domenica 12 settembre 2010

Lucio "Violino" Fabbri- L'intervista



Il recente concerto di Oviglio 


mi ha dato l’opportunità di conoscere Lucio “Violino” Fabbri.
Musicista super conosciuto, lo si può collegare a differenti situazioni musicali che possono riguardare gli appassionati del prog (ha suonato e suona con la PFM), quelli che prediligono la musica leggera (detiene il record di direzioni di orchestra al Festival di Sanremo), e anche i più giovani, essendo Lucio un collaboratore di “XFactor”.
Ma nella sua biografia c’è, ovviamente, molto di più.
La nostra lunga telefonata, inizialmente impostata come intervista, si è trasformata in una chiacchierata interessantissima, dove vengono toccati molti argomenti di carattere sia specifico che generale, dalle esibizioni al Parco Lambro con Finardi sino alla PFM, da Sanremo a XFactor, dagli studi classici sino alle recenti esibizioni.
Ne esce fuori un punto di vista completo sulla musica degli ultimi trentacinque anni, con molta amarezza per lo stato attuale delle cose e qualche speranza di vedere la luce in fondo al tunnel.
Personalmente sono stato colpito dal suo modo di intendere il lavoro di musicista.
Nessuna necessità di essere permanentemente al centro dell’attenzione, ma enorme soddisfazione nel mettere la propria esperienza e competenza a disposizione di terzi, cercando di essere il corretto ausilio per fare emergere doti magari un po’ nascoste.
La luce di cui brilla Fabbri, è spesso indotta quindi, ma per scelta.
E anche questo credo sia un modo nobile per servire la causa della musica.


La chiacchierata...

Una delle immagini “forti” che immediatamente vengono in mente, quando si fa il nome di Lucio Fabbri, è quella della PFM, gruppo che, negli anni settanta, ha significato l’inizio del prog italico, assieme a ORME, BANCO, OSANNA, almeno nell’immaginario collettivo. Ma tu, come ti sei avvicinato alla musica progressiva, che tipo di percorso musicale hai realizzato? Amore casuale o fortemente voluto?
In realtà sono arrivato a questo tipo di musica in tempi molto recenti proprio grazie alla PFM. Non ho avuto da ragazzo una naturale attrazione per il prog, anche perché inizialmente questo genere musicale non esisteva ancora, e in un secondo tempo, durante il suo periodo più florido, ero attratto da altre forme di musica con altre radici musicali.

Me ne parli?
Ho iniziato ad ascoltare musica pop quando ero molto giovane, attorno ai sette anni, dopo aver ascoltato i Beatles. Il mio background parte quindi da una forma canzone sostenuta da un forte tessuto rock and roll, e per molti anni ho convissuto con questo “formato”, che per me rappresenta la forma più naturale di espressione musicale, sia come fruitore che come protagonista, ma si sa che la vita di un musicista è costellata di incontri con altri artisti e le mie numerose collaborazioni mi hanno arricchito e motivato, spingendomi verso nuove direzioni. In questo scenario mi sono ritrovato a suonare inizialmente altri generi come la fusion o il funky, a seconda dei musicisti con cui mi sono trovato ad interagire.

Hai avuto anche contaminazioni con la musica classica?
Ho fatto il conservatorio, che non necessariamente significa che si debba avere una cultura preminentemente classica. Ho fatto quel tipo di scelta perché volevo diventare un musicista il più completo possibile e quindi sono stato investito anche dalla musica classica, in particolare quella sinfonica e cameristica. Ho iniziato a suonare il violino per caso. Da piccolo volevo suonare la chitarra, ma nella scuola di musica di Crema, la mia città, l’insegnamento della chitarra non era contemplato. L’alternativa più ovvia era il pianoforte, ma le classi di pianoforte erano tutte piene, per cui ho ripiegato sul violino, strumento complesso e poco usuale, che nessuno voleva suonare.

