venerdì 30 ottobre 2020

The Guildmaster-"The Knight & The Ghost"


Qualsiasi derivato dei The Samurai Of Prog è per me tanta manna che piove dal cielo, perché so per certo che quando ci sono di mezzo Marco Bernard e Kimmo Pörsti (di “mestiere” rispettivamente bassista e batterista ma, ovviamente, molto di più dal punto di vista della progettazione/organizzazione) la risultante del loro lavoro cadrà sempre nel mio territorio di massimo conforto d’ascolto.

Anche in questo nuovo progetto, "The Guildmaster", troviamo parte sostanziale dei Samurai (manca solo Steve Unruh, che non compare neanche tra gli ospiti) a cui si aggiungono collaboratori abituali, come Rafael Pacha (rimando a fine articolo la lettura di tutti gli strumenti che utilizza) e il tastierista Ton Scherpenzeel.

Lunga, as usual, la lista dei partecipanti, e come nello stile TSOP si copre una buona parte di mondo, a simboleggiare che, oltre agli aspetti tecnici e artistici, la musica è un forte collante in grado di abbattere ogni tipo di barriera.

Sto continuando a citare i “Samurai”, ma è questo in effetti un progetto a sé, che spinge con forza in una direzione folk tradizionale, tanto che potrebbe essere collocato in un filone folk-prog. Il titolo del disco è "The Knight & The Ghost".

Riporto il mio commento che spedii a Bernard quando ascoltai l’album in anteprima, e devo dire che, rileggendolo, ritrovo il sunto di un pensiero che non ho modificato dopo diversi passaggi:

Ho appena finito di scrivere che “La Tierra” (album da poco uscito di Bernard e Pörsti… https://athosenrile.blogspot.com/2020/09/bernard-porsti-la-tierra.html) si scosta dai lavori precedenti di TSOP e affini, ma questo è davvero qualcosa di diverso, e i follower dei Samurai e dintorni troveranno qualche sorpresa, a mio giudizio positiva.

Amo profondamente la commistione tra folk e rock, e la contaminazione che in questo caso ne emerge autorizza ad inserire il tutto in ambito prog, ammesso che sia importante individuare una collocazione precisa.

Trovo che abbiate realizzato delle atmosfere meravigliose, almeno per i miei gusti, e nonostante il coinvolgimento di musicisti provenienti da culture differenti, suona molto british.”

Prima della mia analisi dei brani propongo il pensiero della band, l’elemento oggettivo che più conta:

"The Guildmaster" è nato come progetto paneuropeo a seguito delle conversazioni tra Kimmo Pörsti (The Samurai of Prog, Paidarion, Mist Season) e Rafael Pacha (collaboratore con TSOP, Last Knight, Circle Project e Manoel Macía), facilitate dalla collaborazione realizzata nell'ultimo album solista di Kimmo, "Wayfarer". L'idea era quella di lavorare con le lingue di diverse tradizioni popolari in un contesto progressive. Marco Bernard, (TSOP) si è unito come sempre con entusiasmo, così come Ton Scherpenzeel (Kayak, Camel) il cui ultimo album solista (The Lion's Dream) si inserisce nello spirito di questo album, "The Knight & The Ghost". Le aggiunte di Peakfiddler (Chris Perry, violino), Alessandro Di Benedetti (composizione e pianoforte), Ariana Valdivié (voce e testi), Manoel Macía (chitarra barocca), Rubén Álvarez (chitarra elettrica), Camilla Rinaldi (voce), Kristiina Poutanen (composizione), Esa Lehtinen (flauto) e Martti Törnwall (violino), hanno realizzato una mappa che dal punto di vista geografico include Finlandia, Italia, Paesi Bassi, Spagna, Regno Unito e Grecia (per l'ambiente), un esempio di quanto noi europei abbiamo in comune, compreso il linguaggio musicale. Dai primi approcci al missaggio e al mastering di questo album (di Kimmo), si contano alcuni mesi di duro lavoro, interazione e armonia tra tutti i partecipanti, alla ricerca delle differenze ma anche delle coincidenze, aventi come obiettivo il beneficio derivante dalla creazione - e successivo ascolto - della Musica di qualità.”

Come sempre parliamo di quantità, oltre che di qualità, giacché 61 minuti rappresentano una durata rilevante.

Si parte dalla breve intro di “Puppet Dance” che vede in campo i quattro titolari del progetto, e l’impatto barocco delinea quello che sarà il percorso dell’intero disco. Una gemma che esalta la commistione tra rock e musica colta, con l’elettrica di Pacha che stabilisce una sorta di continuità tra differenti spazi temporali, congiungendo epoche e immagini distanti tra loro. La titolarità del brano è di Ton Scherpenzeel.

A seguire la struggente “Saaristo”, traccia simbolo del disco. Il brano faceva parte del primo album solista di Kimmo realizzato del 1997, e ora viene proposto in una nuova veste, caratterizza da una buona modernità, ma il senso di spleen resta e permea un percorso lungo 6 minuti. “Saaristo” è una parola finlandese (da ricordare che tutto ciò che ruota attorno a Pörsti e Bernard si può considera progetto finlandese) e significa “arcipelago”, e il disegno musicale delineato utilizza la tradizione folk locale per descrivere il pensiero, le condizioni estreme e le bellezze di una terra magica. La musica è di Kristiina Poutanen, e oltre ai quattro “Guildmaster”, troviamo Martti Törnwall al violino e Esa Lehtinen al flauto: quando la musica realizza immagini concrete!

