venerdì 30 maggio 2014

Talent Show, ovvero la figuraccia che avvalora la mia tesi... forse


Talent Show sono spettacoli che personalmente non amo.
Il fatto che in casa mia siano molto seguiti mi rende cauto e morbido nel giudizio.
Parlando con esperti del settore, personaggi eminenti ed autorevoli, emergono posizioni agli antipodi, che comprendono termini che vanno dal “deprecabile all’auspicabile”, con tesi al sostegno che reggono, in ogni caso.
Da un lato esiste chi disegna una macchina capace di creare false illusioni, dall’altro chi crede che comunque siano opportunità che in altro modo non arriverebbero.
C’è poi chi allarga il pensiero e, comparando la più florida situazione musicale americana (se rapportata alla nostra) sottolinea che è proprio negli USA che i Talent sono nati - e quindi sono compatibili con lo sviluppo del mercato - e che sono altri i meccanismi deleteri che incatenano il movimento musicale italiano.
Uno di questi - Senardi docet - è rappresentato dall’incapacità tutta italiana (parlo degli addetti ai lavori) di capire per tempo - e quindi imparare a gestire - lo sconvolgimento che era in atto, legato alla progressione delle nuove tecnologie, cercando di rincorrere le adeguate protezioni senza comprendere a fondo le opportunità e la giusta e possibile convivenza.

Nel settembre 2010 chiesi un parere ad uno che se ne intende, Lucio “Violino” Fabbri.
Questa la domanda con conseguente risposta…

“Vista la tua collaborazione con XFactor, in qualità di esperto, mi dai un giudizio sui Talent Show? Sono utili, servono davvero?

Il giudizio di un esterno come posso essere io è condizionato da molti fattori ed è poco professionale. Ti faccio una breve analisi, anche un po’ fantascientifica. Esiste “Amici” ed esiste “X-Factor”. Non voglio evidenziare le differenze, anche se posso dirti che ne esistono e sono profonde. I ragazzi che partecipano a questi talent show (che è bene dirlo, esistono in tutto il mondo), sono bravi (perché se non sei bravo non ti prendono), vanno ai provini e si mettono in gioco. Punto. Immaginiamo ora che questi due programmi non siano mai esistiti. Questi ragazzi, bravi, a volte bravissimi, dove vanno? Come fanno a farsi conoscere dal grande pubblico? Possono non piacere o essere antipatici o suscitare invidie, ma vale lo stesso discorso fatto per i Jalisse: se non sei bravo non ci arrivi. Certo, si possono anche criticare con affermazioni tipo: ”..eh, ma non sono bravi come quelli degli anni 70…”, ma intanto sono quelli che abbiamo oggi, e la TV offre, credo, solo queste due possibilità per farsi ascoltare. Se invece non ci fossero, che altre possibilità avrebbero questi giovani? Piano bar? Orchestre da ballo? Di sicuro non potrebbero fare il percorso di Finardi, visto che abbiamo parlato di lui, perché quelle strade non esistono più. Non c’è un tessuto politico che ti sostiene, che magari un tempo strumentalizzava l’artista, sfruttando il messaggio proveniente dai testi, ma dava comunque la possibilità di “camminare”. Oggi allestisci il tuo studio casalingo, sfruttando le nuove tecnologie, registri dei demo e inizi a mandarli in giro, ma forse neanche più quello, perché la musica finisce direttamente su internet, ottima – sebbene molto dispersiva - alternativa ai Talent. Quindi, se levassimo i Talent, otterremmo una maggior ricerca sulla rete, che è comunque un labirinto, non sempre chiaro e agevole, soprattutto se ricerchi musica nuova. Come alternativa, dal punto di vista del “live”, nei locali trovi solo cover band, formate magari da ottimi musicisti e pensi: ” … bravo quel ragazzo! Chissà perché’ non ha successo ?!”. E come ci potrà mai arrivare senza vere opportunità? E allora torniamo ai Talent, che sono una benedizione, perché se per sbaglio nasce da qualche parte un Peter Gabriel o un Paul McCartney, quello va per forza dritto ad X-Factor; quindi ben vengano le critiche, ma la realtà è che siamo tutti in attesa di un nuovo Phil Collins, o un nuovo Peter Gabriel, e nel bene o nel male è solo lì che possiamo andare a cercarlo. Non esistono altre opportunità di scoprire e far scoprire al pubblico nuovi talenti. Possiamo quindi giudicarli negativamente e dire che non sono abbastanza bravi, meno bravi di altri in altri tempi, e un dubbio potrebbe andare anche a chi li seleziona … può anche essere che i “giudici” mandino via prematuramente qualcuno che ha qualità … che osannino uno che ne ha di meno … tutto può essere, ma credo che se ti si presenta davanti un Peter Gabriel te ne accorgi subito, sia che vada ad Amici o a X-Factor o al Telegiornale...”.

Temo che alla fine non esista una verità assoluta.
Ma io cammino sempre con la mia certezza che, se per qualche volere divino, Bob Dylan, Neil Young, Vasco Rossi e Lucio Battisti - tanto per citare qualche voce piena di personalità, riconoscibile in due secondi, ma non certo caratterizzata dalla tecnica o dall'estensione - fossero ventenni e si presentassero al cospetto di giudicanti influenti - ma che non credo  poi così esperti - come la Ferilli o la Ventura, vedrebbero stroncata sul nascere la loro carriera.

E’ avvenuta pochi giorni fa una cosa che mi pare rilevante e significativa di certe storture televisive.

Ad una trasmissione della RAI, denominata “The Voice”, dove la giuria è composta dalla quaterna Carrà-Pelù-DJ Ax-Noemi, si è presentata, in pieno anonimato, Alessandra Drusian, la cantante dei Jalisse.
I Jalisse sono stati molto discussi - a torto o a ragione, non lo so - ma hanno vinto il Festival di Sanremo, e la voce di Alessandra è indiscutibilmente bella.

Nella stessa intervista a cui facevo riferimento, Lucio Fabbri raccontava…

“…posso dirti che “Fiumi di Parole” (Jalisse) è una canzone di grandissimo valore. E’ stato buttato tanto fango attorno al concetto di Jalisse come figura artistica, e a mio avviso sono stati rovinati da un accanimento inutile dei media, inspiegabile perché … non davano fastidio a nessuno …

Ma dovuto a cosa, secondo te?
Non lo so … si è detto che il pezzo fosse copiato (ma io non ho mai avuto la riprova), ma ti voglio dire qualcosa di più di questa canzone: avendo vinto Sanremo, abbiamo partecipato dopo qualche mese all’Eurofestival a Dublino, ovviamente con lo stesso brano e in un ovvio contesto di musica leggera. Pensa che, appena arrivati, i Jalisse erano dati per secondi dai bookmakers locali. Poi, per una serie di vicissitudini che non ti sto a raccontare, non hanno vinto, ma sono arrivati comunque quarti, davanti a tutta l’Europa. Evidentemente quella canzone, quell’arrangiamento, quel modo di proporsi, non era nell’insieme trascurabile”.