 Era anche un po’ fuori dall’immagine rock!
Era fuori dall’immaginazione di chiunque! Pensa che negli anni sessanta, contrariamente ad oggi, esisteva il luogo comune che un violinista avrebbe trovato facilmente un impiego perché le orchestre erano carenti di violini, viole e violoncelli. Lo strumento per eccellenza era il pianoforte, perché nella case, soprattutto in quelle delle famiglie benestanti, c’era una sorta di “status” che imponeva ad almeno un figliolo di studiare il pianoforte, anche se era spesso una falsa passione che si esauriva nello spazio di pochi anni. Il violino è invece qualcosa che tu o odi o ami profondamente, ed il segnale è immediato, il che non crea quindi delusioni a scoppio ritardato.

Ho prova tangibile di quanto tu dici, in quanto mio figlio ha iniziato il percorso scolastico alle scuole medie proprio con lo studio (casuale) parallelo del violino, arrivando persino ad esibirsi in un piccolo concerto al Teatro Chiabrera ( dove tu hai suonato con la PFM), ma dopo un anno mi ha confessato che non era cosa per lui e quindi ha rinunciato.
Sì, i segnali non si fanno attendere. A Crema c’era una discreta scuola di violino, essendo in provincia di Cremona, città con una grande tradizione di liutai. La scuola che frequentai successivamente fu il Conservatorio di Piacenza, ma ad un certo punto dovetti scegliere, perché mi ritrovai ad essere al contempo uno studente di violino ed un session-man che si esibiva a volte anche davanti a 100.000 persone come per esempio ai Festival di Re Nudo al Parco Lambro. Entrai quindi giovanissimo a far parte di un gruppo di lavoro che faceva capo ad Eugenio Finardi, molto impegnato in attività live e di studio e quindi mi sono trovato a dover scegliere dando seguito alla mia vera vocazione, che è principalmente quella di lavorare in uno studio di registrazione. Infatti fin da ragazzo ho avuto questo chiodo fisso di fare l’arrangiatore più che lo strumentista. Lo strumento di per sé è quello che attira immediatamente l’attenzione, ma l’attività di “recording”, il lavoro in studio, è quello che più mi soddisfa, la mia vera vocazione-passione, ed è il filo conduttore di tutta la mia vita.

Quindi il progressive…
... è una delle tante fasi della mia vita, uno di quei momenti in cui mi sono trovato ad affrontare un’esperienza musicale nuova. Nel periodo di Finardi, ad esempio, eravamo influenzati prevalentemente dal suono rock dei gruppi dell’epoca, Stones in testa. Paradossalmente la PFM è arrivata molto più tardi. Preciso che io non definirei la PFM un gruppo prettamente prog, perché è una band che ha sperimentato tanti percorsi musicali, prima fra tutte la musica progressive, che ovviamente non aveva tale definizione a quel tempo. Quando negli anni ottanta mi aggiunsi a Di Cioccio e compagni l’esperienza con De Andrè era ancora viva dentro tutti noi e in quel periodo la PFM si ritrovò ad essere decisamente più vicina ai Beatles che non ai Genesis, e ci trovammo a seguire le orme dei gruppi di allora (Supertramp, Police …), con grande attenzione ai testi e con melodie e arrangiamenti che ricalcavano l’onda del momento. In tutto il mio periodo “80”, ho quindi suonato in una PFM che potrei meglio definire “pop-rock”.