The Hare” vede i The Guildmaster integrati dalla presenza di “Peakfiddler” e del suo fiddle/violino. Altro brano strumentale che riconduce alla musica scozzese provocando nuove  immagini, questa volta “selvatiche” e agresti, mentre la didascalia del booklet evidenzia quale sia stato l’atto creativo: due cani, una foresta e una lepre molto veloce che ogni volta riesce a farla franca! La musica è di Rafael Pacha.

E arriviamo alla title track, “The Knight & The Ghost", creazione totale dell’italiano Alessandro Di Benedetti, presente nel brano alle tastiere; è il primo pezzo cantato e permette l’entrata in scena di Camilla Rinaldi.

Una seconda possibilità, che si sa già è destinata a fallire. Un fantasma che rimarrà con noi per sempre, ombra di un impossibile amore perduto…”

È il brano più lungo dell’album ed è introdotto dalla celestialità vocale della giovane Camilla, interrotta dopo un paio di minuti da un arpeggio di chitarra martellante; ma sono i cambi di ritmo e di atmosfera che caratterizzano questo brano magico, in bilico tra modus acustico e ritmico, con una qualità canora che incide con forza sulla creazione di un mood sognante e fantastico. Meraviglioso!

Stranded by the Coastè un altro strumentale firmato da Rafael Pacha:

“Dopo aver superato enormi difficoltà, resta la vita ed un futuro da affrontare… un nuovo inizio…”.

Dice la band: “Trattasi di una sorta di esercizio musicale basato su una particolare musica spagnola del 15° secolo e, nonostante le trasformazioni ritmiche e strutturali, rispetta la logica originale”.

Un pianoforte ispirato introduce una “colonna sonora” da film, perfettamente in grado di descrivere sentimenti tangibili ma che solo la musica riesce a decodificare: la delusione, la fatica, la paura e la forza per ricominciare rappresentata dalla visione di una luce oltre il tunnel.

La breve Sixes and Fiveè opera di Ton Scherpenzeel, un altro esercizio musicale che, al di là della complessa ritmica, propone un frammento gioioso che riporta indietro nel tempo e induce alla danza più tradizionale.

Altro brano strumentale di discreta lunghezza è “The Search”, ideato ancora da Pacha.

Un’altra canzone che inizia in un modo e finisce in un altro…”: come spesso capita l’idea di partenza si evolve e la musica fluisce, prendendo vie inaspettate.

Me restano immagini molto forti e precise legate al paesaggio, frammenti attraverso i quali si apre una lunga strada da percorrere, quasi sempre alla ricerca di sé stessi.

Violino in primo piano.

Con “Camino de Luzritroviamo un cantato, questa volta di Ariane Valdivié, che firma la lirica, mentre la sezione musicale è ad appannaggio di Kimmo Pörsti.

Utilizzo della lingua spagnola per un testo sentimentale e toccante.

Il pregevole “solo” di chitarra elettrica è di Rubén Álvarez.

La nona traccia è “Noughts and Crosses, altro pezzo del mosaico realizzato da Ton Scherpenzeel.

Palese la ricerca dei suoni del passato; dice a proposito l’autore: “Uno di quei pezzi strumentali che ho scritto senza un obiettivo preciso, ma che necessitavano di un titolo; ho scavato nel passato e ho trovato ciò che riflette il carattere e le atmosfere che ancora albergano nei cuori di molte persone.

Un sogno, un tuffo nel mondo antico, quello che, grazie anche alle trame sonore, resta vivido ed energico.

The Fairy Pole” (Pacha) è la decima traccia, una Polka, musica/ballo che caratterizza il folklore finlandese.

Nella profondità dei boschi, poco prima che la notte inizi, la festa incomincia, con la partecipazione di tutti i piccoli abitanti, di giorno operosi, e di notte gioiosi”.

Brano da considerarsi emblema del progetto, per la sua capacità di fondere cultura, tradizione e ritmo.

Ghost Dance/Race with the Spirits” è costruito in momenti diversi ed è la sintesi realizzata da Pörsti e Pacha.

La prima versione del brano risale al 2004 ma la chiusura del cerchio - e la piena soddisfazione di Kimmo - arriva solo con l’aggiunta molto rockeggiante creata da Rafael.

The Sun Rises Again” (Pacha) simboleggia il momento dell’anno in cui il sole, dopo un’apparente morte, illumina nuovamente la terra: è l’inizio e, al contempo, la fine di un ciclo.

Giochi ritmici complessi caratterizzano questo brano, capace di sottolineare moti tribali e ricerca della spiritualità attraverso gli insegnamenti e il rispetto della tradizione e della cultura specifica.

L’album termina con “Secret Garden” (Scherpenzeel)

Dice l’autore: “Ciò che ho descritto potrebbe riportare a un luogo fisico, dove riposare e trovare la pace alla fine di una vita di lavoro, ma per me è soprattutto un posto immaginario che risiede dentro ognuno di noi, un posto sicuro e nascosto che nessuno potrà mai violare”.

Perla magnifica, degna conclusione di un percorso che avvolge e coinvolge, se si segue la linea proposta dai The Guildmaster.

