Il recente concerto di Oviglio …
mi ha dato
l’opportunità di conoscere Lucio “Violino” Fabbri.
Musicista super
conosciuto, lo si può collegare a differenti situazioni musicali che possono
riguardare gli appassionati del prog (ha suonato e suona con la PFM),
quelli che prediligono la musica leggera (detiene il record di direzioni di
orchestra al Festival di Sanremo), e anche
i più giovani, essendo Lucio un collaboratore di “XFactor”.
Ma nella sua
biografia c’è, ovviamente, molto di più.
La nostra lunga
telefonata, inizialmente impostata come intervista, si è trasformata in una
chiacchierata interessantissima, dove vengono toccati molti argomenti di
carattere sia specifico che generale, dalle esibizioni al Parco Lambro con Finardi sino alla PFM, da Sanremo a XFactor,
dagli studi classici sino alle recenti esibizioni.
Ne esce fuori un
punto di vista completo sulla musica degli ultimi trentacinque anni, con molta
amarezza per lo stato attuale delle cose e qualche speranza di vedere la luce in
fondo al tunnel.
Personalmente sono
stato colpito dal suo modo di intendere il lavoro di musicista.
Nessuna necessità di
essere permanentemente al centro dell’attenzione, ma enorme soddisfazione nel
mettere la propria esperienza e competenza a disposizione di terzi, cercando di
essere il corretto ausilio per fare emergere doti magari un po’ nascoste.
La luce di cui brilla
Fabbri, è spesso indotta quindi, ma per scelta.
E anche questo credo
sia un modo nobile per servire la causa della musica.
La chiacchierata...
Una delle immagini
“forti” che immediatamente vengono in mente, quando si fa il nome di Lucio
Fabbri, è quella della PFM, gruppo che, negli
anni settanta, ha significato l’inizio del prog italico, assieme a ORME, BANCO, OSANNA, almeno
nell’immaginario collettivo. Ma tu, come ti sei avvicinato alla musica
progressiva, che tipo di percorso musicale hai realizzato? Amore casuale o
fortemente voluto?
In realtà sono
arrivato a questo tipo di musica in tempi molto recenti proprio grazie alla
PFM. Non ho avuto da ragazzo una naturale attrazione per il prog, anche perché
inizialmente questo genere musicale non esisteva ancora, e in un secondo tempo,
durante il suo periodo più florido, ero attratto da altre forme di musica con
altre radici musicali.
Me ne parli?
Ho iniziato ad
ascoltare musica pop quando ero molto giovane, attorno ai sette anni, dopo aver
ascoltato i Beatles. Il mio background
parte quindi da una forma canzone sostenuta da un forte tessuto rock and roll,
e per molti anni ho convissuto con questo “formato”, che per me rappresenta la
forma più naturale di espressione musicale, sia come fruitore che come protagonista,
ma si sa che la vita di un musicista è costellata di incontri con altri artisti
e le mie numerose collaborazioni mi hanno arricchito e motivato, spingendomi
verso nuove direzioni. In questo scenario mi sono ritrovato a suonare
inizialmente altri generi come la fusion o il funky, a seconda dei musicisti
con cui mi sono trovato ad interagire.
Hai avuto anche
contaminazioni con la musica classica?
Ho fatto il
conservatorio, che non necessariamente significa che si debba avere una cultura
preminentemente classica. Ho fatto quel tipo di scelta perché volevo diventare
un musicista il più completo possibile e quindi sono stato investito anche
dalla musica classica, in particolare quella sinfonica e cameristica. Ho
iniziato a suonare il violino per caso. Da piccolo volevo suonare la chitarra,
ma nella scuola di musica di Crema, la mia città, l’insegnamento della chitarra
non era contemplato. L’alternativa più ovvia era il pianoforte, ma le classi di
pianoforte erano tutte piene, per cui ho ripiegato sul violino, strumento
complesso e poco usuale, che nessuno voleva suonare.
Era anche un po’
fuori dall’immagine rock!
Era fuori
dall’immaginazione di chiunque! Pensa che negli anni sessanta, contrariamente
ad oggi, esisteva il luogo comune che un violinista avrebbe trovato facilmente
un impiego perché le orchestre erano carenti di violini, viole e violoncelli.
Lo strumento per eccellenza era il pianoforte, perché nella case, soprattutto
in quelle delle famiglie benestanti, c’era una sorta di “status” che imponeva
ad almeno un figliolo di studiare il pianoforte, anche se era spesso una falsa
passione che si esauriva nello spazio di pochi anni. Il violino è invece
qualcosa che tu o odi o ami profondamente, ed il segnale è immediato, il che
non crea quindi delusioni a scoppio ritardato.
Ho prova tangibile di
quanto tu dici, in quanto mio figlio ha iniziato il percorso scolastico alle
scuole medie proprio con lo studio (casuale) parallelo del violino, arrivando
persino ad esibirsi in un piccolo concerto al Teatro Chiabrera ( dove tu hai
suonato con la PFM), ma dopo un anno mi ha confessato che non era cosa per lui
e quindi ha rinunciato.
