Steve Howe degli Yes parla degli ex
compagni di band, delle potenziali reunion e di quella turbolenta apparizione
nella Rock And Roll Hall Of Fame
Il chitarrista degli YesSteve Howeha
parlato del suo rapporto con Jon Anderson e delle possibilità di una
potenziale reunion con il cantante e altri membri del passato.
Dice Howe:
"È qualcosa a cui sono
assolutamente restio, perché ricordo il fiasco del Tour di Union",
dice, riferendosi al tour notoriamente difficile a supporto dell'album “Union”
del 1991, che comprendeva otto diversi membri passati e attuali degli Yes.
"È stato molto, molto difficile e fuori controllo. A volte ho pensato
che… un giorno… forse, perché mai dire mai, ma fondamentalmente non riesco a
vederlo".
Continua: "Amo Jon. Ora sono
molto più vecchio, e lo è anche lui, e l'unico modo di lavorare è quello in cui
mi sento felice e a mio agio. Non ho intenzione di prendere sulla schiena un
carico improvviso di cui non ho bisogno o che non voglio. La mia musica mi ha
sempre guidato, e non mi dice di andare in quella direzione, ma di andare
avanti. Ed è quello che faccio”.
Anderson è stato sostituito da Benoit
David nel 2008 dopo aver sofferto di problemi di salute respiratoria.
Successivamente ha criticato i suoi ex compagni di band per non aver aspettato
che si riprendesse e non aver agito da gentiluomini.
David stesso è stato sostituito nel
2012 dall'ex frontman dei Glass Hammer Jon Davison, che è apparso in tre
album in studio degli Yes, tra cui il recente “Mirror To The Sky”.
Eppure, i fan degli Yes vorrebbero
rivedere Anderson!
"Non ho alcuna responsabilità
in tutto questo", afferma Davison, che dice di aver incontrato
Anderson una volta, all'introduzione degli Yes nella Rock & Roll Hall Of
Fame di New York nel 2017. "Voglio dire, perché dovrei? Sono solo il
ragazzoche è stato assunto e e sarei pazzo a rinunciare! So che Jon se
ne rende conto, quindi io non devo sentirmi in colpa nessun motivo".
Steve Howe parla anche della
tumultuosa apparizione della band alla cerimonia della Rock And Roll Hall Of
Fame, in cui diversi membri, tra cui lui stesso, Anderson, l'ex tastierista
Rick Wakeman e l'ex chitarrista Trevor Rabin, hanno unito le forze per un breve
set degli Yes.
"Più vado avanti, più rimango
senza parole per quei due giorni", dice Howe. "C'è molto che
potrei dire, ma non ho intenzione di farlo. Fondamentalmente, c'era qualcosa di
infernale, come pattinare sul ghiaccio senza aver mai pattinato prima. Non
voglio sminuire l’evento, ma ci sono stati problemi, con uno strano farsi largo
per apparire. E alla fine alcune persone hanno ottenuto il dovuto rispetto e
altre no".
Eppure, Howe nel 2017 diceva: “Che
onore per noi essere coinvolti nella storia di questa band. Ringraziamo tutti i
fan degli Yes che si sono dimostrati così appassionati durante gli anni e ci
hanno aiutati a tenere alta la bandiera. Questi sono i fan che hanno sempre
chiesto la nostra inclusione nella Rock and Roll of Fame. Sono stati ascoltati”.
Per la cronaca i membri degli Yes
ammessi alla Rock and Roll Hall of Fame erano quelli del tour di “Union”
del 1991, quindi, Steve Howe, Alan White, il compianto Chris
Squire e gli ex – membri Jon Anderson (voce), Bill Bruford
(batteria), Tony Kaye (tastiere), Rick Wakeman (tastiere) e Trevor
Rabin (chitarra).
“In realtà si tratta solo di uno specchio
che metto di fronte a un pubblico per riflettere il lato più oscuro della
natura umana”
Alice Cooper a Roy
Carr, Music Scene, 1972.
Andato in scena per la prima volta a New York il 1
dicembre 1971, “Killer” di AliceCooper era uno scioccante
esempio di teatro rock che, secondo il cantante, “era figlio della televisione,
del cinema e dell’America“. Con il singolo “School’s Out”
in procinto di sbancare le classifiche britanniche, lo spaventoso spettacolo
horror, con tanto di boa constrictor vivo, ghigliottina portatile e bambole
decapitate, andò in scena a Londra guadagnandosi i titoli a tutta pagina dei
quotidiani. Fra i presenti in sala quella sera c’era anche la giovane e
accesissima fan Simone Stenfors.
“Ero la più grande fan di Alice Cooper sulla
faccia della terra. Tutto in lui era originale. Era un film dell’orrore, non la
solita cosetta carina. Come Captain Beefhart e Frank
Zappa, si trattava di musica per fuori di testa. Più o meno all’epoca del
concerto, il gruppo suonò a “Top Of The Pops” e il pubblico era pieno di
sosia di Alice Cooper e di ragazzine che urlavano in prima fila. Provai
fastidio perché quello era il mio gruppo e mi disturbava che fossero diventati
così famosi. Avevamo due posti molto indietro , ma io e la mia amica
convincemmo due tipi a venderci i loro che erano all’incirca in decima fila.
