venerdì 30 giugno 2023

Steve Howe e la potenziale reunion degli YES


 

Steve Howe degli Yes parla degli ex compagni di band, delle potenziali reunion e di quella turbolenta apparizione nella Rock And Roll Hall Of Fame


Il chitarrista degli Yes Steve Howe ha parlato del suo rapporto con Jon Anderson e delle possibilità di una potenziale reunion con il cantante e altri membri del passato.

Dice Howe:

"È qualcosa a cui sono assolutamente restio, perché ricordo il fiasco del Tour di Union", dice, riferendosi al tour notoriamente difficile a supporto dell'album “Union” del 1991, che comprendeva otto diversi membri passati e attuali degli Yes. "È stato molto, molto difficile e fuori controllo. A volte ho pensato che… un giorno… forse, perché mai dire mai, ma fondamentalmente non riesco a vederlo".

Continua: "Amo Jon. Ora sono molto più vecchio, e lo è anche lui, e l'unico modo di lavorare è quello in cui mi sento felice e a mio agio. Non ho intenzione di prendere sulla schiena un carico improvviso di cui non ho bisogno o che non voglio. La mia musica mi ha sempre guidato, e non mi dice di andare in quella direzione, ma di andare avanti. Ed è quello che faccio”.

Anderson è stato sostituito da Benoit David nel 2008 dopo aver sofferto di problemi di salute respiratoria. Successivamente ha criticato i suoi ex compagni di band per non aver aspettato che si riprendesse e non aver agito da gentiluomini.

David stesso è stato sostituito nel 2012 dall'ex frontman dei Glass Hammer Jon Davison, che è apparso in tre album in studio degli Yes, tra cui il recente “Mirror To The Sky”. 

Eppure, i fan degli Yes vorrebbero rivedere Anderson!

"Non ho alcuna responsabilità in tutto questo", afferma Davison, che dice di aver incontrato Anderson una volta, all'introduzione degli Yes nella Rock & Roll Hall Of Fame di New York nel 2017. "Voglio dire, perché dovrei? Sono solo il ragazzo che è stato assunto e e sarei pazzo a rinunciare! So che Jon se ne rende conto, quindi io non devo sentirmi in colpa nessun motivo".

Steve Howe parla anche della tumultuosa apparizione della band alla cerimonia della Rock And Roll Hall Of Fame, in cui diversi membri, tra cui lui stesso, Anderson, l'ex tastierista Rick Wakeman e l'ex chitarrista Trevor Rabin, hanno unito le forze per un breve set degli Yes.


"Più vado avanti, più rimango senza parole per quei due giorni", dice Howe. "C'è molto che potrei dire, ma non ho intenzione di farlo. Fondamentalmente, c'era qualcosa di infernale, come pattinare sul ghiaccio senza aver mai pattinato prima. Non voglio sminuire l’evento, ma ci sono stati problemi, con uno strano farsi largo per apparire. E alla fine alcune persone hanno ottenuto il dovuto rispetto e altre no".

Eppure, Howe nel 2017 diceva: “Che onore per noi essere coinvolti nella storia di questa band. Ringraziamo tutti i fan degli Yes che si sono dimostrati così appassionati durante gli anni e ci hanno aiutati a tenere alta la bandiera. Questi sono i fan che hanno sempre chiesto la nostra inclusione nella Rock and Roll of Fame. Sono stati ascoltati”.

Per la cronaca i membri degli Yes ammessi alla Rock and Roll Hall of Fame erano quelli del tour di “Union” del 1991, quindi, Steve Howe, Alan White, il compianto Chris Squire e gli ex – membri Jon Anderson (voce), Bill Bruford (batteria), Tony Kaye (tastiere), Rick Wakeman (tastiere) e Trevor Rabin (chitarra).





The Alice Cooper Show: era il 30 giugno del 1972



Alice Cooper
Empire Pool, Wembley, Londra, 30 giugno 1972
The Alice Cooper Show

In realtà si tratta solo di uno specchio che metto di fronte a un pubblico per riflettere il lato più oscuro della natura umana

Alice Cooper a Roy Carr, Music Scene, 1972.

Andato in scena per la prima volta a New York il 1 dicembre 1971, “Killer di Alice Cooper era uno scioccante esempio di teatro rock che, secondo il cantante, “era figlio della televisione, del cinema e dell’America“. 
Con il singolo “School’s Out” in procinto di sbancare le classifiche britanniche, lo spaventoso spettacolo horror, con tanto di boa constrictor vivo, ghigliottina portatile e bambole decapitate, andò in scena a Londra guadagnandosi i titoli a tutta pagina dei quotidiani. Fra i presenti in sala quella sera c’era anche la giovane e accesissima fan Simone Stenfors.

Ero la più grande fan di Alice Cooper sulla faccia della terra. Tutto in lui era originale. Era un film dell’orrore, non la solita cosetta carina. Come Captain Beefhart e Frank Zappa, si trattava di musica per fuori di testa. Più o meno all’epoca del concerto, il gruppo suonò a “Top Of The Pops” e il pubblico era pieno di sosia di Alice Cooper e di ragazzine che urlavano in prima fila. Provai fastidio perché quello era il mio gruppo e mi disturbava che fossero diventati così famosi. Avevamo due posti molto indietro , ma io e la mia amica convincemmo due tipi a venderci i loro che erano all’incirca in decima fila. Quando il gruppo di spalla, i Roxy Music, finì di suonare, erano arrivati anche tutti i miei amici e mi ritrovai ai bordi della passerella, seduta in braccio a un ragazzo. Così, quando Alice si sedette lì a cantare ci trovammo alla stessa altezza. E quando cantò “Dead Babies” strappando i vestiti alla bambola i suoi occhi guardavano diritti nei miei.
“Non so dire se facesse paura o meno. Ero una ragazzina molto presa da quel tipo di cose. All’epoca uno spettacolo simile no si era mai visto. C’era il serpente per “It My Body”, il patibolo per “Killer” e tante capsule piene di sangue. Si diceva che Alice stesso avesse rischiato di finire decapitato. Credo fossero voci messe in giro ad arte, ma noi del pubblico avevamo tutti tra i 15 e i 18 anni per cui restammo parecchio impressionati.
Quando Alice, quasi alla fine, cantò “School’s Out”, lanciò gladioli al pubblico e me ne mise uno in mano. Arrivata a casa lo sistemai con la massima cura in un bicchiere pieno d’acqua. Mia madre lo buttò via: non aveva capito quanto importante fosse per me!”

