La storia di Martin
Thurn-Mithoff è rappresentativa
di un periodo storico lontano, in cui il seme è diventato radice, e i cui
risultati emozionano a distanza di lustri.
Martin, insieme ad un
gruppo di amici, significa essenzialmente Analogy,
una band seminale del rock italiano, che era in realtà composta da elementi
dalle varie nazionalità, e a tutti gli effetti la si può considerare una joint
venture realizzata tra Italia, Germania e Inghilterra. Ma il punto di partenza
resta la zona di Varese.
Sono stato testimone,
pochi giorni fa, di quello che è stato annunciato come l’ultimo live della
storia degli Analogy, fatto che, reso pubblico sul palco del Teatro Govi di
Genova, ha suscitato grande tristezza tra i presenti, pubblico e musicisti.
Ma… l’intervista che ho
realizzato successivamente con Martin
lascia aperta la porta della speranza, perché tra i tanti miracoli che la
MUSICA può compiere viene naturale inserire anche il forte cambiamento di situazioni
negative, e all’improvviso, proprio dalla mente di chi si è preso l’onere di
rendere pubblica la fine di una storia, ecco la riaccensione di una fiammelle,
tenue ma reale: anche questa è probabilmente una storia di amicizia!
Un ringraziamento sincero
a Martin per le sue parole…
Vorrei partire dall’ultimo evento genovese, quello in cui ci siamo
conosciuti nella realtà, dopo una frequentazione virtuale: che cosa ti ha
lasciato il concerto, sia dal punto di vista musicale e da quello umano, visto
l’affetto dimostrato dal pubblico?
Ero molto teso prima del concerto perché era l’ultimo live del
gruppo e avevo paura di tutte le cose che potevano andare male. Quando poi è
saltata la corrente le mie paure sembravano aver trovato conferma. Poi però
tutto ha funzionato (a parte qualche piccola stecca che nessuno sembra avere
notato), grazie soprattutto al pubblico molto caloroso. Verso la fine, per
essere preciso al penultimo brano prima del bis - Song for South Kensington -, è arrivata un specie di dolce
tristezza quando Jutta ha intonato “I’m growing
older and I don`t have much time; I’m looking for days and I’m looking for
rhymes”. Questa tristezza ha continuato anche durante il bis e ha coinvolto
il fantastico pubblico in un legame emozionale mai visto prima. Rivivo ancora
oggi, nella mia testa, momenti della serata genovese.
Non sarei mai entrato nella tua sfera personale se non fossi stato
tu a dare visibilità al tuo stato di salute, sottolinando pubblicamente,
durante il bis, che l’evento del Govi sarebbe stato l’ultimo atto della vostra
storia live, ma… mi pare ci sia però in atto un piccolo miracolo… o sbaglio?
“Never say never”, ma
sono quasi sicuro che l’evento del Govi sia stato l’ultimo live degli Analogy.
Il mio stato di salute (ho ben due cancri, gola e pancreas) ruba “leggermente”
le mie forze e non aiuta le mie capacità di chitarrista. Aggiungi poi il casino
logistico di questa band, con i membri sparsi per l’Europa (Inghilterra,
Germania, Italia), e la mancanza di soldi sul circuito dei concerti prog: sono
convinto della nostra scelta! E poi… ritirarsi con un concerto e un pubblico
come quello del Govi non è male. Parli di “miracoli”: sì, potrebbe essere,
visto che ho già superato le prognosi dei medici, ma non penso che io sia in
grado di fare concerti interi nel 2017. Magari qualche esibizione corta, come
opening act di qualche nome grosso… o festival.
Sei tedesco ma la tua storia è legata all’Italia: che cosa ha
rappresentato per te, e che cosa rappresenta oggi, il nostro Paese?
Sono arrivato in Italia all’età di 18 anni (1968), quasi fuggendo
dalla Germania, dove mi trovavo al cospetto del… servizio militare. Fuggivo
anche dai Gesuiti e dal loro liceo, dove mi trovavo oppresso e vincolato (non
meno per i miei capelli lunghi). Mi sono iscritto alla Scuola Europea di Varese
per fare la maturità e lì ho conosciuto Wolfgang (ex-bass) e soprattutto Jutta.
Perciò l’Italia rappresentava per me aria di libertà e l’idea di cominciare
qualcosa di completamente nuovo, a partire dalla lingua che non sapevo parlare.