Quando il gruppo di spalla, i Roxy Music, finì di suonare, erano
arrivati anche tutti i miei amici e mi ritrovai ai bordi della passerella,
seduta in braccio a un ragazzo. Così, quando Alice si sedette lì a cantare ci
trovammo alla stessa altezza. E quando cantò “Dead Babies” strappando i
vestiti alla bambola i suoi occhi guardavano diritti nei miei.
“Non so dire se facesse paura o meno. Ero una
ragazzina molto presa da quel tipo di cose. All’epoca uno spettacolo simile no
si era mai visto. C’era il serpente per “It MyBody”, il
patibolo per “Killer” e tante capsule piene di sangue. Si diceva che
Alice stesso avesse rischiato di finire decapitato. Credo fossero voci messe in
giro ad arte, ma noi del pubblico avevamo tutti tra i 15 e i 18 anni per cui
restammo parecchio impressionati.
“Quando Alice, quasi alla fine, cantò “School’s
Out”, lanciò gladioli al pubblico e me ne mise uno in mano. Arrivata a
casa lo sistemai con la massima cura in un bicchiere pieno d’acqua. Mia madre
lo buttò via: non aveva capito quanto importante fosse per me!”
L'esclusivo concerto commemorativo di
John Wetton si terrà al Trading Boundaries ad agosto
Rick Wakeman, Steve Hackett, Geoff
Downes, Roger Chapman, Mel Collins, Annie Haslam, Phil
Manzanera e Martin Orford sono solo alcuni dei nomi che appariranno
in uno speciale concerto commemorativo per il compianto John Wetton ad agosto, che raccoglierà
fondi per l'organizzazione benefica Macmillan Caring Local, che si è presa
cura di Wetton nei suoi ultimi giorni.
La moglie di Wetton, Lisa, e il
figlio Dylan, insieme alla direzione di QEDG, annunciano che un concerto
commemorativo si terrà in memoria di Wetton al Trading Boundaries,
nell'East Sussex, il 3 agostoper la sua famiglia e i suoi amici. L'evento sarà
trasmesso in streaming per il grande pubblico.
L'evento commemorativo sarà ospitato
dal direttore di Prog Magazine Jerry Ewing, insieme a Geoff Downes, Steve
Hackett e l'artista Roger Dean.
"Sono molto entusiasta di far
parte del prossimo John Wetton Tribute", dice il tastierista degli Yes
Downes. "Come tutti sapete, ho avuto una collaborazione autorale molto
stretta e unica con John, e siamo stati cari amici, fratelli e compagni di band
per molti anni".
"Onorare l'eredità di John in
questo modo con così tanti dei suoi ex musicisti, colleghi e familiari riuniti
insieme, mostra quanto sia enorme l'amore, la gratitudine e il rispetto che
molti di noi avevano per John e la sua musica. Sarà una meravigliosa
celebrazione che coprirà tutta la straordinaria carriera di John. Non
vedo l'ora di farlo. Ci vediamo tutti lì".
Si
uniscono a Chris Braide (Downs Braide Association), Jim Cregan (Family), David
Cross (King Crimson), Chris Difford (Squeeze), Dave Kilminster (Roger Waters),
John Mitchell (Lonely Robot), Guy Pratt (Nick Mason's Saucerful Of Secrets),
Jay Schellen (Yes), Billy Sherwood (Yes), Harry Whitely, Laurie Wisefield
(Wishbone Ash) e The Paul Green Rock Academy.
L'evento sarà trasmesso in diretta
streaming la sera e tutti i proventi dei biglietti raccoglieranno fondi per
Macmillan Caring Locally. Ci sarà anche un'asta speciale online che si svolgerà
parallelamente ai lavori della serata vantando alcuni lotti unici, tra cui una
chitarra di proprietà dello stesso Wetton per raccogliere ulteriori fondi.
"Sono felice e onorato che
così tanti artisti leggendari che hanno lavorato con mio padre nel corso degli
anni abbiano accettato di riunirsi, sia per onorarlo che per raccogliere fondi
vitali per l'organizzazione benefica che lo ha sostenuto durante i suoi ultimi
giorni", afferma Dylan Wetton. "Non riesco a pensare a un modo
migliore per celebrare la vita di mio padre e l'incredibile eredità musicale
che si è lasciato alle spalle.Sarà una
notte fantastica, un evento unico, che è esattamente ciò che mio padre merita".
La copertina è formata da un collage
di 13 immagini tra cui figurano alcuni frammenti del fumetto basato sul Dottor
Strange, l’immagine di un alchimista, immagini di ampolle e bottiglie, una
ruota con i segni zodiacali, il sole, alcuni pianeti e una piccola foto del
gruppo sulle rive di un fiume fuori Londra. Sulla copertina si può leggere anche
la scritta “y d pinkfloyd p“. Prima della pubblicazione viene rimosso
l’articolo “The” dal nome Pink Floyd.