Da “Io C’ero”, di Myke Paytress.

Immagini di repertorio...



giovedì 29 giugno 2023

John Wetton: annunciato un concerto commemorativo costellato di miti della musica


L'esclusivo concerto commemorativo di John Wetton si terrà al Trading Boundaries ad agosto


Rick Wakeman, Steve Hackett, Geoff Downes, Roger Chapman, Mel Collins, Annie Haslam, Phil Manzanera e Martin Orford sono solo alcuni dei nomi che appariranno in uno speciale concerto commemorativo per il compianto John Wetton ad agosto, che raccoglierà fondi per l'organizzazione benefica Macmillan Caring Local, che si è presa cura di Wetton nei suoi ultimi giorni.

La moglie di Wetton, Lisa, e il figlio Dylan, insieme alla direzione di QEDG, annunciano che un concerto commemorativo si terrà in memoria di Wetton al Trading Boundaries, nell'East Sussex, il 3 agosto per la sua famiglia e i suoi amici. L'evento sarà trasmesso in streaming per il grande pubblico.

L'evento commemorativo sarà ospitato dal direttore di Prog Magazine Jerry Ewing, insieme a Geoff Downes, Steve Hackett e l'artista Roger Dean.


"Sono molto entusiasta di far parte del prossimo John Wetton Tribute", dice il tastierista degli Yes Downes. "Come tutti sapete, ho avuto una collaborazione autorale molto stretta e unica con John, e siamo stati cari amici, fratelli e compagni di band per molti anni".

"Onorare l'eredità di John in questo modo con così tanti dei suoi ex musicisti, colleghi e familiari riuniti insieme, mostra quanto sia enorme l'amore, la gratitudine e il rispetto che molti di noi avevano per John e la sua musica. Sarà una meravigliosa celebrazione che coprirà tutta la straordinaria carriera di John. Non vedo l'ora di farlo. Ci vediamo tutti lì".


Si uniscono a Chris Braide (Downs Braide Association), Jim Cregan (Family), David Cross (King Crimson), Chris Difford (Squeeze), Dave Kilminster (Roger Waters), John Mitchell (Lonely Robot), Guy Pratt (Nick Mason's Saucerful Of Secrets), Jay Schellen (Yes), Billy Sherwood (Yes), Harry Whitely, Laurie Wisefield (Wishbone Ash) e The Paul Green Rock Academy.

L'evento sarà trasmesso in diretta streaming la sera e tutti i proventi dei biglietti raccoglieranno fondi per Macmillan Caring Locally. Ci sarà anche un'asta speciale online che si svolgerà parallelamente ai lavori della serata vantando alcuni lotti unici, tra cui una chitarra di proprietà dello stesso Wetton per raccogliere ulteriori fondi.

"Sono felice e onorato che così tanti artisti leggendari che hanno lavorato con mio padre nel corso degli anni abbiano accettato di riunirsi, sia per onorarlo che per raccogliere fondi vitali per l'organizzazione benefica che lo ha sostenuto durante i suoi ultimi giorni", afferma Dylan Wetton. "Non riesco a pensare a un modo migliore per celebrare la vita di mio padre e l'incredibile eredità musicale che si è lasciato alle spalle.  Sarà una notte fantastica, un evento unico, che è esattamente ciò che mio padre merita".




 


mercoledì 28 giugno 2023

Pink Floyd: il 28 giugno 1968 usciva "A Saucerful of Secrets", l'ultimo album con Syd Barrett-Riascoltiamolo nell'articolo

 

La copertina è formata da un collage di 13 immagini tra cui figurano alcuni frammenti del fumetto basato sul Dottor Strange, l’immagine di un alchimista, immagini di ampolle e bottiglie, una ruota con i segni zodiacali, il sole, alcuni pianeti e una piccola foto del gruppo sulle rive di un fiume fuori Londra. Sulla copertina si può leggere anche la scritta “y d pinkfloyd p“. Prima della pubblicazione viene rimosso l’articolo “The” dal nome Pink Floyd.


"A Saucerful of Secrets" è il secondo album dei Pink Floyd, pubblicato nel 1968,  lavoro che segna una svolta significativa nella loro carriera, introducendo elementi psichedelici e sperimentali che li avrebbero resi celebri in seguito. È un'opera che perlustra territori sonori inesplorati e si distingue per la sua natura innovativa.

Emerge la title track, "A Saucerful of Secrets", un pezzo epico che dura oltre undici minuti, dove i Pink Floyd sfoggiano il loro talento nel creare atmosfere psichedeliche, con un'ampia gamma di suoni ed effetti sonori. La canzone è un susseguirsi di sezioni che si intrecciano, passando da momenti più riflessivi ad altri più corposi, richiedendo una buona attenzione da parte dell'ascoltatore, ma riesce a catturare l'immaginazione, con la sua complessità e la sua struttura avvolgente.