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Che dire, un altro progetto dall’elevato valore culturale, capace di regalare immagini ed emozioni attraverso il concetto di unione di forze lontane tra loro, geograficamente e culturalmente.

Sono solo due le tracce fornite di lirica, ma la musica immaginifica contenuta in "The Knight & The Ghost" riesce ad esprimere concetti ed emozioni che spesso le parole non riescono a chiarire.

Viene la voglia di viaggiare, di capire e conoscere ciò che tradizionalmente non ci appartiene, considerando spesso “nostra” la sola terra che calpestiamo quotidianamente, quella che è in realtà solo un frammento di un mondo che, in qualunque punto del pianeta, regala cose meravigliose.

La musica può aiutare in tutto questo, e i progetti di Marco Bernard e Kimmo Pörsti, oltre alla grande qualità della proposta - che produce gradevolezza di ascolto -, ci regalano l’idea di una globalizzazione reale e positiva, che potrebbe essere esempio per tutti i settori che riguardano le nostre vite.

L’artwork, come sempre insuperabile, è ancora una volta di Ed Unitsky.

Non so se questa fuga nel folklore sia da considerarsi una tantum, ma se così fosse - e mi auguro di no - l’esperimento di può considerare un reale successo.

 Songs / Tracks Listing

01. Puppet Dance (01:45)

02. Saaristo (05:59)

03. The Hare (03:04)

04. The Knight and the Ghost (09:14)

05. Stranded by the Coast (05:31)

06. Sixes and Five (01:41)

07. The Search (07:35)

08. Camino de Luz (05:33)

09. Noughts and Crosses (02:27)

10. The Fairy Pole (03:46)

11. Ghost Dance/Race with the Spirits (06:18)

12. The Sun Rises Again (05:51)

13. Secret Garden (02:58) 

Total Time 61:51 


Line-up / Musicians

- Rafael Pacha / classical, acoustic and electric guitars, recorder baroque flutes, keyboards, Venezuelan cuatro, psaltery, bouzouki, mandolin, viola da gamba, darbuka, bodhran, low & high whistles, tenor banjo, zither, metallophone, long neck satz, peñaparda style drum

- Ton Scherpenzeel / keyboards

- Marco Bernard / Shuker basses

- Kimmo Pörsti / drums & percussion

With:

- Martti Törnwall / violin

- Esa Lehtinen / flute

- Chris Perry / fiddle

- Alessandro Di Benedetti / keyboards

- Camilla Rinaldi / vocals

- Ariane Valdivié / vocals

- Rubén Álvarez / electric guitar

- Manoel Macía / baroque guitar 


Releases information

Artwork: Ed Unitsky

www.seacrestoy.com 

CD Seacrest Oy ‎- SCR-1028 (2020, Finland) 



mercoledì 28 ottobre 2020

The Equals-"Baby Come Back"


La musica della band che propongo oggi non è certamente parte dei miei ascolti giovanili, ma mi è rimasto in testa un tormentone, di quelli che proponevano alla radio in modo incessante - forse nella trasmissione “Alto Gradimento” -, quelle canzoni che, anche se non ti piacciono, ti martellano, e se è vero che prima o poi si dimenticano, al primo ritorno casuale ricominciano a  picchiare con forza, accese come un tempo. 
Oggetto del mio ricordo quotidiano è “Baby Come Back”.


In realtà la band che la proponeva era decorosa, completamente inserita nel panorama dell’epoca, con un leader che, successivamente, fece una buona carriera solista.
Scopriamo quindi qualcosa di più dei The Equals, gruppo musicale pop/reggae/rock londinese della seconda metà degli anni Sessanta, ricordati soprattutto per essere stati il primo progetto musicale di Eddy Grant, chitarrista e principale compositore del gruppo, che in seguito intraprese una carriera solista ricca di successi internazionali. Oltre a Grant, la formazione del gruppo comprendeva i gemelli Derv e Lincoln Gordon (rispettivamente cantante e chitarrista), John Hall (batterista) e Pat Lloyd (bassista).

Iniziarono a suonare a Londra nel 1965. Il nome "The Equals" ("gli uguali") fu scelto con riferimento alla composizione multirazziale del gruppo (Lloyd e Hall erano inglesi, i gemelli Gordon giamaicani, e Grant guyanese).
Nel 1966 pubblicarono il loro primo singolo, “Baby Come Back”, canzone che ebbe successo soprattutto in Germania, nei Paesi Bassi, e nel Regno Unito, dove raggiunse la prima posizione nella hit parade.


Negli anni successivi incisero numerosi altri lavori di successo, alcuni dei quali sono considerati classici del pop e sono stati riproposti in cover da diversi altri artisti.

Nel 1971 Grant ebbe seri problemi di salute, e si ritirò, trasferendosi in Guyana; in seguito, come detto, avrebbe intrapreso una carriera solista coronata da numerosi successi, fra cui “Living on the Front Line”, “Electric Avenue”, e “Gimme Hope Jo Anna”.

Gli Equals proseguirono senza Grant per diversi anni, ma non riuscirono mai a eguagliare i loro precedenti successi.

Pubblicarono il loro ultimo lavoro, “Mystic Synster”, nel 1978.