"A
Saucerful of Secrets" è il secondo album dei Pink Floyd, pubblicato nel 1968, lavoro che segna una svolta significativa nella loro carriera, introducendo elementi
psichedelici e sperimentali che li avrebbero resi celebri in seguito. È
un'opera che perlustra territori sonori inesplorati e si distingue per la sua
natura innovativa.
Emerge la title track,
"A Saucerful of Secrets", un pezzo epico che dura oltre
undici minuti, dove i Pink Floyd sfoggiano il loro talento nel creare atmosfere
psichedeliche, con un'ampia gamma di suoni ed effetti sonori. La canzone è un
susseguirsi di sezioni che si intrecciano, passando da momenti più riflessivi ad altri più corposi, richiedendo una buona attenzione da parte dell'ascoltatore, ma
riesce a catturare l'immaginazione, con la sua complessità e la sua struttura
avvolgente.
Altro punto forte dell'album è "Set
the Controls for the Heart of the Sun", una traccia che esplora le
atmosfere cosmiche e spaziali. La voce eterea di Roger Waters si sposa
perfettamente con il mood onirico creato dalla strumentazione, conducendo verso una sorta di "trance", portando l'ascoltatore in un viaggio
attraverso dimensioni sonore inimmaginabili.
"A Saucerful of Secrets"
presenta anche pezzi più brevi e immediati, come "Remember a Day"
e "See-Saw", che mostrano la vena melodica della band e, sebbene meno sperimentali, non perdono la loro essenza
psichedelica, grazie all'uso di strumenti come l'organo e le tastiere che
conferiscono loro un suono unico.
Nonostante la grande qualità delle trame sonore, "A Saucerful of Secrets" soffre di alcune
incongruenze e disomogeneità nella produzione. Questo può essere attribuito
alla sua natura sperimentale, che potrebbe non appagare completamente i gusti
di tutti gli ascoltatori. Tuttavia, è proprio questa ricerca del nuovo a renderlo
un disco così affascinante e avvincente per gli appassionati di musica
progressiva e psichedelica.
Artista:
Pink Floyd
Album
(in studio): A Saucerful of Secrets
Pubblicazione: 29 giugno 1968 nel
Regno Unito-27 luglio 1968 negli Stati Uniti
Durata: 38:48
Tracce: 7
Genere: Rock psichedelico
Etichetta: Columbia Graphophone
Company/EMI nel Regno Unito Tower Records/Capitol negli Stati Uniti
Produttore: Norman Smith
Registrazione: agosto–ottobre 1967
gennaio–aprile
1968
Abbey
Road Studios e Sound Techniques Studios, Londra
Ma si possono fare altre
considerazioni legate ad una figura in particolare, perché la nascita
dell'album coincise con il declino dello stato mentale di Syd Barrett, frontman
e chitarra solista del gruppo fino all'ingresso di David Gilmour. Questo è l'ultimo lavoro dei Pink Floyd a cui Barrett prese parte prima
di essere allontanato definitivamente dal gruppo. È proprio in questo periodo
che Barrett cominciò ad accusare problemi di carattere psichiatrico e
psicologico. In sua presenza le registrazioni risultarono lunghe e difficoltose
e divenne impossibile per il gruppo continuare con lui. Le uniche apparizioni
di Barrett in quest'album furono la chitarra su “Remember a Day”,
“Set the Controls for the Heart of the Sun”, “Corporal
Clegg” e “Jugband Blues”, quest'ultimo unico brano
dell'album da lui scritto e cantato.
La versione del brano “Set the
Controls for the Heart of the Sun”, contenuta in quest'album, in
particolare, è l'unica nella loro discografia suonata da tutti e cinque i
membri della band.
"A Saucerful of Secrets" è da considerarsi un'opera imprescindibile nella discografia dei Pink Floyd e un importante tassello nella storia della musica rock.
La mia
partecipazione ai concerti rock ha avuto, nella giovinezza, un termine ben
preciso, e un altrettanto preciso nuovo inizio nella maturità.
Ricordavo bene quella prima conclusione affrettata, perché
coincideva con una grande performance - o almeno la ricordo come tale - dei
Dire Straits, allo stadio comunale di Sanremo. Arrivammo in cinque in auto,
compreso “quella” che l’anno successivo sarebbe diventata mia moglie.
Avevo però la convinzione che fosse un giorno di agosto del
1980, e invece ho scoperto che si trattava del 27 giugno del 1981 (pochi mesi
premi i D.S.erano stati ospiti al Festival di Sanremo).
Non sarei in grado di commentare quella giornata vissuta in
tempi lontanissimi, ma ho casualmente trovato un articolo che la ricorda, e
propongo quindi la mia scoperta estratta dall’archivio de “La Stampa”.
In rete ho trovato un altro “reperto”, l’audio dell’evento, e
lo propongo a fine articolo.
Ecco quindi il commento del giornalista Roberto Basso, poco “musicale”
e molto concentrato sugli aspetti al contorno, quelli corretti per un giornale
generalista come era ed è La Stampa.
