mercoledì 20 settembre 2017

Tazebao-“ Opium Populi”


Tazebao-“ Opium Populi”

Ma. Ra. Cash Records


Il progetto Tazebao esordisce discograficamente con l’album “Opium Populi”… fresco fresco di uscita! Ma se di start si tratta, non sono certo dei pivelli i componenti della band, nomi conosciuti che si scoprono leggendo l’articolo.

Per iniziare col piede giusto ho chiesto al vocalist del gruppo il suo pensiero preliminare, e Gianni Venturi ha risposto così: Si tratta di un concept album dedicato ad un eresia storica, la più importante per la quale è stata creata l'inquisizione. Eventi che hanno sconvolto la storia europea e rallentato di almeno 500 anni il percorso umano. Siccome tratta d'intolleranza e follia religiosa, di sopraffazione, crediamo sia attualissimo argomento.
Il progetto nasce dal mio incontro con Gigi Cavalli Cocchi. Da tempo pensavamo di costruire qualcosa insieme, e visto che tanta musica avevamo già suonato, ho proposto a Gigi un concept album, che trattasse dell’argomento cardine della sua vita. Il Catarismo!
Da pochi anni si tratta lucidamente di quel periodo meraviglioso rabbuiato dalla follia dell’inquisizione, nata proprio per scardinare un movimento spirituale evoluto che aveva contribuito a iniziare quello che veniva chiamato Rinascimento, già nel 1180 in Francia del sud! Considerato il nostro momento storico, straziato da follie religiose d’ogni genere, cupo come una sorta di nuovo medioevo, l’argomento “Catarismo” non è così lontano o demodé, ma attuale. Come diceva Goethe, il futuro si costruisce con elementi del passato! Ma occorre conoscere il passato”.

Roba tosta! Da incuriosire ogni buon proghettaro…. sì, visto l’argomento e i personaggi viene facile -  e comodo - inserire Tazebao nel filone prog… forse con un po’ di forzatura, ma gli ingredienti ci sono tutti, a partire dall’idea di concept: pensando al periodo trattato, il Medio Evo, si può fantasticare e immaginare storie e copertine fiabesche che tanto si presterebbero all’occasione. Ma ciò che si affronta è estremamente serio, e preoccupante aggiungo, vista l’attualità dei concetti espressi.
Il Catarismo di cui parla Venturi nasce in Francia e si espande rapidamente in Europa, rappresentando una reazione legittima alle contraddizioni delle Chiesa Cattolica, ai suoi comportamenti opposti a quanto predicato nei sacri testi, un potente movimento eretico diventato una seria minaccia alla sopravvivenza della Chiesa Cattolica: cosa fare per debellarlo? Soffocarlo, annientarlo. Esiste molta differenza tra il genocidio dei Catari e i massacri di innocenti a cui si assiste quotidianamente, in nome di una religione?
Carlo Marx ci dà la sua chiave di lettura, ripresa dai Tazebao nel loro album: la religione è l’oppio del popolo, una droga che stordisce e fornisce un piacere compensativo, una soddisfazione apparente capace di far accettare e sopportare una condizione di “alienazione” che, senza un Dio in cui credere, risulterebbe insopportabile.
Ora… immaginiamo la traduzione di tutto in questo in musica ad opera di un ensemble che presenta una forte matrice culturale, ed esercita un ruolo di spiccata denuncia attraverso modalità ambiziose, unendo l’arte della scrittura alla sapienza nella costruzione armonica, mettendo in scena l’arte attorica miscelata a un sano rock e a qualche tempo composto: i Tazebao mi appaiono tutto questo, e alla fine si fa fatica a capire se è la musica che favorisce la fuoriuscita dei concetti o sono le liriche stesse a chiamare verso di esse le trame e le armonie corrette. Resta il fatto che il risultato è di primo livello.
Un esempio della forza del “Tazebao pensiero” arriva dal testo della title track:

Il cuore è largo
troppo spazio nel rifugio
grande è la forza
del libero pensiero
Taci e osserva la voce
Il grido della quiete
Come l’onda respiro partecipare
E partecipare alla grande rivoluzione dell’anima che si espande
che accarezza l’universo lieve
Contieniti mio cuore attraente

Vale la pena sottolineare che si tratta di un disco molto moderno anche negli aspetti musicali, con situazioni ritmate e utilizzo di tecnologia, e con una buona predisposizione agli aspetti visual, come testimonia il video ufficiale, quello di “Ecce Homo”:


Tutto ciò per rimarcare che i Tazebao, nel loro sforzo quasi… didattico, sono riusciti a creare un album che sfugge al concetto di “musica per una nicchia”, e permette di sconfinare in un ascolto  a tratti soft, con qualche tormentone che non lascia indifferenti.