Formazione:

Derv Gordon - cantante
Lincoln Gordon - chitarra
Eddy Grant - chitarra
Pat Lloyd - basso
John Hall - batteria

Album:

Unequalled Equals (1967)
Sensational (1968)
Equals Explosion (1968)
Equals Supreme (1968)
Baby Come Back (1969)
Equals Strike Back (1969)
Equals at the Top (1970)
Equals Rock Around the Clock (1970)




martedì 20 ottobre 2020

Pearl Jam-"Gigaton"

Pearl Jam-"Gigaton"

Qualche mese fa i Pearl Jam, dopo anni di assenza discografica in studio, sono ritornati proponendo “Gigaton, l'undicesimo album, pubblicato il 27 marzo 2020.

Comunemente il termine “gigatone” è inteso come unità di misura dell'energia sviluppata dalle esplosioni nucleari, e viene quindi facile ipotizzare come questo nuovo lavoro abbia l’intenzione di sprigionare grande forza d’urto dopo un considerevole letargo.

Sette anni di vuoto sono molti in ambito di uscite discografiche costituite da inediti, soprattutto se si fa riferimento a un gruppo importante come quello dei Pearl Jam, relativamente giovane, tanto da non poter vivere dei soli splendori del passato.

Immagino che questa situazione sia stata fonte di “preoccupazione” per i fedeli seguaci della band di Seattle, perché l’ultimo decennio sembrava vissuto nel segno del rallentamento. Il precedente “Lightning Bolt”, del 2013, era ormai qualcosa da guardare in lontananza. Poco il sollievo legato al singolo del 2018, “Can't Deny Me”, così come appariva deludente la notizia che il loro ultimo tour avrebbe incluso tappe in sole quattro città del Nord America. Insomma, la band sembrava concentrata su altri progetti, ancora tutti da scoprire.

Improvvisamente una serie di misteriosi cartelloni digitali è apparsa in tutto il mondo, con la presenza di immagini della natura e un nuovo logo dei Pearl Jam in stile elettrocardiogramma, il tutto unito alla parola “Gigaton”. Ed è arrivato "Dance of the Clairvoyants", un singolo sorprendente che ha agitato le acque e dato un po' di speranza, e anche se poteva apparire come una canzone ispirata al dance-punk dei primi anni 2000, si è avuto il segnale di una potenziale nuova direzione per la band, con un'espansione sonora che incorporava maggiormente gli aspetti elettronici. 

A quel punto il dibattito si è animato: tradimento delle classiche radici rock? E ancora… la loro deflagrazione “singola” sarebbe stata rappresentativa del successivo e sperabile album? Forse la cosa più interessante e anomala era il fatto che la band pubblicava rapidamente tre video musicali inerenti allo stesso brano, una decisione bizzarra, dal momento che i Pearl Jam hanno volutamente evitato video a favore di filmati di performance dal vivo e lungometraggi sin dal 1998, quando uscì "Do the Evolution", estratto da “Yield”.

Un mese dopo "Dance of the Clairvoyants" è arrivato un altro brano, "Superblood Wolfmoon", un rock giocoso inserito in un altro video, questa volta un movie d'animazione, e il nuovo singolo sembrava rassicurare molti fan sul fatto che l'album non si sarebbe allontanato troppo dagli elementi distintivi dei Pearl Jam.

Gigaton è il primo rilascio discografico nell’era dell’odiato Trump, ma non è solo lui l’oggetto delle considerazioni di Vedder e soci.

A mio giudizio potrebbe essere il disco della “soddisfazione per tutti”: complesso e dinamico, pieno di sincere emozioni e umorismo sottile, e la sua sostanza ricorda sia “No Code”, del 1996, che “Yield”, del 1998, due album sottovalutati, che hanno però fornito slancio alla crescita della band, proiettata verso una sperimentazione in continuo incremento.

Per chi solo ora arrivasse a perlustrare il mondo dei Pearl Jam, il brano di apertura, "Who Ever Said" (con l’intervento dell’amico Pete Townshend) spiegherà essenzialmente la formula inventata per riempire gli stadi sin dagli inizi, quando esordirono con l’album “Ten”, nel 1991. Hard rock anni ’70 fuso con la morbidezza tutta “West Coast”, chitarre agguerrite, ritmica ossessiva, il tutto coperto da una forte voce baritonale. Ed un monito”, la mission di “Gigaton”: "Chiunque abbia detto che è stato già detto tutto, ha rinunciato alla soddisfazione". Eddie Vedder parla direttamente al mondo presentando l’album - e presentandosi -, un modus sia rassicurante che provocatorio. E, per fortuna, il resto dell'album mantiene in gran parte questo impegno.

Per chi invece fosse attratto dalla band per una acuta nostalgia degli anni '90, "Quick Escape"(con citazione a Freddie Mercury), quarto brano del disco, potrebbe essere ciò che serve: una grande introduzione in stile Led zeppelin e un’impennata corale che sprigiona profumo di “Seattle grunge”.

La musica è stata scritta dal bassista Jeff Ament e i testi di Vedder adottano un approccio più sofisticato al commento politico. Molte delle canzoni di Gigaton sembrano affrontare vari argomenti contemporaneamente: "Alright" è un inno di resistenza e rassicurazione di fronte alle sfide personali e/o ambientali; "Seven O'Clock" si occupa di perdita e dolore, incoraggiando gli ascoltatori a "… nuotare lateralmente rispetto alla risacca e non scoraggiarsi", mentre "Buckle Up", con le parole e la musica del chitarrista Stone Gossard, affronta direttamente il tema della morte.