Sanremo
presa d'assalto per il concerto dei Dire Straits
SANREMO — Per il primo
concerto nazionale dei Dire Straits, sabato in quindicimila hanno «aggredito»
Sanremo. Tutti giovanissimi, dai 14 ai 25 anni. Sono arrivati in treno, in
auto, in moto, con l'autostop, a piedi, con in spalla variopinti sacchi a pelo.
Un'affluenza di pubblico mai vista in Riviera per uno show musicale. Neppure ai
tempi d'oro del Festival la città è stata così affollata da patiti della
canzone: è il miracolo del nuovo rock, che fa muovere da distanze anche di
200-300 km masse di fans.
Angelo Esposito,
proprietario di un eccentrico ristorante a due passi dal Casinò, ed
organizzatore dello show dei Dire Straits, era raggiante. Ha fatto soldi a
palate, ha incassato più di ogni rosea previsione. Il complesso inglese non ha
deluso. Per quasi due ore con la sua musica esclusiva, ha fatto impazzire il
pubblico. Dagli amplificatori ha «gettato» sui 15.000 spettatori rock a fiumi: “Comunique”,
“Making Movies”, “Dire Straits”, “Sultan of swing”, “Wild West end”, “Sacred
loving”, “Tunnel of love”, “Romeo and Juliet… solo per citare i titoli più
applauditi.
Il campo sportivo - dove
alla domenica gioca la Sanremese Calcio di fronte ad un pubblico che
difficilmente supera le quattromila unità - sembrava un miniconcentrato
dell'isola di Wight. Anche dopo il concerto. Sul prato, sugli spalti, per
strada, cumuli di lattine vuote, sacchetti di plastica, rifiuti di ogni genere.
I netturbini hanno dovuto fare parecchio extra per rimettere tutto a posto.
In soli tre anni i
Dire Straits sono diventati ricchi e famosi in tutto il mondo. Il loro primo album
infatti viene alla luce nel ‘78. Esplodono in America dopo aver inciso alle
Bahamas il loro secondo album, “Comunique”. Nel 79 a Los Angeles incontrano Bob
Dylan e insieme realizzano “Slow Train Coming”. Vincono due dischi d'oro, uno
in Olanda, un altro in Australia. Il disco di platino l'avevano già vinto due
anni fa in America.
Mercoledì saranno allo
stadio di Torino per il loro ultimo concerto. Anche a Torino la prevendita sta
andando fortissimo.
Quale il segreto di tanto successo? «Quello dei Dire
Straits - ha dichiarato a Sanremo Franco Mamone, impresario rock - è
l'unico vero megaconcerto di quest'anno. Logico che gli appassionati non
perdano l'occasione. Il pubblico si è fatto più esigente. Corre e paga il
biglietto solo se ne vale veramente la pena».
Per il concerto
sanremese la polizia aveva predisposto un servizio d'ordine nutritissimo. Sugli
spalti e nel campo parecchi spinelli, ma nessun disordine. In “tilt” invece il
traffico automobilistico. In 15.000 hanno praticamente intasato l'ingresso Est
di Sanremo. Sull'Aurelia, attorno allo stadio, erano parcheggiate file d'auto
lunghe oltre mezzo chilometro, arrivate un po' da dovunque: Milano, Genova,
Savona, Vercelli, Torino, Brescia, Nizza, Montecarlo. Grossi affari hanno fatto
anche bancarelle volanti e abusive che offrivano per cinquemila lire variopinte
magliette e una serie di sei bottoni metallici con sopra stampati i visi dei
cinque magnifici Dire.
Toyah e Robert Fripp sui poteri
curativi della musica: "Dovremmo vivere ogni anno della nostra vita come
se fosse quello migliore "
Robert Fripp e ToyahWillcox sono apparsi su
BBC Breakfast News il 21 giugno, per promuovere la loro prossima apparizione a
Glastonbury, la prima volta per loro.
Alla domanda sui video delSunday Lunch di Toyah e Robert, "che
hanno diffuso tanta gioia" durante il lockdown, la signor Fripp ha fornito
un po’ di spiegazioni.
"Ci siamo resi conto durante
il lockdown che il rock classico cambia la vita delle persone e dà la
possibilità di rivivere ricordi davvero belli. Per me, ad esempio, è “Life On
Mars” di David Bowie, che ho sentito per la prima volta quando avevo 12 anni.
Ogni volta che sento quella canzone, vengo catapultata a quel periodo. E il
concetto di quello che stiamo facendo è riportare le persone al rock classico,
ma anche introdurre le nuove generazioni – che sono appena uscite dalla discoteca
– ai Led Zeppelin e ai Black Sabbath, o addirittura introdurli ai classici
Blondie".
Il presentatore ha affernato che la
fascia d'età delle persone che entreranno a Glastonbury per il festival è molto
elevata. "Ammettiamolo", ha risposto Toyah, "dovremmo
vivere ogni anno della nostra vita come se fosse il migliore e l'età non
dovrebbe essere qualcosa da analizzare".
Fripp ha suonato in alcuni dei più
grandi festival del mondo e i King Crimson hanno aperto per i Rolling Stones ad
Hyde Park nel 1969. I due hanno appena suonato al Festival dell'Isola di Wight.
