Nell’ambito del “Genova Guitar Festival”, organizzato da “Music No Limit”, ho assistito martedì 5 luglio al Concerto dei Colosseum, gruppo mitico che, almeno una volta nella vita, occorrerebbe vedere, qualunque sia il genere musicale che si ama.
Preludio alla performance dello storico gruppo inglese, i Delirium.
Abbastanza nella norma la loro presenza se si pensa che Genova è la loro città, che sono un gruppo storico del prog italiano e che sono in piena attività. Ma nell’occasione, il cuore e la memoria riportano ad un passato lontano, 40 anni, momento in cui le due formazioni, in piena “gioventù, si incontrarono e condivisero alcune serate… momenti indimenticabili.
Dei Delirium ho parlato più volte in questo spazio, mostrando stralci dei loro concerti, ma in questa occasione mi limiterò a raccontare il “dietro alle quinte”, l’attesa prima del palco. Il loro concerto sarà breve, per ragioni di timing, ma risulterà preciso e significativo, e nella loro mezz’ora on stage riusciranno ad esprimersi al meglio davanti al “loro” pubblico.
Ciò che vale la pena raccontare è quello che generalmente non si vede, dietro ad un palco che sembra un muro che ha il compito di nascondere mille segreti. Spesso ho provato a descrivere questi aspetti, probabilmente non significativi per tutti, ma che io amo vivere, quando ne ho la possibilità.
Il camerino dei Delirium è a metà strada tra quello di Chris Farlowe e Barbara Thompson, entrambi segnati pesantemente dal tempo che passa. Farlowe sta mangiando un sandwich e Fabio Chighini, bravo bassista dei gruppo genovese, gli porge timidamente alcuni LP dei Colosseum per la firma di rito. Chris esce con una certa fatica dalla stanza ed incontra Martin Grice, fiatista dei Delirium. La loro “inglesità” favorisce il dialogo e quando viene ricordato a Farlowe del concerto di 40 prima, lui dimostra di ricordare, collegando l’evento a un tentativo di furto del suo fuoristrada. Roberto Solinas, il chitarrista, appare un po’ emozionato (e vorrei vedere… anticipare la storia del rock!), ma lo storico batterista Pino Di Santo cerca di calmarlo, trasferendo la sua esperienza, mente Ettore Vigo, il tastierista, anch’esso elemento della prima ora, appare tranquillo.
Salgono sul palco, e sulle note di ”Theme One” mi aggiro nel backstage, dove osservo i movimenti dei musicisti britannici.
Lady Saxophone, Barbara Thompson, continua nelle sue prove ai sax e clarinetto. E’ quasi sempre protesa in avanti e problemi fisici le impediscono un postura retta.
Dave Greenslade è solitario, gira con l’aria spaesata e un bicchierino “alcolico” in mano, magro da morire e vagamente assorto nei pensieri.
Colgo gli altri quattro appoggiati ad una ringhiera col viso rivolto al porto. Una mastodontica nave da crociera sta transitando a pochi metri da loro che appaiono incantati. Il palco, il mare, un cielo “pulito”, la musica… tutto fa spettacolo!
Si immortalano a vicenda e sembrano sinceramente “presi” dall’atmosfera positiva.
E’ il loro momento, dopo che una sosta tecnica decreta il passaggio tra i due gruppi.
Tutti i musicisti hanno lustri sulle spalle e alcuni lo dimostrano con cruda realtà, ma la musica di certo non ne patirà.
Oltre ai già citati Farlowe (voce), Thompson (fiatista, moglie di Hiseman) e Greenslade (tastiere), ci sono Clem Clempson alla chitarra, Mark Clarke al basso e alla voce e … il mago, Jon Hiseman alla batteria.
Pubblico numericamente importante, ma sono comunque molti i posti liberi… davvero impossibile capire i flussi e le scelte del pubblico!
Partono con vigore i Colosseum, e scaldano da subito il pubblico. La voce del settantenne Farlowe sorprende per potenza ed espressività, mentre la Thompson regala pregevoli fraseggi di sax.
L’annuncio dei brani più conosciuti provoca applausi preventivi di chi, probabilmente, ha toccato il passaggio dagli anni ’60 ai ’70.
Fa quasi commuovere il tributo a Gary Moore, antico chitarrista della band, mancato da poco, e protagonista della scorsa edizione del “Genova Guitar Festival”.
Greenslade è quello che appare più distaccato e sembra si limiti a recitare la parte del bravo tastierista, ma Clempson fa da elemento compensatore e stupisce per tecnica chitarristica e gusto.
Un sorpresa ( per me almeno) Mark Clarke, che oltre ad essere un signor bassista (fisicamente ricorda John Wetton) sfodera una voce incredibile.
E si arriva a “Valentyne Suite”, ovvero la rivoluzione musicale del 1969.
Ovazione del pubblico e attenzione massima per ciò che molti custodiscono tra le braccia, in forma di vinile, in attesa di una firma d’autore.
Sale sugli scudi Jon Hiseman, il drummer delle sei nomination, dal ’69 al ’94, come miglior percussionista del mondo. Mostro di bravura, di gusto, di potenza e di fantasia… sembra che il tempo per lui si sia arrestato! Il bis inizia proprio con un suo assolo, un esercizio musicale tipico di quei giorni gloriosi, che serate come queste aiutano a ricordare.
Pubblico tutto in piedi per l’atto finale, e band che dimostra un vero gradimento per la riuscita dell’evento.
Una ricca miscela di rock-Jazz- blues ci ha riportato ad una dimensione ancora attuale, a mio giudizio senza tempo.
Per chi ama la musica, ascoltare dal vivo i mostri sacri del mondo musicale, è una grande occasione, specialmente quando si tratta di “non più giovanissimi”, che da un momento all’altro potrebbero decidere di appendere lo strumento al chiodo.
Per chi avesse voglia di captare alcuni attimi della serata, a seguire propongo alche immagini, regalando frammenti di musica e qualche fotografia (Andrea Montaldo) a chi non ha potuto ( o voluto) partecipare.