Torno a The Voice.
Alessandra non è stata riconosciuta da nessuno della giuria - che ha ammesso pubblicamente la brutta figura chiedendo scusa con tutti i componenti - ed stata scartata.
Inutile “l’aggrapparsi agli specchi” successivo, nel tentativo di rimediare.
Almeno non abbiamo dovuto sentire la solita lagna… “… non mi hai trasmesso nessuna emozione!”.
Guardiamo quanto accaduto, con la soddisfazione di sentire Piero Pelù che ammette la figuraccia della giuria.




giovedì 29 maggio 2014

Samuele Puppo-Road to Mountains


Sono circondato da adolescenti che, dopo aver incontrato la Musica ed essersene innamorati, decidono di assumere un ruolo attivo, applicandosi nello studio o semplicemente scegliendo di esprimersi attraverso uno strumento o con ciò che la natura ha loro regalato, la voce. Anche a me capito così, con scarsa fortuna, attorno ai sedici anni.
Tutti sono autorizzati a trovare soddisfazione nel creare o nel proporre qualcosa che obbligatoriamente andrà poi condiviso, ma tutto questo niente ha a che vedere con il talento, con la capacità di applicazione e la giusta attitudine, tutte qualità che a volte esistono, ma la maggior parte delle volte latitano.
Ho conosciuto casualmente Samuele Puppo, musicista di sedici anni, presentatomi da una fonte autorevole che ne esaltava le qualità. Ho però voluto andare più a fondo, attraverso l’ascolto in rete di Road to Mountains - il suo primo EP appena uscito - e la visione di alcuni filmati.
Tanto mi è bastato per rispolverare il vecchio luogo comune che abbina il successo personale all’occasione, l’essere “al posto giusto nel momento giusto”.
Immaginando un libero effetto di traslazione, nel tempo - tornando agli anni ’70 - e nello spazio - la West Coast - si potrebbe ipotizzare per Samuele un futuro luminoso, ciò che in Italia, nel duemila inoltrato, appare invece complicato, per lui e per chiunque voglia uscire dal modello di riferimento, comunque  difficile da proporre e valorizzare.
Gli amori sono il blues, il country, il folk, elementi sintetizzati nel suo disco, ma ciò che emerge, quello che appare evidente guardando oltre, è la sua straordinaria maturità musicale che, a quell’età, sa tanto di dono piovuto dal cielo, e colto immediatamente, con rigore e passione.
La famiglia alle spalle conta, e il passaggio di intenti da padre a figlio è un veicolo che spesso funziona, ma difficilmente porta a simili risultati. E la coesione del nucleo trasforma il team in situazione manageriale, laddove il termine “manager”, spesso abbinato ad esempi negativi, diventa solo sinonimo di organizzazione, pianificazione e protezione verso chi, seppur talentuoso, necessita di guide autorevoli.
Samuele Puppo suona la chitarra e canta, un abbinamento abbastanza usuale nella sua forma, ma il melange che ne deriva è sorprendente.
I maestri sono di alto rango - vedere intervista a seguire - ma occorre sottolineare che il repertorio proposto è frutto di creazione personale, con l’aggiunta di una difficoltà supplementare, la scrittura delle liriche in lingua inglese.
Road to Mountains è composto da cinque brani - circa diciassette minuti di suoni e parole - sufficienti per inquadrare gli intenti e per esaltare le peculiarità di un nuovo cantautore in erba, dalle potenzialità non comuni e dalle caratteristiche uniche, una sorta di cosmopolita musicale dalle belle speranze.
L’augurio è quello che i piedi rimangano ben saldi per terra, che lo studio e l’applicazione proseguano ininterrotti e che la passione resti la molla che determina ogni azione.
Se così sarà, Samuele Puppo potrà prendersi le soddisfazioni che merita, magari fuori dai nostri confini, come accade a tutti quelli che, in ogni settore lavorativo, percepiscono muri di impenetrabile spessore ad ogni angolo di strada.
Ma leggiamolo, ascoltiamolo e vediamolo…


L’INTERVISTA

Da dove nasce la tua passione per la musica?
La passione è nata grazie all'ascolto di tanta bella musica in casa mia. E' stato mio padre (bassista e contrabbassista) ad invogliarmi a suonare la chitarra e ad insegnarmi i primi accordi. La mia prima passione è stato il blues.

Abbastanza anomalo che un ragazzo della tua età si proponga con blues, country e folk: che cosa ti ha fatto scattare la molla?
A otto anni avevo, appunto deciso di studiare blues. Ho ascoltato Eric Clapton, John Lee Hooker, BB King, Jimi Hendrix e molti altri. I primi passi sono stati in quella direzione. Suonavo soprattutto la chitarra elettrica. Crescendo e studiando mi sono avvicinato al pop e a molti altri generi musicali, fino a quando ho scoperto John Mayer, prima in versione elettrica, poi acustica. Da lì ho iniziato ad amare l'acustica e il folk, dal più tradizionale al contemporaneo.

Che tipo di studi musicali hai fatto e continui a fare?
Ho sempre studiato privatamente o in seminari estivi con ottimi chitarristi. Il primo in assoluto è stato Paolo Bonfanti, a seguire Matteo Cerboncini, Daniele Franchi, Marco Cravero. Per quanto riguarda il canto (studio solo da un anno, prima mi rifiutavo di cantare) Emanuele Dabbono. Ho frequentato seminari con Beppe Gambetta, Mike Dowling, Chris Newman.

Il connubio voce e chitarra nel tuo caso mi sembra inscindibile: hai una preferenza espressiva tra le due che ho evidenziato?
Nasco come chitarrista, successivamente ho scoperto il canto e mi sono messo a scrivere brani miei. Proponendo un mio repertorio sento di esprimermi meglio con chitarra e voce.

Che importanza hanno per te le liriche?
Scrivo testi in inglese e per riuscire ad essere credibile studio tantissimo e cerco di scrivere liriche non banali, utilizzando il più possibile modi di dire e un linguaggio attuale. Mi ispiro a Mayer, Passenger, Sheeran, Mumford & Sons, autori che apprezzo molto e sono in linea col mio gusto, anche musicale.

Il tuo EP è stato autoprodotto, ma osservando alcuni filmati mi pare di vedere un’ottima cura dei particolari: chi ti aiuta nella gestione globale della tua passione?
Per ora la produzione è totalmente Home-Made. Ognuno in famiglia è bravo in qualche cosa, ci aiutiamo e collaboriamo. In “Road to Mountains” ho curato personalmente arrangiamenti e cori, mio padre Luciano, oltre ad aver suonato il basso, ha mixato il disco con me, mio zio Fulvio Zacco è esperto in airbrush e ha realizzato la copertina, mia sorella Valeria ha fatto le foto, mia mamma Alessandra si occupa della comunicazione. Io... “me la canto e me la suono”.

Mi racconti il contenuto di  Road to Mountains? Che cosa lega i vari episodi?
Road to Mountains” è nato come progetto del trio acustico con Gianka Gilardi alle percussioni. Nelle mie intenzioni voleva essere ed è un percorso nel mondo musicale a me più vicino, una sorta di omaggio agli autori e ai generi che ho ascoltato nell'ultimo anno. Il primo brano “Paper Heart” è in stile vagamente Irish; “Sixty Miles Away” è più sul Pop; “Mary” (al violino Fabio Biale) è d'ispirazione country-folk; “Bottle of wine” è un mio omaggio al blues; “Road to Mountains” conclude il percorso nelle atmosfere country americane.

Come ti trovi on stage, a contatto diretto con il pubblico? Ti riesce facile interagire?
Ho talmente desiderio ed urgenza di suonare che sin dalle prime esperienze sul palco - a dieci anni i miei mi portavano alle jam di blues - non ho mai avuto imbarazzi. Offrire la propria musica ad un pubblico in ascolto è un privilegio ed una magia, che funziona solo se si è veramente se stessi e a proprio agio, cercando di coinvolgere, anche emotivamente, chi ascolta.

