domenica 27 agosto 2017

Maxophone-“La Fabbrica Delle Nuvole”: commento e intervista




ARTICOLO GIA’ APPARSO SULLA WEBZINE MAT2020

Maxophone-“La Fabbrica Delle Nuvole”
di Athos Enrile

La Fabbrica Delle Nuvole”, appena rilasciato dalla storica prog band Maxophone, rappresenta il loro primo lavoro del nuovo millennio costituito da inediti, e traccia un ponte ideale con l’esordio, il disco omonimo del 1975.
Nell’intervista a seguire emergono i passaggi fondamentali che hanno guidato il corso della loro storia musicale, un iter comune a molti gruppi nati in Italia al limite dello scemare del primo prog, con la realizzazione di un album (per i più fortunati) e nulla più. Ma quel singolo lavoro è diventato successivamente elemento di culto (è accaduto anche ad Alphataurus, Semiramis, Museo Rosenbach…) ed è forse lo scoprire il costante apprezzamento del pubblico per una creazione lontana nel tempo che può aver motivato quasi tutte le band dell’epoca a riprendere il filo di un discorso interrotto in “tenera” età. O forse è solo perché le passioni vere non muoiono mai!

La Fabbrica Delle Nuvole” è a mio giudizio un grande disco, perché rappresenta un vero salto di modalità, e i suoi contenuti propongono concatenazioni concettuali che determinano il superamento delle linee guida e dei paletti che hanno da sempre dato confine ai generi.
La musica progressiva ha tra le caratteristiche principale proprio quella di regalare spazio alla creatività, ai tanti movimenti esistenti, alle sperimentazioni, all’avere come regola il… non avere regole.
In questo caso, per una serie di circostanze comprese tra volontà e casualità, accade che il prog… quello più radicato, si sposi al cantautorato, quel movimento a cui spesso si attribuisce il declino del prog stesso, almeno nel nostro paese. Ma i tempi sono cambiati, e l’incontro di mondi sulla carta diversi porta alla somma di due eccellenze, quella musicale - e quindi il virtuosismo e le idee dei Maxophone - e quella lirica, che come spiegato nelle prossime righe è il risultato del connubio tra Alberto Ravasini - uno dei fondatori - e il poeta Roberto Roversi, ed è bello il racconto del recupero delle liriche dopo la prematura dipartita dello scrittore bolognese: senza il ritrovamento delle sue parole, scritte appositamente per i Maxophone, l’album sarebbe probabilmente ancora in fase costruttiva.

Grandi musiche e testi d’autore, elementi perfettamente integrati che producono come risultato tangibile un album godibile in ogni suo rivolo musicale.
Il racconto del “dietro le quinte” è il compito del recensore, l’evidenziazione di una cornice la cui bellezza spesso non viene colta, ma che è essenziale per comprendere nei particolari ciò che invece colpisce all’impatto, in questo caso - ma è quasi sempre così - il sound, inteso come trame, atmosfere e soluzioni ritmiche.
Ecco… il sound.
Se è vero che, per i motivi anticipati, l’unione di elementi differenti porta alla creazione di un “prodotto” completamente nuovo, è altrettanto rilevabile all’impatto che esiste una band del passato che, più di altre, ha influenzato questi straordinari musicisti lombardi: i Gentle Giant.
Brani come “Un ciclone sul Pacifico”, “Perdo il colore blu” e “La fabbrica delle nuvole” (anche la fase iniziale ricorda lo start di “The Runaway” di “In a glass house”) riportano alle trame complicatissime dei fratelli Shulman, ai contrappunti, ai cori, ai tempi composti spesso difficili da decodificare). Mi spiego meglio.
Quando si paragona il presente col passato, attraversando paesi ed ere, si utilizza un modello campione per facilitare la comprensione, per evidenziare un profumo sonoro, un mood, che rimane nell’aria dopo l’ascolto, ma i Maxophone non sono la copia di nessuno, perché i nuovi innesti - decisamente rock -  in un corpo consolidato hanno dato vita ad una band che unisce enormi skills a gusto compositivo e interpretativo, come dimostra la folkeggiante “La luna e la lepre” e l’evocativa “Estate ‘41”.
In sintesi: la musica nobile del passato fa un tuffo nel  rock, nel folk, nelle auliche atmosfere britanniche abbracciate alle melodie nostrane… e poi la poesia cesella un dipinto che rinvigorisce e impreziosisce la tradizione italiana, lanciando un messaggio di speranza rappresentato visivamente da una fabbrica, dalla cui ciminiera non esce fumo, ma “sogni e aspettative sottoforma di parole, una fucina di idee musicali e di forti pensieri”.