"Ero probabilmente la persona più anziana”, ha detto Fripp, "ed
ero probabilmente l'unica persona che aveva suonato nei festival degli anni
'60. Nel 1967, quando sono diventato professionista, sapevamo tutti che la
musica poteva cambiare il mondo, e i festival gratuiti erano un veicolo
primario per quella che oggi si potrebbe chiamare trasformazione sociale.
Unendoci con la musica e le molte persone in questi eventi, creavamo qualcosa
che aveva un tale potere che sembrava che il mondo potesse girare all'indietro
e il futuro potesse afferrarci".
Qual era la differenza tra i festival
di allora e quelli di oggi, gli è stato chiesto. "Per cominciare, erano
tutti gratuiti", ha detto Fripp, "principalmente gestiti da
volontari, compresi gli Hells Angels. E oggi lo spirito c'è, ma
l'organizzazione è molto più professionale, e se hai diverse tonnellate di
attrezzature sul palco e ti presenti a un evento con centinaia di migliaia di
persone, è molto positivo che l'organizzazione sia professionale".
Il27 giugno del 2002 moriva, a soli 57 anni,John Entwistle, bassista storico degliWho;il suo corpo viene ritrovato nella
stanza dell'Hard Rock Hotel di Las Vegas: le cause del decesso riportano ad un attacco
cardiaco aggravato da uso di cocaina.
Raccolgo stralci di un articolo di Roberto Brunelli, del 2002,
dove viene ricordata la figura di John Entwistle.
Rimasero tutti di stucco, in quel 1965, quando dalle radio inglese
esplose per la prima volta My Generation, l'esordio fulminante targato The
Who: due accordi perentori implacabili, una batteria selvaggia, la voce che
balbetta (sì, balbetta) “voglio morire prima di diventare vecchio”, e un
riff di basso imponente, di quelli che segnano la linea di confine tra un
“prima” ed un “dopo” nella storia della musica. Un marchio di fuoco che ha
segnato la storia del rock in eterno, attraverso i roaring sixties, fino a
toccare la rivoluzione punk nel '77, e che ancora oggi continua a riecheggiare
tra i solchi degli emuli rockettari più giovani, che siano post grunge,
crossover, post-punk o neo-psichedelici che si voglia. Quell'incredibile, mai
sentita e irripetibile linea di basso elettrico era firmata da un
tranquillissimo ragazzo che si chiamava John Entwistle.
Non è diventato vecchio, John Entwistle. Era nato lo stesso giorno
di John Lennon, l'8 ottobre, ed è morto a 57 anni a Las Vegas, in una
stanza d'albergo, l'Hard Rock Café. Problemi di cuore, quasi certamente (lo
stabilirà un'autopsia).
Trentasette anni anni dopo quell'esordio fulmicotonico di quattro
imberbi ragazzetti sovente e provocatoriamente avvolti nell'Union Jack, la
bandiera britannica, doveva partire da Los Angeles l'ennesima tournée degli Who.Gli Who sono uno dei quattro o cinque gruppi-pilastri della storia
del rock, insieme ai Beatles, ai Rolling Stones, ai Led Zeppelin. A 24 anni
dalla morte del batterista Keith Moon (overdose di farmaci), si è archiviato
nei meandri della memoria un altro capitolo della sezione “Olimpo del rock”,
insieme a Elvis, Hendrix, Morrison, Joplin, Lennon, Moon, Harrison e compagnia
divina. Lo chiamavano “The Ox”, il virtuoso Entwistle, il bue, oppure “The
quit one”: al centro della rock revolution degli anni sessanta, al centro del
caos, quando tutto era nuovo, sconcertante, inusitato, febbrilmente eccitante,
c'erano gli Who. E loro stessi erano una tempesta al cui centro stava, immobile
come una sfinge, John Entwistle. C'era Pete Townshend (il
chitarrista, il gran maestro delle cerimonie, la mente, che mulinava il braccio
sopra la sua Gibson), c'era Roger Daltrey (la voce, colui che roteava
il microfono come un lazo verso il cielo), c'era Keith Moon (quello
fulmicotonico e portentosissimo, quello che alla fine del concerto spaccava la
batteria in mille pezzettini). E c'era “The Ox”: una roccia, un monolite
nell'occhio del ciclone, impassibile, marmoreo. Solo le sue dita correvano,
velocissime, sulla tastiera del basso.Il rock, si sa, ama l'iperbole. Molte riviste specializzate si
sono sbizzarrite, nei decenni, a nominarlo, di volta in volta, “bassista del
secolo” o, financo, “del millennio”. Certo era un grandissimo: la sezione
ritmica Entwistle – Moon era davvero una delle più formidabili della storia
della musica, una chimica esplosiva, che – accoppiate al chitarrismo furente di
Townshend – hanno fatto gli Who un “live act” inimitabile, insuperabile,
sconvolgente e sciamanico. Ovvio che i britannicismi Who sono stati molto più di questo. La
mente febbrile di Townshend non poteva rimanere ferma al rock pelvico, impulsivo,
voluminoso, adolescente e bastardo degli inizi: prima mettendosi i panni
(probabilmente senza eccessiva convinzione) di eroi dei “mod” (giovani
scicchettosi della working class che si opponevano, nei primi anni sessanta, ai
rockers), poi cercando diallargare i confini del rock “oltre l'immaginazione”.
