Ho avuto il privilegio di vedere suonare alcuni eroi di
Woodstock. Uno dei più significativi è Alvin
Lee,
ascoltato, visto e ripreso da pochi metri nell’estate del 2011. A seguire il
mio resoconto di quella sera indimenticabile. Ma prima… il triste annuncio… aveva 69 anni.
Infiammo' Woodstock
nell'agosto 1969 con l'assolo di I'm Going Home. Sul palco c'era la sua band, i
Ten Years After: in poche righe pubblicate sul suo sito personale, le figlie e
la compagna di Alvin Lee hanno annunciato la morte improvvisa del 68enne
chitarrista britannico, questa mattina presto, causata da ''impreviste
conseguenze di un intervento chirurgico di routine''. Negli anni Settanta Lee -
che citava Chuck Berry e Scotty Moore, chitarrista di Elvis Presley, come fonti
di ispirazione - influenzò una generazione di virtuosi della chitarra. ''Abbiamo perso un meraviglioso e
amatissimo padre e compagno, il mondo ha perso a grande e talentuoso
musicista'', hanno scritto Jasmin, Evi e Suzanne in un breve messaggio sul
sito.
Il concerto del 2011
Il 16 luglio, nell’ambito della rassegna “Genova
Guitar Festival”, ho assistito all’unica data italiana della Alvin Lee Band.
Ho da tempo perso le tracce di Alvin Lee,
ma non posso dimenticare ne i suoi esordi ne il suo incredibile successo,
legato soprattutto alla sua “immagine” divulgata nel mondo per mezzo del
film Woodstock. A quel movie lui e molti altri artisti devono
tutto, perché è attraverso quello che hanno raggiunto una sorta di immortalità.
Ed è proprio questo concetto che mi ha spinto all’Arena
del Mare… l’idea di trovarmi davanti a un reduce di quel Festival storico,
come mi era capitato con gli WHO o Johnny Winter,
ad esempio, musicisti non più giovani che si potrebbero perdere per sempre, se
non si “agganciassero” in occasioni come queste.
A quei tempi Alvin Lee era una leggenda perché si
diceva che fosse il più veloce di tutti… poca cura del suono ma grandissima
tecnica, e per noi ragazzetti inesperti, vedere le dite correre veloci sulla
tastiera era il massimo che si potesse chiedere.
Ancora oggi, con una certa frequenza, apro youtube per
cercare “I’m
going home” e per godermi quella faccia d’angelo, giovanissima,
che improvvisa su di una semplice base blues. Ancora oggi da pelle d’oca!
Ed è per questo che ho “odiato” con tutto me stesso,
per qualche minuto, l’incredibile security che ha impedito per tutto il
concerto che riprese innocenti permettessero di portare a casa un ricordo
significativo. Immagino avessero disposizioni ben precise e fossero sotto
pressione, perché non avevo mai visto un tale accanimento verso gli innocenti
possessori di telefonini e videocamere da quattro soldi. Mi fa pensare il fatto
che, pochi giorni prima, con Warren Haynes, era accaduta la stessa
cosa, anche se in dimensioni minori.
In questa occasione, addirittura, si cercava di
impedire al pubblico di ballare, fatto di per se spontaneo davanti a cotanta
musica, ed è stata dura anche per gli operatori di settore, che non hanno potuto
svolgere con facilità il loro mestiere.
Alla fine il pubblico non è più riuscito a trattenersi
e, a metà “I’m going home” si è spinto sino a sotto il placo, con la
security impotente e Alvin Lee apparentemente contento dell’entusiasmo
suscitato.
Nessuna sommossa e nessun atto di violenza, solo
voglia di lasciarsi andare, avendo di fronte un mito della musica rock, che da
un momento all’altro potrebbe appendere la chitarra al chiodo.
Questo l’epilogo di un concerto … nella norma, non
trascendentale dal punto di vista tecnico, ma in questi casi la qualità della
performance si mischia al personaggio in gioco e all’atmosfera generale che,
ovviamente, mi ha soddisfatto.
Sul palco un trio classico chitarra, basso e batteria,
con la particolarità dell’utilizzo del contrabbasso, che ha caratterizzato la “I’m
going...” più volte citata, brano durato oltre venti minuti, e
“colpevole” di aver provocato l’avvicinamento forzato ai musicisti.
Altro brano che mi ha fatto sognare è stato “Love like a man”, che nel 45 giri
originale occupava entrambe le facciate, una per versione live e l’altra per
quella “studio”.
E’ stato un vero tuffo nel passato che mi ha riportato
al 1974, anno in cui col mio gruppo da balera la proponevamo tra un valzer e
una canzone di Drupi, facendo quasi sempre ammattire i gestori dei locali.
Lui, il grande Alvin, ha perso un bel po’ della sua
mitica velocità, che in una sera come questa avrebbe avuto un certa valenza. Ha
commesso anche un bel po’ di errori, nascosti dalle svisate poco pulite. La
voce regge bene, ha un timbro che è molto vicino “ai vent’anni”, ed è
perfettamente adatta al genere proposto.
Molto bravo il bassista che ha suonato… con tutto il
corpo, e con un gran sorriso stampato sul viso. Molto buona la sua resa al
contrabbasso.
Batterista invece anonimo, costretto ad un lungo
assolo di poco impatto, soprattutto per chi, pochi giorni prima, nella stessa
esatta posizione, aveva avuto l’opportunità di vedere all’opera Jon
Hiseman.
Ma nell’insieme un degno spettacolo, adatto a conoscitori
del genere e a giovani, magari incuriositi dai ricordi dei genitori.
Personalmente sono molto contento di essere passato da
Genova, il 16 luglio, luogo in cui Music No Limit ha permesso
che un altro tassello della mia storia musicale andasse al posto giusto.