avere cose importanti ed interessanti da raccontare, non di più di chiunque abbia un po’ di vissuto alle spalle.
Realizzare un disco come De Luca ha fatto - e come succede per tutti quelli che presentano un percorso costituito da suoni e pensieri - significa confessarsi, denudarsi, e regalare ad altri un po’ della propria intimità, evidenziando pensieri e sentimenti che obiettivamente mi sembrano molto più interessanti, ad esempio,  dei lunghi silenzi di qualche star sopravvalutata… i silenzi fanno parte della tecnica comunicativa, ma le Canzoni Inedite di Marco hanno della sostanza, condita da tanti sogni, e sognare positivo attenua ogni dolore, anche se purtroppo non lo allontana definitivamente.
Il clichè è lontano da quello del menestrello anni ’70, così come i contenuti sono più “pesanti” rispetto al periodo elettronico a venire, e seguendo uno stile personalissimo De Luca riesce a imbastire una struttura che presenta una velata tristezza di sottofondo, mentre melodia, ritmo e una buona dose di sperimentazione avanzano, comune denominatore dell’intero album.
Un musicista dotato di buona sensibilità e talento… da seguire. 



Biografia

Marco De Luca, cantautore di Atri in provincia di Teramo, esordisce nel 90 con il gruppo dei Sine, con i quali propone musica propria e cover dei Cure, per lui band di grande ispirazione.
Agli inizi del 2000 il suo gruppo si scioglie e Marco continua la sua attività da solista, dirada i live e si concentra sulla scrittura di nuovi pezzi, e così nel 2006 esce STANZE REMOTE, album sperimentale dalle sonorità new wave anni ‘80, autoprodotto e realizzato interamente da solo nello studio di casa sua.
Nel 2008 esce l'EP DUE, nuova autoproduzione realizzata insieme ad altri musicisti, che vede lui alla voce, chitarre e arrangiamenti al computer, insieme ad un bassista, un batterista ed un percussionista; l'album tende più al pop, con sonorità più aperte ed orecchiabili ed è stato trasmesso da diverse web radio. Nel 2012 è uscito Canzoni Inedite, composto da alcuni brani realizzati in diversi periodi, raccolti in un album che suona più cantautorale.  Attualmente ha in progetto la realizzazione di un nuovo lavoro.


Discografia:

STANZE REMOTE (2006)

DUE EP (2008)  

Canzoni Inedite(2012)

Contatti:


mercoledì 23 gennaio 2013

Auguri ... Vittorio Nocenzi




Compie gli anni oggi 62 anni Vittorio Nocenzi. Lo ricordo con un’intervista che mi rilasciò un anno e mezzo fa.

L'INTERVISTA

Non posso che partire da Volpedo, ricordando un concerto emozionante, in un contesto che, come anche tu sottolineasti, è risultato affascinante, oltre le più rosee aspettative. Pensavo che la forte emozione provata fosse riservata soprattutto a noi spettatori, ma parlando con Bernardo Lanzetti, pochi giorni dopo, ho capito che il momento magico aveva coinvolto anche gli artisti. Che cosa ha contato di più per te … la festa in onore di Rodolfo Maltese … la reunion on stage con tuo fratello Gianni, dopo molti anni … il luogo, l’amicizia, il pubblico?

Le componenti di un concerto sono scritte con un linguaggio diverso da quello verbale, è un linguaggio subliminale fatto di percezioni mentali, fisiche,spesso irrazionali, attinenti ad una sfera “parallela” a quella conscia, reale e concreta. Per cui c'era sicuramente tutto quello che hai indicato ed altro ancora, ma strutturato “dentro” secondo parametri diversi da quelli usuali.


Ho commentato con un amico presente “750.000 anni fa, l’amore” e concordavamo sul fatto che le prime note di piano provocano intensi brividi che percorrono la spina dorsale. Tipico della musica … di certa musica. Il potere gratifica molti, anche nelle situazioni più aberranti, ma avere la capacità (e quindi il potere) di creare qualcosa che provoca sensazioni positive negli esseri umani deve essere una delle maggiori soddisfazioni che si possano provare. Sei conscio di questo tuo “ dono del Signore” e sei d’accordo sul fatto che possa essere considerato come una terapia per alleviare dolori dell’anima, spesso più forti di quelli fisici?