Sono stato molto felice perché quegli anni a Varese, e poi Milano, sono stati
caratterizzati da questo spirito, con piena creatività e collaborazione tra gli
artisti (anche se la vita da “cappellone“ non era sempre facile). Se ti capita
una cosa del genere in giovane età, il legame con il paese dura una vita, e
ogni volta che vengo in Italia (almeno due, tre volte all’anno) mi sento come
se arrivassi in una delle mie case. Ho poi vissuto in Inghilterra con Jutta,
formando gli EARTHBOUND a Londra, ma avevo già 25 anni, e il mio legame col
Inghilterra è molto meno emozionale, più razionale. E oggi? C’è sempre l’amore
per il paese e gli amici conosciuti 45 anni fa e oltre, e la gratitudine per
aver avuto la possibilità di fare la mia musica. Non penso che sia questa
l’occasione e lo spazio per parlare di politica, e ne faccio quindi a meno.
Parlare di differenze culturali però è lecito, perché ho sempre una certa
mentalità tedesca (quante volte mi hanno preso in giro per essere “precisino” e
“strapuntuale”), che è però arricchita e condita con ingredienti italiani e –
per rimanere nella terminologia culinaria – contorni inglesi. Penso che la
nostra musica rispecchi queste influenze. L’Italia ha disegnato la mia vita, e
ne sono felice.
Il vostro album omonimo, del 1972, è introvabile e venduto a cifre
astronomiche: come ti spieghi questo apprezzamento incondizionato?
Non ho una spiegazione che mi soddisfa. Magari la copertina che
fece scandalo nel 1972 (per questo motivo c’era il poster con il piede
attorno), magari la tiratura iniziale di solo mille copie… non lo so veramente.
Fatto sta che il mercato dei collezionisti arriva a dei livelli assurdi.
L’ultima offerta mi è venuta dalla Russia è di 8,000 € in stato perfetto con
poster!!! Ma mi tengo l’unico esemplare originale che ho. Sono sicuro però che
questo interesse abbia portato alle numerose riedizioni, dal 1992 in poi (vedi www.analogy.it),
dopo un “silenzio” di quasi 20 anni, culminando poi nella pubblicazione di The Complete Works (AMS/BTF) nel 2010.
Da lì nacque l’idea d’una riunione e di un album live (“Konzert” – AMS/BTF).
Come definiresti la musica degli Analogy? Possibile inserirla in
qualche casella conosciuta?
Questa è la solita domanda e la più difficile da trattare. Il
termine “Prog” nel 1972 non esisteva. Si parlava di “Pop d’avanguardia” per
definire una musica sperimentale e fuori dalla canzone tradizionale italiana. E noi
facevamo tanti esperimenti. Come ho già detto, la nostra musica rispecchia le
nostre origini “europee”, combinando elementi floydiani, blues, beat, elementi
rinascimentali (The Suite) e, grazie alla band Londinese Earthbound, un tocco
di new wave. A differenza di tanti gruppi prog italiani abbiamo sempre cercato
melodie semplici e non ci siamo mai avventurati nel virtuosismo, probabilmente
per mancanza tecnica. Ho sempre preferito chitarristi come David Gilmour a
mostri come John McLaughlin, e la composizione alla velocità con la chitarra.
Comunque, se volessimo immaginare un casella, direi Psychedelic Rock.
A vedervi dall’esterno la storia degli Analogy sembra soprattutto
fatta di rapporti di amicizia: mi
sbaglio?
No, hai ragione! Questa amicizia ci ha legato dall’inizio. Jutta
ed io eravamo una coppia, suo fratello Hermann-Jürgen (detto “Mops”, purtroppo
morto 25 anni fa) suonava la batteria e Mauro era il suo miglior amico.
Wolfgang (ex-bass) era mio compagno di classe a scuola. Scott era il batterista
degli Earthbound a Londra, dal 1977 al 1979, ed è sempre stato un carissimo
amico. Nicola (ex-keyboard) ha deciso di non partecipare alla reunion per via del
suo lavoro (pittore) ma ha disegnato la favolosa copertina del nostro ultimo
album (“Konzert”), e Roberto (“Hunka Munka”)
è diventato un grande amico da quando è entrato nella band (settembre 2011). A
proposito di Roberto: nel gennaio del 1969 il gruppo di scuola nel quale
Wolfgang ed io suonavamo faceva una veglia in un club nel Varesotto. Ospiti
d’onore erano I Cuccioli, con Roberto alle tastiere. Mi ricordo che sono
rimasto talmente impressionato dalla sua performance che nacque immediatamente il
desiderio di poter suonare, almeno una volta, insieme a lui. Non pensavo che servissero
42 anni per riuscirci, ma sono estremamente felice di avercela fatta, seppur in
ritardo. Senza questa amicizia la nostra riunione non sarebbe stata possibile. Organizzare
le prove, per esempio, richiede il noleggio di una sala prove, con
amplificazione e batteria (normalmente nel nord d’Italia, come punto geografico
centrale tra Calabria (Roberto) e Reading (Scott); e poi prenotare alberghi e
voli ecc. Questo investimento, di tempo e soldi, si fa solo se c’è amicizia, oltre
all’amore per la musica.