Altro punto forte dell'album è "Set the Controls for the Heart of the Sun", una traccia che esplora le atmosfere cosmiche e spaziali. La voce eterea di Roger Waters si sposa perfettamente con il mood onirico creato dalla strumentazione, conducendo verso una sorta di "trance", portando l'ascoltatore in un viaggio attraverso dimensioni sonore inimmaginabili.

"A Saucerful of Secrets" presenta anche pezzi più brevi e immediati, come "Remember a Day" e "See-Saw", che mostrano la vena melodica della band e,  sebbene meno sperimentali, non perdono la loro essenza psichedelica, grazie all'uso di strumenti come l'organo e le tastiere che conferiscono loro un suono unico.

Nonostante la grande qualità delle trame sonore, "A Saucerful of Secrets" soffre di alcune incongruenze e disomogeneità nella produzione. Questo può essere attribuito alla sua natura sperimentale, che potrebbe non appagare completamente i gusti di tutti gli ascoltatori. Tuttavia, è proprio questa ricerca del nuovo a renderlo un disco così affascinante e avvincente per gli appassionati di musica progressiva e psichedelica.


Artista: Pink Floyd

Album (in studio): A Saucerful of Secrets

Pubblicazione: 29 giugno 1968 nel Regno Unito-27 luglio 1968 negli Stati Uniti

Durata: 38:48

Tracce: 7

Genere: Rock psichedelico

Etichetta: Columbia Graphophone Company/EMI nel Regno Unito Tower Records/Capitol negli Stati Uniti

Produttore: Norman Smith

Registrazione: agosto–ottobre 1967

gennaio–aprile 1968

Abbey Road Studios e Sound Techniques Studios, Londra


Ma si possono fare altre considerazioni legate ad una figura in particolare, perché la nascita dell'album coincise con il declino dello stato mentale di Syd Barrett, frontman e chitarra solista del gruppo fino all'ingresso di David Gilmour. Questo è l'ultimo lavoro dei Pink Floyd a cui Barrett prese parte prima di essere allontanato definitivamente dal gruppo. È proprio in questo periodo che Barrett cominciò ad accusare problemi di carattere psichiatrico e psicologico. In sua presenza le registrazioni risultarono lunghe e difficoltose e divenne impossibile per il gruppo continuare con lui. Le uniche apparizioni di Barrett in quest'album furono la chitarra su “Remember a Day”, “Set the Controls for the Heart of the Sun”, “Corporal Clegg” e “Jugband Blues”, quest'ultimo unico brano dell'album da lui scritto e cantato.

La versione del brano “Set the Controls for the Heart of the Sun”, contenuta in quest'album, in particolare, è l'unica nella loro discografia suonata da tutti e cinque i membri della band.

"A Saucerful of Secrets" è da considerarsi un'opera imprescindibile nella discografia dei Pink Floyd e un importante tassello nella storia della musica rock.


Tracce (cliccare sul titolo per ascoltare)

Lato A

Let There Be More Light – 5:39 (Roger Waters)

Remember a Day – 4:33 (Rick Wright)

Set the Controls for the Heart of the Sun – 5:28 (Roger Waters)

Corporal Clegg – 4:13 (Roger Waters)

Lato B

A Saucerful of Secrets – 11:57 (Roger Waters, Rick Wright, Nick Mason, David Gilmour)

See-Saw – 4:36 (Richard Wright)

Jugband Blues – 2:56 (Syd Barrett)

 

Formazione

David Gilmour – chitarra (tracce 1, 3-5), kazoo (traccia 4), voce (tracce 1, 4 e 5)

Roger Waters – basso, percussioni, voce

Rick Wright – pianoforte, organo, mellotron, vibrafono, xilofono, voce, tin whistle (traccia 7)

Nick Mason – batteria, percussioni, voce (traccia 4), kazoo (traccia 7)

Syd Barrett – chitarra acustica e slide guitar (traccia 2), chitarra (tracce 3, 4 e 6), cori (traccia 6), voce solista (traccia 7) 

Altri musicisti

Norman Smith – batteria, percussioni (traccia 2), voce parlata (traccia 4)

The Salvation Army (The International Staff Band) (traccia 7):

Ray Bowes – cornetta

Terry Camsey – cornetta

Mac Carter – trombone

Les Condon – tuba in Mi

Maurice Cooper – eufonio

Ian Hankey – trombone

George Whittingham – tuba in Si bemolle






martedì 27 giugno 2023

Dire Straits live a Sanremo il 27 giugno del 1981


La mia partecipazione ai concerti rock ha avuto, nella giovinezza, un termine ben preciso, e un altrettanto preciso nuovo inizio nella maturità.
Ricordavo bene quella prima conclusione affrettata, perché coincideva con una grande performance - o almeno la ricordo come tale - dei Dire Straits, allo stadio comunale di Sanremo. Arrivammo in cinque in auto, compreso “quella” che l’anno successivo sarebbe diventata mia moglie.
Avevo però la convinzione che fosse un giorno di agosto del 1980, e invece ho scoperto che si trattava del 27 giugno del 1981 (pochi mesi premi i D.S.erano stati ospiti al Festival di Sanremo).
Non sarei in grado di commentare quella giornata vissuta in tempi lontanissimi, ma ho casualmente trovato un articolo che la ricorda, e propongo quindi la mia scoperta estratta dall’archivio de “La Stampa”.