L’album si può ascoltare in streaming al seguente link 

Concludo con un ultimo pensiero della band: “Un progetto culturalmente ambizioso,  ma di certo affascinate, all’interno racchiude le esperienze di tutti i musicisti che ci lavorano, creando una sorta di passato/futuro nei suoni. Una grande propensione in avanti, con uno sguardo attento al passato”.

Grande esordio, disco di elevato spessore, musica per tutti.

Tracklist 

1.      La Dame Blanche1:03

2.      2. Caedite 4:06

3.      3. Ecce Homo 4:50

4.      4. Opium Populi 3:53

5.      5. L'inquisitore 5:04

6.      6. Occitania 6:21

7.      7. Omnia Munda Mundis 5:52

8.      8. Reincarnazione 5:40

9.      9. Rex Mundi 5:24

10. 10. La Via Catara 5:12



I Tazebao sono:

Gigi Cavalli Cocchi (ex C.S.I. – ritmiche acustiche ed elettriche, voce)
Gianni Venturi (Altare Thotemico,Vuoto Pneumatico, Lucien Morreau&Gianni Venturi – voce solista e testi) 
Valerio Venturi (basso e voce)
Luigi Cassarini (tastiere e sequenze)
Nik Soric (chitarre elettriche e acustiche – Lady Godiva, Mauro “Pat” Patelli Band, Salvatore “Salva” Cafiero)



lunedì 18 settembre 2017

ALICE TAMBOURINE LOVER live: resoconto del concerto al Beer Room


La recente serata al Beer Room di Pontinvrea -15 settembre -, nell’entroterra savonese, mi ha permesso di scoprire qualcosa che non conoscevo, nel senso dell’accostamento dei generi, ovvero… prendi qualcosa di consolidato, mettilo assieme, miscelalo, e ti verrà restituito qualcosa di fresco ed inusuale. Ovviamente non accade sempre così!
Davide Pansolin, al vertice dell’associazione culturale VINCEBUS ERUPTUM, propone sempre novità interessanti all’interno del filone che più ama, quello della psichedelia.
In questo caso era di scena un duo, uomo e donna, compagni sul palco e nella vita: Alice Albertazzi e Gianfranco Romanelli, gli ALICE  TAMBOURINE LOVER.
Andando a ritroso, spinto dalla solita curiosità musicale, sono approdato agli ALix, band atipica in ambito rock blues che ha lasciato in eredità ben cinque album, e dalla cui ceneri è nata una nuova entità, minimalista solo apparentemente, perché ciò che riescono a produrre copre ogni possibile spazio, e mi riferisco ovviamente alla fase live, quella dove la presa diretta, almeno in questo caso, non presenta compensazioni tecnologiche.

Alice è ”the voice” e, volendo fare accostamenti facili e roboanti, mi è venuto naturale - visto il contesto e il genere - immaginarla nelle vesti di Grace Slick, perché esiste anche una vaga somiglianza fisica. E poi la voce è straordinaria! Ma non basta, Alice suona la chitarra e utilizza incessantemente il metronomo dell’ensemble, quel tamburello usato manualmente ai tempi di ALix e ora comandato… con il piede destro.
Gianfranco non ha il permesso di cantare - così lui racconta scherzosamente a fine concerto - ma si dedica a chitarra e dobro, con una discreta pedaliera effettistica che potrebbe sembrare minimalista se la si comparasse a quella di certi aspiranti guitar hero odierni, ma sicuramente ridondante se si fa riferimento al blues.

Ma che tipo di musica salta fuori dal mix a cui facevo accenno?
Beh, il rock blues è il punto di partenza, ma i due artisti bolognesi devono aver fatto incetta di elementi psichedelici, assorbendo quintalate di album di Grateful Dead e Doors, con un pizzico di follia canterburyana riconducibile al mondo di Daevid Allen.
Musica in loop, a tratti ipnotica, con ricerca di sonorità e distorsioni naturali, con un discreto spazio per l’aspetto visual ma con tanta sostanza, un blues a tratti “acido”, la cui voluta ruvidità è addolcita dalle trame vocali che caratterizzano ogni brano.
E’ questa la novità di cui parlavo, una dilatazione di qualcosa di radicato nel tessuto culturale comune a cui si applicano i canoni della trasgressione e del viaggio mentale e musicale, e quando tutto questo lo si riesce a portare su di un palco, e viene percepito dall’audience, nasce una sorta di magia che avvolge i presenti, e il rapporto tra pubblico e musicisti diventa osmotico, con l’instaurarsi di un dialogo reciproco, tacito ma percepito chiaramente.
Gli ALICE  TAMBOURINE LOVER - la cui discografia conta il rilascio di tre album, dal 2011 ad oggi - suonano per poco più di un’ora ma al momento del commiato la richiesta del bis diventa qualcosa di più di un atto dovuto, e si aggiungono così altri due canzoni.