Restando in tema, un amico comune, Pino Tuccimei, romano, era
presenta alla serata del Govi, ed è chiaro l’affetto che vi ha sempre legato:
cosa ha rappresentato per voi la sua figura?
Qui c’è un malinteso. Abbiamo conosciuto Pino durante il Festival
di Villa Pamphili nel 1972, ma non ci siamo rivisti fino al marzo del 2013.
Durante questi 41 anni però, lui è rimasto sempre nella mia testa, e anche lui
non ci ha dimenticato. A suo tempo eravamo legati a Antonio Cagnola e Aldo
Pagani, più tardi abbiamo lavorato con la Trident Agency di Maurizio Salvadori
e con Elio d’Anna (Osanna) per la zona di Napoli. La scuderia di Pino però era
sempre un sogno, mai realizzato. Dalla fine di dicembre 2012 Pino è il nostro
manager. Ma lui è molto di più. Per me è diventato un carissimo amico come hai
giustamente notato durante e dopo la serata del Govi, e posso solo raccomandare
il piatto di pesce con un buon vino bianco che si mangia casa sua, con la sua
cara moglie Lucia.
Che cosa ricordi delle tue collaborazioni - assieme a Jutta - con
altri artisti italiani, oltre agli Analogy?
Beh, cominciamo con Franco Battiato. Lo abbiamo conosciuto a Ferragosto
del 1970. Noi avevamo un residence, per sei settimane, all’ Hotel Des Alpes ad
Airolo (Svizzera), dove si suonava ogni sera per circa quattro ore. A
Ferragosto finimmo verso l’una di mattina e decidemmo di andare a vedere, in
una sala vicino, questo Battiato, di cui non avevamo ancora sentito parlare.
Arrivati, ci trovammo in mezzo a gente che ballava il liscio, e Franco era seduto
fuori con la faccia annoiata. Dopo qualche chiacchiera lui disse che avrebbe voluto
andare a casa, ma per contratto doveva fermarsi un'altra ora. Allora salimmo
sul palco e ci unimmo alla sua band, affrontando una lunga versione di “Whole Lotta Love”, dei Led Zeppelin.
Dopo 10 minuti la sala si svuotò e lui potè “chiudere” la serata. Questa
“collaborazione” fu l’inizio di un lungo rapporto e di tanti incontri ai
festival dell’epoca, fino alla partecipazione al suo album, “Sulle Corde di Aries”, tre anni dopo.
Jutta contribuì come vocalist in tre brani, mentre io ero responsabile per il
testo d’un recitativo, ma allo stesso tempo stavamo pensando ad una
collaborazione live dopo lo scioglimento dei Pollution. Purtroppo eravamo
troppo lontani da una musica comune. Franco era immerso negli esperimenti
elettronici e noi volevamo continuare con il rock psichedelico. Restando in
tema culinario, la pasta siciliana di sua madre era una favola.
Un'altra avventura fu l’incontro con Simon Luca (L’Enorme Maria)
durante il Cantagiro 1972. Anche se è stata corta e limitata a questo tour,
questa collaborazione ha portato ad alcune amicizie durate nel tempo, tra cui quella
con i The Trip (specialmente con Joe Vescovi), e con il Rovescio della
Medaglia.
Dopo lo scioglimento degli Analogy, nel dicembre del 1973, ci aggregammo
alla sezione musicale del Collettivo Teatrale La Comune (Dario Fo), diretta da
Paolo Ciarchi. Tanti concerti a Milano, Genova, Bolzano, Bologna ecc. e la
pubblicazione di un live su MC (“Cammina,
Cammina”) furono il risultato tangibile, ma ricordo anche 24 ore in
prigione a Milano, San Vittore: durante un concerto nella sede di Re Nudo, in
Via Maroncelli, la polizia ci ha arrestò sul palco assieme ad una parte del
pubblico per spaccio di droga. Asserivano di avevano trovato un spacciatore
davanti all’ingresso con una scatola di fiammiferi contenente hashish, ma si
trattava ovviamente di una mossa politica per chiudere Re Nudo (tra l’altro
riuscita). Nell’estate del 1974 Gianni Damiani, un regista milanese, ci invitò
a comporre un musical rock sul tema di Arianna e Teseo (il testo c’era già).