In rete ho trovato un altro “reperto”, l’audio dell’evento, e lo propongo a fine articolo.
Ecco quindi il commento del giornalista Roberto Basso, poco “musicale” e molto concentrato sugli aspetti al contorno, quelli corretti per un giornale generalista come era ed è La Stampa.
In ogni caso un bel ricordo!

Stampa Sera 29/06/1981 - numero 174 pagina 7


Dire Straits strepitosi
Sanremo presa d'assalto per il concerto dei Dire Straits

SANREMO — Per il primo concerto nazionale dei Dire Straits, sabato in quindicimila hanno «aggredito» Sanremo. Tutti giovanissimi, dai 14 ai 25 anni. Sono arrivati in treno, in auto, in moto, con l'autostop, a piedi, con in spalla variopinti sacchi a pelo. Un'affluenza di pubblico mai vista in Riviera per uno show musicale. Neppure ai tempi d'oro del Festival la città è stata così affollata da patiti della canzone: è il miracolo del nuovo rock, che fa muovere da distanze anche di 200-300 km masse di fans.
Angelo Esposito, proprietario di un eccentrico ristorante a due passi dal Casinò, ed organizzatore dello show dei Dire Straits, era raggiante. Ha fatto soldi a palate, ha incassato più di ogni rosea previsione. Il complesso inglese non ha deluso. Per quasi due ore con la sua musica esclusiva, ha fatto impazzire il pubblico. Dagli amplificatori ha «gettato» sui 15.000 spettatori rock a fiumi: “Comunique”, “Making Movies”, “Dire Straits”, “Sultan of swing”, “Wild West end”, “Sacred loving”, “Tunnel of love”, “Romeo and Juliet… solo per citare i titoli più applauditi.
Il campo sportivo - dove alla domenica gioca la Sanremese Calcio di fronte ad un pubblico che difficilmente supera le quattromila unità - sembrava un miniconcentrato dell'isola di Wight. Anche dopo il concerto. Sul prato, sugli spalti, per strada, cumuli di lattine vuote, sacchetti di plastica, rifiuti di ogni genere. I netturbini hanno dovuto fare parecchio extra per rimettere tutto a posto.

In soli tre anni i Dire Straits sono diventati ricchi e famosi in tutto il mondo. Il loro primo album infatti viene alla luce nel ‘78. Esplodono in America dopo aver inciso alle Bahamas il loro secondo album, “Comunique”. Nel 79 a Los Angeles incontrano Bob Dylan e insieme realizzano “Slow Train Coming”. Vincono due dischi d'oro, uno in Olanda, un altro in Australia. Il disco di platino l'avevano già vinto due anni fa in America.
Mercoledì saranno allo stadio di Torino per il loro ultimo concerto. Anche a Torino la prevendita sta andando fortissimo. 

Quale il segreto di tanto successo? «Quello dei Dire Straits - ha dichiarato a Sanremo Franco Mamone, impresario rock - è l'unico vero megaconcerto di quest'anno. Logico che gli appassionati non perdano l'occasione. Il pubblico si è fatto più esigente. Corre e paga il biglietto solo se ne vale veramente la pena».

Per il concerto sanremese la polizia aveva predisposto un servizio d'ordine nutritissimo. Sugli spalti e nel campo parecchi spinelli, ma nessun disordine. In “tilt” invece il traffico automobilistico. In 15.000 hanno praticamente intasato l'ingresso Est di Sanremo. Sull'Aurelia, attorno allo stadio, erano parcheggiate file d'auto lunghe oltre mezzo chilometro, arrivate un po' da dovunque: Milano, Genova, Savona, Vercelli, Torino, Brescia, Nizza, Montecarlo. Grossi affari hanno fatto anche bancarelle volanti e abusive che offrivano per cinquemila lire variopinte magliette e una serie di sei bottoni metallici con sopra stampati i visi dei cinque magnifici Dire. 


LA SCALETTA

Once Upon a Time in the West
Expresso Love
Down to the Waterline
Lions
Skateaway
Romeo and Juliet
News
(dedicated to John Lennon and Bob Marley)
Sultans of Swing
Portobello Belle
Angel of Mercy
Tunnel of Love
Telegraph Road
Where Do You Think You're Going?
Solid Rock




Toyah e Robert Fripp sul perché fanno quello che fanno: "Ci siamo resi conto durante il lockdown che il rock classico cambia la vita delle persone..."



Toyah e Robert Fripp sui poteri curativi della musica: "Dovremmo vivere ogni anno della nostra vita come se fosse quello migliore "

 

Robert Fripp e Toyah Willcox sono apparsi su BBC Breakfast News il 21 giugno, per promuovere la loro prossima apparizione a Glastonbury, la prima volta per loro.

Alla domanda sui video del Sunday Lunch di Toyah e Robert, "che hanno diffuso tanta gioia" durante il lockdown, la signor Fripp ha fornito un po’ di spiegazioni.

"Ci siamo resi conto durante il lockdown che il rock classico cambia la vita delle persone e dà la possibilità di rivivere ricordi davvero belli. Per me, ad esempio, è “Life On Mars” di David Bowie, che ho sentito per la prima volta quando avevo 12 anni. Ogni volta che sento quella canzone, vengo catapultata a quel periodo. E il concetto di quello che stiamo facendo è riportare le persone al rock classico, ma anche introdurre le nuove generazioni – che sono appena uscite dalla discoteca – ai Led Zeppelin e ai Black Sabbath, o addirittura introdurli ai classici Blondie".

Il presentatore ha affernato che la fascia d'età delle persone che entreranno a Glastonbury per il festival è molto elevata. "Ammettiamolo", ha risposto Toyah, "dovremmo vivere ogni anno della nostra vita come se fosse il migliore e l'età non dovrebbe essere qualcosa da analizzare".

