Tony
mi ha dedicato un pò di tempo, rispondendo a qualche domanda.
Una
mia piccola premessa per Tony Pagliuca, come cappello
all'intervista.
Sono
convinto che i musicisti rock (mi piace utilizzare un’unica grande
famiglia musicale) di un tempo non potessero capire che cosa essi
significavano per noi, in un periodo in cui i nostri miti si potevano
solo vedere su CIAO 2001, o sulle copertine dei vinili.
Anche mentre sto scrivendo, mi appare … innaturale poter aver
questa possibilità, questo privilegio.
Ricordo
come fosse ora quel pomeriggio in cui un amico, appassionato di
musica come me, scese in strada con in mano l’eterea copertina di
“Collage”. Io avevo ben in testa le Orme, per
una canzone che, come spesso accade agli adolescenti, aveva segnato
due mesi estivi del 1970, ed era “Irene”.
Bei
ricordi, ma cosa c’entrava il facile ritornello di Irene con la
musica d’oltremanica a cui mi stavo avvicinando?
Il
mio amico, insuperabile nel “raccontare” un disco, mi portò
quindi il vinile da “guardare” e quando fu possibile appesi in
camera il poster di CIAO 2001 che riprendeva l’immagine dell’LP.
Comprai,
e ascoltai quel disco incessantemente per giorni e, al di là delle
cronologie ufficiali, ricordo “Collage” come il primo disco di
musica progressiva italiana.
L'INTERVISTA
La
linea di demarcazione tra “Irene” e “Cemento Armato” mi
appare come una voragine, che per essere oltrepassata richiede sforzi
enormi di immaginazione, volontà e coraggio, elementi determinanti
per affrontare un cambio culturale. Che cosa realmente vi
affascinò di quella musica, di quella formazione alla NICE, che
di fatto accantonò la tradizione pop italiana del momento?
Irene
è una canzone di Nino Smeraldi, il leader delle Orme dell’epoca
beat, una melodia giovane e nobile che io amo suonare nei bis in
alcuni concerti di solo piano. Irene nasce giusto nel periodo delle
decisioni, il gruppo si trovava confuso davanti al bivio: continuare
a suonare il beat magari con l’obbiettivo di rinfrescare la melodia
italiana o tentare il salto nell’incognita del nuovo. Irene con il
suo testo innocente ci ha accompagnato per quel breve periodo al
bagliore dell’aurora del grande cambiamento.
Le
attuali collaborazioni con gli artisti stranieri importanti,
provenienti soprattutto dall’Inghilterra, sono all’ordine del
giorno, ma anche allora i contatti erano obbligati e frequenti, non
solo nel caso delle ORME. Senza scendere sulle qualità
tecniche, come erano i rapporti tra di voi? C’era una specie di
sudditanza psicologica? Qualcuno trattava con sufficienza chi non
apparteneva geograficamente al gotha della musica prog?
Gli
inglesi sono i maestri della musica moderna e da parte nostra c’è
stato sempre grande rispetto e ammirazione. I rapporti sono sempre
stati all’insegna della cordialità e della professionalità, ma il
divario culturale potrebbe aver viziato qualche collaborazione; Ci
consola il fatto cheTony Stratton Smith, lo scopritore deiGenesis e
dei Nice, si
sia interessato a noi, pubblicando " Felona&Sorona"
in inglese.
Hai
un aneddoto significativo, positivo o negativo, legato a qualche
collaborazione o incontro on stage?
Per
l’esigenza di crescita del gruppo avevamo deciso di confrontarci e
volevamo riuscire a fare un LP senza l’aiuto del nostro “Guru”
l’amico e direttore artistico GianPiero Reverberi. Per
superare questa prova scegliemmo Londra; eravamo molto caricati per
il successo di "Canzone
d’amore" .