Banalità, ma alla tua età è lecito sognare: rimanendo con i piedi ben saldi a terra, che ruolo vorresti ritagliarti nel panorama musicale?
Nel mondo dei sogni mi piacerebbe avere successo ed essere apprezzato per le mie canzoni. So che in Italia  è praticamente impossibile riuscire ad essere ascoltati da un vasto pubblico se si canta e si scrive in inglese, ma io che compirò 16 anni tra poche settimane voglio ancora credere di poterlo fare. Se non qui, all'estero dove spero di andare a vivere e studiare una volta terminato il liceo. 


Biografia

Samuele Puppo nasce a Pietra Ligure il 5 giugno 1998. Vive a Celle Ligure. Frequenta il secondo anno del Liceo Classico-Linguistico G.Chiabrera di Savona.
Inizia a suonare la chitarra all'età di 8 anni manifestando da subito interesse per il blues. Le prime  tablature le studia sotto la guida del maestro Paolo Bonfanti (2008).
A seguire: Matteo Cerboncini e Daniele Franchi, suoi insegnanti dal 2009.
Nel 2010 e 2011 partecipa ai campus estivi dell'Accademia Lizard di Brescia dove vince, all'età di 12 anni, il 1° premio del “Contest di Improvvisazione”.
Nel 2011 partecipa alla prima edizione del “Sestri Guitar Festival”, dedicato ai nuovi talenti chitarristici, classificandosi al 2° posto. Dal 2012 studia canto e songwriting con Emanuele Dabbono, iniziando a comporre propri brani musicali. Nell'estate 2013 partecipa al “Beppe Gambetta 21st International Acoustic Guitar Workshop (Slovenia)”, studiando con Beppe Gambetta, Mike Dowling e Chris Newman. A fine corso si aggiudica, con un suo brano, il premio per il miglior arrangiamento.
Dal 2013 studia chitarra con Marco Cravero.
Nell'autunno 2013, selezionato tra centinaia di concorrenti italiani e stranieri, arriva tra i tre finalisti della categoria “Junior” nel concorso “Tour Music Fest – Festival Internazionale della musica emergente”, portando sul palco del Piper Club di Roma un suo brano originale.
Samuele, oltre ad esibirsi come solista, ha recentemente formato con Gianka Gilardi alla batteria e Luciano Puppo al basso, un trio acustico con il quale propone  brani inediti.
Periodicamente conduce, al “Count Basie Jazz Club” di Genova, session blues suonando con importanti professionisti della scena ligure.
Pur mantenendo solide radici nel mondo del blues, Samuele ha esteso la sua ricerca e produzione artistica verso un genere con forti influenze country e folk.
Paper Heart, Bottle of Wine, Road to Mountains, brani che fanno parte del suo primo EP, si posso ascoltare su soundcloud al link:  https://soundcloud.com/samuelofficialmusic

Marcello Milanese, tra i migliori bluesman presenti sul territorio nazionale, ha detto di lui:  “Samuele Puppo è forse l’unico talento (sotto i 20 anni) che ci tengo a segnalare; davvero da tenere d’occhio” (http://blog.bb-blues.com/2013/12/marcello-milanese-still-alive-intervista.html)


Contatti: 3400847953
Facebook: facebook.com/samuelofficialmusic
mail:samuelepuppo@gmail.com


mercoledì 28 maggio 2014

SONG OF THE KNIGHT, il concorso per autori ideato dai Jalisse


Incontrare casualmente i Jalisse mi ha riportato indietro nel tempo, a giorni di traguardi inaspettati, a sterili polemiche, a streotipi e luoghi comuni, a ragionamenti successivi fatti con cognizione di causa da esperti del settore.
Ma forse è più utile guardare al futuro, e il concorso documentato a fine post, ideato da Fabio Ricci e Alessandra Drusian - SONG OF THE NIGHT - è una buona opportunità per chi volesse cimentarsi con la scrittura di un testo, ed è proprio dietro l’angolo.
Lo scambio di battute a seguire permette di ripercorrere un tratto di storia recente, con qualche sottolineatura legata al panorama musicale odierno e un approfondimento legato al concorso per autori, la “Journèe Mondiale des Chevaliersin Francia.


L’INTERVISTA

Un po’ di storia sintetizzata: che cosa vi è accaduto, musicalmente parlando, dalla vittoria di Sanremo sino ad oggi?
Tanti brani provinati e proposti ai Festival di Sanremo dal 1998 al 2014, tra i quali “Tra Rose e Cielo” (terzo su una radio francese EFR12 e arrivato fino in Iraq) “Linguaggio Universale” (tratto da un saggio della Prof.ssa Montalcini) “E se torna la voce” (realizzato durante laboratori creativi con i detenuti del carcere San Vittore con la Fondazione  Mike Bongiorno ) e mai nessuno accettato dalla commissione del Festival sanremese in 15 anni!!!!! Diversi viaggi all'estero e concerti grazie ai nostri amici dell'Eurovision Song Contest e nelle piazze italiane, tanta musica passata nelle radio locali, perché in alcuni network i Jalisse non passano. Insomma, con un nome popolare, gli spazi promozionali li otteniamo come se fossimo esordienti.

In una lunga intervista che ho realizzato qualche anno fa con Lucio Fabbri, lui vi descriveva molto positivamente, denunciando nei vostri confronti un accanimento ingiustificato: che giudizio potete dare di quel periodo e degli strascichi successivi?
Siamo felici che il grande Lucio parli bene di noi e anche lui denunci la cattiveria che media e addetti ai lavori hanno voluto scatenare sui Jalisse. Abbiamo vinto un Festival grazie ai voti del pubblico e questo forse ha creato una rottura del sistema, gettando  ombre anche sulla nostra partecipazione all' Eurovision Song Contest 1997. Noi l'abbiamo sempre intuito, ma poi il libro di Gigi Vesigna e Antonio Ricci, l'intervista di Ettore Andenna, le confessioni di tanti produttori, la chiusura a riccio del potere di chi gestisce la discografia imponendo prodotti o facendo cartello, hanno confermato i nostri dubbi. Ora la maggior parte delle produzioni sono indipendenti, anche se rimane una gestione musicale fatta di amicizie e scambi, ma nel 1997 era un sacrilegio. Un paradosso? All'estero la gente ci ha votato quest'anno dandoci un web Award come la Best Band 2014 su Eurosong On Top.com sopra gruppi fantastici come i Lordi ed i Blue che hanno venduto 17 milioni di dischi, mentre in  Italia non siamo in “linea editoriale”!? Questo potere è assurdo e noi artisti e piccoli produttori dobbiamo aprire gli occhi e muoverci, scardinando il sistema di chi impone la musica attraverso decisioni a tavolino, oltre la buona musica.

Quanto vi aiuta, nel vostro mestiere, essere anche una coppia nella vita?
Noi siamo una famiglia e questo aiuta ad essere forti e a non mollare. E' una scelta di vita, e sicuramente ci ha protetti da attacchi e menzogne. Abbiamo sempre risposto con la musica e la difesa delle nostre mura. Oggi guardiamo in faccia le persone con il sorriso, con la  passione per la musica ed il rispetto per chi ci ascolta, ma con la consapevolezza che qualcuno ci ha tolto qualcosa.