Certo è che il periodo d’oro di Gentle Giant, Genesis, Yes ecc, era ormai alle spalle!
Sì, e anche per la PFM quelle sonorità prog rappresentavano ormai il passato, anche se enorme è stato il suo valore, se è vero che per prima, assieme ai gruppi che citavi, ha fatto conoscere quel particolare genere musicale, anticipando la corrente d’oltremanica e assumendo quasi il ruolo di ambasciatrice e portatrice del messaggio che qualcosa stava cambiando nel panorama musicale tradizionale. Tutto questo ha portato il gruppo in giro per il mondo, con conseguente successo di pubblico e critica. Il passo successivo, temporalmente parlando, è stato l’incontro di De Andrè e subito dopo sono arrivato io, col mio bagaglio e l’esperienza a cui ho accennato prima, e mi sono trovato immerso in una musica che mi calzava a pennello: quella della PFM stile 80, con arrangiamenti “semplici” e lineari. Sono poi uscito dal gruppo, ho continuato nella mia attività di arrangiatore, e il paradosso è che solo molto tempo dopo il progressive mi è caduto addosso.. posso anche dirti la data esatta: l’11 settembre del 2001, quando partecipai come special guest a una reunion con la PFM … il primo giorno dedicato alle prove ed il secondo alla registrazione di un DVD in Svizzera davanti al pubblico, suonando tutti i grandi pezzi del passato, ed è stato quindi solo in quel preciso momento che mi sono tuffato nel mondo progressive, senza particolari difficoltà, dato che avevo una preparazione tecnica adeguata e non avevo il timore di cimentarmi con qualcosa di nuovo per me, seppur non particolarmente semplice, soprattutto perché era d’obbligo avere una grande memoria musicale. Posso quindi affermare che, da nove anni a questa parte, sono diventato un musicista “anche” progressive.




Hai fatto accenni al Parco Lambro e Finardi, il musicista italiano che preferisco, al di fuori dell’area prog, per effetto dell’aver scandito alcuni passaggi significativi della mia vita (la musica per me non ha niente di razionale...). La prima volta che ho visto il nome di Lucio “violino” Fabbri è stato in occasione della lettura delle note di copertina di un disco di Finardi … mi racconti qualcosa di lui e del vostro rapporto?
Sono stato legato a lui per un certo periodo di tempo, forse quello più divertente della sua carriera che, come spesso accade agli artisti di successo, è quello degli “inizi”. Prima di allora lui aveva fatto una certa gavetta, dapprima nella band “Il Pacco” e successivamente con un disco in inglese per la Numero Uno, ma il momento “clou” dei suoi primi passi verso il successo è stato sicuramente quello condiviso con me. Ci incontrammo per caso durante una festa di fine anno, e lui mi disse: “ Tra un paio di settimane inizio a registrare il mio primo album, con la CRAMPS e tu ci devi essere”. Non posso dire che fu amore a prima vista perché il nostro rapporto è sempre stato un po’…. vivace.

Ho toccato qualche dolente nota?
No, no… assolutamente: il fatto che lui è dotato di grande personalità, ma anche io ho una bella testa dura, quindi ci siamo spesso scontrati, musicalmente parlando. Lui privilegiava magari certe soluzioni e io la vedevo diversamente, però, a mio avviso, questa nostra peculiarità è servita a far nasce tre dischi eccezionali, parlo dei suoi primi tre album, di cui il primo ed il terzo hanno visto la mia parziale partecipazione, mentre del secondo, “Sugo”, ritengo di essere in buona parte il produttore - o comunque il co-produttore con Eugenio - avendo arrangiato quasi tutti i brani contenuti in quell’album. A mio avviso abbiamo realizzato un album che anche ai giorni nostri, facendo gli opportuni distinguo legati alle epoche diverse, teme poca concorrenza. Quindi non c’erano particolari problemi tra noi, ma quando ci sono questi forti scontri di personalità e si deve continuare a lavorare in team…

Si cerca di mediare le situazioni?
No, tutto finisce... inevitabilmente questi rapporti finiscono. Dopo due o tre anni lui ha preso la sua strada e io la mia, seguendo un sentiero che mi ha portato anche ad un album solo. Mi chiedevi qualche ricordo di quei giorni… a quei tempi il problema maggiore non era il budget, ma la mancanza di spazi e di strutture per esibirsi, per cui io e lui, a conferma di quanto eravamo legati, ci ritrovavamo a suonare dal soli, voce (anche con il mio contributo per i cori), chitarre (la sua e la mia) e il violino, ovunque, sia davanti al pubblico del Parco Lambro sia in ambienti più ridotti. Ricordo che una volta ci siamo esibiti sopra un carro di fieno, dove era ovviamente impossibile utilizzare la grande sezione ritmica formata da Walter Calloni e Hugh Bullen. Insomma, io e lui eravamo adattabili a qualsiasi situazione, come due vere macchine da guerra.