Bravi, molto bravi, e per chi volesse approfondire indico lo loro pagina facebook e un medley della loro performance...



domenica 17 settembre 2017

Steve Winwood-“Winwood: Greatest Hits Live”


Il leggendario Steve Winwood - cantante, polistrumentista e produttore, ha rilasciato il 1 settembre “Winwood: Greatest Hits Live”, il suo primo album live come solista. 
Sarà disponibile nel formato 2CD / 4LP e il kit in vinile includerà anche la possibilità del download digitale.

Winwood: Greatest Hits Live” è una raccolta di canzoni provenienti dagli archivi personali di Winwood, una scelta tra i suoi tanti spettacoli dal vivo. Sono 23 le canzoni selezionate da Winwood, le più amate, e permettono di offrire ai fan un ritratto musicale definitivo che racchiude 50 anni di attività. 

Dice Steve: "Sono entusiasta del progetto perché è il sunto delle registrazioni effettuate nei molti anni di attività, ed evoca molti ricordi, sia delle performance che delle reazioni suscitate nei fan che mi hanno sempre sostenuto. Penso possa essere considerato anche un tributo ai membri della band e all'equipaggio che ho avuto fortuna di avere con me sulla mia lunga strada. Le canzoni sono state scelte tra quelle che hanno avuto più riconoscimenti emotivi, e quindi spero che il disco possa riportare gli ascoltatori a momenti felici vissuti durante uno dei miei spettacoli”. 

Il pacchetto intero del gatefold - 2CD / 4LP - presenta materiale raro e inedito che tocca tutti gli aspetti del vasto catalogo di Winwood, inclusi gli arrangiamenti contemporanei della musica creata con lo Spencer Davis Group, Traffic, Blind Faith, e le sue registrazioni classiche. R & B, Jazz, Funk, Folk, Classic Rock, Pop e Afro-Caraibi e ritmi brasiliani, evidenziano la capacità unica di Winwood di fondere più generi in un'espressione musicale singolare e coesa, ed emergono le sue enormi capacita di strumentista poliedrico. 

Tra i brani troviamo “Gimme Some Lovin’”, “Back In The High Life Again”, “Can’t Find My Way Home”, “Arc Of A Diver”, “Higher Love”, “Roll With It”, “While You See A Chance”, “Dear Mr. Fantasy”, and “The Low Spark Of High Heeled Boys“, canzoni senza tempo.

 Per più di cinque decenni e con oltre 50 milioni di dischi venduti - iniziò all’età di 15 anni -, la figura di Steve Winwood resta primaria nel mondo del Rock 'n' Roll, un innovatore che ha creato alcuni dei più celebri successi del genere, e le sue abilità come compositore, vocalist e polistrumentista lo hanno reso uno degli artisti più stimati in assoluto. Winwood, considerato tra i più grandi cantanti di tutti i tempi, è anche un pluridecorato, tra Grammy Award, dottorati e comparsate al cospetto della Regina Elisabetta e di Obama, senza considerare il suo inserimento - con i Traffic - nella Rock and Roll Hall of Fame. Ma lui prosegue il suo cammino senza esitazione, continuando a creare musica, nuova e coinvolgente, conscio di essere uno degli artisti più importanti e influenti di tutta la musica popolare.


Winwood: Greatest Hits Live
CD1
1. I’m A Man
2. Them Changes
3. Fly
4. Can’t Find My Way Home
5. Had To Cry Today
6. Low Spark of High Heeled Boys
7. Empty Pages
8. Back In The High Life Again
9. Higher Love
10. Dear Mr Fantasy
11. Gimme Some Lovin’
CD2
1. Rainmaker
2. Pearly Queen
3. Glad
4. Why Can’t We Live Together
5. 40,000 Headmen
6. Walking In The Wind
7. Medicated Goo
8. John Barleycorn
9. While You See A Chance
10 Arc Of A Diver
11 Freedom Overspill
12 Roll With It

mercoledì 13 settembre 2017

Marillon in avvicinamento...