Le vostre iniziative sono molteplici e abbastanza trasversali: mi raccontate qualcosa, anche nei dettagli, del concorso per parolieri legato alla “Prima Giornata Mondiale dei Cavalieri”,  che si svolgerà in Francia?
Siamo artisti, produttori, creativi e ideatori di diversi progetti legati al percorso dei cantautori, tra gli ultimi nati c'è proprio “Song of the Knight”. Un giorno vedo su FB un comunicato dell'Organizzazione “Journèe Mondiale des Chevaliers” e, affascinato, gli scrivo lanciandogli l'idea di realizzare una canzone con un testo scritto da autori sconosciuti in tutta l'Europa, con la musica scritta e cantata dai Jalisse. Mi hanno risposto personalmente il Barone Kleiner de Grasse e la sua gentilissima consorte la Baronessa di Montecrestese lasciandomi di stucco, per l'umiltà e la disponibilità e offrendoci questa entusiasmante occasione. Quindi abbiamo lanciato il bando che prevede la scrittura di un testo musicale sui valori dei Cavalieri (nobiltà d'animo, amicizia, gentilezza) da scrivere in una delle cinque lingue principali; il testo sarà valutato dai Jalisse tecnicamente e dalla Organizzazione per il valore etico, sarà musicato, arrangiato da Valter Vincenti e presentato il 20 settembre alla Journèe Mondiale des Chevaliers a Fort Rousses in Francia, diventando il prossimo singolo dei Jalisse e offrendo quindi un contratto editoriale all'autore vincitore. Il termine per iscriversi ed inviare gratuitamente il testo è il 1 luglio 2014 ed il bando ed il regolamento sono scaricabili su http://songoftheknight.wordpress.com e www.crescerecreativi.net. Stiamo ricevendo già i primi testi e stiamo lanciando il bando in Europa attraverso i club OGAE dell'Eurovision Song Contest.

Vorrei un vostro giudizio sullo stato della Musica, tra arte e businnes.
Con tutta la positività e l'amore possibile, i segnali della condizione musicale sono pessimi, sotto tutti i profili. Artisticamente è sempre meno rispettata, a partire da chi scrive, a chi interpreta, a chi produce fino ai live manager che la distribuiscono; c'è sempre meno coesione per organizzare e salvaguardare i diritti delle categorie. Il business ormai è agli sgoccioli, i cd ormai sono biglietti da visita, i concerti sono quasi gratis e tra poco bisognerà pagare per suonare; gli investimenti sono ormai nulli da parte di chi produce. Credo che chi sta nella musica solo per fare soldi, tra poco dovrà cambiare ordine e dedicarsi a giochi online o cose del genere, lasciando a chi ha la passione vera per la musica, a chi si accontenta di portare a casa, quel poco che basta, per vivere e produrre.

Ho visto quanto accaduto ad Alessandra a “The Voice”. Questo conferma la mia tesi che se Battisti, Dylan o Young nascessero oggi non avrebbero nessuna chance di affermarsi, se … dipendesse dai giudici dei Talents: qual è il motivo per cui è nata questa “sfida”? Non credo che chi ha vinto il Festival di Sanremo abbia bisogno di dimostrare nulla!
Alessandra è una fuoriclasse, ma è stanca di sentirsi dire in Italia: ”Ma canti ancora?”, oppure non ti vediamo più, ma come mai, ecc. Abbiamo ragionato molto, poi Ale ha detto: “Io sono una cantante italiana, voglio che gli italiani possano giudicarmi ancora come hanno fatto a Sanremo nel 1997. Voglio che gli addetti ai lavori capiscano che ho ancora tanto da dire. Mi preparo, mi presento e vada come deve andare”. Questo carattere di artista forte, sicura, umile e pronta al giudizio, ha acceso il pubblico e fatto crescere ancora di più Alessandra.

Che cosa c’è nell’immediato futuro dei Jalisse?
Tanta roba. Il progetto ARTISTI NELLE SCUOLE che vogliamo lanciare in Italia e oltre sulla scrittura di inediti, le collaborazioni con artisti stranieri e italiani, la realizzazione di live e di nuovi brani, progetti creativi sempre. E aspettiamo gli autori a SONG OF THE NIGHT!

SONG OF THE KNIGHT

I Jalisse cercano parolieri europei per l'inno della

“Journèe Mondiale des Chevaliers” in Francia


Un concorso aperto a tutti i maggiori di anni 18, senza esclusione alcuna di etnia, religione e credo, rivolto ad autori e poeti, per realizzare un testo che sarà musicato e cantato dai Jalisse. Il tema dovrà riguardare l’amicizia, la solidarietà, la galanteria, la cavalleria, il sogno, l'aspirazione, la gentilezza d'animo, il rispetto, la cortesia. Lo spirito è quello di valorizzare nuovi talenti ed il testo che sarà scelto da Alessandra e Fabio (Jalisse) e dall'Organizzazione J.M.D.C. otterrà un contratto editoriale per essere lanciato come singolo del duo all'evento eccezionale che si svolgerà nella magnifica cornice di Fort Rousses in Francia, il 20 settembre 2014.
Alcuni numeri della Giornata Mondiale del Cavaliere 1a edizione:
1500 Cavalieri di Ordini Cavallereschi da tutti i continenti, presenza di diverse case reali,
più di 800 artisti provenienti da tutto il mondo, presenza di numerosi canali televisivi,
40.000 spettatori, più di 30 ettari di superficie per i festeggiamenti, 16 ore di spettacoli e di pure emozioni. Fino al 20 Settembre 2014, più di 350 milioni di persone avranno visto, letto e sentito della prima Giornata Mondiale dei Cavalieri (tratto da sito uff J.M.D.C.:
http://www.journee-mondiale-des-chevaliers.ch)
Il bando e l'iscrizione gratuita sono scaricabili dal sito www.crescerecreativi.net
I testi (in lingua italiana, inglese, francese, spagnolo o tedesco) dovranno rientrare nelle specifiche tecniche riportate sul sito stesso (quartine, ecc.) e dovranno essere inviati entro le ore 24:00 del 01 Luglio 2014 all'indirizzo email info@crescerecreativi.net
“SONG OF THE KNIGHT” è uno dei progetti che i Jalisse promuovono per evidenziare la creatività attraverso la musica, come Artisti nelle Scuole ideato per alunni ed artisti e che ha ottenuto prestigiosi premi e riconoscimenti da radio, stampa e associazioni musicali di categoria, oltre alla collaborazione di famosi artisti dello spettacolo e della musica.


