La recente serata al Beer
Room di Pontinvrea -15 settembre -, nell’entroterra savonese, mi ha
permesso di scoprire qualcosa che non conoscevo, nel senso dell’accostamento
dei generi, ovvero… prendi qualcosa di consolidato, mettilo assieme, miscelalo,
e ti verrà restituito qualcosa di fresco ed inusuale. Ovviamente non accade
sempre così!
Davide Pansolin, al vertice dell’associazione
culturale VINCEBUS ERUPTUM, propone
sempre novità interessanti all’interno del filone che più ama, quello della
psichedelia.
In questo caso era di scena un duo, uomo e donna, compagni
sul palco e nella vita: Alice Albertazzi
e Gianfranco Romanelli, gli ALICE TAMBOURINE LOVER.
Andando a ritroso, spinto dalla solita curiosità musicale,
sono approdato agli ALix, band
atipica in ambito rock blues che ha lasciato in eredità ben cinque album, e
dalla cui ceneri è nata una nuova entità, minimalista solo apparentemente,
perché ciò che riescono a produrre copre ogni possibile spazio, e mi riferisco
ovviamente alla fase live, quella dove la presa diretta, almeno in questo caso,
non presenta compensazioni tecnologiche.
Alice è ”the voice” e, volendo fare accostamenti facili e roboanti, mi è venuto naturale - visto il contesto e il genere - immaginarla nelle vesti di Grace Slick, perché esiste anche una vaga somiglianza fisica. E poi la voce è straordinaria! Ma non basta, Alice suona la chitarra e utilizza incessantemente il metronomo dell’ensemble, quel tamburello usato manualmente ai tempi di ALix e ora comandato… con il piede destro.
Gianfranco non ha il permesso di cantare - così lui racconta
scherzosamente a fine concerto - ma si dedica a chitarra e dobro, con una
discreta pedaliera effettistica che potrebbe sembrare minimalista se la si
comparasse a quella di certi aspiranti guitar hero odierni, ma sicuramente ridondante se
si fa riferimento al blues.
Ma che tipo di musica salta fuori dal mix a cui facevo
accenno?
Beh, il rock blues è il punto di partenza, ma i due artisti bolognesi
devono aver fatto incetta di elementi psichedelici, assorbendo quintalate di
album di Grateful Dead e Doors, con un pizzico di follia canterburyana riconducibile
al mondo di Daevid Allen.
Musica in loop, a tratti ipnotica, con ricerca di sonorità e
distorsioni naturali, con un discreto spazio per l’aspetto visual ma con tanta
sostanza, un blues a tratti “acido”, la cui voluta ruvidità è addolcita dalle trame vocali che caratterizzano ogni brano.
E’ questa la novità di cui parlavo, una dilatazione di
qualcosa di radicato nel tessuto culturale comune a cui si applicano i canoni
della trasgressione e del viaggio mentale e musicale, e quando tutto questo lo
si riesce a portare su di un palco, e viene percepito dall’audience, nasce una
sorta di magia che avvolge i presenti, e il rapporto tra pubblico e musicisti
diventa osmotico, con l’instaurarsi di un dialogo reciproco, tacito ma
percepito chiaramente.
Gli ALICE
TAMBOURINE LOVER - la cui discografia conta il rilascio di tre album,
dal 2011 ad oggi - suonano per poco più di un’ora ma al momento del commiato la
richiesta del bis diventa qualcosa di più di un atto dovuto, e si aggiungono
così altri due canzoni.
Bravi, molto bravi, e per chi volesse approfondire indico lo
loro pagina facebook e un medley della loro performance...