Più che “potere” io definirei quello di cui parli “privilegio”, un privilegio di cui non bisogna mai dimenticarsi. Di sicuro la musica è qualcosa che sta contemporaneamente dentro e fuori la realtà, che coinvolge matericamente e spiritualmente, che racconta storie già note eppure ogni volta può alludere a storie nuove, inaspettate. In genere tutta l'arte ha questa capacità di essere alchemicamente costituita da ragione e istinto, da tecnica e pulsione inconscia, ma forse la musica ha il vantaggio di essere al primo impatto più coinvolgente, come se consentisse un accesso più immediato, forse più “facile”, almeno in molti dei suoi generi e stili (per la musica dodecafonica, ad es., dovremmo parlare ovviamente di altri processi). Letteratura, scultura, architettura, ad es. hanno bisogno subito dell'intervento del pensiero per essere recepite, coinvolgono in maniera più ampia la nostra parte razionale, richiedono per essere “SENTITE” emotivamente la conoscenza di linguaggi e tecniche più complesse. Con questo non intendo affatto dire che la musica sia più semplice, dico solo che al primo impatto risuona in modo più immediato, mettendo subito in moto una possibile percezione emotiva, lasciando poi agli ascolti successivi il piacere di approfondirne la conoscenza per scendere più in profondità. Credo che questa sua prerogativa la renda più incisiva degli altri linguaggi artistici e quindi ad esempio anche come terapia abbia una maggiore incisività di altre tecniche.


Vedendovi a Volpedo mi è venuto da pensare che avete moltissimo da dare … insieme. Vi avevo ascoltato un paio di anni fa, a Savona e, al di là della buona performance da professionisti, la sensazione che avevo provato era di un concerto un po’ “forzato”, come se ci fosse un contratto da rispettare, ma con una gran voglia di finire presto. L’atteggiamento di Francesco Di Giacomo , apparentemente svogliato (ma credo faccia parte del personaggio) aveva accentuato questa sensazione. Forse mi sono sbagliato, ma la mia curiosità resta: è davvero difficile suonare assieme dopo tanti anni? Si possono trovare nuovi stimoli e fresche motivazioni per continuare a far felici i sostenitori?

Un concerto non è in nessun caso fatto solo da quello che accade sul palco, anzi è molto più importante quello che accade fuori del palco, parlo della qualità del “pubblico”. Soprattutto dopo tanti anni, è l'attenzione, la qualità di chi si mette in ascolto di un concerto che lo rende interessante, emozionante, travolgente, perché è questo che ispira maggiormente un artista: chi c'è ad ascoltare la tua performance, perché questo apparente “destinatario” è invece non solo “committente” del concerto ma ne è assolutamente “cointerprete”. Ogni volta il gioco è soprattutto questo: se l'esecuzione di chi ascolta è forte, quella di chi suona non può essere mai inferiore: è un boomerang, è un rimbalzo incredibile che non potrà mai accadere in modo scontato e uguale ad un altro, almeno questo è quello che mi capita sempre con il Banco.


Cosa ha significato per te ritrovarti sul palco con Gianni, sia dal punto di vista tecnico (lo hai presentato come uno dei più grandi in Italia) che da quello affettivo?

Quando Gianni lasciò la formazione, fu un momento molto particolare, e oggi a distanza di tanto tempo possono dire che per me fu sicuramente doloroso, fui subito consapevole delle occasioni preziose che avremmo sottratto a noi stessi e agli altri... ma le scelte vanno ovviamente sempre rispettate. Il potenziale del nostro binomio, provando a parlarne in maniera onestamente distaccata ed obiettiva, credo che si sia espresso direi al massimo al 30 - 40 % di quello che avrebbe potuto dare, e bada bene questa è la prima ed ultima volta che lo dico pubblicamente (le autocelebrazioni, anche se mi ci tiri per i capelli, sono sempre imbarazzanti e di poco gusto!). Sul livello tecnico-artistico di Gianni credo che la mia affermazione sia assolutamente oggettiva, distante anni luce dal fatto di essere fratelli: è una mia convinzione ed in quanto tale certamente condivisibile oppure no.


Dando una lettura ai tuoi moltissimi impegni ufficiali, emerge la tua attenzione verso i giovani talenti e verso la cultura in generale, non solo musicale quindi. So che è facile cadere nella retorica, ma esiste tutto un mondo di “ultimi”, cronologicamente parlando, che rischia di restare pericolosamente senza obiettivi, o comunque senza comprendere quale tipo di impegno serva per raggiungerli. E non credo che “Amici” sia un buon esempio. Che cosa, concretamente, può fare un artista per far capire a un giovane che l’oasi si raggiunge dopo chilometri di deserto?