Fripp ha suonato in alcuni dei più grandi festival del mondo e i King Crimson hanno aperto per i Rolling Stones ad Hyde Park nel 1969. I due hanno appena suonato al Festival dell'Isola di Wight. "Ero probabilmente la persona più anziana”, ha detto Fripp, "ed ero probabilmente l'unica persona che aveva suonato nei festival degli anni '60. Nel 1967, quando sono diventato professionista, sapevamo tutti che la musica poteva cambiare il mondo, e i festival gratuiti erano un veicolo primario per quella che oggi si potrebbe chiamare trasformazione sociale. Unendoci con la musica e le molte persone in questi eventi, creavamo qualcosa che aveva un tale potere che sembrava che il mondo potesse girare all'indietro e il futuro potesse afferrarci".

Qual era la differenza tra i festival di allora e quelli di oggi, gli è stato chiesto. "Per cominciare, erano tutti gratuiti", ha detto Fripp, "principalmente gestiti da volontari, compresi gli Hells Angels. E oggi lo spirito c'è, ma l'organizzazione è molto più professionale, e se hai diverse tonnellate di attrezzature sul palco e ti presenti a un evento con centinaia di migliaia di persone, è molto positivo che l'organizzazione sia professionale".





Nel ricordo di John Entwistle



Il 27 giugno del 2002  moriva, a soli 57 anni, John Entwistle, bassista storico degli Who; il suo corpo viene ritrovato nella stanza dell'Hard Rock Hotel di Las Vegas: le cause del decesso riportano ad un attacco cardiaco aggravato da uso di cocaina.
Raccolgo stralci di un articolo di Roberto Brunelli, del 2002, dove viene ricordata la figura di John Entwistle.

Rimasero tutti di stucco, in quel 1965, quando dalle radio inglese esplose per la prima volta My Generation, l'esordio fulminante targato The Who: due accordi perentori implacabili, una batteria selvaggia, la voce che balbetta (sì, balbetta) “voglio morire prima di diventare vecchio”, e un riff di basso imponente, di quelli che segnano la linea di confine tra un “prima” ed un “dopo” nella storia della musica. Un marchio di fuoco che ha segnato la storia del rock in eterno, attraverso i roaring sixties, fino a toccare la rivoluzione punk nel '77, e che ancora oggi continua a riecheggiare tra i solchi degli emuli rockettari più giovani, che siano post grunge, crossover, post-punk o neo-psichedelici che si voglia. Quell'incredibile, mai sentita e irripetibile linea di basso elettrico era firmata da un tranquillissimo ragazzo che si chiamava John Entwistle.

Non è diventato vecchio, John Entwistle. Era nato lo stesso giorno di John Lennon, l'8 ottobre, ed è morto a 57 anni a Las Vegas, in una stanza d'albergo, l'Hard Rock Café. Problemi di cuore, quasi certamente (lo stabilirà un'autopsia).

Trentasette anni anni dopo quell'esordio fulmicotonico di quattro imberbi ragazzetti sovente e provocatoriamente avvolti nell'Union Jack, la bandiera britannica, doveva partire da Los Angeles l'ennesima tournée degli Who. Gli Who sono uno dei quattro o cinque gruppi-pilastri della storia del rock, insieme ai Beatles, ai Rolling Stones, ai Led Zeppelin. A 24 anni dalla morte del batterista Keith Moon (overdose di farmaci), si è archiviato nei meandri della memoria un altro capitolo della sezione “Olimpo del rock”, insieme a Elvis, Hendrix, Morrison, Joplin, Lennon, Moon, Harrison e compagnia divina. Lo chiamavano “The Ox”, il virtuoso Entwistle, il bue, oppure “The quit one”: al centro della rock revolution degli anni sessanta, al centro del caos, quando tutto era nuovo, sconcertante, inusitato, febbrilmente eccitante, c'erano gli Who. E loro stessi erano una tempesta al cui centro stava, immobile come una sfinge, John Entwistle. C'era Pete Townshend (il chitarrista, il gran maestro delle cerimonie, la mente, che mulinava il braccio sopra la sua Gibson), c'era Roger Daltrey (la voce, colui che roteava il microfono come un lazo verso il cielo), c'era Keith Moon (quello fulmicotonico e portentosissimo, quello che alla fine del concerto spaccava la batteria in mille pezzettini). E c'era “The Ox”: una roccia, un monolite nell'occhio del ciclone, impassibile, marmoreo. Solo le sue dita correvano, velocissime, sulla tastiera del basso. Il rock, si sa, ama l'iperbole. Molte riviste specializzate si sono sbizzarrite, nei decenni, a nominarlo, di volta in volta, “bassista del secolo” o, financo, “del millennio”. Certo era un grandissimo: la sezione ritmica Entwistle – Moon era davvero una delle più formidabili della storia della musica, una chimica esplosiva, che – accoppiate al chitarrismo furente di Townshend – hanno fatto gli Who un “live act” inimitabile, insuperabile, sconvolgente e sciamanico. Ovvio che i britannicismi Who sono stati molto più di questo. La mente febbrile di Townshend non poteva rimanere ferma al rock pelvico, impulsivo, voluminoso, adolescente e bastardo degli inizi: prima mettendosi i panni (probabilmente senza eccessiva convinzione) di eroi dei “mod” (giovani scicchettosi della working class che si opponevano, nei primi anni sessanta, ai rockers), poi cercando di allargare i confini del rock “oltre l'immaginazione”. Nacque così Tommy (1969), la prima opera rock, nacque così quella grande (a tratti eccessiva) partitura fantastica che era Quadrophenia (1973). Nonostante il loro impatto violento degli esordi (mai completamente abbandonato), gli Who hanno sempre incarnato l'ala intellettuale del rock, senza perderne di un grammo l'energia vitalistica: l'ambizione musicale di Townshend e soci era sfrenata, e quel monumento musicale e concettuale che è Tommy sta lì da 33 anni a dimostrarlo. John “the quiet one” era uno strumento formidabile nelle mani sapienti di Townshend. Di canzoni sue non se ne contano molte nel catalogo Who: epperò sono tutti pezzi proverbiali, da Boris the spider a My Wife, a Whiskey man. Pezzi venati di un sarcasmo oscuro, spiritosi, splendidamente arrangiati, così com'erano sempre curiosi e atipici i suoi album solisti (Smash your head against the wall, 1971, Wistle Rymes, 1972, Rock, 1996, John Entwistle, 1997). Perché John era uno atipico nel mondo del rock: nato nel '44 a Cheswick, sobborgo di Londra, aveva studiato pianoforte, tromba e corno francese, esperienza che gli tornò utile quando si ritrovò ad arrangiare tutte la partiture di fiati per gli Who. Aveva cominciato in un gruppo jazz, The Confederates, dove invitò a suonare il suo compagno di scuola Pete Townshend. Poi, sempre insieme a Pete, formò i Detours, nei quali venne assunto un giovane e rissoso cantante, Roger Daltrey. Dopo poco, su consiglio del produttore Kit Lambert, si decise di cambiare nome al gruppo in The Who. Come i Beatles e gli Stones, gli Who erano soprattutto un incontro tra personalità straordinarie: ovviamente meno appariscente degli altri tre, Entwistle rappresentava la spina dorsale del gruppo. Ma tutto questo, ormai, è solo ricordo.