Tra circa un mese i Marillion faranno tappa a Milano, seconda data italiana del loro tour mondiale: un po’ di storia…

Marillion nascono nel 1978 ad Aylesbury – Gran Bretagna - e s’ispirano subito ai grandi gruppi progressive degli anni settanta ed in particolar modo ai Pink Floyd, Jethro Tull, Yes e primi Genesis. Hanno all’attivo ben diciotto album in studio, compreso l’imminente F.E.A.R. (9 settembre).
L’album di esordio con la EMI – Script for a Jester’sTear (1983) -  ottiene risultati commerciali che confermano la straordinaria presa della band sul pubblico. Il secondo, Fugazi(1984), rinforza ulteriormente la reputazione della band, che si conquista inoltre i favori della critica. Nel 1985 esce Misplaced Childhood - con gli hit singlesKayleigh e Lavender -  che raggiunge velocemente la prima posizione in classifica in UK e i primi posti in tutto il mondo, vendendo più di due milioni di copie e risultando il disco di maggiore successo commerciale della band. Due anni più tardi arriva ClutchingatStraws (1987), le cui vendite si avvicinano al disco precedente, ma durante il tour Fish, il cantante, abbandona il gruppo. Nel 1989 arriva Steve Hogarth (noto anche semplicemente come "H") nel ruolo di voce e frontman del gruppo.  I Marillion pubblicano Seasons End (1989), Holidays in Eden (1991), Brave (1994), in cui molti vedono il primo capolavoro dell'era di "H", Afraid of Sunlight (1995), This Strange Engine (1997) e Radiation (1998). Durante tutti questi anni i Marillion sono alla costante ricerca di nuovi suoni, cercando di non fossilizzarsi mai sul passato e provando a non ripetersi mai, continuando però a creare musica toccante e creativa, indipendentemente dal successo commerciale e non volendo rimanere imbrigliati all'interno dei confini di un genere.
Dal 1997, i Marillion comprendono per primi l’importanza di Internet e l'uscita dell'album marillion.com del 1999 fa da manifesto al lancio sia del nuovo sito web che dell'etichetta discografica. È inoltre rivoluzionaria l'idea di chiedere ai fan di finanziare i costi di registrazione del loro disco successivo, preordinandolo con 12 mesi di anticipo. L'operazione conquista i titoli delle testate giornalistiche più importanti nel 2001, ponendo le basi con dieci anni di anticipo all’ormai popolare crowdfunding. Più di 12.000 fan aderiscono all'iniziativa e un accordo supplementare viene raggiunto con la Emi per la distribuzione sul mercato mondiale dell'album Anoraknophobia.
Il tredicesimo lavoro della band, lo straordinario Marbles, viene pubblicato senza il sostegno di alcuna casa discografica. Il risultato vale l’attesa perché è considerato da molti addirittura come il loro più grande disco e anche la critica lo acclama come capolavoro. Il relativo singolo del 2004, You'reGone, arriva in settima posizione nella UK Singles Chart.
Il 9 aprile 2007 la band pubblica il quattordicesimo lavoro in studio, Somewhere Else, che segna il ritorno dei Marillion nella Top 30 inglese piazzandosi al 24º posto.
Il quindicesimo, intitolato Happinessis the Road, viene pubblicato il 20 ottobre 2008. Il 2 ottobre 2009 ARRIVA il 16º, LessIs More, una raccolta di brani rivisitati in chiave acustica e con nuovi arrangiamenti. Poi con Sounds ThatCan't Be Made, edito il 18 settembre 2012, la band torna a materiale totalmente inedito e riceve unanimi consensi da pubblico e critica, vincendo nel 2014 il premio Prog Awards come “Band dell’anno 2013” e nel 2015 come migliore “Evento Live 2015”.



domenica 10 settembre 2017

Il Cerchio d'Oro-"Il Fuoco sotto la Cenere"


A distanza di quattro anni dal pluridecorato “Dedalo e Icaro” (2013), Il Cerchio d’Oro propone il terzo episodio della sua più moderna vita musicale, quella che nel nuovo millennio ha visto nascere “Il Viaggio di Colombo” (2009), e ora il nuovissimo “Il Fuoco sotto la Cenere”.
Una cadenza ben precisa - quattro anni tra i vari episodi - che è dichiaratamente non voluta, frutto del contrasto tra l’enorme peso realizzativo che si cela - ai più - dietro ad un album di tale spessore e la mancanza di tempo che esiste quando la musica è passione e non mestiere.
Il nuovo album, targato ancora una volta Black Widow Records, presenta analogie concettuali rispetto ai lavori pregressi, ma anche novità legate a volontà precisa e ad atti organizzativi obbligati, come ad esempio la modifica della line up, che ha portato un nuovo combustibile, non migliore, diverso.

Ancora una volta un concept. Dice uno dei fondatori, Franco Piccolini:  “Non è un concept tradizionale, ma gli argomenti sono tutti collegati tra loro, una serie di favole, come si leggono ai bambini prima di dormire, ognuna diversa, ma tutte legate dallo stesso denominatore comune, il fuoco sotto la cenere, un fuoco reale o metaforico, pronto ad esplodere…”.

