Oggi John Denver avrebbe compiuto gli anni. La sua figura viene
spesso associata a un’immagine quasi ingenua, ma a guardare bene la sua
carriera si scopre una coerenza rara. Non ha mai cercato di assecondare le mode
del rock o le complicazioni del pop d'avanguardia; ha preferito restare fedele
a una chitarra acustica e a testi che parlavano di cose elementari, come la
natura o il senso di appartenenza.
Il suo legame con il Colorado è stato totale, tanto da
spingerlo a cambiare il proprio cognome per riflettere quel paesaggio che
sentiva suo. Questa onestà si rifletteva in canzoni scritte con pochi accordi,
come Annie’s Song o Leaving on a Jet Plane, brani
che funzionano proprio perché ridotti all'osso. Anche il suo impegno per
l'ambiente era privo di retorica: Denver ne parlava con la naturalezza di chi
vive davvero tra i boschi, riuscendo a portare temi allora difficili davanti al
grande pubblico televisivo.
Questa stessa ricerca di libertà e solitudine lo ha
accompagnato fino alla fine. Denver è morto nel 1997, a 53
anni, mentre pilotava un aeroplano sperimentale sopra la baia di Monterey.
Era un pilota esperto, ma quella volta qualcosa andò storto e l'aereo precipitò
in mare. C'è un'amara ironia nel fatto che un uomo che aveva cantato così tanto
il volo e l'infinito sia scomparso proprio così, da solo, sospeso tra il cielo
e l'oceano.
A distanza di tempo, la sua musica resta interessante perché non ha sovrastrutture. È una narrazione onesta che, nel caos della vigilia di Capodanno, offre un momento di quiete e di estrema semplicità.