venerdì 23 giugno 2023

Strawbs: l'ultimo album con Rick Wakeman-"From the Witchwood"

 

Album: From the Witchwood

Artista: Strawbs

Pubblicazione: luglio 1971

Genere: Folk rock

Etichetta: A&M Records (AMLH 64304)

Produttore: Tony Visconti

 

Gli Strawbs, band britannica di rock progressivo e folk rock attiva dagli anni '60, hanno prodotto molti album di grande qualità nel corso della loro carriera. Uno dei loro lavori più celebri è il terzo, "From the Witchwood", pubblicato dalla A&M Records nel luglio del 1971. Il disco fu registrato nel febbraio e marzo 1971 all'Air Studios di Londra

"From the Witchwood" è un disco che cattura perfettamente l'essenza del suono distintivo degli Strawbs. L'album presenta un mix ben bilanciato tra elementi di folk rock e rock progressivo, con testi ricchi di immagini suggestive e melodie accattivanti, una dimostrazione di abilità nell'intrecciare diverse influenze musicali in un'unica opera coesa.

L'apertura dell'album con la traccia "A Glimpse of Heaven" è un perfetto esempio di ciò che gli Strawbs riescono a fare. La canzone inizia con un'atmosfera delicata e acustica, ma si sviluppa gradualmente in un crescendo epico, grazie all'aggiunta di strumenti e arrangiamenti più complessi. Questa progressione è un elemento ricorrente nell'intero album, creando un senso di avventura e scoperta musicale per l'ascoltatore.

Altri punti salienti dell'album includono "The Hangman and the Papist" e "Autumn", che mostrano le doti compositive della band nel creare melodie coinvolgenti e testi profondi. "The Hangman and the Papist" in particolare è una canzone potente e drammatica, che affronta tematiche legate alla giustizia e alla vendetta.

Gli arrangiamenti strumentali di "From the Witchwood" sono un elemento cruciale che rende l'album affascinante. La band utilizza una varietà di strumenti - chitarre acustiche ed elettriche, tastiere, flauti e violini - per creare una gamma di suoni e atmosfere uniche. Questo contribuisce a dare all'album una dimensione sonora ricca e piena, che si sposa perfettamente con i testi e le melodie.

"From the Witchwood" è un album notevole, che merita sicuramente di essere ascoltato. La combinazione di folk rock e rock progressivo, unita a testi ben scritti e arrangiamenti impeccabili, rende questo lavoro un classico del genere.

L'album è il terzo e ultimo album che include Rick Wakeman, compresa la sua apparizione come musicista turnista nell'album del 1970 “Dragonfly”.

L'illustrazione della copertina era "La Visione di san Girolamo”, un arazzo della collezione reale spagnola.

Ascolto consigliato, magari iniziando cliccando sulle tracce a seguire

 

Tracce 

Lato A

A Glimpse of Heaven – 3:50 (Dave Cousins)

Witchwood – 3:20 (Dave Cousins)

Thirty Days – 2:50 (John Ford)

Flight – 4:25 (Richard Hudson)

The Hangman and the Papist – 4:10 (Dave Cousins)

Lato B

Sheep – 4:15 (Dave Cousins)

Canon Dale – 3:40 (Richard Hudson)

The Shepherd's Song – 2:50 (Dave Cousins)

In Amongst the Roses – 3:45 (Dave Cousins)

I'll Carry on Beside You – 3:10 (Dave Cousins)

 

Da sinistra a destra: Dave Cousins, Tony Hooper, Rick Wakeman, John Ford and Richard Hudson


Musicisti

Dave Cousins – voce, chitarra, banjo, dulcimer, recorder tenore

Tony Hooper – voce, autoharp, tamburello, chitarra

Rick Wakeman – organo, celeste, clarinetto, pianoforte, pianoforte elettrico, sintetizzatore moog, clavicembalo, mellotron

John Ford – voce, basso

Richard Hudson – voce, batteria, sitar





giovedì 22 giugno 2023

Maurizio Baiata - “Rock Memories-Bagliori di un suono immortale”-VOLUME SECONDO


Maurizio Baiata - Rock Memories-Bagliori di un suono immortale”

Verdechiaro Edizioni

 

Il secondo atto di “Rock Memories assume il sottotitoloBagliori di un suono immortale” e arriva a distanza di un anno dalla prima raccolta ideata da Maurizio Baiata.