La chiusura del cerchio è l’esibizione live, la proposizione dell’album in diretta, un’esperienza che, a giudicare dalle premessa, dovrebbe dare grandi soddisfazioni all’audience.

Disco imperdibile per gli amanti del genere.



L’INTERVISTA

Tanto per riassumere, per qualche giovane che ha appena scoperto che esiste… altra musica: come si può descrivere la storia dei Maxophone?

Il primissimo nucleo della band, costituito da Alberto Ravasini, Roberto Giuliani e Sandro Lorenzetti, si formò a cavallo tra il'72 e il '73. Con questa formazione e qualche collaborazione esterna registrammo alcuni demo tra cui “L'isola”, che abbiamo ripreso e riarrangiato e che è uscito recentemente come EP. Verso la metà del '73 entrarono a far parte del gruppo Sergio Lattuada, Maurizio Bianchini e Leonardo Schiavone, completando quella formazione che poi diede origine all'album del '75. Fu un ensemble piuttosto innovativo per l'epoca, sia per le sonorità particolari che per lo stile, dove varie tendenze musicali come il Rock, l'R&B, il Folk e la musica classica venivano fuse insieme. L'incontro con Alessandro Colombini, produttore del Banco del Mutuo Soccorso e di vari artisti della discografia italiana, diede poi origine al contratto con la Produttori Associati, e alla registrazione del primo album dei Maxophone che uscì in italiano e in versione inglese alla fine del 1975.

Sono tanti i casi in cui gruppi dei seventies, diventati successivamente di culto, hanno inciso un solo album e hanno subito arrestato la loro attività (mi vengono in mente i Semiramis, La Locanda delle Fate, il Museo Rosenbach…): che cosa accadde ai Maxophone?

Gli anni successivi furono anni di grande cambiamento, sia nell'ambito strettamente musicale che in quello strutturale delle case discografiche. L'arrivo di una musica di grande consumo come la “Disco”, introdotta da “La febbre del sabato sera” e da vari programmi TV fece da spartiacque, e molti gruppi, pur non sciogliendosi, cessarono l'attività discografica ormai ad appannaggio solo delle major. Per quanto riguarda noi, che già eravamo stati fortemente penalizzati dai ritardi di produzione e uscita dell'album, registrammo ancora un paio di brani e poi il nostro scioglimento fu praticamente inevitabile. Alcuni di noi continuarono poi a lavorare individualmente nel mondo musicale come autori, arrangiatori o nella formazione, altri presero strade diverse.

Dal primo album omonimo ad oggi ci sono stati altri episodi, anche live, ma l’album appena rilasciato, “La fabbrica delle nuvole”, rappresenta il vero atto nuovo: come siete arrivati alla decisione?

Prima di risentire parlare di noi come Maxophone bisogna aspettare il 2005, quando Sergio Lattuada, sulla scia di molte richieste provenienti dal web, decise di ricostituire la band. Ci trovammo con una parte del gruppo originale - Roberto Giuliani, Sandro Lorenzetti, Alberto Ravasini - e insieme a Sergio cercammo di riprendere l'attività musicale del gruppo. Nel frattempo, grazie a Lattuada e Giuliani, era uscito un cofanetto DVD contenente vari video e provini della band che diede origine a un'esibizione live per Radio Popolare, performance che vide ancora una volta presenti i membri originali, compreso Bianchini e Schiavone. Successivamente, le strade si divisero nuovamente e finalmente nel 2008, con l'arrivo di Croci (basso), Tomasini (chitarra elettrica.) e Monti (batteria e violino), prese vita la formazione definitiva della band. L'idea fu subito quella di lavorare su materiale, nuovo pur proponendo nei vari concerti il repertorio storico dei Maxophone. Così si arriva a "La fabbrica delle nuvole", un album che rappresenta in pieno il nostro modo di far musica, arricchito dai nuovi arrivati, ma che è a tutti gli effetti un logico continuo rispetto a quanto fatto negli anni '70.

