Aspettiamo gli Stones. Sul palco, per la prima volta sento i King Crimson di Robert Fripp e i Family di Roger Chapman. Ottimo, davvero un ottimo inizio. Poi arrivano loro, gli Stones, poi il discorso di Mick tutto vestito di bianco, poi i bei versi del poeta Shelley e le migliaia di farfalle che, in una nube leggera e tremolante, si alzano verso il cielo. L'emozione è forte, intensa, indimenticabile.
Athos Enrile
MUSICA... MUSICA... MUSICA... MA NON SOLO.
sabato 5 luglio 2025
Rolling Stones: il concerto di Hyde Park del 5 luglio 1969 raccontato da Michael Pergolani
Aspettiamo gli Stones. Sul palco, per la prima volta sento i King Crimson di Robert Fripp e i Family di Roger Chapman. Ottimo, davvero un ottimo inizio. Poi arrivano loro, gli Stones, poi il discorso di Mick tutto vestito di bianco, poi i bei versi del poeta Shelley e le migliaia di farfalle che, in una nube leggera e tremolante, si alzano verso il cielo. L'emozione è forte, intensa, indimenticabile.
Led Zeppelin al Vigorelli: era il 5 luglio del 1971
Un tremendissimo e sciagurato inciucio andò in onda una sera di prima estate del 1971 sul prato del glorioso Velodromo Vigorelli, aprendo e chiudendo in un amen la storia dei Led Zeppelin in Italia. Con una decisione strana e infelice, gli organizzatori del Cantagiro avevano deciso quell’anno di invitare alcune grandi star della musica internazionale al loro show nazionalpopolare: la scelta era caduta su Aretha Franklin, Donovan, Moustaki, Leo Ferrè, Charles Aznavour e, per la sola data di Milano, i Led Zeppelin. Pensavano forse di rilanciare così una manifestazione in evidente declino; in realtà andarono a cercarsi dei guai, e questo soprattutto a Milano, al Vigorelli, quando in fondo alla scaletta venne aggiunto il set dei più caldi, eccitanti re del rock di quella stagione. I 12.000 o 15.000 convenuti quella sera (a seconda delle stime) erano li tutti per il “Dirigibile”, e non avevano alcuna intenzione di sorbirsi la lunga anteprima del Cantagiro, con l’esibizione prevista di una quindicina di artisti. Si possono immaginare le reazioni del pubblico alle prime uscite sul palco: fischi, bùu, slogan sarcastici. Vista la mala parata, la maggior parte degli interpreti si rifiutò di esibirsi. Gianni Morandi tentò la sortita con una canzone “impegnata” (Al Bar si Muore), ma venne scorticato dai fischi; un po’ meglio andò ai New Trolls, considerati tollerabili cugini rock. Il problema in realtà non era sul palco, ma intorno e fuori, con un esagerato dispositivo di forze dell’ordine (2000 uomini fra polizia e carabinieri, a leggere le cronache del giorno dopo). Quella Grande Armèe doveva fronteggiare alcune decine di autoriduttori e “agitatori politici più mestatori a vario titolo”, per usare le parole del Corriere della Sera, e lo fece con grande impeto, impegnandosi con ripetute cariche e lancio di candelotti lacrimogeni mentre i manifestanti, sempre secondo il Corriere, iniziavano una fitta sassaiola, erigevano barricate di automobili nelle strade adiacenti e preparavano bombe molotov. Alle 22.40, scorciando di molto la scaletta, i Led Zeppelin salirono sul palco accolti dal boato della folla. Era fresco il ricordo del terzo album, uscito da pochi mesi, e si parlava di pezzi nuovi dal quarto, previsto per l’autunno (una di queste novità era Stairway to Heaven, regolarmente in scaletta nel tour primaverile). In un clima di palpabile tensione, la band attaccò Black Dog. Dopo una versione ridotta di Dazed And Confused, passò a I’ve Been Starting Loving You e lì si udirono distintamente dei botti violenti: non era Bonham in azione, ma la polizia che sparava fumogeni, e non fuori dal