Non c'è niente che un artista possa fare per indicare le scorciatoie verso l'oasi... perché se sei un vero artista, hai già sofferto tu quell'inferno, le illusioni, le delusioni, le ipocrisie, l'ignoranza crassa e arrogante... per cui puoi solo essere dalla parte dei giovani e dire loro di resistere e di credere a sé stessi fin dove possono e oltre.


”Estremo occidente” è una questione tra te e il tuo piano. Potresti scegliere tra la bellezza di una lirica musicata e le immagini fornite dalla sola musica? Cosa prevale, se prevale, tra testo e suoni?

Ancora una volta è un fatto di linguaggi: il suono non ricorre ai concetti logici del pensiero e delle parole, quindi ha il vantaggio di raccontate tante storie parallele quanti sono gli ascoltatori. Nel momento in cui metti insieme parole e musica, sicuramente in qualche modo restringi un po' l'immaginario evocato dalla sola musica, come se le immagini suggerite dalle parole possano imbrigliare quelle più ampie della musica strumentale. Però, come spesso accade, in qualche modo c'è una specie di compensazione: il testo da una forza più penetrante, da ulteriore efficacia alla musica e quindi le consente di arrivare prima agli altri, le suggestioni sono già in parte decodificate. Inoltre se è vero che suggerisce delle immagini obbligate (cioè quelle legate alle parole) è altrettanto vero che, come accade per un libro, io posso comunque dare, in modo personale e diverso da quello degli altri, fisionomia ad un viso, emozioni ad un racconto, insomma fare di una lettura una specie di film individuale. “Movimenti” proponeva le poesie che Alda Merini aveva scritto per i miei brani come lettura parallela all'ascolto, proprio per scardinare l'obbligarietà delle parole della canzone fissate e “inchiavate” sulle note della melodia: proponevo di leggere le poesie di Alda Merini contemporaneamente all'ascolto dei brani, liberamente... con una scansione temporale più larga di quella delle canzoni, che consentisse di gustare le immagini evocate dalle parole in modo ampio, amplificandole con l'ascolto della musica. I versi della Merini potevano essere letti più volte, durante l'ascolto della mia musica, con una scansione ampia e reiterata, come sorseggiare un grande bicchiere d'acqua e scoprirne la bontà mentre ti leva la sete.


Credo di avere grossi esempi di “classico “ che soccorre il rock. Ma c’è qualcosa di rock nella musica classica?

Posso rispondere meglio se mi consenti di rifarmi all'ABC della musica: i tre elementi fondamentali che la costituiscono sono melodia, armonia e ritmo (oltre naturalmente al suono, al timbro). Quando la pulsazione ritmica viene esaltata dalla scrittura e dall'esecuzione, allora la musica classica è più vicina al rock. La “Sacre du printemps” di Stravinskji, con i suoi accentati insistenti ed esplosivi, può essere un buon esempio di quello che intendo. Ho sentito eseguire, ad es., da Nigel Kennedy “Le quattro stagioni “di Vivaldi con una forza ritmica così prorompente da far diventare l'intera composizione assolutamente rock!! Eppure la partitura non aveva subito nessuna variazione, anzi era stata eseguita in modo filologico e assolutamente rigoroso. Nello stesso concerto ho sentito eseguire anche Hendrix dallo stesso ensamble di archi di Kennedy: era un regalo del rock al mondo sinfonico.


Mi ha affascinato il concetto di “mutamento” alla base dell‘ “I CHING “, filosofia che hai applicato nella realizzazione del tuo disco. Quando riproponi i vecchi brani del BMS li “senti” differenti , per significato o presentazione, rispetto al passato?

E' sempre la stessa storia: la musica è un miracoloso paradosso, è matematica eppure allo stesso tempo esprime irrazionalità, è tecnica, è precisione ed allo stesso tempo è istinto, è realtà concreta che si porge all'ascolto per spostarti in altre parallele dimensioni, è il contatto con il trascendente, il divino... come la follia che veniva rispettata dalle culture popolari proprio per la sua illogicità come interfaccia metafisico. Il tempo, il passato, il presente, sono categorie mentali così relative!