Sei brani inediti a cui si è aggiunta una cover a tema, di Ivan Graziani, “Fuoco sulla collina”, inizialmente concepita come possibile 45 giri, ma successivamente diventata parte integrante del disco, un omaggio al cantautore abruzzese a venti anni dalla sua scomparsa ma, a ben vedere, perfettamente dentro al tema proposto.
Per tutti i dettagli dei crediti ed un commento della band ai contenuti delle varie tracce rimando al seguente link: CREDITI E COMMENTO AI TESTI


Il sound generale suona come il tipico brand del Cerchio - a mio giudizio, questo, elemento di gran vanto -, con una creazione di parti vocali che non credo abbiamo pari nel prog attuale, dove le vocalizzazioni dei fratelli Terribile (altri due fondatori del gruppo) avvolgono la voce prettamente hard rock di Piuccio Pradal, e dove i lunghi brani, molto articolati e complessi, incontrano la melodia che addolcisce gli elementi tecnici esasperati, tipici del genere.
Ma a questa etichetta di fabbrica si aggiungono le novità a cui accennavo, prima fra tutte l’innesto di un nuovo chitarrista, Massimo Spica, capace di dare un contributo fondamentale sia in fase compositiva che di arrangiamento, e con lui il Cerchio trova per la prima volta la stessa chitarra che, dopo la registrazione, sarà presente anche nei live.
Vale la pena sentire il suo pensiero perché fa riflettere sul modo di creare musica al giorno d’oggi, almeno per alcuni:

Situazione stimolante… ho avuto la fortuna di arrivare nel “Cerchio” diversi mesi prima della concezione dell’album, per cui ho avuto il tempo di acclimatarmi, e ciò che mi ha più stimolato è che dall’inizio ognuno di noi aveva dei colori da portare che si sono successivamente mischiati, ed è nato un effetto domino creativo che ha portato a trovare gli incastri giusti; nel prog c’è molto cuore e in questo disco ce n’è tanto, ma è anche importante l’aspetto cerebrale, se non è esagerato, e tutto questo è nato proprio nel lavoro di gruppo, fatto in sala prove, assieme dall’inizio, in uno status dove non dovevi seguire un copione scritto da altri ma il tutto nasceva ed evolveva all’interno della collaborazione reciproca.”

Altro aspetto importante e la cura degli arrangiamenti musicali, ad opera di tutta la band, ma con il contributo importante di Simone Piccolini, co-tastierista, ovvero la freschezza inserita nel contenitore dell’esperienza. Simone e Franco, due tastieristi, una scelta anche coraggiosa… qualcuno ha detto: ”Quattro tastiere accese, non è facile trovare suoni che sono complementari… il gruppo con due tastieristi potrebbe spaventare, sia il chitarrista che il pubblico, e invece…
Beh, due elementi nuovi in un ensemble musicale portano obbligatoriamente aria nuova, e “Il Fuoco sotto la Cenere” non sfugge alla regola.

Sempre restando nel campo dei “suoni”, dai credits si osserva come l'apporto del fonico storico Enzo Albertazzi sia stato circoscritto, ma il suo lavoro di missaggio ha richiesto un impegno enorme, proprio nel tentativo di ricondurre il tutto al marchio tipico del Cerchio, che forse nessuno conosce bene come lui.
Rimanendo in tema di collaborazioni consolidate, si rimarca il ruolo di Pino Paolino che ha condiviso con Gino e Giuseppe Terribile il ruolo di paroliere.

Come accaduto per il disco precedente la band si è avvalsa di alcuni ospiti importanti, anche se occorre sottolineare come le scelte del Cerchio siano sempre funzionali ai brani realizzati e non rivolte al nome di spicco.
Un esempio concreto riguarda il brano “Per sempre qui” - parole e musica di Giuseppe Terribile - che vede la partecipazione vocale di Pino Ballarini -, canzone che per ammissione dello stesso ex vocalist del Rovescio della Medaglia risulta calata su di lui come un abito da sartoria.
Gli altri due guest sono il batterista Paolo Siani e il tastierista e vocalist Giorgio Usai - ex Nuova Idea - che forniscono il loro contributo nel pezzo più rock del disco, “Il rock e l’inferno”, con tanto di citazione finale per i Deep Purple (“Space Truckin’”).

Il mio pensiero…
In fase di chiacchiera approfondita mi sono accorto ancora una volta come, anche tra gli addetti ai lavori, lo stesso disco possa suscitare differenti reazioni. E meno male!

Ho trovato “Il Fuoco sotto la Cenere” estremamente complesso, nel senso che ho provato ad entrare nelle singole trame e ho realizzato la difficoltà che esiste nel mettere in logica sequenza certe fughe, cambi di ritmo, modifiche repentine delle trame, incastri vocali.
Ma estrema articolazione può significare anche bisogno di tempo per una sicura metabolizzazione, laddove il termine “metabolizzazione” serve a sottolineare l’arrivo ad una buona confidenza con i brani. Per me è stato così, e solo dopo il terzo ascolto il disco mi è diventato completamente… familiare.