Contatti:

Associazione Crescere Creativi: www.crescerecreativi.net
Artisti nelle Scuole: www.artistinellescuole.it
Tregatti Produzioni ed Edizioni Musicali

Facebook: Jalisse Official – Song of the Knight




martedì 27 maggio 2014

Alessandro Monti-spiritDzoe


Alessandro Monti, titolare del progetto unfolk, realizza un sogno, il suo primo CD “solo” che, anziché rappresentare un punto di arrivo, ha più le sembianze di un ritorno alle origini, un minimalismo espressivo voluto, alla ricerca dell'essenza del suono, della sperimentazione, del recupero etnico.
Titolo misterioso - ma spiegato dall'autore nell'intervista a seguire -  spiritDzoe nasce in studio - luogo in cui l'ispirazione di Monti arriva all'apice - e si ripropone di mantenere una collocazione intimistica, senza la ricerca del live, situazione in cui la riproposizione richiederebbe un contesto dedicato e non certo facile da individuare.
Spirito e Vita, questa la risultante di un lavoro la cui valenza si è rivelata solo alla conclusione del percorso, dopo una creazione quasi casuale, che ha preso forma e sostanza momento dopo momento.
Il sottotitolo del disco, “8 rituali in forma di suite”, introduce la sacralità dell'opera, laddove la concatenazione dei vari episodi passa attraverso un cerimoniale che profuma di misticismo e di arte superiore.
A giudicare dall'esterno, sembrerebbe che il musicista veneziano, dopo un lungo percorso in senso circolare, abbia fatto ritorno alla sua “Itaca”, arricchito dai viaggi attorno al globo, carico di esperienze che come lui stesso racconta hanno toccato altri continenti (l'Africa), differenti culture musicali (Don Cherry) e nuovi amici/collaboratori/musicisti (un gruppo di ragazzi disabili).
Il tutto ha portato alla voglia/necessità di tornare all'essenza dello strumento, al bisogno della sperimentazione contemporanea, in un contenitore dove anche un solo accordo può diventare materia d'ascolto corposa, e dove la semplice differente angolazione, rispetto all'amplificazione, provoca sorprese e diversità, non tutte gestibili all'impatto.
L'improvvisazione è un pilastro dell'opera, che solo nella parte finale presenta composizioni precostituite. E la spontaneità vince, così come la riscoperta della bellezza della rottura degli schemi, dell'abbattimento di ogni orpello e confezione floreale, a vantaggio dell'espressività.
Un album che richiede la corretta concentrazione d'ascolto e una buona conoscenza degli intenti e della filosofia costruttiva; un concentrato musicale che ha il sapore della rivelazione improvvisa, del creare innanzitutto per se stessi - fatto non sempre scontato - dello spogliarsi del superfluo a vantaggio dell'essenzialità.
Le parole di Monti apriranno varchi in un mondo carico di importanti risvolti...


L'INTERVISTA

Ti ritrovo dopo oltre un anno dal tuo ultimo lavoro con questo spiritDzoe: mi spieghi il titolo e sinteticamente il contenuto?
spiritDzoe” é una parola misteriosa creata da un carissimo amico, dotato di una surreale creatività linguistica davvero speciale. Finito di registrare il lavoro mi sono reso conto che aveva spiazzato anche il suo stesso autore e, nonostante alcune parti fossero state influenzate dal paesaggio e dal clima i quei giorni (nebbia, pioggia ecc), non era possibile trovare un titolo esatto che descrivesse adeguatamente la musica e le sensazioni che avevo provato suonando. La suite si è formata da sola e in modo organico, partendo da piccoli frammenti e idee che ho sviluppato direttamente in studio, improvvisando tutto al momento... semplicemente tenevo le idee buone e scartavo quelle che non mi convincevano; va sottolineato che l'unica parte realmente "composta" è l'ultima (8), quella di percussioni che era stata originariamente scritta per essere eseguita da un gruppo. In realtà incidere questo disco è stata per me una sorta di autoterapia in un momento difficile della mia vita, una specie di sfida, ma sentivo che, dopo un periodo di inattività musicale, dovevo avere un nuovo approccio con gli strumenti, quasi fossero presi in mano da zero. Da qui il carattere molto sperimentale e quasi primitivo del disco. Per tornare al significato del titolo: solo a posteriori ci siamo resi conto che alcuni termini sono casualmente legati ala musica: "spirit" ovviamente e "zoe" che, come ha sottolineato la carissima amica e cantante dei Quanah Parker, Betty Montino, in greco significa "vita". Quella "D" al centro fa inciampare la pronuncia e ha uno strano effetto recitato! Insomma una parola casuale, ma magica, che a mio parere descrive la musica altrimenti di difficile classificazione. Tra parentesi credo sia una delle poche suite che possano essere ascoltate random!

L’album è strumentale e appare come sperimentale, pur utilizzando “mezzi” legati all’etnia e alla tradizione: che tipo di ricerca hai effettuato? Quanto incarna il tuo spirito di uomo e musicista?
Essendo un musicista autodidatta ho sempre avuto un'idea del suono come ricerca di nuove soluzioni e possibilità, forse perché non mi ha mai interessato essere padrone di una "tecnica" vera e propria: il feedback di mandolino all'inizio (forse uno dei rarissimi esempi del genere) lo dimostra. L'uso di quello strumento in questo lavoro non ha nulla a che vedere con quello che avevo fatto nei precedenti dischi (Unfolk o Venetian Book Of The Dead), ma sentivo che potevo trarne dei suoni ancora diversi. Ho sempre amato il feedback controllato, metodo non facile da usare; alla fine mi ha colpito soprattutto il fatto che il mandolino non crea solo frequenze acute o medie, com'era lecito aspettarsi, ma anche basse! Una gamma davvero molto ricca che permette, con il solo orientamento della posizione di fronte all'amplificatore, di creare melodie senza addirittura premere alcun tasto: una sorta di danza, che mi ha fatto pensare ad un rituale (da cui il sottotitolo "8 rituali in forma di suite"). Comunque quasi tutto il lavoro nasce dalla mia voglia di avere un approccio non convenzionale con gli strumenti, una specie di riscoperta del suono dopo un periodo di silenzio; ad esempio nella parte 2 suono la chitarra 12 corde con il palmo della mano, percuotendo le corde invece che pizzicarle, eccetera. Inoltre amo la cultura africana e quell'uso rudimentale ma sapiente del suono. Se si ascolta molta musica etnica ci si accorge di quanto sperimentale sia l'approccio agli strumenti a causa di un'educazione musicale libera e non proprio ortodossa: proprio quella magia della tradizione è uno degli elementi base della musica: molti musicisti "colti" sono tornati alle radici del suono e hanno capito l'importanza dello stile minimalista. L'espressività spesso è molto più importante di tutti i fraseggi o le costruzioni. Con la scrittura fissiamo spesso degli schemi affascinanti e codificati, ma perdiamo quell'idea spontanea della musica.

La cosa che mi affascina da sempre è il cercare di passare messaggi attraverso trame prive di liriche: come riesci a sottolineare gli aspetti sociali o comunque del quotidiano - che so ti appartengono - senza un testo esplicativo?
"Il Libro Veneziano dei Morti" era pieno di messaggi sociali e politici rivolti all'esterno, ma che partivano dalla sofferenza interiore dell'operaio nelle fabbriche, un grido di dolore umano; questo è un lavoro più intimista che parte da un'espressività interiore ma che, come ho accennato in precedenza, nasce comunque dalle difficoltà quotidiane (problemi familiari, di salute, di lavoro ecc.). Talvolta le sensazioni che la musica trasmette parlano da sole e non hanno bisogno di testi; ho sempre amato l'immaginazione, preferisco la radio alle immagini televisive e credo che ognuno possa fare sue le note e adattarle alle proprie emozioni: quante volte succede di associare i suoni a particolari stati d'animo, luoghi, odori o situazioni! Questa sinestesia per l'autore è molto importante, più di ogni concetto programmatico: è il rituale dell'ascolto ed è puramente soggettivo.