Velodromo, bensì dentro, sul prato e nei dintorni del palco (un cancello aveva ceduto sotto la pressione di una ventina di autoriduttori e gli agenti si erano lanciati con foga al loro inseguimento). Robert Plant cercò di metterla sul teatrale e invitò i ragazzi a soffiare contro quell’aria viziata, ma era vento cattivo, e non c’era nessuna risposta dylaniana che potesse aggiustare le cose. Per sedare gli spiriti, il gruppo attaccò Whole Lotta Love, in medley con il celebre assolo di Bonham, Moby Dick. A quel punto però l’aria si era fatta irrespirabile, il pubblico ondeggiava pericolosamente tra le gradinate e il prato, e il manager Peter Grant salì sul palco imponendo ai suoi ragazzi lo stop. Gli Zeppelin filarono dietro le quinte in una nuvola di gas irritante e pensarono bene di rifugiarsi in infermeria, dove si barricarono assediati da decine di persone che stazionavano intorno al palco, alla ricerca anch’essi di un riparo. Intanto i roadies cercavano di protegger l’impianto, con esiti alterni: alcuni strumenti furono danneggiati e l’addetto alla batteria di Bonham, Mick Hinton, finì all’ospedale con la testa squarciata dal lancio di una bottiglia.Il pubblico sfollò con pericolosa lentezza, lacrimando e tossendo, da una porticina di due metri per uno e venti. All’esterno impazzavano altre cariche, anche con le jeep, che si protrassero fino alla mezzanotte. Finì con il più drammatico e triste “show interruptus” della storia rock italiana. Quella stessa sera, con gli occhi ancora arrossati per i lacrimogeni, Robert Plant confessò la sua delusione ad Armando Gallo, inviato per Ciao 2001: “ Abbiamo girato mezzo mondo e non ho mai visto nulla di simile. E’ la prima volta che siamo stati costretti ad abbandonare un nostro concerto. Venendo al Vigorelli avevamo scherzato tra noi, vedendo tutte quelle forze dell’ordine: sembravano schierate più per un congresso politico che per un concerto. Ancora non capisco come possa succedere che la polizia intervenga su 10.000 persone che hanno pagato un biglietto”.
I Led Zeppelin, per inciso, non avrebbero mai più messo piede dalle nostre parti.
venerdì 4 luglio 2025
The Ramones-The Roundhouse, Londra, 4 luglio 1976
giovedì 3 luglio 2025
Il 3 luglio del '69 ci lasciava Brian Jones, un caleidoscopio di suoni, un'anima inquieta
Brian Jones sul
palco alle 4 del mattino, all'All-Nighter, Alexandra Palace, Londra, 1964
Il 3 luglio segna una data indelebile nella storia del rock: l'anniversario della prematura scomparsa di Lewis Brian Hopkins Jones, meglio noto come Brian Jones, il polistrumentista che diede vita ai Rolling Stones. La sua figura, spesso avvolta in un'aura di tragica bellezza e incomprensione, merita di essere celebrata e approfondita al di là delle semplificazioni e dei luoghi comuni.
Jones fu molto più di un semplice membro fondatore. Negli
albori della band, era lui il leader carismatico, il motore creativo,
l'innovatore musicale. Il suo talento poliedrico lo portava a padroneggiare
un'ampia gamma di strumenti: chitarra, armonica, pianoforte, mellotron, sitar,
dulcimer, marimba, fiati...
Questa versatilità gli permise di arricchire il sound dei primi Stones con sfumature blues, rock'n'roll, ma anche con influenze esotiche e sperimentazioni psichedeliche.
Chi ascolta attentamente brani come "Paint It Black"
o "Ruby Tuesday" può percepire l'impronta precisa di Jones, il
suo gusto per l'arrangiamento, la sua capacità di creare atmosfere uniche. Purtroppo, la sua parabola artistica fu tanto
fulgida quanto breve. Le tensioni
interne alla band, i problemi personali e l'abuso di sostanze lo portarono ai
margini del gruppo, fino al tragico epilogo.