Se poi si è un super fan dei PJ, “Gigaton” è pieno di regali. In "Never Destination" Vedder fa riferimento al protagonista del libro di Sean Penn, “Bob Honey Who Just Do Stuff” (dove l’autore se la prende praticamente con l'intera scena politica e sociale del proprio paese) , mentre “Take the Long Way” è stata scritta e cantata dal batterista Matt Cameron e presenta la prima voce femminile in qualsiasi versione ufficiale dei Pearl Jam (accreditata a Meagan Grandall, alias Lemolo). Il nuovo produttore Josh Evans, oltre ad aver co-progettato l’album, dà segno della sua bravura alle tastiere, mentre l’antico Brendan O'Brien è presente in alcune tracce, e la sua mano si sente soprattutto in “Retrograde”, scritto dal chitarrista Mike McCready, ma solo Evans (insieme alla band) è accreditato come produttore. È il suo primo grande album in quel ruolo e, a detta di tutti, è riuscito a creare qualcosa di davvero convincente.

Un lavoro pregevole, adatto al generico e trasversale pubblico tendente al rock, anche se quando si parla di Pearl Jam l’ambiente più consono appare uno solo, il palco, cioè quello che mancherà ancora per molto tempo.

La band sta per intraprendere un vero e proprio tour mondiale (che è ovviamente in fase di riprogrammazione sulla scia di COVID-19), e molte delle canzoni dell’album aggiungeranno nuova linfa ai loro già epici spettacoli dal vivo. Tra le varie sedi una è davvero speciale, l’Ohana Music Festival, curato come sempre da Eddie Vedder, un po' come giocare in casa… nella speranza che a settembre l’emergenza sanitaria sia passata, ma realisticamente, per un po' di tempo, dovremo accontentarci della musica, anche quella dei Pearl Jam, ascoltata all’interno delle nostre case!

Godiamoci quindi l’energia di “Gigaton”!


Tracklist:

Who Ever Said – 5:11

Superblood Wolfmoon – 3:49

Dance of the Clairvoyants – 4:26

Quick Escape – 4:47

Alright – 3:44

Seven O'Clock – 6:14

Never Destination – 4:17

Take the Long Way – 3:42

Buckle Up – 3:37

Comes Then Goes – 6:02

Retrograde – 5:22

River Cross – 5:53


Lineup:

Eddie Vedder – voce, chitarra, tastiere

Stone Gossard – chitarra, basso, percussioni, tastiere su Retrograde

Mike McCready – chitarra, percussioni, tastiere

Jeff Ament – basso, chitarra e tastiere

Matt Cameron – batteria, percussioni, chitarra


lunedì 19 ottobre 2020

Jethro Tull-Crest of a Knave


Jethro Tull-Crest of a Knave
Chrysalis-1987

Crest of a Knave è considerato dai seguaci dei Jethro Tull come l’album della rinascita, arrivato a tre anni dal precedente “Under Wraps”, culmine dell’innamoramento elettronico di Ian Anderson, influenzato dalla presenza del compositore Peter-John Vettese.

È un “punto e a capo” che passa attraverso una diversa line up, che vede oltre al sacro vate Ian - è lui che nell’occasione si occupa della parte tastieristica - e all’immancabile Martin Barre alla chitarra, Dave Pegg al basso e il doppio drummer, con l’esperto “fairportiano” Gerry Conway pronto ad alternarsi con il giovane americano Doane Perry, futura colonna portante dei Tull per il ventennio a seguire. Da segnalare la presenza di Ric Sanders al violino nel lungo “Budapest”, il brano più amato da Anderson. In realtà lo stacco rispetto al passato lascia alcuni strascichi di rigidità tecnologica - “Steel Monkey” e “Dogs In The Midwinter” -, ma è indubbio il cambio di direzione, o meglio, un ritorno al suono caratteristico della band, dove l’elemento acustico prevale in ogni contesto. Il brano di maggior visibilità è “Said She Was a Dancer”, aiutato da un video che leva ogni dubbio sul vocalist: è Ian Anderson e non Mark Knopfler!

Se “Raising Steam” profuma ancora di corso precedente, l’equilibrio - e il nuovo orizzonte - si ristabilisce con la bellissima “Farm on the Freeway”, la dinamica “Jump Start”, la drammaticità atmosferica di “Mountain Men” e la compassata e affascinante “The Waking Edge”. Le liriche di Anderson sono lo specchio delle riflessioni derivanti dal suo momentaneo allontanamento dalla scena, immerso nel lavoro “industriale”, giorni in cui è stato più facile, forse, pensare alle diversità sociali e agli aspetti ambientali del mondo contemporaneo.

Una curiosità, nel 1989 il disco vinse sorprendentemente il Grammy Award per il miglior prodotto hard rock/heavy metal davanti a nomi più autorevoli nel genere: i fans dei Metallica non gradirono la scelta! 




mercoledì 14 ottobre 2020

Il Baricentro


Il Baricentro fu un gruppo originario di Monopoli (Bari) formato da Francesco Boccuzzi (tastiere, chitarra, percussioni), Vanni Boccuzzi (tastiere, percussioni), Tonio Napolitano (basso, percussioni) e Piero Mangini (batteria, percussioni).