Il mio pensiero/commento al volume precedente, “Scritti ribelli E SINCRONICITA’ DI UN GIORNALISTA MUSICALE”, è fruibile al seguente link, che permette di accedere anche all’intervista realizzata con l’autore, certamente ancora molto attuale:

 

https://athosenrile.blogspot.com/2022/08/maurizio-baiata-rock-memories-scritti.html

 

IL ROCK VIVE”, scrive Baiata a caratteri cubitali, e allora viene da chiedersi il punto di arrivo di una raccolta dal taglio preciso, nostalgico, didattico, culturale, specifico.

Mi capita ogni volta, sia per i miei scritti che per quelli di terzi, di immaginare il potenziale destinatario perché, se è vero che si crea in primis per sé stessi, l’atto successivo diventa obbligato, quell’opera di condivisione che, spesso, ha il senso del lascito ereditario. In fondo, chi ha vissuto e ha creato “materia tangibile”, possiede il privilegio di poter lasciare una traccia concreta. E allora… chi si metterà alla lettura di questo tomo di oltre 400 pagine?

Mi sogno una generazione curiosa, magari ipercritica, ma capace di prendere atto dell’esistenza di un mondo lontano, interessata nel confrontarlo con quello contemporaneo e poi impegnata nello stabilire in modo equilibrato i segni ancor presenti di quel Rock Vivente - il termine è molto più di un’espressione musicale - nell’attualità, usando un setaccio fine, per eliminare scorie e trattenere la sostanza, la quiddità insomma.

Baiata cita spesso i The Who come suo amore preminente, una band che solo pochi giorni fa è stata protagonista di un concerto unico - in parte con orchestra - a Firenze, proponendo sonorità che dopo cinquant’anni sanno ancora di fresco, di nuovo, di attuale, mentre Pete Townshend salta sul palco come un grillo, alla soglia degli ottant’anni, proprio lui che era il fautore del voglio morire prima di invecchiare!

Inutile sottolineare l’importanza di questa opera per quelli che come me hanno vissuto un’epoca meravigliosa, quella di Ciao 2001 e dintorni, quella dei giornalisti bravi e baciati da Dio - trovarsi al posto giusto al momento giusto è uno status che non è solo frutto di volontà e bravura ma anche di casualità -, e a un certo punto, grazie ai social, persone lontane sono diventate potenzialmente raggiungibili, anche chi, ad esempio, è stato protagonista attivo in un’epoca particolarmente elettrizzante, come Maurizio Baiata, ai tempi giornalista in erba, successivamente innovatore, conoscitore, viaggiatore, sognatore.

Questi aggettivi non sono posti a caso ma rappresentano le linee guida che permettono al book di muovere, di crescere, di raccontare.

La guida alla lettura è fornita da Maurizio nel comunicato fruibile al seguente link:

https://mat2020comunicatistampa.blogspot.com/2023/01/maurizio-baiata-al-lavoro-sul-volume.html


Dopo la prefazione di Federico Guglielmi e l’apertura di Baiata, la lettura si snocciola attraverso otto sezioni che propongono recensioni, concerti, interviste, il tutto presentato in ordine cronologico, a volte con la versione originale tratta dal giornale - ma leggibile - affiancata alla rivisitazione.

Un viaggio entusiasmante, che suscita la giusta e sana invidia di chi - come me - avrebbe voluto essere accanto all’autore per poter vivere le stesse emozioni che nel tempo si sono trasformate in ricordi, compagni per tutta la vita.

L’ouverture ci propone un brano evergreen dei Rolling Stones, “You Can't Always Get What You Want”, usato come collante del primo contenuto, inserito nella scena del funerale all’inizio del film “Il Grande Freddo”, ma mi fermo qui, non è il caso di far opera di spoiler…

E poi si succedono grandi nomi, grandi band, grandi artisti, dai Beatles ai Pink Floyd, dagli ELP a Frank Zappa passando per Jaco Pastorius e Velvet Underground.

La lista è lunga e vorrei lasciare l’effetto sorpresa, ma un paio di cose mi sono rimaste particolarmente impresse.

La prima riguarda l’8 dicembre del 1980, giorno in cui Baiata, in una delle sue fasi americane, si trovò sul pezzo quando John Lennon fu assassinato. Il racconto di quei momenti, l’agitazione, la comunicazione verso l’Italia e la reazioni di qualche scellerato burocrate, rivivono, e prende forma la tragicità dell’evento, il conseguente sbigottimento e il sincero dolore.

Un’altra curiosità - ma sono certo che ogni lettore troverà spunti differenti - riguarda quello che viene definito “un incontro surreale”, quello avvenuto il 3 giugno 1975, che vede Maurizio intervistare Brian Eno e Robert Fripp. Leggere il susseguirsi di domande e risposte porta ad evidenziare la figura del padre padrone dei King Crimson, un campione estremamente negativo in una qualsiasi scala empatica, ieri come oggi - anche se i suoi attuali siparietti con la moglie Toyah Willcox lo rendono ora meno pesante -, almeno da quanto si può vedere dall’esterno.