La sua scomparsa, avvenuta il 3 luglio 1969, gettò un'ombra
sulla scena musicale. Appena due giorni dopo, il 5 luglio, i Rolling Stones
tennero un concerto gratuito a Hyde Park, a Londra, che si trasformò in un
tributo a Jones. Questo evento, Nato in origine per celebrare il nuovo corso
della band - con l’introduzione del nuovo chitarrista Mick Taylor - rappresentò
anche un momento di commossa memoria per il suo fondatore.
A cinquantacinque anni dalla sua scomparsa, Brian Jones
continua a essere una figura enigmatica e affascinante.
Non è questa l’occasione per ripercorrere morbosamente le
circostanze della sua morte, ma pare opportuno celebrare la sua musica, la sua
creatività, il suo spirito pionieristico.
Brian Jones è stato un caleidoscopio di suoni e colori, un
artista che ha contribuito in modo fondamentale a definire l'identità dei
Rolling Stones e a plasmare il volto della musica rock.
A distanza di decenni, la sua abilità polistrumentale e la sua visione musicale rimangono uniche...
Nel ricordo di Jim Morrison, mancato il 3 luglio del 1971
Sia i Doors superstiti che numerosi fan presenti al concerto testimoniarono di non aver visto nulla, seppure il tasso alcolico di Morrison fosse effettivamente molto alto e giustificasse un comportamento del genere, a tal punto che gli altri della band gli chiesero se fosse effettivamente in grado di salire sul palco. Quella notte Jim interruppe lo show a metà concerto e iniziò una specie di discorso contro l’autorità, rubando anche un cappello di un poliziotto per lanciarlo sulla folla. Successivamente Morrison arrivò al culmine citato. Nessuno saprà mai la verità sino in fondo, forse neanche Morrison lo sapeva. A seguito di ciò, tuttavia, Jim subì un processo e venne liberato su cauzione, ma l’immagine della band ne uscì gravemente macchiata, al punto che furono annullati tutti i concerti che i Doors avevano iniziato in quel periodo. In seguito a ciò decisero di comune accordo di non partecipare al Festival di Woodstock ritenuto dalla band uno spazio molto vasto per la loro esibizione e che diminuiva notevolmente l’energia e l’intimità che ambienti più raccolti sono invece in grado di dare !
Secondo fonti ben informate il Governatore da tempo aveva dubbi sul fatto che Morrison avesse effettivamente commesso reato e aveva in mente sin dal 2007 di concedergli la grazia, dopo che i fan si erano messi in moto per sottoporre il caso all’ufficio del Governatore.
mercoledì 2 luglio 2025
L'ultima di Ziggy Stardust: era il 3 luglio 1973
Dunque Ziggy doveva uscire di scena e, all’insaputa di tutti (tranne il manager Tony Defries e il chitarrista Mick Ronson), l’annuncio sarebbe stato dato dal palco. In un periodo in cui i gesti plateali non mancavano, una decisione tanto sorprendente, comunicata subito prima di un pezzo dal titolo emblematico quale Rock’n’Roll Suicide, era destinata a lasciare il segno: all’apice della notorietà ecco David Bowie annunciare il suo clamoroso ritiro suscitando gli stupiti “no-o-o-o!” della folla.
Ma se Bowie pensava di aver chiuso Ziggy fuori dalla porta si sbagliava di grosso: “Non mi stavo liberando di lui, anzi, mi stavo alleando con lui. Il mio doppio e io stavamo diventando una persona sola. E’ una strada che porta al caos e alla distruzione della psiche.”
martedì 1 luglio 2025
William James Dixon: l'architetto silenzioso del “Chicago Blues” e innovatore del Rock and Roll
Willie Dixon: l’indiscusso pilastro del Chicago Blues, le cui centinaia di canzoni hanno definito un genere e oltrepassato i confini, lasciando un'eredità immortale nella storia della musica
William James Dixon (1915-1992), universalmente noto come Willie Dixon, è una figura colossale nella
storia della musica americana, la cui influenza si estende ben oltre il suo
ruolo di musicista. Basso elettrico, cantante, paroliere, arrangiatore e
produttore discografico, Dixon è riconosciuto, accanto a Muddy Waters, come la
mente più influente nella formazione del suono del Chicago blues del dopoguerra
e un ponte cruciale verso l'emergente rock and roll.