Nacque così Tommy (1969), la prima opera rock, nacque così quella grande (a
tratti eccessiva) partitura fantastica che era Quadrophenia (1973). Nonostante
il loro impatto violento degli esordi (mai completamente abbandonato), gli Who
hanno sempre incarnato l'ala intellettuale del rock, senza perderne di un
grammo l'energia vitalistica: l'ambizione musicale di Townshend e soci era
sfrenata, e quel monumento musicale e concettuale che è Tommy sta lì da 33 anni
a dimostrarlo. John “the quiet one” era uno strumento formidabile nelle mani
sapienti di Townshend. Di canzoni sue non se ne contano molte nel catalogo Who:
epperò sono tutti pezzi proverbiali, da Boris the spider a My Wife, a Whiskey
man. Pezzi venati di un sarcasmo oscuro, spiritosi, splendidamente arrangiati,
così com'erano sempre curiosi e atipici i suoi album solisti (Smash your head
against the wall, 1971, Wistle Rymes, 1972, Rock, 1996, John Entwistle, 1997).
Perché John era uno atipico nel mondo del rock: nato nel '44 a Cheswick,
sobborgo di Londra, aveva studiato pianoforte, tromba e corno francese,
esperienza che gli tornò utile quando si ritrovò ad arrangiare tutte la
partiture di fiati per gli Who. Aveva cominciato in un gruppo jazz, The Confederates,
dove invitò a suonare il suo compagno di scuola PeteTownshend. Poi, sempre
insieme a Pete, formò i Detours, nei quali venne assunto un giovane e rissoso
cantante, Roger Daltrey. Dopo poco, su consiglio del produttore Kit Lambert, si
decise di cambiare nome al gruppo in The Who. Come i Beatles e gli Stones, gli
Who erano soprattutto un incontro tra personalità straordinarie: ovviamente
meno appariscente degli altri tre, Entwistle rappresentava la spina dorsale del
gruppo. Ma tutto questo, ormai, è soloricordo.
Gli
Strawbs, band britannica di rock progressivo e folk rock attiva
dagli anni '60, hanno prodotto molti album di grande qualità nel corso della
loro carriera. Uno dei loro lavori più celebri è il terzo, "From the Witchwood", pubblicato dalla
A&M Records nel luglio del 1971. Il disco fu registrato nel febbraio e
marzo 1971 all'Air Studios di Londra
"From the Witchwood" è un
disco che cattura perfettamente l'essenza del suono distintivo degli Strawbs.
L'album presenta un mix ben bilanciato tra elementi di folk rock e rock
progressivo, con testi ricchi di immagini suggestive e melodie accattivanti, una dimostrazione di abilità nell'intrecciare diverse influenze musicali in
un'unica opera coesa.
L'apertura dell'album con la traccia
"A Glimpse of Heaven" è un perfetto esempio di ciò che
gli Strawbs riescono a fare. La canzone inizia con un'atmosfera delicata e
acustica, ma si sviluppa gradualmente in un crescendo epico, grazie
all'aggiunta di strumenti e arrangiamenti più complessi. Questa progressione è
un elemento ricorrente nell'intero album, creando un senso di avventura e
scoperta musicale per l'ascoltatore.
Altri punti salienti dell'album
includono "The Hangman and the Papist" e "Autumn",
che mostrano le doti compositive della band nel creare melodie coinvolgenti e
testi profondi. "The Hangman and the Papist" in particolare è
una canzone potente e drammatica, che affronta tematiche legate alla giustizia
e alla vendetta.
Gli arrangiamenti strumentali di
"From the Witchwood" sono un elemento cruciale che rende
l'album affascinante. La band utilizza una varietà di strumenti - chitarre
acustiche ed elettriche, tastiere, flauti e violini - per creare una gamma di suoni
e atmosfere uniche. Questo contribuisce a dare all'album una dimensione sonora
ricca e piena, che si sposa perfettamente con i testi e le melodie.
"From the
Witchwood" è un album notevole, che merita sicuramente di essere
ascoltato. La combinazione di folk rock e rock progressivo, unita a testi ben
scritti e arrangiamenti impeccabili, rende questo lavoro un classico del
genere.
L'album è il terzo e ultimo album che
include Rick Wakeman, compresa la sua apparizione come musicista turnista nell'album del 1970 “Dragonfly”.
L'illustrazione della copertina era
"La Visione di san Girolamo”, un arazzo della collezione reale
spagnola.
Ascolto consigliato, magari iniziando
cliccando sulle tracce a seguire…
Il mio pensiero/commento al volume
precedente, “Scritti ribelli E SINCRONICITA’ DI UN GIORNALISTA MUSICALE”,
è fruibile al seguente link, che permette di accedere anche all’intervista
realizzata con l’autore, certamente ancora molto attuale:
“IL ROCK VIVE”, scrive Baiata
a caratteri cubitali, e allora viene da chiedersi il punto di arrivo di una
raccolta dal taglio preciso, nostalgico, didattico, culturale, specifico.