Dato le modalità creative, è possibile una coerente riproposizione live di spiritDzoe?
 “spiritDzoe” è un lavoro nato in studio e concepito unicamente per essere documentato da un supporto fonografico. All'inizio ero entrato in studio per registrare il mio piccolo contributo a "Diplocomp" (a Diplodisc sampler), una compilaton di musica indipendente internazionale di prossima uscita che ho curato personalmente. Ma, più passavano i giorni più mi rendevo conto che avevo materiale sufficiente per realizzare un mio cd solo, il mio primo disco "solo" in 54 anni... un'occasione imprevista! E' stato tutto casuale ma è tutto nato in studio, un habitat in cui amo lavorare e dove trovo spesso una giusta concentrazione. Riccardo De Zorzi (studio Pro Arte, Mestre VE) è stato ancora una volta un grande collaboratore, in grande sintonia. In sintesi non credo sia possibile riproporre questo disco live, e poi ho sempre trovato la pratica dei concerti una fatica immensa... ma è solo un'opinione personale. "Unfolk + Live Book" (il doppio remaster) documenta in modo esauriente l'aspetto live del progetto unfolk, ma è un Collettivo mentre qui sono in solitudine e ho sovrainciso traccia dopo traccia: due modi diversi di lavorare.

Nelle note del comunicato stampa si fa accenno allo studio della musica di Don Cherry, alle esperienze Africane e a quelle con i ragazzi disabili: puoi spiegare meglio cosa intendi?
Don Cherry é stato uno dei musicisti fondamentali della mia formazione musicale e avevo iniziato a realizzare una sorta di tributo; alcuni dischi straordinari come la "Relativity Suite" non solo sono basilari per lo sviluppo della word music, ma devono ancora essere ristampati in compact disc! Il progetto non si è realizzato, ma avevo cercato di contattare i suoi figli tramite alcuni social networks per sapere chi aveva i diritti per ristampare personalmente quel lavoro; purtroppo non ho ricevuto alcuna risposta, ma ho continuato a studiare la costruzione dei suoi pezzi e il meraviglioso uso di strumenti inconsueti. Ho lavorato per due anni con i ragazzi disabili (sono Operatore Socio Sanitario) e ho capito come la musica, e soprattutto il ritmo, possano arrivare in aree spirituali ed emotive impossibili da toccare in altro modo. E' stata un'esperienza straordinaria e incoraggio chiunque a lavorare in questo settore. Anni fa ho parlato con David Jackson (dei Vdgg) che mi ha descritto quanto importante sia stata nella sua vita l'esperienza terapeutica con i ragazzi. Come certamente saprai lui suona il "soundbeam", un dispositivo collegato ad un computer attraverso il quale i ragazzi possono creare suoni nello spazio e migliorare le proprie capacità motorie.

Come pubblicizzerai il tuo nuovo album?
Sto cercando di arrivare a tutti i canali possibili attraverso la stampa e la rete; per l'occasione ho creato un mio personale blog dove tutti sono benvenuti: www.unfolkam.wordpress.com. Sarei felice di ricevere feedbacks sul nuovo lavoro e ho intenzione di aggiornarlo nel corso dei mesi. I miei distributori G.T. Music distribution stanno facendo un ottimo lavoro ed il cd è già in vendita su Burning Shed, il prestigioso catalogo inglese che ha conservato una nicchia per unfolk.





L'autore racconta la sua creazione...

parte 1. Un feedback controllato di mandolino sorretto da un "drone" immobile… forse è il primo feedback di mandolino registrato su disco? Non è stato lasciato al caso ma è stato provato meticolosamente per trovare le giuste note e le soluzioni più interessanti al massimo del volume.
Parte 2. Pezzo in cui le note di basso, una volta decise, vengono suonate con una sequenza improvvisata; ispirato dalla silenziosa nebbia di gennaio in campagna e sulla laguna.
parte 3. Per 2 chitarre che creano un'impercettibile armonia nascosta e descrivono l'imprevista uscita del sole dopo una lunga stagione piovosa.
Parte 4. Pezzo minimalista in cui la seconda parte è improvvisata rallentando progressivamente la successione delle note di basso, ma mantenendo inalterata la velocità della base: l'effetto è quello di un suono che gradualmente si stempera nello spazio, perdendo i riferimenti ritmici. 
Parte 5. Interludio "non cameristico", chiamato anche "unchamber interlude" in cui i fiati vengono suonati in modo virtuale.
Parte 6. Pezzo elettronico dalle forme diverse, ora in una versione definitiva elettroacustica.
Parti 7 & 8. Pezzi sopravvissuti dall'originario progetto di Musica Rituale che traeva ispirazione da un viaggio in Africa, dallo studio approfondito della musica di Don Cherry e dall'esperienza musicale assieme ai ragazzi disabili che mi ha dimostrato le potenzialità umane, psicologiche e fisiche della ricerca ritmica.



lunedì 26 maggio 2014

ACT-"TЯIO!"


La presenza discografica di Andrea Cervetto è lunga e cospicua, ma credo di non sbagliare nel dire che questo doppio album, TЯIO!, è quello che meglio sintetizza il suo stato di artista, essendo la prima parte costituita da inediti, da lui composti nella sezione musicale. Non solo interprete, non solo chitarrista, ma anche regista di un intero progetto.
Alex Polifrone (batteria e voce) e Max Zaccaro (basso e voce) completano il trio genovese che ha assunto il nome di ACT, con l’intento di riproporre il rock storico - impossibile da dimenticare - con l’evoluzione, il tocco personale, e uno sguardo verso nuovi orizzonti.
Non mi pare trascurabile il fatto che sia tangibile l’impronta di Aerostella (il disco esce su etichetta FermentiVivi by Aereostella, distribuzione: Self/Pirames International), normalmente focalizzata sulla musica progressiva, ma evidentemente con le antenne ben tese nel cercare di captare la qualità.
La lunga intervista realizzata con Andrea è fondamentale per entrare in un mondo che da un certo punto di vista - quello che mi piace definire dell’autarchismo musicale - è tutto da scoprire.
Due CD dicevo, il primo dei quali costituito da 10 tracce vergini.
Ci sono tutte le premesse per il power trio, sicuramente nel DNA degli ACT, ma lo sforzo è proprio quello di fuggire dallo sfoggio di tecnica e di autoreferenzialità, tipico dei “giovani di un tempo (Cream, Jimi Hendrix Experience), per dare un’immagine di compattezza, di squadra al lavoro, di contributi personali che hanno una finalità superiore rispetto alla dimostrazione di grande know how.
Ne esce fuori un album godibilissimo, pressoché in inglese - tranne il primo brano, “Sono Fuori” - per fornire una connotazione internazionale, con la scrittura dei testi da parte di Andrea Anzaldi e Francesco “fisher” Sandi. Presente anche Bernardo Lanzetti, un esperto di “cose musicali” - compresa la scrittura delle liriche nella lingua di Albione - che ha collaborato con Cervetto nel brano “Kissed off good bye”.
L’impressione è quella che TЯIO!, sia un punto di arrivo, inteso come la sintesi di anni di esperienze che finalmente trovano uno sbocco ideale, tra sostanza e corretta forma. Ma al contempo potrebbe/dovrebbe essere utile per una pianificazione di un futuro che, nell’attuale panorama musicale, appare sempre pieno di interrogativi e bisognoso di punti fermi per operare successive scelte efficaci.
Se la prima faccia della medaglia racconta gli intenti degli ACT, il secondo CD ricorda a tutti quali siano gli amori di sempre, quali gli insegnamenti e i miti inseguiti, disegnando una forte traccia che congiunge cinquant’anni di musica significativa.
Le scelte sono oculate, con l'obiettivo preciso di rivisitare la sacralità del passato, ma senza cadere nell’esibizionismo a cui accennavo, che rappresenta sempre una forte tentazione.
Trasversali le scelte, da Beatles a Eric Clapton, da Stevie Wonder ad Alan Parson, da Leonard Choen a Brian May.
Per quanto riguarda quest’ultimo mi pare interessante, nel commento a seguire, il racconto dell’incontro con Andrea Cervetto e Alex Polifrone, momento da inserire tra i ricordi più importanti.
Anche nell’interpretazione di musica di “altri, le peculiarità della band emergono, nonché la voglia di fornire un modello personale, come nel caso di “Too much love will kill you”, a cui è stato cambiato il “tempo”, con approvazione/apprezzamento di May.
Un bell’album rock, nato con l’intenzione di far conoscere la realtà ACT, ma carico di qualità - e come abbiamo visto, quantità - logica conseguenza dei valori messi in campo.
Nella riproposizione di rock e blues da parte di band italiane, esistono spesso lacune che niente hanno a che fare con le capacità tecniche, ma con la mancanza di cultura specifica verso generi nati fuori dai nostri confini… spesso “studiare “ non basta, ma occorre sentire il profumo della terra dove tutto è nato. Andrea Cervetto ha vissuto tutto questo nei suoi anni di esperienza americana, lo dicono la sua voce, la sua musica e la sua chitarra.
Nel disco tutto questo mi appare evidente, e sono certo che saprà colpire gli ascoltatori più attenti.