Nato a Vicksburg, Mississippi, il 1° luglio 1915,
Dixon fu esposto precocemente alla musica, assorbendo le sonorità del blues
rurale e del gospel. La sua passione per le rime, ereditata dalla madre, si
manifestò presto nella scrittura di canzoni. Trasferitosi a Chicago nel 1936,
intraprese inizialmente una carriera nel pugilato, vincendo il campionato
amatoriale dei pesi massimi Golden Glove dell'Illinois. Tuttavia, la musica era
il suo vero destino. Imparò a suonare il contrabbasso e nel 1939 incontrò il
pianista Leonard "Baby Doo" Caston, con cui formò i Five Breezes e in
seguito i Big Three Trio, un gruppo che introdusse l'armonia vocale nel blues.
Il periodo più significativo della carriera di Dixon fu il
suo ruolo centrale presso la Chess Records, una delle etichette discografiche
più importanti per il blues e il rock and roll. Dal 1948 ai primi anni '60,
Dixon fu un pilastro fondamentale: suonava il basso nelle sessioni di
registrazione, arrangiava brani, produceva artisti e agiva da talent scout. Ma
il suo contributo più duraturo fu come prolifico paroliere. Dixon ha scritto o
co-scritto oltre 500 canzoni, molte delle quali sono diventate standard
intramontabili del blues. Tra le sue composizioni più celebri
figurano "Hoochie Coochie Man", "I Just Want to Make Love to
You", "Little Red Rooster", "My Babe",
"Spoonful" e "You Can't Judge a Book by the Cover". Questi brani, eseguiti da leggende
come Muddy Waters, Howlin' Wolf, Little Walter e Bo Diddley, hanno definito il
sound del Chicago blues e influenzato generazioni di musicisti in tutto il
mondo.
L'impatto di Dixon non si limitò al blues. Il suo lavoro con
artisti come Chuck Berry e Bo Diddley all'inizio degli anni '50 lo rese un
collegamento essenziale tra il blues e i primi suoni del rock and roll. Molte
delle sue canzoni furono successivamente riprese da iconici artisti rock, tra
cui i Rolling Stones, Jimi Hendrix, Led Zeppelin, Elvis Presley e gli Allman
Brothers, consolidando la sua eredità nel pantheon della musica popolare.
Negli anni successivi, Willie Dixon divenne un instancabile
ambasciatore del blues, girando il mondo con la sua band, i Chicago All-Stars.
Fu anche un fervente sostenitore dei diritti degli artisti, fondando la Blues
Heaven Foundation, un'organizzazione senza scopo di lucro dedicata a preservare
l'eredità del blues, proteggere i diritti d'autore e le royalty per gli artisti
più anziani e fornire borse di studio a giovani musicisti.
Willie Dixon è stato insignito di numerosi riconoscimenti per
il suo contributo inestimabile alla musica, tra cui l'introduzione nella Blues
Hall of Fame (1980), nella Rock and Roll Hall of Fame (1994) e nella
Songwriters Hall of Fame. La sua autobiografia, "I Am the Blues",
pubblicata nel 1989, offre una preziosa testimonianza della sua vita e della
sua visione della musica.