Mi raccontate i contenuti lirici e quelli strettamente musicali?

Musicalmente parlando, questo album è un po' uno sviluppo di quelle componenti che avevano caratterizzato il primo album, ma con l'esperienza maturata in tutti gli anni successivi. Le figurazioni tipiche della musica classica, come il contrappunto, il canone, la fuga, i cambi ritmici e di atmosfera, si fondono con elementi ancora più rock e fusion rispetto a quelli presenti nei primi Maxophone. A parer nostro, però, la grande novità di questo lavoro è la presenza di testi di alto spessore firmati da un grande nome della poesia e della prosa italiane, testi che se prima erano esclusivo appannaggio del migliore mondo cantautorale ora possono finalmente sposarsi con il rock progressivo. Per Alberto, cantare Roversi, è stata un'esperienza unica e difficilmente ripetibile. E' stato come recitare i capitoli di un libro avvincente, pieno di passione e con un linguaggio diretto dove le parole suscitano stati d'animo ed emozioni fortissime.

Già che mi avete anticipato… che cosa ha rappresentato l’incontro e la collaborazione con Roberto Roversi?

Alberto, negli anni '90, ebbe la fortuna di incontrare e collaborare con Roberto per un progetto Polygram che lo riguardava come solista, e che purtroppo non vide la luce per via di vari problemi discografici che sfociarono poi con la chiusura della casa discografica. Parte di quel materiale fu eseguito da Mina, Alex Baroni e con Roversi rimase una grande amicizia e il desiderio di continuare a lavorare insieme. Nel 2011 lo andò a trovare a Bologna per proporgli di scrivere per la band e ne rimase entusiasta. Purtroppo nell'autunno del 2012 ricevemmo la notizia della sua scomparsa, e oltre al dolore per la perdita di un grande amico che Alberto ama definire “il mio padre di penna”, ci ritrovammo con le prime basi dell'album registrate ma senza parole. Passarono quasi due anni, e mentre stavamo cercando collaborazioni con autori vari arrivò la chiamata di suo nipote, Antonio Bagnoli, curatore delle sue opere e del sito omonimo, che ci avvertiva di aver trovato una scatola piena di testi con il nome Maxophone scritto sopra. Ci fiondammo a incontrarlo a Bologna per poi tornare a casa con un grande e inaspettato tesoro fra le mani. Così nacquero i testi de "La fabbrica delle nuvole", così arrivò la poesia fra le nostre note.  

Si può dire che esista una certa continuità concettuale rispetto alla vostra storia pregressa?

Come dicevamo prima, sì, esiste ed è sicuramente un grosso passo in avanti in termini di sviluppo musicale, e soprattutto nei contenuti lirici rispetto a quanto fatto in precedenza. Se da un lato le sonorità sono pur sempre vicine alle atmosfere di corno e clarinetto, e trovano espressione grazie ai campioni e a strumenti come il violino, che mai avremmo immaginato fra le mani di un batterista, la struttura musicale, i temi, le ritmiche e gli incastri strumentali segnano decisamente una grande evoluzione rispetto al passato: dalle cadenze Verdiane e dal Dixiland siamo passati a una musica classica più contemporanea, a un jazz più modale e strutturato fino a toccare veri e propri momenti fusion. Diciamo, che da “C'è un paese al mondo” a “La fabbrica delle nuvole” è passata un bel po' di acqua sotto ai ponti. 

Mi parlate dell’artwork? L’immagine di copertina mi sembra di forte impatto!

Con la copertina, che è nata da uno sketch iniziale di Alberto e poi affinata e completata magistralmente da Eugenio Crippa, volevamo mantenere l'atmosfera un pò pastello e un pò sognante della cover Maxophone anni '70, ritoccando leggermente il logo originale un pò troppo “Jeeg Robot” senza snaturarne il tratto. Ci piaceva l'idea condivisa con Roversi di rappresentare una fabbrica che generasse sogni e aspettative sottoforma di parole: una fucina di idee musicali e di forti pensieri. Così nasce un panorama quasi irreale dove da una ciminiera escono le keywords dell'album racchiuse in una grande nuvola con le nostre sagome sullo sfondo, quasi a ripetere l'immagine dei primi Maxophone in equilibrio su una barca da fiume.