La casa discografica ci trattò al meglio prendendo in affitto un
appartamento nella zona centrale di Myfair, ma doveva essere molto
preoccupata perché ci prenotò lo studio di un altro maestro delle
tastiere, il NEMO studio di VANGELIS. Poteva sembrare una mossa
intelligente per darci sicurezza nel caso ci fossero state
difficoltà, ma a me fece l’effetto contrario. La sudditanza che
provavo con Reverberi l’avevo trasferita su Vangelis per cui
passammo uno, due giorni, una settimana senza fare una sola
registrazione. “Stanno
accordando le chitarre” si
sentiva al telefono a Milano. Al mattino dell’ottavo giorno
il grande Vangelis Papathanassiou si presentò in studio con a fianco
un ometto con una giacca di flanella e una borsa da ostetrica in
mano. Pensammo: "Oddio
cosa succede ora?"
Vangelis in quel momento salutò tutti con un sorriso molto ... greco
ed entrò in sala di registrazione; l’ometto si sistemò in un
angolo dello sterminato studio pieno di tastiere e salì sopra una
piccola pedana di legno, si piegò sulla borsa ed estrasse una tromba
tutta lucida e cominciò a suonare una melodia strana,
incomprensibile, ma con il passare dei minuti sembrava si
diffondessero nell’aria parole del tipo : "ragazzi
muovetevi questa è la sveglia!" Era
per noi la sveglia! Poco dopo ci riprendemmo e rinfrancati
chiesi a a Vangelis : Secondo
te in questo passaggio in Fa maggiore ci metteresti come basso il
primo rivolto o il fondamentale? E
lui guardandomi stupito: - Ma
uno vale l’altro, lasciate perdere l’accademia e suonate come
sapete suonare-. La crisi
cessò di colpo e partimmo suonando senza mai più fermarci.
Ho
visto le ORME negli anni 70 a Savona, la mia città. Ho ripetuto
l’esperienza lo scorso anno, stesso teatro. Tu non c’eri, ma devo
onestamente dire che l’entusiasmo verso la “vostra” musica non
è scemato, come a dire che cambiando gli attori, se il copione resta
lo stesso ed è di qualità, anche il risultato non cambia. Sei
d’accordo che la musica delle ORME ha assunto la dimensione che
prescinde da chi la propone(se di artisti si tratta, ovviamente)?
Ahi ahi,
qui tocchi un tasto delicato. Va da se che qualsiasi musica
reinterpretata da musicisti professionisti offra sempre una dose più
o meno variabile di emozione. Nel caso delle Orme è un fatto molto
personale: io me ne sono andato dal gruppo nel 1992 perché non
condividevo più il loro modo di vivere la musica; sono sempre un po’
coinvolto per dare un giudizio obbiettivo e scevro di un senso
critico, per cui quando sento i miei ex colleghi che suonano la
musica delle Orme mi viene spontaneo dire -sì
bravi ma mancano un po’ di Toni-.
Senza
voler entrare nei particolari e nei rapporti interpersonali, ti sei
mai pentito di aver lasciato il gruppo e di aver intrapreso una più
difficile carriera autonoma?
Con
Le Orme mi sono lasciato due volte: la prima per un mio peccato di
superbia, pretendevo dagli altri un maggiore impegno; la seconda ,
dopo la reunion del 1996, perché non potevo più sopportare la loro
“vendetta”. Per cui, mi pento solo per il primo abbandono.
Nel
2004 sono andato a Voghera a sentire gli YES, cioè il gruppo che un
anno prima, a Savona, mi aveva fatto capire quanto per me fosse
importante la musica che da un po’ avevo accantonato. Sapevo
di trovare la PFM preceduta da un ulteriore gruppo spalla, i
Malaavia. Non sapevo però di trovare sul palco Tony Pagliuca e devo
dire che la cosa mi ha indotto a riflessioni, che niente avevano a
che fare con la performance, ma nella mia testa il tuo posto naturale
era sul palco principale, affianco di PFM e YES. Sono solo
considerazioni di impronta sentimentale, o anche tu, a volte nella
vita , hai provato questa sensazione di non essere nel posto che ti
competeva?(ovviamente non è mia intenzione togliere importanza a
Scarpato e soci).