Mi capita ogni volta, sia per i miei
scritti che per quelli di terzi, di immaginare il potenziale destinatario
perché, se è vero che si crea in primis per sé stessi, l’atto successivo
diventa obbligato, quell’opera di condivisione che, spesso, ha il senso del
lascito ereditario. In fondo, chi ha vissuto e ha creato “materia tangibile”,
possiede il privilegio di poter lasciare una traccia concreta. E allora… chi si
metterà alla lettura di questo tomo di oltre 400 pagine?
Mi sogno una generazione curiosa,
magari ipercritica, ma capace di prendere atto dell’esistenza di un mondo
lontano, interessata nel confrontarlo con quello contemporaneo e poi impegnata
nello stabilire in modo equilibrato i segni ancor presenti di quel Rock Vivente
- il termine è molto più di un’espressione musicale - nell’attualità, usando un
setaccio fine, per eliminare scorie e trattenere la sostanza, la quiddità
insomma.
Baiata cita spesso i The Who come suo
amore preminente, una band che solo pochi giorni fa è stata protagonista di un
concerto unico - in parte con orchestra - a Firenze, proponendo sonorità che
dopo cinquant’anni sanno ancora di fresco, di nuovo, di attuale, mentre Pete Townshend
salta sul palco come un grillo, alla soglia degli ottant’anni, proprio lui che
era il fautore del voglio morire prima di invecchiare!
Inutile sottolineare l’importanza di
questa opera per quelli che come me hanno vissuto un’epoca meravigliosa, quella
di Ciao 2001 e dintorni, quella dei giornalisti bravi e baciati da Dio - trovarsi al
posto giusto al momento giusto è uno status che non è solo frutto di volontà e bravura ma
anche di casualità -, e a un certo punto, grazie ai social, persone lontane
sono diventate potenzialmente raggiungibili, anche chi, ad esempio, è stato
protagonista attivo in un’epoca particolarmente elettrizzante, come Maurizio
Baiata, ai tempi giornalista in erba, successivamente innovatore, conoscitore,
viaggiatore, sognatore.
Questi aggettivi non sono posti a
caso ma rappresentano le linee guida che permettono al book di muovere, di crescere, di
raccontare.
La guida alla lettura è
fornita da Maurizio nel comunicato fruibile al seguente link:
Dopo la prefazione di Federico
Guglielmi e l’apertura di Baiata, la lettura si snocciola attraverso otto
sezioni che propongono recensioni, concerti, interviste, il tutto presentato in
ordine cronologico, a volte con la versione originale tratta dal giornale - ma
leggibile - affiancata alla rivisitazione.
Un viaggio entusiasmante, che suscita
la giusta e sana invidia di chi - come me - avrebbe voluto essere accanto
all’autore per poter vivere le stesse emozioni che nel tempo si sono
trasformate in ricordi, compagni per tutta la vita.
L’ouverture ci propone un brano
evergreen dei Rolling Stones, “You Can't Always Get What You Want”,
usato come collante del primo contenuto, inserito nella scena del funerale
all’inizio del film “Il Grande Freddo”, ma mi fermo qui, non è il caso
di far opera di spoiler…
E poi si succedono grandi nomi,
grandi band, grandi artisti, dai Beatles ai Pink Floyd, dagli ELP
a Frank Zappa passando per Jaco Pastorius e Velvet Underground.
La lista è lunga e vorrei lasciare
l’effetto sorpresa, ma un paio di cose mi sono rimaste particolarmente
impresse.
La prima riguarda l’8 dicembre del
1980, giorno in cui Baiata, in una delle sue fasi americane, si trovò sul pezzo
quando John Lennon fu assassinato. Il racconto di quei momenti,
l’agitazione, la comunicazione verso l’Italia e la reazioni di qualche
scellerato burocrate, rivivono, e prende forma la tragicità dell’evento, il
conseguente sbigottimento e il sincero dolore.
Un’altra curiosità - ma sono certo
che ogni lettore troverà spunti differenti - riguarda quello che viene definito
“un incontro surreale”, quello avvenuto il 3 giugno 1975, che vede Maurizio
intervistare Brian Eno e Robert Fripp. Leggere il susseguirsi di
domande e risposte porta ad evidenziare la figura del padre padrone dei King
Crimson, un campione estremamente negativo in una qualsiasi scala empatica,
ieri come oggi - anche se i suoi attuali siparietti con la moglie Toyah Willcox
lo rendono ora meno pesante -, almeno da quanto si può vedere dall’esterno.
Sono certo che la lettura porterà a
numerose reazioni estremamente personali, sentimenti che fuggono dagli aspetti
oggettivi, dai nomi, dalle date, dai luoghi…
Perché Rock Memories può
trasformarsi in una dolorosa seduta a base analitica, dove una determinata
pagina, attraverso la spinta/necessità a rimembrare, può portare a reazioni che
occorre saper gestire, facendo i conti, almeno per un istante, col passato e
col futuro, sempre più corto…
Se preghi la pioggia, metti in conto anche il fango
“Tempus
fugit, Carpe diem”, si chiosava già 2000 anni fa. Eppure, l’accelerazione del tempo ci ha fatto smarrire
il senso della unicità dell’attimo, lo stupore del presente, la speranza
dell’attesa, la memoria del nostro passato e, in ultimo, la nostra dimensione
identitaria. La Musica resta il mezzo più efficace per azzerare ogni coordinata spaziale e temporale.
