Il Museo Rosenbach rappresenta un’entità musicale -
ed un fenomeno - sorprendente, un anomalo caso da studio approfondito.
Il loro unico album, “Zarathustra”,
è considerato uno dei capisaldi della musica progressiva italiana, ma come ben
sanno gli appassionati del genere trovò alle origini vita dura, durissima, per
effetto di errate valutazioni di stampo ideologico. Era un periodo di forti
messaggi, trasmessi soprattutto dal filone cantautorale, ma la rigidità giovanile tipica di quei giorni era in
grado di offuscare le menti, anche dei più ispirati.
A distanza di quarant’anni il Museo Rosembach ritorna, e lo fa proprio con la rivisitazione di Zarathustra, proposto in maniera
singolare, come testimonia il titolo dell’album, “ Zarathustra, Live in Studio”( AEREOSTELLA).
Per tutti i particolari relativi al progetto rimando all’intervista
a seguire, realizzata con Alberto Moreno, uno dei tre “antichi” della band,
assieme a Stefano
“Lupo” Galifi e a Giancarlo Golzi.
Quale il significato di una riproposizione dell’esistente a distanza di così tanto tempo?
L’impressione è che si voglia rifare il punto zero,
ovviamente rimodernato, per poi spiccare il volo con nuovi lavori che, come
Moreno dice, sono già in cantiere e in avanzato stato formativo.
Esiste forse un altro motivo, l’amore dell’oriente per il prog
italiano, ed in particolare per questa opera simbolo, già arrivata da quelle
parti un anno e mezzo fa, quando Lupo la presentò assieme al Tempio delle Clessidre, la band con cui
militava sino a pochi mesi fa. E ora Il Museo Rosenbach è atteso in Giappone…
Vediamo le differenze tra il prima ed il dopo.
Partiamo dai contenuti… immutati, naturalmente. Ma il contesto
è profondamente cambiato, in peggio, e il concetto del “superuomo” ha assunto
un significato differente, diventando il terreno in cui prolifica la normalità,
la coesistenza con la semplicità, il ritorno alle origini e la voglia di
serenità.
Non ho potuto fare a meno
di ascoltare le due versioni comparate (a memoria non mi era mai
capitato), e la prima cosa che salta agli occhi è la modifica della track list, che in questo “Live
in Studio” è capovolta, con la famosa suite situata nell’ideale lato B,
precisa scelta preparatoria alle esecuzioni live, momento per cui è stata
progettata una evoluzione crescente che raggiunge l’apice con i 22 minuti del
pezzo forte Zarathustra.
Anche la line up è
cambiata, rinforzata e ringiovanita, e così accanto a Moreno (non più al basso ma alle tastiere), Galifi (voce) e Golzi
(batteria), troviamo la doppia chitarra di Max
Borelli e Sandro Libra, la
seconda tastiera di Fabio Meggetto e
il basso di Andy Senis. Una
formazione corposa per un sound rinvigorito.
Accennavo ad un ascolto comparato, che in alcuni caso ha
significato alternare lo stesso brano nelle stesse precise modalità. Impossibile
criticare la prima versione, e le imprecisioni tecniche legate alla vecchia
registrazione fanno parte del profumo dell’epoca, ma è indubbio che le attuali
tecniche disponibili abbiano permesso di rilasciare un album perfetto e godibile in
tutti i suoi dettagli.
La nuova linfa poi appare particolarmente azzeccata, e gli
innesti hanno messo a disposizione un importante tasso tecnico ed entusiasmo,
fattori che probabilmente si sono rivelati motivanti per i tre membri
originali.
Mi era capitato di ascoltare l’intero Zarathustra qualche
anno fa, presentato on stage dal Tempio delle Clessidre, ed era stato
emozionante… sono ora curioso di vedere il vero Museo all’opera, senza dover
fare 12 ore di volo.
Per il momento accontentiamoci del supporto digitale, e se le
premesse sono queste possiamo dire…. bentornato Museo Rosenbach!
L’INTERVISTA
Che cosa ha fatto
scattare la molla… perché dopo tanti anni avete ridato vita al Museo Rosenbach?
La molla
che ha rimesso in moto il Museo non è scattata improvvisamente, si era solo
allentata per l’usura del tempo e per i diversi impegni di ciascuno di noi.
Giancarlo ha continuato a suonare nel professionismo, Lupo ha cominciato una
fase di cover singer e io ho continuato a comporre e a suonare ( Exit). Ti
posso dire che lo scatto della molla è avvenuto di colpo per quanto riguarda il
ritorno alla suite di Zarathustra, nel senso che è stata decisa la reprise solo
un anno, fa quando ci siamo detti: “ Ma
adesso sappiamo rifare il nostro album d’esordio?”
Riesci a sintetizzare
cosa si prova nel ritrovarsi a distanza di lustri, seppur con l’innesto di
qualche forza nuova?