Derivato dalle ceneri dei Festa Mobile la band, attiva nella zona di Roma, scelse uno stile molto diverso dal precedente, concentrandosi su un jazz-rock strumentale, genere molto diffuso in Italia nella seconda metà degli anni '70. 
Il nome faceva riferimento alla zona cittadina di provenienza dei fratelli Boccuzzi.

Dopo aver pubblicato due album per conto della EMI nel 1976 e 1978, il gruppo si sciolse.
Si riformò per poco tempo, nel 1983, producendo il singolo pop, “Tittle tattle”, che riscosse un grande successo negli Stati Uniti, in Europa (Germania, Austria, Svizzera, Finlandia, Irlanda) e in Cina (Hong Kong).

I due dischi furono pubblicati sotto forma di LP, dalla etichetta EMI Italiana.
Entrambi mostrano forti influenze derivanti da gruppi come Weather Report o Mahavishnu Orchestra, insieme ad elementi tipicamente mediterranei, più evidenti in “Trusciant”.


Il primo album, “Sconcerto”, contiene un brano, “Della Venis”, che riprende il nome del primo gruppo dei fratelli Boccuzzi.

I fratelli Boccuzzi rimasero nell'ambito musicale, suonando ancora in studio, Francesco negli Stati Uniti e Vanni a Roma. Tra le altre cose composero la colonna sonora per l'opera rock teatrale “Androidi”, diretta da Ida Mastromarino (pubblicata su LP nel 1989 dalla Ricordi International).

Entrambi gli album del Baricentro sono comuni ed economici. Sono stati pubblicati anche in altri paesi, tra cui Canada e Portogallo ed entrambi ristampati in vinile colorato dalla BTF nel 2018.
I singoli sono più difficili da trovare.


Discografia:

Sconcerto (1976)
Trusciant (1978)
Tittle tattle (1983) - singolo

giovedì 8 ottobre 2020

ALTARE THOTEMICO - “SELFIE ERGO SUM”


ALTARE THOTEMICO - “SELFIE ERGO SUM”

CD & Digitale

Ma.Ra.Cash Records


Gianni Venturi propone l’evoluzione di uno dei suoi tanti progetti, gli Altare Thotemico, band che raggiunge il traguardo del terzo album, intitolato “Selfie Ergo Sum”, denominazione che rappresenta un’estrema ed efficace sintesi dei contenuti che si dipanano nei nove episodi proposti.

La musica del gruppo ha subito nel tempo normali mutazioni, sia dal punto di vista musicale - i cambiamenti alla line up hanno inciso in modo sostanziale - sia da quello della narrazione, poiché l'uomo, e le situazioni a lui correlate, presentano una progressione dalla rapidità spaventosa, il che richiede uno stare al passo con i tempi, pur mantenendo fede ai saldi principi di una vita, continuando l’intensa opera di ricerca e utilizzando le arti conosciute per dare un contributo all’improvement generale.

Venturi non si nasconde mai e regala il proprio pensiero che, trasposto in musica, diventa un urlo a tratti lacerante, una denuncia pesantissima che non credo possa trovare obiezione, almeno non tra quelli che posseggono onestà intellettuale, intelligenza basica e sentimenti virtuosi.

È questa l’epoca in cui l’apparire è percepito dalla massa come più importante dell’essere, dove il visual predomina, e dove è palesemente in atto la ribellione di una terra che ci rende con gli interessi il conto della nostra indifferenza/cattiveria nei suoi confronti.

Altare Thotemico prova a scrivere un percorso sonoro e lirico che cercherò di delineare in modo conciso, fornendo tutti gli elementi che possano indurre all’approfondimento, e l’intervista finale che il leader del gruppo mi ha rilasciato aiuterà a comprendere l’anima del disco.

Per chi non avesse mai sentito gli Altare Thotemico sottolineo come sin dall’inizio siano stati etichettati come gruppo prog, ma anche guardando agli aspetti meramente musicali il volto attuale non è quello degli esordi, e come dichiara Venturi: “… da un jazz rock progressivo si è passati ad una sorta di prog tribale e pshichedelico, che strizza l’occhio al passato, ma si veste con abiti nuovi…”.

L’album si apre con Non in mio nome, un brano che prende le distanze rispetto al delirio della guerra e le giustificazioni che la alimentano.

La voce di Venturi esprime una forte drammaticità, disegnando atmosfere distopiche alimentate dalle divagazioni solistiche dell’elettrica e da giri di basso compulsivi e coinvolgenti, accompagnati a tratti da aspetti corali dal sapore aulico: “… senza conflitto non c’è profitto… ma basta dire no… non in mio nome…".

Game Overè un rock molto tirato caratterizzato inizialmente dal synth della new entry Marika Pontegavelli, che si propone in modo convincente anche nel duetto vocale con Venturi; pregevole la creazione di un’atmosfera molto dark a cui contribuisce l’utilizzo sapiente del sax: “ … non c’è più tempo, the time is over…”. Siamo arrivati al punto di non ritorno?

Schopenhauercontiene l’anima del disco. Dice Venturi: Le tre partizioni dell’essere vivo: quello che hai, ciò che sei e quel che appari”; è racchiuso in queste parole il significato del terzo lavoro degli Altare Thotemico…”.