Mi porto dietro sin dall’adolescenza un concetto di Voltaire che definiva l’amicizia “… un tacito accordo tra persone sensibili e virtuose … “. Quanto erano “sensibili e virtuosi “ gli uomini on stage a Volpedo.

Sono convinto che sul palco c'era molto di quel tacito accordo volteriano.


Sei felice, musicalmente parlando?

No, mi manca il tempo necessario per scrivere di più, mi manca l'opportunità di poter credere ancora alla forza della cultura e dell'emozione... vedo invece intorno un cinismo stupido e miope che non ha nulla a che fare con quella dimensione spirituale di cui la musica e le altre arti dell'uomo hanno sempre bisogno per potersi trasformare in idee nuove, emozioni, visioni future, sentimenti condivisi e privati allo stesso tempo, insomma nel miracolo di poter sognare ad occhi aperti.

martedì 22 gennaio 2013

La Maschera Di Cera-“Le Porte Del Domani”


Le Porte Del Domani” è il nuovo album de La Maschera Di Cera, uno dei tanti progetti di Fabio Zuffanti che è il propositore di una intensa ancorché lucidissima azione musicale che appare a tratti trabordante.
Capiamoci, mettere in circolo materiale a raffica è ai giorni nostri cosa possibile, ma la qualità, la precisione, il coraggio di questo leader geniale (fuggo dal termine prog-man, assai riduttivo) ha qualcosa di sorprendente: da dove sgorgano copiose le idee? Come si raggiungono obiettivi diversi, perseguiti in modo parallelo?
Un paio di mesi fa, ad una precisa domanda legata alle news MDC, Fabio rispondeva dalle pagine di MAT2020:

… stiamo per varare un progetto molto importante, forse il più importante della nostra carriera, un nuovo album che sarà una sorta di summa del lavoro degli ultimi dieci anni e rappresenta il nostro totale - e forse definitivo - omaggio alla stagione dorata del prog italiano con la particolarità che del disco sarà disponibile un'edizione cantata in italiano e una in inglese, cosa mai sperimentata prima dalla MDC, ma che ci ha dato grandi soddisfazioni”.

Il coraggio, come scrivevo poc’anzi, non è certo mancato.
Fornire un “omaggio alla stagione dorata del prog italiano” significa nello specifico riprendere in mano un capolavoro del passato, quel “Felona e Sorona” che compie giusto 40 anni, creazione de LE ORME, il cui valore trovò una sorprendente consacrazione internazionale.
Quali le motivazioni di questo follow up? Azzardo, al di là delle affermazioni ufficiali:
omaggio al prog e a una band seminale, punto di riferimento per generazioni di musicisti( e ascoltatori); desiderio di proporsi come prosecutori di un filone che, pur rinnovato, tiene ben saldo il legame col passato; nostalgia, sfida (nel senso del mettersi alla prova) e piena coscienza delle proprie capacità.
Esiste poi il bisogno di chiudere il cerchio, di trovare un finale alla storia dei due mondi, Felona e Sorona, lasciata incompiuta, una saga che mette in scena l’eterno scontro tra il bene e il male, che ne Le Porte Del Domani” trova la perfetta conclusione, il raggiungimento della luce alla fine di un lungo tunnel buio.
Un iter drammaticamente attuale, con culture in perenne lotta, con amori contrastati, con solitudine e infelicità, con l’universo femminile come guida autorevole verso la saggezza, e con un Dio… umano e comprensivo.
Anche la copertina ha un forte link con l’album de LE ORME, essendo stata curata da Lanfranco, il pittore che creò il dipinto originale di “Felona e Sorona” e che ha messo a disposizione della MDC la sua opera del 1968 “Gli amanti del sogno”.
 “Le Porte Del Domani”, pubblicato da  AMS Records/BTF è anche estremamente completo dal punto di vista del pacchetto editoriale: CD in italiano, in inglese,  LP, e in più uno speciale box contenente la litografia su plexiglass del dipinto e tutte le versioni di CD e LP.
L’utilizzo della doppia lingua mi ha permesso di fare un’esperienza nuovissima, ovvero l’ascolto comparato delle due versioni della suite da quarantacinque minuti, suddivisa in nove capitoli. Tra gli intenti della band, la ricerca dell’equilibrio tra suoni che dovevano profumare di passato, ma con una veste decisamente moderna: risultato pienamente raggiunto, e occorre dire che gli Hilary Studio di Rox Villa sono ormai un luogo sacro e collaudato, soprattutto per quanto riguarda il mondo prog.