Del fatto che sia un disco marcatamente del “Cerchio” ho già detto, ma personalmente l’ho trovato più “vintage” dei precedenti, nel senso che ho percepito atmosfere tipicamente seventies che mi hanno riportato al prog basico, miscela di puro rock e raffinatezze da virtuosi.

Gli aspetti lirici sono estremamente attuali, partendo dall’unico fatto realmente accaduto, l’incendio londinese del ‘600 (“Thomas”, di Gino Terribile) per arrivare al brano di Graziani, metafore di vita… fuoco e cenere, elementi legati l’uno all’altra: il fuoco produce la cenere e la cenere testimonia che c’è stato il fuoco, conservando a lungo la brace, in modo che il fuoco possa nuovamente accendersi, ardere, essere ravvivato… ; è questo un concetto che permea il tracciato disegnato dal Cerchio, e riconoscere il quotidiano, il vissuto, appare estremamente semplice.

Curato il booklet - con i doppi testi - e una copertina a mio giudizio molto adatta al vinile di prossima uscita, con una sorta di gioco ad uso degli ascoltatori che potranno ricercare nel disegno di Stefano Scagni - da un’idea di Marina Storace - gli elementi che riconducono ai titoli del disco.

Il Cerchio d’Oro attuale mi dà l’idea precisa delle coppie al lavoro: una sezione ritmica e vocale unica (Gino e Giuseppe Terribile), un “padre e figlio” formato da tastieristi, coesi e complementari (Franco e Simone Piccolini) e due chitarre - acustica e solista - che cesellano (Massimo Spica e Piuccio Pradal) e che forniscono “I due poli”, il prog melodico contrapposto ad un duro rock. Ma il sunto risulta essere un lavoro in cui la squadra sopperisce alle naturali predisposizioni del singolo a cercare l’evidenza personale, unico metodo collaborativo da usare per dare il senso all’impegno di anni passati sul pezzo, verso un obiettivo comune.

A cercare il pelo nell’uovo un bipolarismo lo si può trovare anche nei modelli proposti nel disco, e se è vero che “Thomas” risulta essere rappresentativo dell’intero lato progressivo della band, “Fuoco sulla collina” propone invece l’immagine più pop, quella che ha contraddistinto per molti anni il cammino dei gemelli Terribile… mai niente arriva per caso, nemmeno le cover apparentemente riempitive!

Un album notevole, apprezzabile, un’altra pedina in una scacchiera in cui Il Cerchio d’Oro ha ormai trovato posizione in pianta stabile tra i grandi del prog nazionale.

Il Cerchio d'Oro-"Il fuoco sotto la cenere": crediti e commento ai brani


IL FUOCO SOTTO LA CENERE-I BRANI COMMENTATI DALLA BAND

1) Il fuoco sotto la cenere: un percorso intimo nella mente di una persona che, come succede a quasi tutti noi, si deve confrontare con le disavventure e le problematiche quotidiane e alla lunga non riesce più a trattenere la rabbia, la propria forza interiore e l'inquietudine che covavano nel proprio animo. 
  
2) Thomas, l'incendio di Londra: poco da spiegare... l'incendio distrugge ma alla fine permette di intraprendere nuovi percorsi e nuova vita. Il fuoco è reale, la cenere anche, ma da questa cenere, rinasce una possibilità... quasi un'araba fenice. 

3) Per sempre qui: un ipotetico personaggio (nel quale si è identificato lo stesso interprete del brano e insieme a lui molti di noi) che ha passato buona parte della sua vita fuori della sua terra, dei suoi affetti, in cambio di prosperità e benessere; ma alla fine, il desiderio di tornare alle sue origini, il suo "fuoco sotto la cenere" ha prevalso su tutto il resto e l'ha spinto a ritornare. Se vogliamo, una sorta di moderno "Ma se ghe pensu" meno drammatico, ma intenso! 

4) I due poli: Il bipolarismo è quasi un passaggio obbligato nei nostri racconti. Chi più di un bipolare ha due aspetti in perenne conflitto tra di loro? Un carattere è "sotto la cenere" e puntualmente si trasforma in "fuoco" scambiandosi il ruolo. Un percorso destinato ad essere irrisolto ed infinito! 

5) Il fuoco nel bicchiere: storia di una dipendenza (dall'alcool), il tentativo di allontanarsi da questo fuoco che purtroppo, affiora di continuo e sembra sconfiggere il protagonista, pervaso dalla malinconia e dalla consapevolezza di non riuscire a spegnerlo. 


6) Il rock e l'inferno: Il rock è associato nella mente di qualcuno a qualcosa di diabolico, infernale, ma è soprattutto una comunicazione, il trasmettere uno stato d'animo. Anche noi del Cerchio, seppure non più giovani, abbiamo dentro questa fiamma e, come nel caso di questo brano, spunta fuori sotto le sembianze di un rock incalzante che ricorda i vecchi tempi.