Qualche altro aneddoto?
Una volta mi ero rotto un dito e sono salito sul palco con il braccio ingessato, utilizzando le uniche dita disponibili.. facevamo cose assurde, e poi abbiamo fatto esperienze che purtroppo ora non si ripetono, mi riferisco all’apertura di concerti come quelli di De Andrè, davanti a migliaia di persone, o come “spalla” della PFM, che già a quei tempi riempiva i palazzetti né più né meno come Fabrizio. Io e Finardi “contro tutti”… un vero scontro, perché il pubblico non voleva noi, ma voleva gli altri, le star. Ricordo una volta al Palasport di Torino il volo di un uovo sodo che si stampò sulla fronte di Eugenio... ma noi imperterriti, con la grande voglia di farci ascoltare, abbiamo proseguito, e alla fine i risultati sono arrivati.







Ma perché esiste solo un disco di Lucio Fabbri, “Amarena”?
Perché … me lo hanno chiesto solo una volta! Diciamo che non mi sveglio alla mattina con l’idea di fare un disco da solo…

E’ l’ultima cosa che risiede nei tuoi pensieri?
Non voglio dire che sia proprio l’ultima, ma … non è nei miei pensieri; il mio è un approccio molto pratico, da arrangiatore, per cui se c’è vicino a me qualcuno che ha qualche ricchezza artistica interiore naturale, la prima cosa che faccio è quella di portare, a lui o a lei, il mio bagaglio di esperienza e completare e rivestire le canzoni proposte. Per me, prima di tutto, si fanno le canzoni degli altri.

Cambiamo registro. La tua massiccia presenza al Festival di Sanremo in qualità di direttore d’orchestra mi fa nascere qualche curiosità, soprattutto in relazione al fatto che hai diretto chi ha inaspettatamente vinto, nel senso che era sconosciuto, perdendo poi la visibilità in un piccolo spazio temporale. Mi riferisco ad esempio ai Jalisse e ad Annalisa Minetti, cantanti che per qualche motivo si sono trasformati in meteore. Come ti spieghi questo fenomeno?
Non credo di essere il più adatto a dare spiegazioni su questo tipo di fenomeni … da sempre succede, anche a livelli più alti. Pensa a un gruppo come i Mungo Jerry … hanno avuto un successo pazzesco con “In the Summertime” a fine anni sessanta, e poi chi li ha più sentiti?

Ma secondo te manca la qualità o manca la volontà di investire ulteriormente su questi artisti?
Ogni storia è diversa, ogni entità musicale ha una storia diversa, e io non mi sento di criticare o sentenziare, anzi, avendo collaborato con loro da vicino ti posso dire che le due ragazze sono cantanti straordinarie … posso dirti che “Fiumi di Parole” (Jalisse) è una canzone di grandissimo valore. E’ stato buttato tanto fango attorno al concetto di Jalisse come figura artistica, e a mio avviso sono stati rovinati da un accanimento inutile dei media, inspiegabile perché … non davano fastidio a nessuno …

Ma dovuto a cosa, secondo te?
Non lo so … si è detto che il pezzo fosse copiato (ma io non ho mai avuto la riprova), ma ti voglio dire qualcosa di più di questa canzone: avendo vinto Sanremo, abbiamo partecipato dopo qualche mese all’Eurofestival a Dublino, ovviamente con lo stesso brano e in un ovvio contesto di musica leggera. Pensa che, appena arrivati, i Jalisse erano dati oper secondi dai bookmakers locali. Poi, per una serie di vicissitudini che non ti sto a raccontare, non hanno vinto, ma sono arrivati comunque quarti, davanti a tutta l’Europa. Evidentemente quella canzone, quell’arrangiamento, quel modo di proporsi, non era nell’insieme trascurabile.