Il doppio ascolto dicevo. Ogni tanto mi piacerebbe parlare della musica di Zuffanti con il massimo rigore possibile, alla ricerca di angoli bui, perché da critiche costruttive nascono opportunità di miglioramento, ma … mi riesce difficile. Nel mio giudizio non entra l’amore per il genere musicale, ma sono colpito dalla qualità - e quantità - di idee, tutte di forte impatto emozionale. L’istinto ha per me un ruolo primario, e afferrare il percorso vocale di Alessandro Corvaglia mentre viene “investito” dagli archi può portare a spasso nel tempo, seguendo coordinate spaziali e temporali ormai lontane, ma terribilmente attuali.
Ho accennato al vocalist perché nel corso dell’ascolto non ho risolto il dilemma della lingua:  se da un alto la versione italiana permette di comprendere al volo i dettagli delle liriche, il cantato inglese ha un fascino unico, quello che mi ha portato ad innamorarmi di band straniere quando ero un adolescente e di inglese sapevo ben poco.
Alternare l’ascolto può essere un buon compromesso.
Ma un album come “Le Porte Del Domani” non può nascere senza reale lavoro di squadra e oltre ai due già nominati, Zuffanti e Corvaglia, occorre evidenziare l’importanza delle tastiere di Agostino Macor - coautore di un brano, il gioco ritmico di Mau Di Tollo -  coautore dei testi - e i passaggi eleganti e misurati del flauto di Andrea Monetti.
Un’altra segnalazione d’obbligo quella relativa alle partecipazioni di Martin Grice, flauto e sax, e di Laura Marsano alla chitarra solista.
Un tuffo nel passato ed uno sguardo al futuro, con la speranza che il lieto fine auspicato  ne “Le Porte Del Domani” sia uno stimolo alla riflessione e all’azione positiva… la musica ha anche questo potere.

E crollano ogni odio ed egoismo
Nella quiete che ritorna
Tutto quanto trova la sua pace
I due pianeti brillano nel cielo
E’ nato l’Uomo Nuovo alle porte del Domani




LA MASCHERA DI CERA

Alessandro Corvaglia: Voce solista, chitarra
Maurizio Di Tollo: Batteria, cori
Agostino Macor: Tastiere
Andrea Monetti: Flauto
Fabio Zuffanti: Basso


Info: 

lunedì 21 gennaio 2013

Rassegna di Ortonovo, tra Kubrick e GTV

Foto di Alberto Terrile

Prima serata della rassegna “Oltre la Musica” svoltasi nello splendido SPAZIO MADE di Ortonovo, ultimo paese del levante ligure, il 18 gennaio… un po’ di racconto.
Non solo musica, ma un evento complesso diviso in tre parti.
L’inizio prevedeva infatti un incontro straordinario, quello con Emilio D’Alessandro, l’uomo che ha vissuto per trent’anni al fianco di Stanley Kubrick. Insieme  a lui sul palco Filippo Ulivieri, appassionato di cinema e detentore di ArchivioKubrick, il database italiano che raccoglie informazioni oggettive sulla vita e le opere del regista Stanley Kubrick, nonché scrittore del libro.
Per i dettagli e per la recensione del book “Stanley Kubrick e me”, rimando ad altre occasioni (sicura unuscita su MAT2020 - www.mat2020.com), momenti in cui fornirò la mia opinione su libro e protagonisti.
Un accenno va comunque fatto.
Avevo già sfiorato Emilio e Filippo nel corso di un incontro avvenuto a Savona, ma la mia breve permanenza aveva lasciato un senso di incompiutezza, soddisfatto successivamente dalla lettura del libro. Li avevo poi proposti per un nuovo appuntamento, quello di Ortonovo e il ritrovarli, e ripercorrere assieme a loro lustri significativi di una vita non certo comune, mi ha permesso di chiudere il cerchio, e soprattutto di far conoscere ai presenti una storia straordinaria, fatta di amicizia, di grandi sacrifici ed enormi soddisfazioni, di amore e dolore, di fortuna e drammi personali, il tutto come un film nel film, dove due uomini culturalmente  agli antipodi, Kubrick e D’Alessandro, trovano un apparente impossibile equilibrio, mentre sullo sfondo danzano personaggi inarrivabili ai più ma che, almeno durante la lettura, diventano accessibili a tutti.
Una storia toccante, che mi pare sia l’esemplificazione dell’antico concetto del “trovarsi al posto giusto al momento giusto”, situazione che prescinde dalle capacità, dalla serietà e dal talento di cui si è in possesso.
Incredibile il lavoro di “traduttore dei desideri” eseguito da Ulivieri, che si dichiara un “non scrittore”, ma che è stato capace di mettere a fuoco, con chiarezza e ricchezza di particolari fondamentali, il vero D’Alessandro - cosa probabilmente più semplice vista la conoscenza diretta - ma soprattutto il vero Kubrick, donando l’immagine inedita  e veritiera di un genio di cui, ci rendiamo conto adesso, non sapevamo nulla, e ovviamente mi riferisco all’uomo e non all’artista.
Il mio augurio è che anche per Filippo Ulivieri l’incontro con Emilio possa risultare determinante… abbiamo bisogno di bravi e modesti giovani.
Ma come scrivevo riparlerò con maggior cura di “Stanley Kubrick e me”.
Imperdibile il sito curato da Filippo Ulivieri:

 Foto di Alberto Terrile


L’intermezzo culinario è stato curato direttamente da Massimo Dolce, dei Gran Turismo Veloce, che di lì a breve si sarebbero esibiti.
I GTV avanzano nella loro attività musicale con un simpatico e accattivante “Menù del Giorno”, che prevede, laddove possibile, la mitica “carbonara” descritta nel numero zero di MAT2020, un piatto che fa da complemento al concerto vero e proprio.
Tutto perfetto, luogo incantevole, atmosfera tra l’esclusivo e il familiare, ottimo cibo ma… poco pubblico.
Lo SPAZIO MADE è di recente riconversione, e dell’antica collocazione conserva la materia prima, il marmo elegante sparso ovunque. Un potenziale centro culturale che necessita di un po’ di tempo per essere conosciuto, decentrato rispetto al normale “passaggio musicale” e di certo da educare ad un contenitore come quello di ieri, dove la letteratura e le storie di vita si sono sposate ad una musica che si inserisce nel filone progressivo e che quindi è ad appannaggio, purtroppo, di una nicchia di pubblico. Un vero peccato!
Avevo scritto dell’album dei GTV, “Di Carne, di Anima”, un po’ di tempo fa (http://athosenrile.blogspot.it/search?q=gtv)avendo apprezzato immediatamente la loro musica, ma mai li avevo visti on stage.
Per poter dare il meglio occorre avere davanti  chi risponde alla sollecitazioni, e questo comporta qualità e quantità di pubblico. Uno dei due requisiti non è stato soddisfatto, ormai si è capito quale. Nonostante tutto la band ha sfoderato un’ottima prova, ripercorrendo le tappe dell’album citato, con qualche aggiunta (ad esempio lAlexander Platz proposta nel video  a seguire). Delusione mascherata dall’ironia (ma credo sia una caratteristica di Massimo Dolce quella di apparire scanzonato sul palco, interagendo con il pubblico), e sfoggio di grande professionalità. Tecnicamente molto bravi, presentano una musica originale, che pur nella complessità ha la caratteristica di “entrare e rimanere”, e la particolare voce del tastierista Claudio Filippeschi - un tocco di spiccata italianità - diventa elemento caratterizzante.
Anche il look fa la sua parte, e la salopette rossa usata in scena è un altro di quegli elementi che riporta immediatamente alla band, al loro caravan e alla loro musica.
Molto... molto bravi, anche se mi piacerebbe risentirli in un altro contesto.
Nonostante tutto una bella serata, con tanti “attori” di grande valore di cui, ne sono certo, risentiremo parlare molto presto.


domenica 20 gennaio 2013

Splindeparì



Per la serie … “guardiamolebandellanostraregione” propongo oggi l’immagine e la storia degli Splindeparì, la cui biogrofia è proposta a fine post.
L’intervista a seguire evidenzia situazioni conosciute in ambito musicale, quelle in cui l’enorme sforzo, l’ impegno profuso e il talento, non rappresentano la simbolica chiave in grado di aprire le porte della piena soddisfazione, che nel caso specifico significherebbe vivere della propria passione, la musica.
Ma che cosa propone il gruppo di Rapallo?