L’INTERVISTA

Domanda scontata ma necessaria in questi casi: come nasce musicalmente Andrea Cervetto? Quale la sua storia musicale?

Intorno ai sei anni mi aggiravo per casa e, ogni qualvolta passavo davanti alla chitarra che mio padre aveva costruito per hobby, facevo scivolare le dita sulle corde rimanendo ipnotizzato dal suono. I miei genitori notando che passavo lì la maggior parte del tempo decisero di iniziare a farmi prendere lezioni di chitarra classica; gli anni passavano e quando arrivai all'età dei 13 anni, folgorato dal brano “Sultans of swing” dei Dire Straits, e trovando un punto di incontro tra la chitarra classica e il fatto che M. Knoplfer suonasse con le dita, abbandonai gli studi di musica classica e mi buttai letteralmente sulla chitarra elettrica. Da li il passo fu breve; per fortuna in casa si aggiravano montagne di dischi di rock 'n' roll, da Elvis a Chuck Berry, dai Beatles ai Beach boys e chi più ne ha ne metta. Fortunatamente anche gli amici che frequentavo erano appassionati di musica e quindi passai l'adolescenza ad approfondire la conoscenza con i Beatles e a conoscere anche gruppi come Genesis, Pink Floyd, Deep Purple, Led Zeppelin, Cream, Hendrix, Yes, Police ecc. ecc., insomma tutto il rock che era disponibile veniva ingurgitato a più non posso. Ricordo ancora con nostalgia quando si attendeva settimane l'uscita di un LP dell'uno piuttosto che dell'altro, andando a scocciare tutti i giorni il negoziante di fiducia, generalmente uomo preparato e con cultura musicale. Che bello quando esistevano questi luoghi meravigliosi (i negozi di dischi) dove era possibile entrare ascoltare un assaggio del disco e decidere se comperarlo o no, a pensarci oggi sembrano smarriti luoghi di culto.
Ho ovviamente poi continuato lo studio della chitarra elettrica oltre all'indigestione di dischi.

Quanto è stata formativa la tua esperienza americana?

E' stata fondamentale,  soprattutto per farmi capire che la musica è una cosa seria e merita rispetto, e se si fa di questa passione un “lavoro” bisogna dedicarsi totalmente,  poco importa il genere, fondamentale  l'impegno e la determinazione. Ho incontrato artisti di ogni tipo e con alcuni ho suonato, tutte persone fantastiche con un unico comune denominatore: passione e sacrificio. Ho assorbito da loro come una spugna cercando di aumentare il mio bagaglio musicale. Determinante quel giorno a New York, dove alla ricerca disperata di un espresso italiano mi sono trovato in un piccolissimo locale all'interno del quale suonava niente meno che Les Paul! Incredibile! Ovviamente  ho dimenticato l'espresso, ma ho trovato una persona che ha passato un pò del suo  tempo a chiacchierare con me, incuriosito dal fatto che, durante  il suo concerto,  lo avessi osservato e sorridessi ad ogni sua frase chitarristica. Questo è un piccolo esempio, mi ci vorrebbe almeno un mese per descriverti tutto ciò che mi ha colpito e che porto con me da allora, e sono passati più di vent'anni.

Chi sono gli ACT? Da dove parte la vostra collaborazione?

Gli ACT sono Alex Polifrone batterista straordinario e voce, Max Zaccaro bassista e voce, ragazzo veramente dotato di un gran talento musicale e Andrea Cervetto col quale stai simpaticamente parlando. La nostra collaborazione parte principalmente circa una decina di anni fa quando io entrai nel mito NEW TROLLS e vi trovai Alex che aveva preso il posto di Gianni Belleno; nacque un'amicizia e un'intesa musicale immediatamente e decidemmo di riversarla anche in altre situazioni musicali.  Alex mi presentò Max e iniziammo ad andare a suonare in giro. Questo trio si presentava sul palco e la scaletta era “open”, io iniziavo un brano e loro immediatamente a ruota: è stata magia! Nessuno ha mai creduto che non avessimo mai fatto una prova! Da allora, pur suonando insieme in varie situazioni, era sempre insito in noi il desiderio di far diventare il trio qualcosa di più, e quest'anno abbiamo deciso finalmente di pubblicare un cd doppio che ci rappresenti.

Veniamo all’album, TЯIO! , doppio CD tra inediti e rivisitazioni di opere illustri: come è nata l’occasione e come sei arrivato ad Aerostella, generalmente orientata verso il Prog puro?

Come  ho anticipato nella risposta precedente quest'anno abbiamo deciso di registrare un pò di brani che ci rappresentassero, quindi ho scritto una decina di brani che abbiamo arrangiato insieme. L'incontro con Aerostella nasce qualche anno, fa quando la D&D concerti, nella persona di Iaia De Capitani, organizzò alcuni eventi per il mito NEW TROLLS, poi pubblicò “E' Natale”, un singolo che  appunto il mito NEW TROLLS fece per raccogliere fondi per la “Exodus” insieme ai Sonohra e Don Mazzi. Da lì il passo fu breve, ho fatto ascoltare il materiale a Iaia De Capitani e a Franz Di Cioccio che hanno deciso di pubblicarlo, anzi su suggerimento di Iaia, per identificare meglio gli ACT, si è fatto un cd doppio, uno di cover rivisitate e uno di inediti. Certo Aerostella è principalmente un'edizione di prog puro, e forse è per questo che non ci ha imposto nessuna restrizione; il nostro è prevalentemente un cd rock con sfumature blues, ma vedi, nel caso di Aerostella so che ciò che conta principalmente è  la qualità... spero che  questa volta non si siano sbagliati!

In tutti i brani c’è la tua mano compositiva, ma in Kissed off good bye troviamo una piacevole collaborazione, quella di Bernardo Lanzetti: come hai operato la scelta?