Per mettere in musica questo assioma pesante come un macigno gli AT utilizzano giochi vocali e aspetti sonori sperimentali decisamente psichedelici. A metà traccia un piano dal sapore floydiano introduce il solo drammatico di Venturi, con un crescendo che riporta ai ritmi e ai concetti ipnotici di Hammill ai tempi dei VdGG: “… la felicità è in noi e non nelle cose, l’invidia è una caratteristica innata nell’uomo, tuttavia è un vizio e al tempo stesso una malattia, la paura è una malattia, striscia nell’anima di chi la prova…”.

Madre Terrapermette all’autore di ritornare alle origini, facendo opera di tragica comparazione. Il lungo intermezzo chitarristico distorto disegna il concetto di entropia, di caos, di situazione di disagio: “... che avete fatto della madre terra, grida lo specchio santo, che avete fatto della madre grida lo specchio rotto…”.

Eppure c’è stato un tempo in cui “... la terra era buona ed avvolgente…”.

Ologramma Vivomette ancora in evidenza la qualità del sassofonista Emiliano Vernizzi - che ricorda il miglior David Jackson - e dal lancinante inizio si passa con buon trasformismo ad un finale dal tratto jazzato: “… sono un ologramma vivo, non conosco la morte e lei non mi conosce…”.

Luce Biancapresenta un incedere dal sapore tribale che accompagna per tutto il tempo la poesia di Venturi, a tratti criptica, e ciò permette di lasciare margine all’interattività con l’ascoltatore, che in questo modo può appropriarsi del brano e rimodellarlo a propria immagine e somiglianza: “sale il grido dei bambini, dei bambini vestiti di mare, il sale che sgretola la pelle…”.

Selfie Ergo Sum”, la title track, propone un’ambientazione “magica”, fatta di voci rarefatte e controvoci, di ombre e sonorità ipnotiche… e per l’aspetto ritmico… chi ricorda il brano “Lost”?

Il topic si rifà al concetto di apparenza a tutti i costi come obiettivo del quotidiano, con l’illusione del raggiungimento di una qualche effimera felicità: “… sveglia, uscire a lavorare, produrre e migliorare, consumare, far carriera, essere in tanti, amarsi se c’è tempo…”.

Parte finale musicalmente pazzesca!

Bianco Orso: dopo la durezza musicale di “Selfie…” planiamo nella delicatezza rappresentata dal duetto vocale tra Venturi e la Pontegavelli, puntellato da un pianoforte dal riff ripetitivo, ma l’argomento è ancora una vota di quelli tosti, con al centro la salvezza del nostro pianeta, tra ecologia e rispetto dell’ambiente: “… gli animali muoiono, le fabbriche inquinano, tutto è scadente…”.

Conclude l’albumPoesia Crepuscolare”, un pianoforte e voci di gran classe, toni tenui e smorzati, una vena malinconica per portare a termine un percorso artistico che, ne sono certo, ha creato nel suo iter creativo il dolore legato alla consapevolezza e, probabilmente, al senso di impotenza con cui tutti devono fare i conti oggigiorno: “… quando gli angeli sognano la poesia, l’anima assolata coglie i versi nel giorno del risveglio…”.


C’è stato il tempo del rock, nella sua più ampia accezione, in cui il messaggio era trascurato, e la voce uno strumento da esibire, e nelle diramazioni più sofisticate hanno trovato spazio spiritualità e aspetti favolistici.

C’è stato poi un altro tempo, quello legato al cantautorato, in cui la lirica era predominante, e gli aspetti musicali un mero accompagnamento utile a evidenziare le tematiche sociali e politiche.

Nella proposta di Altare Thotemico, in particolare in questa nuova configurazione, trovo ciò che più amo nella musica, sia dal punto di vista ritmico che della ricerca sonora, tra virtuosismo tecnico e capacità di creare atmosfere complicate e mood che combaciano con gli argomenti trattati. E se a tutto questo si unisce l’importanza dei messaggi ecco nascere un album che può realmente mettere tutti d’accordo… almeno le anime sensibili e virtuose.

Personalmente inserirei a pieno titolo “Selfie Ergo Sum” nella casella dei migliori album del 2020... album prog, of course!


QUALCHE CHIACCHIERA CON GIANNI VENTURI

Altare Thotemico arriva al terzo album dal titolo significativo, "Selfie Ergo Sum": mi racconti qualcosa sui contenuti?

Stiamo vivendo in una società distopica, ipotizzata da Orwell, da Huxley, l’apparire diviene una costante, se non appari non sei, avvinghiati ad algoritmi che succhiano la vita. Non è un problema solo dei social, oggi è nata una nuova professione, l’influencer, che ci dice cosa fare e come. Siamo passati da umani a numeri, codici a barre, consumatori consumabili. Lo so la musica non cambia nulla, ma io ricordo quando la poesia scuoteva l’entropia! Siamo solo ospiti su questa terra, e nemmeno troppo graditi visto il comportamento, solo un ritorno alla terra, alle cose della terra, potrà salvare sia lei che noi. In questo disco non c’è politica, ma l’esigenza di far riemergere il senso mistico della divina bellezza, la capacità di riconoscerla, l’essere prima dell’apparire. “Le tre partizioni dell’essere vivo, quello che hai, ciò che sei quel che appari!” Schopenhauer.

Dal punto di vista musicale mi pare siamo di fronte ad una evoluzione, ad un cambiamento rispetto al passato: mi sbaglio?

Siamo passati da un jazz rock potente ad un rock psichedelico, anche se la matrice creativa è la stessa: cercare il futuro con un occhio al passato. Attenti al senso vero della progressione musicale e poetica.