Una particolarità, il libro ha un
traghettatore di ere, un accorciatore di spazi, un paladino del virtuosismo.
Se la copertina di Pablo Ayo nel primo volume presentava i Colosseum, band seminale del mondo rock,
la prima pagina tocca questa volta ad un chitarrista. Dall’immagine non è certo
riconoscibile, ma la sua postura riporta ad ipotetici guitar heroes, presenti e
passati.
Il suo nome è Davide Lo Surdo,
ha 24 anni ed è famoso per essere il chitarrista più veloce di tutti i tempi.
Non lo conoscevo e il concetto di velocità abbinato all’utilizzo della chitarra
non mi ha mai interessato, ma Baiata lo intervista - e quindi possiamo
estrapolarne il ritratto - e allora ho provato a cercare sue notizie, attivando
il tasto “curiosità”, quello che spero useranno i giovani lettori quando
leggeranno nomi come Jefferson Starship, Alice Cooper, Gentle
Giant, Jim Morrison, BANCO, PFM…
Ma forse basterebbe la fiducia
nell’autore che, parlando di Davide, chiosa: “Personalmente, sogno di
vederlo e sentirlo duettare su un palco con Pete Townshend, perché…
Il Rock è l’essenza di più
generazioni
In viaggio verso le stelle,
dove tutto è possibile.
Happy
trails, folk!
Grazie Maurizio e… Davide, fa presto,
Pete sarà longevo ma non eterno!
Il 21 giugno del 1948 nasceva il primo 33
giri della storia della musica. L'introduzione del nuovo supporto si deve al
lavoro della Columbia Records che manda di fatto in pensione il vecchio 78
giri, dando il via ad un nuovo capitolo del mercato discografico, che durerà
fino alla fine degli anni Ottanta.
Il 33 giri, rispetto al suo
predecessore, ha una migliore qualità del vinile e durata. Sono questi i motivi
che fanno sì che il nuovo supporto soppianti progressivamente il 78 giri.
Il nome del 33 giri, conosciuto anche
come Long playing (Lp), deriva dal fatto che la sua velocità di rotazione è di
circa 33 giri al minuto. Per la precisione 33 giri e un terzo, l'equivalente di
100 giri completi ogni tre minuti.
Ogni vinile 33 giri ha due facciate,
ognuna delle quali può riprodurre fino a 30 minuti di contenuto musicale. La
durata può aumentare anche fino a 40 minuti per lato, ma ciò implica una
qualità sonora leggermente inferiore
Gli ingegneri della Columbia Records
cominciano a lavorare al nuovo supporto a partire dal 1939, proprio con
l'obiettivo di estendere la durata del vecchio 78 giri, che ha un tempo di
riproduzione di massimo 20 minuti.
Lo scoppio del secondo conflitto
mondiale rallenta per ovvie ragioni lo sviluppo del nuovo supporto musicale, ma
la fine della guerra permette al team della Columbia Records guidato
dall'ingegner Peter Carl Goldmark di risolvere le ultime criticità
tecniche.
Il 33 giri viene, quindi, finalmente
lanciato sul mercato segnando una svolta epocale per il mondo della musica e
mandando in soffitta il 78 giri inventato nel lontano 1894. Con il nuovo
supporto viene anche introdotto l'acronimo Lp (Long playing), che verrà
utilizzato in futuro anche per i Cd.
La presentazione ufficiale del 33
giri va in scena il 21 giugno del 1948 presso il Waldorf Astoria Hotel di New
York City. Sarà un successo che resisterà anche all'uscita del 45 giri di un
anno più tardi.
La diffusione del 33 giri non verrà
scalfita nemmeno dall'arrivo delle musicassette nel corso della metà degli anni
Sessanta.
Nel 1978 vengono venduti in tutto il
mondo circa un miliardo di dischi 33 giri. Si tratta dell'anno che segna il
massimo successo di questo supporto.
L'incisione sul disco del 33 giri
avviene attraverso la tecnica del microsolco che consente al supporto di
contenere più informazione e, di conseguenza, prolungarne la durata.
La riproduzione degli Lp 33 giri
avviene tramite una puntina - che può essere in diamante o zaffiro - dei
giradischi, che trasmette ad un complesso elettromagnetico le irregolarità del
solco sul disco.
Sui 33 giri sono stati incisi alcuni
dei più famosi brani nella storia della musica e successi commerciali che hanno
segnato intere generazioni, come "Hot Stuff" di Donna Summer del 1979
(nella foto la copertina originale).
La diffusione su larga scala del 33
giri viene progressivamente ridimensionata dall'avvento del compact disc verso
la fine degli anni Ottanta.
Gli Lp, pur non essendo più un
supporto di massa, sono comunque sopravvissuti come prodotto di nicchia e da
collezione per gli appassionati.