7) Fuoco sulla collina (Ivan Graziani, 1979): Ammonizione ai giovani a non cadere nelle facili illusioni. Il protagonista della canzone è un ragazzo che, preso da ardore, confonde i fuochi del campo con una fantomatica battaglia per una giusta causa. L’uomo del sogno (Ieri ho soganto un giardino…) è proprio Ivan che richiama il ragazzo alla realtà, e lo stridente contrasto tra l’ipotetica battaglia e il duro lavoro del campo ha un significato molto chiaro. Non bisogna perdere tempo in utopistiche lotte, spesso orchestrate dall’alto, ma lavorare sodo (come è il lavoro dei campi) per raggiungere obiettivi prefissati.  


giovedì 7 settembre 2017

Video intervista a Luciano Boero, impegnato nel "Farewell Tour"


Come è noto a chi segue le vicende della prog music italiana e oltre, il 2017 è l’anno in cui la Locanda delle Fate terminerà le esibizioni live, salutando nel modo migliore possibile i fan che da sempre la seguono.
E’ nato quindi il “Farewell Tour”, proprio nella ricorrenza dei 40 anni dall’uscita di un capolavoro del prog italiano, Forse le lucciole non si amano più”, che fu realizzato per la Polydor nel ’77, con la produzione di Niko Papathanassiou, fratello del più celebre Vangelis.

Ho incontrato Luciano Boero, uno di fondatori della band di Asti, e ne è scaturita una chiacchierata interessante in cui il bassista della Locanda ha sottolineato le motivazioni del tour di addio, lanciando qualche messaggio per il futuro…



2017 Farewell Tour
21 gennaio – Torino – Suoneria (Settimo)
25 febbraio – Milano – Casa di Alex
13 maggio – Verona – Club il Giardino (VR Prog Fest Lugagnano)
21 luglio – Lu Monferrato (AL) – piazza San Valerio
8 agosto – Martirano Lombardo (CZ) – Piazza Matteotti (RocKOn 2017)
23 settembre – Roma – Planet Live Club (Aspettando Progressivamente 2017)
7 ottobre – Genova – Teatro Govi
9 dicembre – Asti – Teatro Alfieri – THE END (l’ultimo concerto)

PROBABILI ALTRE 2 DATE OLTREOCEANO, DA CONFERMARE


lunedì 4 settembre 2017

Veruno Prog Festival 2017: commento alla SECONDA giornata


Mentre mi accingo a scrivere queste righe il "2 Days Prog+1" di Veruno, appuntamento fisso per gli amanti del prog, è in pieno svolgimento, e l'atto finale culminerà con l'esibizione dei Procol Harum.
Avevo a disposizione un solo giorno e ho scelto quello che più mi interessava dal punto di vista del programma, non perché ci fosse qualcosa di “minore”, ma risale a tre anni fa la mia domanda a Steve Babb - leader dei Glass Hammer, uno dei miei gruppi preferiti - relativa ad un possibile concerto italiano: la sua risposta non fu certo improntata all'ottimismo! E invece eccoli per la prima volta in Italia - e in Europa -, preceduti addirittura dai Discipline!
Quello che cercherò di fare, quindi, è la mera proposizione di un’immagine, di un’atmosfera - come sempre magica quando si parla di Veruno -, con un po’ di commento ma, soprattutto, qualche spezzone video utile al “farsi un’idea propria”.

Per l’intero racconto della tre giorni - immagini e parole - rimando ad un prossimo numero di MAT2020 che sarà redatto dai collaboratori presenti all’intera manifestazione.

Accennavo a quel feeling che colpisce qualsiasi appassionato del genere si trovasse a passare da quelle parti: musica, conoscenze, artisti importantissimi, socializzazione, piena comunione di intenti, raduno di intere famiglie, e appena finita la kermesse si comincia di già a fantasticare su quanto accadrà l’anno successivo. Difficile da spiegare a parole!
Il regista supremo è Alberto Temporelli - tra i sui collaboratori ho conosciuto solo Octavia Brown -, capace  di dare continuità ad un evento che è diventato di caratura internazionale e, difficile da credere, completamente gratuito per l’audience.

Dopo una prima giornata rovinata in parte dal mal tempo - con la pioggia che ha infastidito i presenti ma non ha fermato la musica - si arriva al secondo atto aperto dai tedeschi Deafening Opera, una giovane band che non conoscevo, capace di fornire buoni elementi visual, con il frontman Adrian Daleore calato nel ruolo, e leader di un ensemble che pare ispirarsi maggiormente ad un generico rock, ma che mi riesce difficile giudicare dal poco che ho visto; lo spezzone di video a seguire fornisce l’idea della loro proposta. La line-up presenta: Adrian Daleore - lead vocals -, Moritz Kunkel - lead guitar, backing vocals -, Thomas Moser - rhythm guitar - Christian Eckstein - bass, backing vocals -, Gérald Marie - keyboards, backing vocals -  e Konrad Gonschorek - drums.