Esiste un fil rouge che lega il nuovo progetto con l’omonimo album di esordio e con "Sogno errando"?

Proprio il brano “Sogno errando” parla della password per entrare nella mia vita, il senso poetico di “Selfie ergo sum”, comincia da lì. Ovviamente scrivendo i testi racconto storie che legano tutti i dischi in cui lavoro. Musicalmente posso affermare che la follia, la psichedelia, la volontà improvvisativa, e il non porsi limiti di lunghezza, di mercato. Un filo poetico sia letterale e musicale che credo sia la costante Thotemica.

Mi racconti qualcosa sulle modifiche alla formazione e su come i nuovi innesti abbiano inciso nel nuovo lavoro?

La formazione si è stravolta, cominciando da Marika Pontegavelli, pianista eccelsa e voce portante, senza l’impeto di Leonardo Caligiuri, ma con una ricerca armonica e melodica intensa e avvinghiante. Poi Agostino Raimo, chitarrista poliedrico e talentuoso, gli Altare non volevano la chitarra, ma dopo avere conosciuto Ago è stato facile convincermi; certo si capiscono i suoi ascolti, passa tranquillamente da Iron maiden a Pink floyd. Ha 26 anni, ma anima antica. Ago si è occupato anche del mix del disco, volevamo una mente giovane. Filippo Lambertucci alla batteria, 23 anni, ha la mia stessa ricerca, musicalmente ama i Tool, ma ascolta tutto, viene dal jazz, ma sa pestare all’occorrenza. E infine Un bassista nuovo, dopo tanti anni di collaborazione con mio fratello Valerio Venturi, non è stato facile. Valerio ha fatto altre scelte. Ma Giorgio Santisi al basso, quasi vecchio come me, è stata una piacevole sorpresa, sia tecnica che umana; bassista equilibrato, sa tenere il tempo, ma gioca con le armonie, non semplice strumento d’accompagnamento, ma protagonista armonico e melodico. Band giovane che mi ha strappato dallo stomaco il Rock che dormiva, sono molto contento di suonare con questi “cinni”! Posso affermare senza falsa modestia, che live siamo devastanti, anzi loro lo sono, io sono sempre lo stesso pazzo che gioca con la voce e le parole.

Realizzare un “j’accuse” musicale è cosa pregevole, e comportarsi in maniera corretta è salutare per le nostre coscienze, ma come può aiutare concretamente l’arte in genere - quindi non solo la musica - nel realizzare un modello culturale adeguato?

Domanda che mi pongo spesso, a volte mi deprime l’idea dell’inutilità del gesto creativo, in un mondo distonico che nulla vede ne sente che non sia accattivante sui social. Poi penso alle grandi rivoluzioni dell’arte, potrei partire da molto lontano, ma mi basta ricordare la beat generation, i movimenti del ‘68 e del ‘77 seguivano colonne sonore di grandi artisti impegnati nel sociale. L’arte non è solo importante, è indispensabile, contiene, se creata con anima, il seme di ogni rivoluzione. Se non oggi domani! L’arte è svincolata dal creatore, poiché io che creo domani non ci sarò più, ma quello che canto resterà da qualche parte, e magari tra qualche anno ispirerà anime cercanti. Io scrivo, è appena uscito un mio volume di poesie “21 grammi di solitudine”, e posso affermare che la poesia è utile quanto il pane, poiché si tratta del pane dell’anima. E ci sono molti più ragazzi di quello che si può pensare che la cercano, si sforzano di entrare nel verso. Preferisco non vendere dischi, ma creare opere che lascino un segno anche solo in un ascoltatore. Infine, sì l’arte è indispensabile per creare un modello culturale.

Come, quando e in che formato verrà distribuito "Selfie Ergo Sum"?

Esce con la MA.RA.CASH il 30 settembre, sarà in tutti gli store digitali, lo si potrà trovare da Feltrinelli e nei migliori negozi di dischi, o venendoci a sentire in concerto!

Avete pianificato qualche presentazione o live, in un momento non certo propizio per la socializzazione?

Ora è veramente dura, ma ad ottobre lo presenteremo al Lokomotiv di Bologna, e spero in tanti altri posti, c’è chi sta lavorando per noi.

Grazie.

Grazie a te e a voi che date sempre spazio all’arte, siete importanti!


BRANI:

1. Non in mio nome 05:18

2. Game Over 05:09

3. Schopenhauer 09:00

4. Madre Terra 04:57

5. Ologramma Vivo 07:14

6. Luce Bianca 05:06

7. Selfie Ergo Sum 08:32

8. Bianco Orso 05:36

9. Poesia Crepuscolare 04:44


FORMAZIONE

Gianni Venturi - voce e testi

Marika Pontegavelli - Piano sinth e voci

Agostino Raimo - Chitarre

Giorgio Santisi - Basso

Filippo Lambertucci - Batteria e percussioni


Special guest Emiliano Vernizzi - Sax

Matteo Pontegavelli - Tromba

Gigi Cavalli Cocchi – Grafica

Link: https://www.facebook.com/altarethotemico/

https://www.altarethotemico.it


ASCOLTO

BANDCAMP


Discografia Altare Thotemico

1 "Altare Thotemico"

2 "Sogno errando"

3 " Selfie Ergo Sum"