Sono certo che la lettura porterà a numerose reazioni estremamente personali, sentimenti che fuggono dagli aspetti oggettivi, dai nomi, dalle date, dai luoghi…

Perché Rock Memories può trasformarsi in una dolorosa seduta a base analitica, dove una determinata pagina, attraverso la spinta/necessità a rimembrare, può portare a reazioni che occorre saper gestire, facendo i conti, almeno per un istante, col passato e col futuro, sempre più corto…

Se preghi la pioggia, metti in conto anche il fango 

Tempus fugit, Carpe diem”, si chiosava già 2000 anni faEppure, l’accelerazione del tempo ci ha fatto smarrire il senso della unicità dell’attimo, lo stupore del presente, la speranza dell’attesa, la memoria del nostro passato e, in ultimo, la nostra dimensione identitaria. La Musica resta il mezzo più efficace per azzerare ogni coordinata spaziale e temporale.

Una particolarità, il libro ha un traghettatore di ere, un accorciatore di spazi, un paladino del virtuosismo.

Se la copertina di Pablo Ayo nel primo volume presentava i Colosseum, band seminale del mondo rock, la prima pagina tocca questa volta ad un chitarrista. Dall’immagine non è certo riconoscibile, ma la sua postura riporta ad ipotetici guitar heroes, presenti e passati.

Il suo nome è Davide Lo Surdo, ha 24 anni ed è famoso per essere il chitarrista più veloce di tutti i tempi. Non lo conoscevo e il concetto di velocità abbinato all’utilizzo della chitarra non mi ha mai interessato, ma Baiata lo intervista - e quindi possiamo estrapolarne il ritratto - e allora ho provato a cercare sue notizie, attivando il tasto “curiosità”, quello che spero useranno i giovani lettori quando leggeranno nomi come Jefferson Starship, Alice Cooper, Gentle Giant, Jim Morrison, BANCO, PFM

Ma forse basterebbe la fiducia nell’autore che, parlando di Davide, chiosa: “Personalmente, sogno di vederlo e sentirlo duettare su un palco con Pete Townshend, perché

 

Il Rock è l’essenza di più generazioni

In viaggio verso le stelle,

dove tutto è possibile.

Happy trails, folk!

 

Grazie Maurizio e… Davide, fa presto, Pete sarà longevo ma non eterno!


The Who nel 1973










mercoledì 21 giugno 2023

Il 21 giugno del 1948 nasceva il primo 33 giri della storia della musica

 

Negozio di dischi Sperati-Savona-anni'60

Il 21 giugno del 1948 nasceva il primo 33 giri della storia della musica. L'introduzione del nuovo supporto si deve al lavoro della Columbia Records che manda di fatto in pensione il vecchio 78 giri, dando il via ad un nuovo capitolo del mercato discografico, che durerà fino alla fine degli anni Ottanta.

Il 33 giri, rispetto al suo predecessore, ha una migliore qualità del vinile e durata. Sono questi i motivi che fanno sì che il nuovo supporto soppianti progressivamente il 78 giri.

Il nome del 33 giri, conosciuto anche come Long playing (Lp), deriva dal fatto che la sua velocità di rotazione è di circa 33 giri al minuto. Per la precisione 33 giri e un terzo, l'equivalente di 100 giri completi ogni tre minuti.

Ogni vinile 33 giri ha due facciate, ognuna delle quali può riprodurre fino a 30 minuti di contenuto musicale. La durata può aumentare anche fino a 40 minuti per lato, ma ciò implica una qualità sonora leggermente inferiore

Gli ingegneri della Columbia Records cominciano a lavorare al nuovo supporto a partire dal 1939, proprio con l'obiettivo di estendere la durata del vecchio 78 giri, che ha un tempo di riproduzione di massimo 20 minuti.

Lo scoppio del secondo conflitto mondiale rallenta per ovvie ragioni lo sviluppo del nuovo supporto musicale, ma la fine della guerra permette al team della Columbia Records guidato dall'ingegner Peter Carl Goldmark di risolvere le ultime criticità tecniche.

Il 33 giri viene, quindi, finalmente lanciato sul mercato segnando una svolta epocale per il mondo della musica e mandando in soffitta il 78 giri inventato nel lontano 1894. Con il nuovo supporto viene anche introdotto l'acronimo Lp (Long playing), che verrà utilizzato in futuro anche per i Cd.

La presentazione ufficiale del 33 giri va in scena il 21 giugno del 1948 presso il Waldorf Astoria Hotel di New York City. Sarà un successo che resisterà anche all'uscita del 45 giri di un anno più tardi.

La diffusione del 33 giri non verrà scalfita nemmeno dall'arrivo delle musicassette nel corso della metà degli anni Sessanta.

Nel 1978 vengono venduti in tutto il mondo circa un miliardo di dischi 33 giri. Si tratta dell'anno che segna il massimo successo di questo supporto.

L'incisione sul disco del 33 giri avviene attraverso la tecnica del microsolco che consente al supporto di contenere più informazione e, di conseguenza, prolungarne la durata. 

La riproduzione degli Lp 33 giri avviene tramite una puntina - che può essere in diamante o zaffiro - dei giradischi, che trasmette ad un complesso elettromagnetico le irregolarità del solco sul disco.

Sui 33 giri sono stati incisi alcuni dei più famosi brani nella storia della musica e successi commerciali che hanno segnato intere generazioni, come "Hot Stuff" di Donna Summer del 1979 (nella foto la copertina originale).

La diffusione su larga scala del 33 giri viene progressivamente ridimensionata dall'avvento del compact disc verso la fine degli anni Ottanta.

Gli Lp, pur non essendo più un supporto di massa, sono comunque sopravvissuti come prodotto di nicchia e da collezione per gli appassionati.