Beh, non è un caso che abbia vinto il Festival e che quindi abbia trovato un notevole gradimento!
Infatti, ci sarà un motivo! E allora, tornando alla tua domanda.. perché molti scompaiono? Non lo so. Probabilmente hanno avuto un’unica intuizione e poi la creatività è venuta meno. Se poi aggiungiamo la stampa contraria, o il segno negativo del pubblico, tutto si complica. Pensa alla Minetti … era considerata una modella, ma nessuno aveva approfondito la sua storia tanto da sapere che in passato si era già presentata a Sanremo con un gruppo prodotto da Enzo Miceli, che è lo stesso che produce Daniele Silvestri. Certo, è anche vero che, essendo una bella ragazza, si era presentata anche a Miss Italia, ma non per questo occorre pensare a un bluff. Si tratta di una cantante che si è presentata a Miss Italia e non di una modella che, per capriccio e ambizione, si è messa a cantare. Comunque non hai idea di quanti siano gli artisti con cui ho lavorato che hanno avuto un solo attimo di celebrità! E poi c’è sempre la doppia possibilità: qualcuno che rema contro oppure un certo calo di creatività come dire… fisiologico.

Ero più che altro curioso di sapere se c’è del talento dietro o si costruiscono, talvolta, castelli di sabbia, destinati a crollare alla prima mareggiata!
Ti rispondo cambiando prospettiva a questo problema. Sai quanta gente brava c’è in giro, che non riesce ad avere successo?

Lo immagino …
Dunque, se persino uno veramente bravo fa fatica a trovare il successo … perché mai dovrebbe avere successo uno “scarso”? Non c’è logica. Quindi stiamo parlando di bravi musicisti più fortunati di altri, perché se non sei un bravo musicista non ci vai a Sanremo … non ti prendono. Se canti fuori tempo, se stoni, se dimentichi le parole, se non hai un timbro caratteristico, se non hai un modo corretto di porti … non ti prendono! Non definiamoli cantanti di serie B … di fatto hanno avuto un successo di tipo B mentre gente a volte qualitativamente inferiore a loro ha avuto un successo di tipo A. Il successo è una cosa abbastanza casuale, che dipende da fattori che ne io ne tu siamo in grado di sviscerare in questo momento ... può accader a personaggi minori, ma anche a gente molto brava.

Mi preme chiederti se hai un ricordo particolare di Andrea Parodi, cantante dei Tazenda, prematuramente scomparso e mio compagno di strada in alcuni stralci di adolescenza, a Savona.
Ho un ricordo molto bello di quel momento, di quando cioè i Tazenda sono andati a Sanremo con Pierangelo Bertoli. A molti sembrava un’operazione un po’ campata per aria … e invece si è rivelata una miscela da brivido. Ma più che memorie sul piano personale ho un‘immagine globale che mi riporta alla fine della strofa cantata da Bertoli (il brano era “Spunta la luna dal monte”), e a un certo punto arrivava la voce di Andrea che credo abbia provocato emozioni che hanno “ bucato “ la televisione di tutti gli spettatori a casa. Grandissimo talento Andrea, e grandissimi i Tazenda, con cui ho collaborato successivamente. Anche loro hanno avuto il loro alti e bassi, ma la loro tenacia è spesso stata premiata.

 

Come è normale che accada nella vita, non solo quella dei musicisti!
Eh sì, occorre farci l’abitudine, anche se non ci si riesce mai completamente.