Gli
ultimi anni con Le Orme, quelli della ”espiazione", sono stati
terribili per me; non avevo più la stima dei miei colleghi e sentivo
che mi tenevano sul palco solo perché ero proprietario del nome.
Qualsiasi mia idea veniva bocciata ancor prima che la esprimessi;
qualcuno mi aveva anche proibito di suonare il mio strumento,
l’organo Hammond, costringendomi a usare strumenti digitali che non
sopportavo già da allora. La situazione era drammatica, il pubblico
percepiva qualcosa, ma c’era l’altro tastierista che bonificava.
C’erano dei momenti durante il concerto che avrei potuto leggere
tranquillamente il giornale, per cui quando me ne andai, ( e in malo
modo), seppi che alle mie spalle si intonò il coro della calunnia
diffondendo in tutta la penisola un venticello ingiusto che mi
danneggiò parecchio.
Le
reunion di grandi e piccoli gruppi sono all’ordine del giorno.
L’ultima di cui sono a conoscenza, imminente, riguarda i TRIP del
mio concittadino Joe Vescovi. Sono fatti che appassionano molto chi
non ha dimenticato e chi vorrebbe rivivere quei giorni. Cosa secondo
te muove i musicisti a rimettersi in gioco, in un età in cui,
inutile nasconderlo, certe attività concertistiche potrebbero anche
pesare?
Ma
chi ha la musica nel sangue non conosce l’invecchiamento, anzi.
Nel
tuo “metodo di lavoro” quotidiano, quale spazio dedichi ai
giovani e qual è, in senso più generale, il rapporto che hai con
musicisti, magari molto bravi, ma all’inizio del percorso? Mi
piacerebbe trasferire agli studenti che vogliono fare composizione,
la fantasia e la incontenibilità dell’arte.
Qual
è stata la spinta che ti ha portato a rivisitare i brani delle ORME
in chiave acustica, realizzando Apres Midi- Ormeggiando?
La
casa discografica Universal, dopo aver sentito i provini della mia
musica per piano solo, mi ha suggerito di fare un disco più
riconoscibile arrangiando i pezzi delle Orme, e così ho fatto. Per
cui ringrazierò tutta la vita Claudio Magnani per avermi costretto a
ritornare sulle mie Orme.
Mi
dici cosa ha rappresentato per te, umanamente, Giampiero Reverberi?
Il
Maestro Reverberi è diventato per i miei figli lo zio “Piero”.
Pochi
giorni fa mi è capitato di ascoltare una reunion quasi completa del
BMS, dedicata a Rodolfo Maltese, in fase di superamento di un grave
problema fisico. Dagli anni 80 i fratelli Nocenzi non si esibivano
assieme, e sul palco Francesco Di Giacomo ha duettato con Bernardo
Lanzetti … uno spettacolo per i presenti! Io sono convinto che
solo la musica possa dare emozioni così intense e aggregare, al di
là delle barriere anagrafiche. Qual è la tua opinione?
Oh
sì, la musica è una cosa meravigliosa, unisce tutti i diversi
linguaggi, purtroppo spesso è prigioniera di cattivi consiglieri.
Prima
di dirmi come immagini il Pagliuca proiettato nel futuro prossimo,
vorrei chiederti: Il luogo in cui tu, Dei Rossi e Tagliapietra
vivevate, ha condizionato la vostra musica?
Il
capo della Polygram Alain trossat, nel 1979 ci aveva accusato di
vivere in una la torre d’avorio, ma forse è stata la nostra
provincialità a risparmiarci una fine precoce. Ma c’è da dire che
l’Italia in questo periodo offre poche possibilità di sviluppo per
chi canta fuori dal coro.