Per un mese ci rinchiudemmo in una specie di castello nel Oltrepò Pavese con
Sergio Conte, tastierista dei Jumbo, ma il progetto non si concluse per mancanza
di soldi. Due brani di questo progetto si trovano sul nostro album “25 Years Later”, pubblicato nel 1995.
Dopo un anno in cui Jutta e io abbiamo lavorato come duo, ci siamo
trasferiti a Londra dove abbiamo conosciuto dei musicisti dell’ underground
locale, come Kevin Ayers (Soft Machine) e Lol Coxhill, facendo tante jam sessions
prima di mettere su gli Earthbound. Mancano altri “colleghi” con i quale abbiamo
collaborato, ma sarebbe veramente troppo lungo elencarli tutti. Magari, visto
che si tratta di un gruppo italiano, i Come le Foglie, per i quali ho inciso un
brano sulla chitarra solista sul loro album “Aliante” (“Cara Milano”).
Esiste una band o un musicista la cui musica ti entusiasma o ti ha
entusiasmato?
Per quanto riguarda la musica rock – parlo da amatore della musica
classica – direi The Who e Pink Floyd, e questo già dagli anni sessanta, quando
loro erano gli eroi della mia adolescenza. Come chitarristi direi David Gilmour
e ovviamente Eric Clapton, ma la lista sarebbe molto lunga se dovessi elencare
tutti i nomi che mi hanno influenzato.
Mi racconti un paio di aneddoti musicali straordinari della tua
vita, uno positivo e uno negativo?
Un paio di aneddoti musicali li ho già evidenziati (Battiato/Re
Nudo) ma ce ne sono tanti altri. Difficile scegliere. Un’esperienza negativa
(inizialmente) fu proprio il Festival di Villa Pamphili a Roma. Il nostro brano
d’apertura era Dark Reflections, che
comincia con tutta la band e un forte arpeggio alla chitarra in evidenza. Il
batterista fa il conteggio, la band comincia e… la chitarra? Niente! Nessun
suono… davanti a 20.000 persone! Tutti fermi finchè non arriva un tecnico con
un largo sorriso sulla bocca e un cavo in mano, dicendomi che sarebbe meglio se
avessi messo il jack nella chitarra! Che vergogna! Il resto del set andò bene,
e l’applauso alla fine rimise a posto le nostre anime. Tutto questo fu preceduto
da una esperienza positiva che dimostra il livello di amicizia che esisteva tra
i musicisti in quei giorni. Dopo il soundcheck avevamo due ore prima della
esibizione. Un cantautore romano che avevamo incontrato per la prima volta lì
ci invitò a fare un giro di Roma con il suo maggiolone. Si trattava di Antonello
Venditti!
Altro “aneddoto” positivo: aprile 1970. Noi in quei giorni stavamo
suonando in un club di Milano: durante una sosta un signore in giacca e
cravatta entrò nel nostro camerino, sigaro in mano (la Jaguar parcheggiata
fuori), e ci chiese se volevamo incidere un disco. Sembrava proprio venire
fuori da una favola, rispettando il
“clichè” da film! Si trattava di Antonio Cagnola, e il risultato fu il primo
45-giri e la nascita del primo album omonimo.
Di solito chiudo le interviste con una domanda sul futuro, ma in
questo caso vorrei che mi dicessi tutto ciò che vuoi, a ruota libera, perché
sono certo che ci sono cose importanti che non ti ho chiesto, per cui… lasciati andare e, come ha detto Pino
quando ci siamo lasciati… ti aspettiamo sul palco per un nuovo concerto!
Abbiamo parlato dell’ultimo concerto al Govi ma vorrei riprendere
il discorso a causa di “eventi” inaspettati. Qualche giorno fa mi è arrivata
una mail da Pino Tuccimei nella quale lui offre un “colpo grosso”, proponendo
delle esibizioni di solo 45 minuti per l’estate prossima. Non posso specificare
altro, ma resta il fatto che si tratta di una offerta che… non si può
rifiutare! Personalmente sto trattando con una casa discografica per pubblicare
un album “solo” con brani che ho inciso senza gli Analogy, durante gli anni
1981 e 2004, in Inghilterra e Germania. Se va in porto, bene. Se no, non fa
niente perché il mio cuore è sempre con gli Analogy.