Vista la tua collaborazione con XFactor, in qualità di esperto, mi dai un tuo giudizio sui Talent show? Sono utili, servono davvero? Il giudizio di un esterno come posso essere io è condizionato da molti fattori ed è poco professionale.
Ti faccio una breve analisi, anche un po’ fantascientifica. Esiste “Amici” ed esiste “X-Factor”. Non voglio evidenziare le differenze, anche se posso dirti che ne esistono e sono profonde. I ragazzi che partecipano a questi talent show (che è bene dirlo, esistono in tutto il mondo), sono bravi (perché se non sei bravo non ti prendono), vanno ai provini e si mettono in gioco. Punto. Immaginiamo ora che questi due programmi non siano mai esistiti. Questi ragazzi, bravi, a volte bravissimi, dove vanno? Come fanno a farsi conoscere dal grande pubblico? Possono non piacere o essere antipatici o suscitare invidie, ma vale lo stesso discorso fatto per i Jalisse: se non sei bravo non ci arrivi. Certo, si possono anche criticare con affermazioni tipo: ”..eh, ma non sono bravi come quelli degli anni 70…”, ma intanto sono quelli che abbiamo oggi, e la TV offre, credo, solo queste due possibilità per farsi ascoltare. Se invece non ci fossero, che altre possibilità avrebbero questi giovani? Piano bar? Orchestre da ballo? Di sicuro non potrebbero fare il percorso di Finardi, visto che abbiamo parlato di lui, perché quelle strade non esistono più. Non c’è un tessuto politico che ti sostiene, che magari un tempo strumentalizzava l’artista, sfruttando il messaggio proveniente dai testi, ma dava comunque la possibilità di “camminare”. Oggi allestisci il tuo studio casalingo, sfruttando le nuove tecnologie, registri dei demo e inizi a mandarli in giro, ma forse neanche più quello, perché la musica finisce direttamente su internet, ottima – sebbene molto dispersiva - alternativa ai Talent. Quindi, se levassimo i Talent, otterremmo una maggior ricerca sulla rete, che è comunque un labirinto, non sempre chiaro e agevole, soprattutto se ricerchi musica nuova. Come alternativa, dal punto di vista del “live”, nei locali trovi solo cover band, formate magari da ottimi musicisti e pensi: ” … bravo quel ragazzo! Chissà perché’ non ha successo ?!”. E come ci potrà mai arrivare senza vere opportunità? E allora torniamo ai Talent, che sono una benedizione, perché se per sbaglio nasce da qualche parte un Peter Gabriel o un Paul McCartney, quello va per forza dritto ad X-Factor; quindi ben vengano le critiche, ma la realtà è che siamo tutti in attesa di un nuovo Phil Collins, o un nuovo Peter Gabriel, e nel bene o nel male è solo lì che possiamo andare a cercarlo. Non esistono altre opportunità di scoprire e far scoprire al pubblico nuovi talenti. Possiamo quindi giudicarli negativamente e dire che non sono abbastanza bravi, meno bravi di altri in altri tempi, e un dubbio potrebbe andare anche a chi li seleziona … può anche essere che i “giudici” mandino via prematuramente qualcuno che ha qualità … che osannino uno che ne ha di meno … tutto può essere, ma credo che se ti si presenta davanti un Peter Gabriel te ne accorgi subito, sia che vada ad Amici o a X-Factor o al Telegiornale...

