Gli anni Settanta stanno tornando, inutile pensare sia una moda, o
ancor peggio una forma di insistente nostalgia per sessantenni dalla lacrima
facile e dalla visione del futuro limitata.
Mi riferisco ovviamente ad alcuni aspetti culturali, tra cui la
musica, che proprio nel periodo a cavallo tra i ’60 i ’70 vide un cambiamento
epocale che incise profondamente sulle abitudini e sui comportamenti dei ragazzi
di allora. Quei giovani non sono più tali, ma esiste chi li sta rimpiazzando,
suonando, cantando e vivendo nelle stesse modalità utilizzate 45 anni fa.
Ho scritto su queste pagine di un evento settembrino dei The Wistons, perfettamente calato nel
pensiero appena espresso, e ieri sera ho avuto un altro esempio significativo partecipando
ad un concerto degli sconosciuti - almeno per me - Terence Christiansens, band proveniente direttamente da
Parigi per affrontare un paio di tappe italiane - quella a cui assistito al Beer
Room di Pontinvrea
(Savona) e la successiva a Milano - per pubblicizzare l’album di esordio,
omonimo.
La prima annotazione che mi viene in mente riguarda il loro
banchetto del merchandising, fatto esclusivamente di vinili! Se è vero che tutte
le nuove uscite discografiche - mi riferisco alla musica che definisco di
qualità, quindi a certa nicchia - prevedono l’accostamento tra digitale e
supporto fisico - spesso con l’aggiunta promozionale di 45 giri e musicassette -
il fatto di partire da Parigi in aereo e portarsi appresso l’ingombrante
fardello in luogo di comodi CD ha a mio
giudizio un significato ben preciso: quello è il format che più si confà alla
proposta, e STOP!
Gli abiti sono… quelli che usavo a 14 anni (1970), esattamente
quelli, con la scampanatura dei pantaloni, le giacche inglesi, i cappelli con
le larghe falde, gli stivaletti… un vero tuffo nel passato.
Anche il locale è quello giusto, una sorta di pub che ricorda quanto
accadeva a Londra e dintorni, occasioni in cui incontrare Clapton tra gli
spettatori, ad un concerto degli Who, era la normalità.
Dopo l’apertura di serata da parte di una band locale, che ha suscitato
entusiasmo e dinamicità per il rifacimento di alcuni standard del rock,
arrivano sul palco i TC.
Non conosco la loro storia, ma la figura di riferimento appare il
batterista e cantante Erwan Pirot - scrittore
e compositore di tutti i brani - che nel 2010 diede vita al progetto, stimolato
dal chitarrista e backing vocals Thomas
Baignères, uno che pare abbia suonato con Mick Taylor. Completano la band
la chitarra ritmica di Christophe,
mentre al basso troviamo Howard (ma
nell’album è accreditato Hervé).
Line up tipica che, sommata agli altri
indizi a cui ho fatto accenno, non lasciava dubbi sul tipo di proposta musicale.
Quando iniziano il passato idealizzato diventa realtà: un susseguirsi di riff di
chitarra, ritmi marcati, melodie accattivanti e un tocco di psichedelia,
rendono il sound molto vicino a quanto presentato in un’epoca ben definita; un
rock crudo dove la seconda chitarra assume il ruolo determinante, potendo
contare su di una sezione ritmica potente, per niente distratta dall’inusuale doppio
ruolo di batterista e prima voce di Erwan.
Viene facile sognare, ripensare a quanto accadeva al Marquee Club, contestualizzare l’underground e quel moto superattivo - e superlativo - che aveva come epicentro Londra, da
cui passò la storia del rock mondiale.
I TC suscitano un certo
entusiasmo tra i presenti, arrivati per curiosità o come supporter della band
di apertura, e il set vola via rapidamente, senza lasciare traccia di bis,
forse per la poca incisività della richiesta dell’audience.
Alla fine i quattro si dimostreranno, anche, campioni di simpatia e
cordialità, il che non guasta.
Mi ripropongo di parlare di loro più diffusamente dopo l’ascolto
del loro album; nell’attesa presento un medley della loro performance e, come
sempre, la musica saprà spiegare molto meglio delle parole…
Un ringraziamento a Davide
Pansolin, che con la sua associazione, VINCEBUS ERUPTUM, ha curato l’organizzazione
dell’evento.