Quando entrano in scena i Karfagen c’è ancora piena luce, e i concerti di giorno, all’aperto, hanno un buon fascino.
Fa anche un certo effetto avere di fronte un gruppo ucraino, perché è la dimostrazione che la composizione creata dagli organizzatori va anche nella direzione della ricerca e della proposizione di novità: la musica progressiva si nasconde in molti angoli del pianeta, anche in quelli più impensati, e puntare su qualche alternativa permettere di ampliare le conoscenze.
Il “conduttore” del progetto è il musicista e polistrumentista Antony Kalugin, che negli ultimi undici anni ha pubblicato un numero impressionante di album partecipando a numerosi eventi in tutta Europa.
Nell’insieme una musica piacevole, basata sulle skills del leader Kalugin e su una buona preparazione del chitarrista Velychko Maksym, che contribuisce alla creazione di un rock con buona venatura romantica. Meno incisiva mi è parsa l’azione di Olga Vodolazhska e di Olha Rostovska, tra tastiere, chitarra acustica e backing vocals, ma ciò che resta è la voglia di approfondire, e questo è di per sè il raggiungimento di un obiettivo.


Arrivano i Discipline, è ormai buio ed entra in gioco la magia, la commistione tra musica, audience e mood positivo, con l’emozione che cresce al cospetto di una band cult.
Americani, in pista dal 1987, prediligono l’unione di musica immaginifica e teatralità, con un meccanismo perfetto che ruota attorno al tastierista e vocalist Matthew Parmenter; non è certo il caso di raccontare che cosa abbia rappresentato il gruppo per il movimento new prog, ma preferisco raccontare di un’alchimia, quella che si è manifestata sul palco di Veruno, dove il presente è andato ad incrociarsi col lontano passato, e la musica dei Discipline ha dato continuità alle atmosfere che avevo vissuto nei concerti dei Van der Graaf a cui presenziai nei seventies. Parmenter come Hammill, e quando arriva il solo al piano, dedicato a Temporelli, la pelle d’oca non tarda ad arrivare.
Non li avevo mai ascoltati dal vivo e sono rimasto estremamente soddisfatto della loro performance, per qualità e intensità: il pubblico ha dimostrato grande apprezzamento.
Questa la formazione: Paul Dzendzel - batteria -, Mathew Kennedy - basso -, Chris Herin - chitarra -, Matthew Parmenter - voce, tastiere.
Ascoltiamoli…


Con l’avvento dei Glass Hammer il desiderio di Steve Babb - e il mio - si avvera.
Il prog americano è meno considerato rispetto a quello britannico e a quello italiano, ma trovo che certi gruppi andrebbero maggiormente considerati.
E’ curioso che Babb e soci arrivino dal Tennessee, una terra certamente dedita alla musica, ma non a quella progressiva; quando salgono sul palco queste fini considerazioni geografico musicali svaniscono, e i Glass Hammer fanno vedere di che pasta sono fatti.
Il loro set è incentrato sull’ultimo album, “Valkyrie”, ma ci sarà spazio per altre divagazioni e anche per un bis, canonico, ma al limite dell’orario consentito
Quindici album all’attivo - a cui si aggiungono due live -, si presentano a Veruno con la seguente formazione: Fred Schendel (tastiere, chitarre, batteria e voce), Steve Babb (basso, tastiere e voce), Susie Bogdanovicz (voce), Kamran Alan Shikoh (sitar e chitarre), Aaron Raulston (batteria).
I due fondatori - Shendel e Babb - a guidare con energia e competenza l’ensemble, con un giovane e geniale Shikoh - chitarrista di livello superiore - e la Bogdanovicz che fornisce una prestazione di grande qualità, inserendo la sua particolare vocalità in trame decisamente articolate. Sorprendente il voluminoso drummer Raulston, la cui destrezza all’interno del mondo dei ritmi composti pare quasi innaturale.
Ho apprezzato davvero moltissimo e… valeva la pena esserci!


Un serata davvero unica, di quelle da ricordare, ringraziando senza condizioni chi crede in questa musica - e in queste unioni di intenti - e chi ha voglia di tuffarsi a capofitto nell’organizzazione necessaria per la realizzazione di un festival di tale portata.
Perché queste cose non nascono per caso, ma sono il frutto di un lunghissimo lavoro… e se i risultati sono confortanti la speranza è quella che la motivazione non venga mai a mancare.