L’occasione per sentirli dal vivo la band è dietro l’angolo perchè… venerdì 25 gennaio gli Splindeparì si esibiranno in un concerto dal vivo a Le Scimmie di Milano.



Per saperne di più su Splindeparì cosultare il loro sito ufficiale o la pagina di Facebook:




L’INTERVISTA

Come nascono gli Splindeparì… che cosa vi ha spinto verso l’attuale filosofia musicale?

La spinta è stata la voglia di esprimerci per quello che siamo, senza troppi vincoli stilistici.

Ho ascoltato i brani presenti sul vostro sito e mi sembra che il vostro sia un rock caratterizzato dalle molteplici influenze, con il timbro caratteristico della tipica melodia italiana. Come definireste il vostro genere?

Rock Progressive Cantautoriale: venature progressive, tastiere e ritmiche dispari su un tessuto melodico, testi in italiano, affreschi di sensazioni e venati di surreale.

Tra i vostri video ho trovato “La Cura”, di Battiato… che cosa vi ha indirizzato verso una cover dove l’elemento emozionale supera quello meramente musicale?

I nostri testi e il nostro approccio lirico sono da sempre frutto di emotività, quindi un testo di questo tipo, lavorato musicalmente da noi, si prestava molto bene ad essere plasmato secondo le nostre sensazioni musicali. Speriamo di aver raggiunto il risultato, almeno in parte.

Ho visto una certa cura nella realizzazione dei video ufficiali. Quanto credete sia importante l’aspetto visuale per pubblicizzare un brano, e più in generale, cosa pensate dell’immagine che accompagna un artista/gruppo?

La riteniamo molto importate oggi, ma l’aspetto principale rimane sempre la qualità e la bontà della musica che si propone, fruibile solo dal vivo. Viviamo in un momento in cui l’immagine di un probabile artista ha superato l’importanza che ha il suo talento musicale e le emozioni che riesce ad offrire.

Cosa vi è rimasto dell’esperienza fatta a Sanremo, alternativa al Festival ufficiale?

Una bella esperienza, e molti sogni che purtroppo sono stati spodestati nel tempo da un senso più reale delle situazione artistica odierna. Speriamo sempre in una virata migliorativa.

Che tipo di bilancio potete tracciare dopo l’uscita del vostro album “Meloria”?

Meloria è un passaggio intermedio verso gli Splindeparì definitivi di questa nuova ed ultima formazione, che sarà al meglio rappresentata nel nuovo album in lavorazione. Siamo cresciuti e siamo cambiati. Stiamo lavorando su brani nuovi che sono espressione ancor diversa del gruppo odierno. Tirando le somme, Meloria è stato un ulteriore passo avanti ed una conferma delle nostre capacità.

Cosa significa poter collaborare con un produttore come Umberto Maggi?

E’ stata un’esperienza interessante poter lavorare con un personaggio di spicco della musica italiana.

Che giudizio vi sentite di dare dello stato della musica nella nostra regione, la Liguria?

Ci sono parecchie realtà underground come nel resto d’Italia, e come nel resto d’Italia mancano gli spazi appropriati e, purtroppo, la verità è che manca il fruitore finale: il pubblico. Quindi i gestori dei locali preferiscono non fare musica dal vivo.

 Quale è stata la maggior soddisfazione e quale la più grande delusione, da quando avete iniziato la vostra attività musicale?

Forse la più grande soddisfazione è quella di esserci incontrati e di aver sviluppato questo progetto musicale. Come delusione possiamo dire di esserci imbattuti, agli albori della formazione del gruppo, in fregature e raggiri di chi detiene il mercato discografico italiano.

Progetti certi e speranze per questo anno appena iniziato…

Gran voglia e pezzi che escono con naturalezza. Nessun paletto e siamo ancora in pista. Un nuovo album in cantiere che sta prendendo forma settimana dopo settimana e che speriamo di presentare per l’estate 2013.