Io ho scritto tutte le musiche  che, come ho detto prima, sono state arrangiate da tutti e tre, e sempre tutti e tre abbiamo deciso che i brani dovevano avere i testi in inglese per rendere questo progetto internazionale. E' presente un solo brano in italiano per mantenere il contatto con la nostra “residenza”. A questo punto mi resi conto che era necessario rivolgersi altrove per i testi, perché un conto è parlare inglese altra cosa è scrivere testi. Contattai un pò di amici in grado di scrivere testi in inglese, e il primo a cui lo chiesi fu proprio Bernardo; siamo amici di lunga data, abbiamo suonato insieme per oltre 5 anni e avevamo già composto insieme un brano, “2 much 4 just 1 man” per gli EXTRA, che se ricordo bene lui ha ripubblicato l'anno scorso o forse due anni fa, ma principalmente mi piace molto come scrive Lanzetti, e non ci sono dubbi sulle sue capacità di autore, sia in italiano che in inglese.  Lo chiamai e lui scrisse il testo di Kissed off good bye (nel cd c'è un errore di stampa le “f” di “of” dovrebbero essere due), un gran bel testo direi! Ci siamo incontrati recentemente, io e Bernardo,  e si farà ancora musica insieme, questo è certo. Gli altri amici che hanno scritto i testi sono Andrea Anzaldi e Francesco “fisher” Sandi.

Nel secondo CD, dedicato a brani famosi, appari come trasversale, tra Beatles, Clapton, May e Wonder; ci sono però due chicche che cambiano binario, con l’omaggio ad Alan Parson e Choen: sono questi gli amori musicali della tua vita?

Sono beatlesiano fino al midollo, adoro Clapton, ho toccato con mano la grandezza di May per cui queste tre scelte le volevo presenti; poi abbiamo scelto brani importanti che ci piacessero e che non necessariamente fossero strutturati per un trio basso-chitarra-batteria (come dice Franz “la spina dorsale del rock”), quindi il divertimento di adattarli e di giocare un pò con loro. Come sicuramente avrai notato non è presente nessun brano di J.Hendrix, questo non perché non faccia parte dei miei amori musicali - quale chitarrista non ama Hendrix? - ma solo perché non volevamo esagerare con le scelte chitarristiche, serviva “spazio” per giocare con brani meno adatti al trio, come dicevo prima. Hendrix viene ovviamente citato nelle nostre esibizioni live e sicuramente  sarà citato  nel prossimo cd.

Che cosa rappresenta per te lo strumento “chitarra”?

Qui posso essere abbastanza breve nella risposta. Rappresenta una parte fisica del mio corpo mi sento fisicamente unito allo strumento ed è uno dei mezzi attraverso il quale esterno le mie emozioni.

A proposito di Brian May, come è avvenuto l’incontro?

Un mio amico mi chiamò e mi disse: “ vieni a Milano a fare le audizioni per il musical  We Will Rock You? “. Io alla parola “musical” ero allergico, lo rispetto, ma non mi appartiene culturalmente, per cui risposi che il musical non era pane per i miei denti. Lui fu convincente, mi disse che le musiche erano i brani dei Queen e che c'erano da suonare quasi 30 dei loro capolavori! Cosa non da poco che il chitarrista sarebbe stato selezionato da Brian May in persona e il batterista da Roger Taylor! Wow! Dopo aver passato le selezioni finalmente arrivai di fronte a Brian e dovetti suonare insieme alla band un paio di brani, poi un fuori programma... Brian chiese chi se la fosse sentita di suonare l'assolo di Bohemian Rhapsody accompagnato dal solo pianoforte; dopo la mia esecuzione mi abbracciò e mi disse: “you're a great player”. A quel punto poco mi importava dell'audizione, ero già al settimo cielo! E prova ad immaginare i Queen chi scelsero alla batteria? Alex Polifrone! Per farla breve mi scelse; Brian tornò poi ancora due giorni per verificare che tutto fosse ok per la prima del musical, seguì attivamente le prove e suonò con noi. Ho trovato in lui una persona incredibile, sensibile, disponibile e immerso nella musica; ancora oggi ci scriviamo frequentemente via mail, tanto è vero che in occasione del cd degli ACT, dopo avergli mandato il suo brano Too much love will kill you totalmente stravolto, (basti pensare che la versione originale era in 4/4 e noi l'abbiamo fatta in 3/4) si è complimentato ed ha scritto un commento da inserire all'interno del libretto del  cd!

Ritorno all’album… che tipo di obiettivo avete fissato, in un momento così difficile per la “vendita” della musica?

Ti posso dire che l' obiettivo più importante era realizzare un cd col   quale identificarsi e far conoscere la realtà ACT,  non ci siamo posti il problema “vendita”, siamo in un momento di transizione,  non solo per la musica, per cui l'unica cosa che si può fare è affrontare le cose con serietà, professionalità e coerenza, lavorare sodo e dare sempre il massimo ottenendo  la miglior qualità possibile con le capacità che una persona ha nel momento dell'azione.  Comunque sbrigatevi a comprarlo perché sono rimaste solo le ultime 100.000 copie!

E’ prevista una pubblicizzazione live?

Intanto ti anticipo che saremo presenti ad Arezzo Wave a luglio, poi siamo in attesa del rientro dal Giappone di Iaia De Capitani ( D&D concerti e Aerostella ) con la quale si deciderà il da farsi e il come farlo.

Hai ripensato all’incontro, credo anche per te emozionante, con Eddie Kramer?

Super  emozionante! Quattro chiacchiere al volo, ma sono bastate per capire quanto questa persona, che fa parte della storia musicale mondiale, ancora oggi si emozioni e sia entusiasta della vita; abbiamo scherzato sulla mia maglia sulla quale era raffigurato J.Hendrix e poi lui ha esordito dicendo: ” Dai facciamoci una foto!” e io gli ho detto: ”Dio ti benedica!”.

Giriamo l’angolo e diamo uno sguardo al tuo futuro musicale: quali le certezze e quali le speranze?

Sai Athos come si dice: ” di sicuro c'è solo che si deve mor...”, ma speriamo che questo accada il più tardi possibile; nel mentre  combatto efficacemente, con la chitarra in mano, una guerra nella giungla musicale e nel caos apparente che ci circonda. Oggi chiunque può registrare quello che io e te chiamiamo ancora disco; ci sono le tecniche per far sì che questo accada e questo ha generato confusione. Una mia certezza è che  faccio e farò sempre solo quello che sono e sarò in grado di fare con senso di responsabilità,  cercando di crescere e migliorare ogni giorno,  non solo musicalmente, ma anche umanamente perché  le due cose non sono così distanti: in fondo suoniamo per come siamo. Continuerò ad avere un tipo di approccio “vintage” nel fare dischi, suonando le parti dall'inizio alla fine senza l'editing che va tanto di moda. Sono certo che la qualità alla lunga paghi e che occorra solo la volontà di perseverare. Spero vivamente per il nostro bene che le persone imparino ad essere curiose e ad apprezzare la vita senza farsi distrarre dalla superficialità alla quale siamo abituati, anche la musica ne guadagnerebbe non credi? Ovviamente spero che sempre più persone scoprano e conoscano Andrea Cervetto e gli ACT e colgano la trasparenza (tanto per usare un termine tanto usato impropriamente in politica) e l'efficacia con la quale suoniamo.


DISCO 1

DISCO2