Da circa un anno e mezzo partecipo agli spettacoli organizzati da Franco Taulino ( e non solo) e trovo siano emozionanti, almeno per il pubblico. Vedere assieme, e da vicino, i musicisti più disparati, sullo stesso palco, magari in un contesto ambientale gradevole, è cosa emozionante (mi risulta anche per i musicisti). Ma la cosa che più mi colpisce è che all’improvviso le varie entità si trasformano in vero gruppo che riesce a interagire con l’audience. Qual è la tua opinione … che ricordo hai dell’esperienza di Oviglio, e che differenze trovi rispetto agli incontri del passato?
In realtà non è che io faccia molte di queste esibizioni. Complimenti comunque a chi ha organizzato e sponsorizzato il concerto di Oviglio. Mi sono trovato su un palco a suonare con ottimi musicisti dell’ottima musica, e soprattutto con un pubblico che sorprendentemente ha gradito moltissimo. Non eravamo lì per fare musica da ballo, con tutto il rispetto, ma buona musica, che un pubblico caloroso, preparato e intelligente ha gradito. Per me è stata una bellissima esperienza! Non ho purtroppo termini di paragone, per tornare alla tua domanda, perché potrei solo fare comparazioni tra i vari concerti della PFM. In questa occasione i musicisti erano diversi, così come l’equipaggiamento tecnico, ma è stata assolutamente una sorpresa piacevole ed una bellissima serata.

Sono contento che tu ti sia trovato bene perché significa che prima o poi ti ritroverò su qualche palco alessandrino.
Certamente.. perché no!

Un’ultima domanda. Sei musicalmente felice ho hai qualche rimpianto per un treno passato e mai preso?
Non è semplice ricordare gli eventuali treni persi o quelli inaspettatamente presi, ma penso che dopo una carriera, dopo una vita di lavoro, le cose si bilancino e se magari qualcosa è andato perso, altro è arrivato, dando soddisfazioni ancora maggiori. Io non sono molto propenso a tirare le somme, non credo sia mai il momento di farlo …

E’ ancora presto?
Sai, per qualche motivo io ho sempre la sensazione di essere un po’ agli inizi, nonostante gli anni di lavoro alle spalle, anche perché mi misuro costantemente con dei musicisti di livello così alto, probabilmente irraggiungibili, che diventano uno stimolo e una motivazione per guardare sempre avanti, evitando i bilanci personali.

Possiamo quindi dire che sei contento di tutto ciò che hai fatto e ottenuto nel corso della tua carriera?
Assolutamente sì . Esiste però un’ombra di tristezza, che non riguarda la mia carriera, ma la piega che ha preso il mondo dello spettacolo e quindi anche la musica italiana, perché non esiste più quella magia di una volta legata al fenomeno “disco”. Sono cresciuto ascoltando vinili, lavori di grande successo mondiale e locale. Era il periodo in cui usciva un album e non si vedeva l’ora di ascoltarlo e condividerlo. Da un po’ di anni non si registra più musica nuova a grandi livelli e tutti sono molto meno invogliati, non tanto gli artisti, ma chi è deputato a investire e … non investe più. La crisi economica ha colpito anche le case discografiche e accade che un artista di discreto successo abbia una situazione patrimoniale più florida di chi dovrebbe investire su di lui, e in qualche modo riesce ad autoalimentarsi. Ma in questo modo non c’è spazio per i “nuovi” per mancanza di fondi.

Non è solo un fenomeno italiano. Da molti anni aspettiamo un disco dei Jethro Tull, ma possiamo solo vederli sul palco. Eppure le idee non mancheranno!
Sì, ma non intendevo quello … i grandi, se vogliono, un disco lo fanno, ma la creatività è un dono riservato principalmente ai giovani: il problema sono i “nuovi”, manca il ricambio e questa è per me la grande tristezza di questo inizio secolo.

Molti infatti si auto producono.
Sì, ma non è la stessa cosa, chiunque può farlo oggigiorno, ma non è altrettanto facile creare i presupposti per incrementare la diffusione della musica, quindi di dischi se ne fanno sempre meno.

Forse occorre rivolgersi ad altri mercati che chiedono .. l’Oriente, la Scandinavia …
Certo, occorre trovare delle alternative … auguriamoci un futuro migliore 

E chi mai potrà impedirci di sognare?!!


Il lavoro di Lucio...