Willie Dixon è deceduto il 29 gennaio 1992, ma la sua musica e la sua influenza continuano a risuonare, confermando il suo status di "poeta laureato del blues" e di "padre del moderno Chicago Blues", un vero gigante la cui genialità ha plasmato il panorama musicale globale.
lunedì 30 giugno 2025
The Alice Cooper Show: era il 30 giugno del 1972
Con il singolo “School’s Out” in procinto di sbancare le classifiche britanniche, lo spaventoso spettacolo horror, con tanto di boa constrictor vivo, ghigliottina portatile e bambole decapitate, andò in scena a Londra guadagnandosi i titoli a tutta pagina dei quotidiani. Fra i presenti in sala quella sera c’era anche la giovane e accesissima fan Simone Stenfors.
domenica 29 giugno 2025
Tim Buckley: un giorno tragico, un'eredità immortale (29 giugno 1975)
Tim Buckley: il giorno in cui la musica
perse un visionario – 29 giugno 1975
Il 29 giugno 1975, il mondo della musica perse una
delle sue voci più originali e innovative: Tim
Buckley. La sua prematura scomparsa, all'età di soli 28 anni, a
causa di un'overdose di eroina e alcool, pose fine bruscamente a una carriera
in continua evoluzione, lasciando dietro di sé un'eredità complessa e
affascinante che continua a risuonare tra gli appassionati di musica a distanza
di decenni.
Nato a Washington D.C. e cresciuto in California, Buckley
emerse dalla scena folk rock della metà degli anni '60, ma la sua musica presto
trascese le etichette convenzionali. Con una gamma vocale straordinaria che
spaziava dal baritono al falsetto, e una propensione per composizioni che
sfidavano le strutture tradizionali delle canzoni, Buckley era un artista che
non temeva di esplorare i confini della forma e dell'espressione.
I suoi primi album, come l'omonimo Tim Buckley
(1966) e Goodbye and Hello (1967), lo consolidarono come un
cantautore di talento, con testi spesso poetici e introspettivi. Tuttavia, fu
con opere successive come Starsailor (1970) che Buckley si spinse
in territori più sperimentali, incorporando elementi di jazz d'avanguardia,
folk progressivo e improvvisazione vocale. Questo album, in particolare, divise
critica e pubblico al momento della sua uscita, ma è stato rivalutato nel corso
degli anni come un capolavoro audace e visionario, un testamento alla sua
volontà di non conformarsi.
La carriera di Buckley fu costellata di sperimentazioni e
cambiamenti stilistici, riflettendo la sua inesauribile ricerca artistica. Dal
folk intimista si mosse verso sonorità più rock e soul nei suoi ultimi lavori,
come Greetings from L.A. (1972) e Sefronia (1973),
dimostrando una versatilità e una curiosità musicale rare. Sebbene non abbia
mai raggiunto un vasto successo commerciale durante la sua vita, Buckley era
venerato dai suoi pari e dai critici per la sua integrità artistica e la sua
innegabile abilità vocale.
Il 29 giugno 1975, la notizia della sua morte scosse il mondo
musicale. Le circostanze della sua scomparsa, un triste epilogo per un artista
così giovane e dotato, misero in evidenza i pericoli e le pressioni spesso
associate all'industria musicale.
È passato mezzo secolo, ma l'impatto di Tim Buckley sulla
musica rimane significativo. La sua influenza può essere rintracciata in
generazioni di artisti che hanno osato spingersi oltre i confini del genere,
dall'art rock al progressive folk, fino al pop sperimentale. Suo figlio, Jeff
Buckley, avrebbe seguito le sue orme, ereditando parte del suo talento vocale e
creando una propria, seppur breve, eredità musicale, rendendo il nome Buckley
sinonimo di profondità emotiva e innovazione.
Il 29 giugno 1975 fu un giorno di lutto per la musica. Tuttavia, la ricchezza e la complessità del catalogo di Tim Buckley assicurano che la sua voce, la sua visione e il suo spirito sperimentale continuino a vivere, ispirando nuove generazioni di ascoltatori e musicisti a esplorare le infinite possibilità dell'espressione sonora. La sua musica è una testimonianza eterna di un talento indomito e di una ricerca artistica senza compromessi.