Un po’ di storia…
Gli Splindeparì nascono alla fine del 1998 dall'incontro tra il cantante Daniele Rezzoagli e il batterista Marco Pendola. Trovati gli altri componenti del gruppo i brani fuoriescono copiosi e si fondono essenzialmente su un rock progressivo melodico e su testi in italiano che spesso sono affreschi di emozioni che traggono spunto dalle vicissitudini dell'animo nelle esperienze di tutti i giorni.
Dopo un demo iniziale, un album del 2002 e moltissime esperienze live, nel 2012 danno alla stampa"Meloria" MEnti LOgiche RIdiamo Assieme, che e' un ulteriore concentrato dei variegati gusti musicali del combo e della voglia di sperimentare sonorità ed emozioni in continuo cambiamento.
Biografia:
Gli Splindeparì sono un gruppo di Rapallo (Ge) composto da cinque elementi. Nato nel 1998, inizia da subito la sua attività live. Nel 2000 viene inciso il primo demo ufficiale su cd, che permette agli Splindeparì di ottenere un contratto discografico con la Videoradio" di Alessandria. Nel settembre 2001 esce il primo album, dal titolo "Sinfonie di versi male detti".
Successivamente inizia la collaborazione con Umberto Maggi, ex-bassista dei Nomadi e produttore di rilievo a livello nazionale (nel suo Umbi Studio hanno registrato Vasco Rossi, Stadio, Daniele Silvestri, Alexia, PFM, Elio e le Storie Tese). Il sodalizio porta alla realizzazione di "Cristalli", brano presentato all'Umbi Circus, spettacolo allestito dallo stesso Maggi durante l'edizione 2003 del Festival della canzone italiana a Sanremo. Nell'Ottobre 2004 la formazione ritorna in studio per registrare altri tre brani nel Funk Lab Studio’s di Alberto Benati (produttore e tastierista dei Ridillo).
Tra il 2008 e il 2009 la band registra nove nuovi brani e una cover al Tsunami Studio’s di Rapallo sotto la supervisione di Pier Gonella dei Labyrinth, Nel frattempo ha partecipato alle selezioni di Rock Targato Italia superando con successo la prima parte. Nel 2009 è stata invitata a suonare ai Festival musicali Rock on the river e Balla coi cinghiali.
Lunga, la serie di concerti tenuti sia in Liguria che nel Basso Piemonte e in Lombardia. Tra questi, l’esibizione di Genova, all'Arena del Mare, prestigioso palco su cui sono saliti anche Patti Smith, Carmen Consoli, Alex Britti, e Le Vibrazioni.

Line up
Basso: Matteo Gardella
Batteria: Marco Pendola
Chitarre: Giovanni Vandanesi
Tastiere: Stefano Riggio
Voce: Daniele Rezzoagli

sabato 19 gennaio 2013

Ci ha lasciato Nic Potter...


Aldo Pancotti/Wazza Kanazza mi ha inviato queste righe che raccontano di una scomparsa prematura.

Periodaccio per i nostri beniamini, ci ha lasciato il 17 gennaio, all'età di 61anni, Nick Potter, bassista del primo periodo dei Van Der Graaf Generator.

Rimasto nella compagine di Peter Hammill (se pur a fasi alterne) per quasi tutti gli anni 70, Potter ha saputo arricchire il suono della band con una timbrica morbida e avvolgente.
In precedenza aveva fatto parte di un gruppo chiamato The Misunderstood nel quale conobbe il batterista Guy Evans, assieme al quale decise di unirsi ai Van Der Graaf, in tempo per prendere parte alle registrazioni del terzo album (The Least We Can Do Is Wave To Each Other).
Irrequieto e creativo, si scontrò spesso con la personalità debordante di Hammill e durante le registrazioni del successivo (H to He) lasciò la band, dopo aver contribuito a brani immortali come Killer, The Emperor in his War Room e Lost). 

In realtà Peter Hammill aveva unaltissima considerazione di Potter (che lui chiamava Mozart) e finì col volerlo spesso nelle session di moltissimi dei suoi album solisti, oltre che a richiamarlo a gran voce di ritorno nei VDGG attorno al 1977.

Il suo modo elegante di accompagnare la ritmica resterà sempre un tratto distintivo della musica di Hammill, che dalla sua pagina ufficiale scrive un toccante saluto all’amico scomparso (Im so sorry to have to announce that the great Nic Mozart passed away in hospital last night. Deeply, deeply missed).

Oltre a numerose collaborazioni con altri musicisti (tra cui anche gli italiani Tony Pagliuca e Tolo Marton ex membri de Le Orme) Potter ha firmato una nutrita serie di album solisti.
Se n’è andato ieri, dopo una lunga malattia, all’età di 61 anni.