In che formato è disponibile “La fabbrica delle nuvole”?

La fabbrica delle nuvole” è disponibile in CD, in vinile (LP) e in formato digitale online su vari portali, tra cui iTunes, Spotify ed altri ancora. In aggiunta, recentemente è uscito un EP contenente come lato A “'L'isola”, a cui facevamo riferimento prima, e come lato B lo strumentale che dà il titolo all'album.

Come lo pubblicizzerete? Sono previste date live?

A parte le varie interviste e partecipazioni Radio/TV online, Il 21 aprile scorso abbiamo presentato l'album in una Live Premiere che si è tenuta al Teatro Giuditta Pasta di Saronno, il 17 giugno saremo alla Cascina Caremma di Besate per partecipare a un evento Prog. Da stabilire restano le date di un concerto a Bologna dedicato a Roversi e di un possibile ritorno in Giappone.

Un velo di provocazione… mi date un giudizio sullo stato della musica in Italia?

La musica in Italia, più che all'estero, è relegata a singoli eventi e fa ben poca parte del mondo musicale così come se lo ricordano in molti fino a circa gli anni '90. Oggi è soggetta a programmazioni radiofoniche stereotipate che, a parte qualche emittente che fa eccezione, propongono ripetutamente i soliti 10 brani del momento. E' praticamente sparita dalle televisoni quasi come se causasse una perdita inarrestabile di audience, e vive solo all'interno di reality costruiti a forma di “Grande Fonografo”, dove la componente artistico-musicale è l'aspetto meno importante. Addio a trasmissioni come Roxy Bar, addio a locali storici che hanno visto esibirsi grandi artisti e grandi esordienti, oggi i musicisti hanno un rating che va di pari passo con il numero dei “coperti” che una band, possibilmente tribute, riesce a procurare al gestore. Restano i canali video e le riviste online e qualche irriducibile della carta stampata, ma per il resto è sicuramente una debacle diffusa a largo spettro. Noi come band prendiamo atto di questa situazione e sostanzialmente continuiamo, nonostante tutto, per la nostra strada. Certo non diventeremo ricchi con la musica, né tantomeno famosi, cosa di cui non ci è mai importato fin dagli inizi, ma almeno sappiamo che ai nostri concerti viene e verrà un pubblico motivato ad ascoltarci e a stimolarci a continuare. Lo facciamo con passione, la stessa che ci ha portato a rimetterci in gioco scrivendo cose nuove. 

Visto questo rinnovato entusiasmo, esiste la possibilità di vedere una buona continuità e presenza dei Maxophone nella scena musicale italiana e non?

Noi speriamo di sì, il responso è stato molto positivo anche da parte di chi ha ascoltato per la prima volta la nostra musica, e questo ci fa ben sperare per il futuro. “La fabbrica delle nuvole” è uscito in Giappone e presto prenderemo accordi per esibirci ancora in quel di Tokyo, abbiamo ricevuto richieste dal Sudamerica e stiamo attualmente valutando varie proposte. Finché ci sarà pubblico con la gioia e la curiosità di ascoltarci, noi ci saremo a dare sempre tutto quello che abbiamo nella testa, nel cuore e nelle mani.


Side A:
1.Un ciclone sul Pacifico
2.Perdo il colore blu
3.Il passo delle ore struggente
4.La fabbrica delle nuvole rock fusion

Side B:
5.La luna e la lepre
6.Estate '41
7.Nel fiume dei giorni i tuoi capelli
8.Il matto e l'aquilone
9.Le parole che non vi ho detto

Line up
Sergio Lattuada-pianoforte, tastiere e voce
 Alberto Ravasini-chitarre, tastiere e voce solista
Marco Croci-basso e voce
Marco Tomasini-chitarra e voce
Carlo Monti-batteria, percussioni e violino