Mi ha
colpito la scrittura del 1973, nella quale ho ritrovato tutto il mio background
formativo… Gentle Giant, Jehtro Tull. Genesis … Banco… poi risuonandolo ho
approfondito passaggi che allora eseguivo d’istinto. L’inserimento di nuovi
musicisti è stato un arricchimento sia umano che musicale. Quando ho sentito
suonare Andy Senis ho capito che dovevo lasciare il basso a lui. Per poter dare
dal vivo la completezza della partitura ci volevano due chitarre e due tastiere
così la band è lievitata.
Che cosa significa, dal
punto di vista strettamente tecnico, realizzare Zarathustra con gli attuali
mezzi a disposizione?
La prima
differenza riguarda l’uso del mellotron M400… non più nastri calanti! Il suono
usato oggi è un campionamento d’accordo ma anche i nastri lo erano e davano enormi problemi soprattutto nei
live; per il resto i mezzi di cui disponiamo permettono un lavoro di
preparazione più accurato, uno scambio di provini decisamente agevole… e poi una registrazione
più controllata nei settaggi.
Come nasce l’idea di un
live in studio?
Nasce dal
Tempio delle Clessidre, quando abbiamo
sentito la loro versione ci siamo posti la domanda di cui sopra; una sera Gian mi ha fatto notare che MAI negli anni 70 avevamo registrato la suite a
parte un frettoloso provino apparso su “Rare and” (Mellow records) e allora, con il ritorno
stabile di Lupo, la riesecuzione è entrata a far parte di un progetto live più
articolato. E’ come se avessimo registrato il primo tempo di un film…
Il messaggio che
proponevate 40 anni fa con l’ausilio delle liriche di Mauro La Luce appare più
che mai uno stimolo verso la riflessione. Occorre essere un superuomo per rinunciare
a ciò che da sempre ci appare indispensabile, nel tentativo di trovare la serenità?
Può
sembrare un gioco di parole ma il superuomo è l’uomo normale, non condizionato
pesantemente da pregiudizi o ipocrisie, in grado di rapportarsi alla natura con
spontaneità e innocenza, con la capacità di apprezzare i suoi doni e di
prevedere il suo corso di fronte al quale è sostanzialmente impotente. Il
superuomo è un uomo integrato nell’ambiente che gli è toccato. La serenità
viene da questa pacata accettazione del suo destino.
Il decadimento
rappresentato nella cover è di forte impatto e nonostante profumi di antico,
appare come simbolo del presente. Come nasce l’art work dell’album?
Siamo
partiti dall’immagine di un Museo all’interno del quale trova posto il messaggio
di Zarathustra; è una cover spaziale nel senso che abbiamo voluto ricostruire
un luogo; la decadenza deriva dal fatto che il Museo Rosenbach vuole
essere uno specchio, un piccolissimo riflesso del mondo in termini
musicali e iconografici. L’immagine del nostro mondo oggi non può che rimandare
ad un senso di decadenza, di polvere che deve essere rimossa.
Che cosa ha lasciato il
tempo sui tre pilastri del “Museo” (Galifi, Golzi e Moreno), qualche ruggine
prog eliminata rapidamente o solo un positivo accumulo di esperienza musicale?
La
seconda che hai scritto! La musica in generale (non mi riferisco a quella del
Museo) è così profonda che di esperienza non se ne ha mai abbastanza. Suonare è
una gioia che supera qualunque età e i tre “storici” pilastri hanno bisogno di
aggirare\ingannare il Tempo.
Come nasce la
collaborazione con Aerostella e quali sono i maggiori vantaggi nel lavorare con
Iaia De Capitani?
Iaia è
molto competente ed è una persona con la quale ci sentiamo tranquilli. Da parte
sua ci sono state gentilezza e chiarezza, atteggiamenti necessari per un buon
lavoro d’equipe.
Come giudichi l’attuale
stato della musica progressiva? E’ un buon momento per riproporla?
Ti sembrerà
strano ma non ascolto molta musica prog, e non è per presunzione; in generale
quando lavoro sulla composizione evito di ascoltare. Quando ascolto soltanto
vado sui classici del rock e della musica classica. Per quanto riguarda la
seconda domanda mi sento di risponderti che è sempre un buon momento per
riproporre musica di qualunque genere essa sia.
Siamo vicini al vostro
viaggio in Oriente, dove il pubblico ha fame di prog, soprattutto italiano (e
Lupo ne sa qualcosa). Può essere per voi un punto di partenza che vi conduca
anche verso un nuovo album?
Il nuovo
album è quasi pronto e ha la stessa struttura di Zarathustra: una suite e
alcune canzoni di completamento. C’è quindi un concept con una tematica non
estranea al mondo del disco che ci ha portato così
fortuna. Sarà un affresco a volte crudo nei suoni e nei testi e svilupperà i
temi indicati dal nostro amico profeta. Il Giappone ci ha dato molte
soddisfazioni in termine di vendite e di popolarità. Stiamo lavorando per
essere all’altezza dell’appuntamento.