Sì, i segnali non
si fanno attendere. A Crema c’era una discreta scuola di violino, essendo in
provincia di Cremona, città con una grande tradizione di liutai. La scuola che
frequentai successivamente fu il Conservatorio di Piacenza, ma ad un certo
punto dovetti scegliere, perché mi ritrovai ad essere al contempo uno studente
di violino ed un session-man che si esibiva a volte anche davanti a 100.000
persone come per esempio ai Festival di Re Nudo al Parco Lambro. Entrai quindi
giovanissimo a far parte di un gruppo di lavoro che faceva capo ad Eugenio Finardi, molto impegnato in
attività live e di studio e quindi mi sono trovato a dover scegliere dando
seguito alla mia vera vocazione, che è principalmente quella di lavorare in uno
studio di registrazione. Infatti fin da ragazzo ho avuto questo chiodo fisso di
fare l’arrangiatore più che lo strumentista. Lo strumento di per sé è quello
che attira immediatamente l’attenzione, ma l’attività di “recording”, il lavoro
in studio, è quello che più mi soddisfa, la mia vera vocazione-passione, ed è
il filo conduttore di tutta la mia vita.
Quindi il
progressive…
... è una delle
tante fasi della mia vita, uno di quei momenti in cui mi sono trovato ad
affrontare un’esperienza musicale nuova. Nel periodo di Finardi, ad esempio,
eravamo influenzati prevalentemente dal suono rock dei gruppi dell’epoca,
Stones in testa. Paradossalmente la PFM è arrivata molto più tardi. Preciso che
io non definirei la PFM un gruppo prettamente prog, perché è una band che ha sperimentato
tanti percorsi musicali, prima fra tutte la musica progressive, che ovviamente
non aveva tale definizione a quel tempo. Quando negli anni ottanta mi aggiunsi
a Di Cioccio e compagni
l’esperienza con De Andrè era ancora viva dentro tutti noi e in quel periodo la
PFM si ritrovò ad essere decisamente più vicina ai Beatles che non ai Genesis, e ci trovammo a
seguire le orme dei gruppi di allora (Supertramp, Police …), con grande
attenzione ai testi e con melodie e arrangiamenti che ricalcavano l’onda del
momento. In tutto il mio periodo “80”, ho quindi suonato in una PFM che potrei
meglio definire “pop-rock”.
Certo è che il
periodo d’oro di Gentle Giant, Genesis, Yes ecc, era ormai alle
spalle!
Sì, e anche per la
PFM quelle sonorità prog rappresentavano ormai il passato, anche se enorme è
stato il suo valore, se è vero che per prima, assieme ai gruppi che citavi, ha
fatto conoscere quel particolare genere musicale, anticipando la corrente
d’oltremanica e assumendo quasi il ruolo di ambasciatrice e portatrice del
messaggio che qualcosa stava cambiando nel panorama musicale tradizionale.
Tutto questo ha portato il gruppo in giro per il mondo, con conseguente
successo di pubblico e critica. Il passo successivo, temporalmente parlando, è
stato l’incontro di De Andrè e subito dopo sono
arrivato io, col mio bagaglio e l’esperienza a cui ho accennato prima, e mi
sono trovato immerso in una musica che mi calzava a pennello: quella della PFM
stile 80, con arrangiamenti “semplici” e lineari. Sono poi uscito dal gruppo,
ho continuato nella mia attività di arrangiatore, e il paradosso è che solo
molto tempo dopo il progressive mi è caduto addosso.. posso anche dirti la data
esatta: l’11 settembre del 2001, quando partecipai come special guest a una
reunion con la PFM … il primo giorno dedicato alle prove ed il secondo alla
registrazione di un DVD in Svizzera davanti al pubblico, suonando tutti i
grandi pezzi del passato, ed è stato quindi solo in quel preciso momento che mi
sono tuffato nel mondo progressive, senza particolari difficoltà, dato che
avevo una preparazione tecnica adeguata e non avevo il timore di cimentarmi con
qualcosa di nuovo per me, seppur non particolarmente semplice, soprattutto
perché era d’obbligo avere una grande memoria musicale. Posso quindi affermare
che, da nove anni a questa parte, sono diventato un musicista “anche”
progressive.
Hai fatto accenni al
Parco Lambro e Finardi, il musicista italiano che preferisco, al di fuori
dell’area prog, per effetto dell’aver scandito alcuni passaggi significativi
della mia vita (la musica per me non ha niente di razionale...). La prima volta
che ho visto il nome di Lucio “violino” Fabbri è stato in occasione della
lettura delle note di copertina di un disco di Finardi … mi racconti qualcosa
di lui e del vostro rapporto?
No, no…
assolutamente: il fatto che lui è dotato di grande personalità, ma anche io ho
una bella testa dura, quindi ci siamo spesso scontrati, musicalmente parlando.
Lui privilegiava magari certe soluzioni e io la vedevo diversamente, però, a
mio avviso, questa nostra peculiarità è servita a far nasce tre dischi
eccezionali, parlo dei suoi primi tre album, di cui il primo ed il terzo hanno
visto la mia parziale partecipazione, mentre del secondo, “Sugo”, ritengo di essere
in buona parte il produttore - o comunque il co-produttore con Eugenio - avendo
arrangiato quasi tutti i brani contenuti in quell’album. A mio avviso abbiamo
realizzato un album che anche ai giorni nostri, facendo gli opportuni distinguo
legati alle epoche diverse, teme poca concorrenza. Quindi non c’erano
particolari problemi tra noi, ma quando ci sono questi forti scontri di
personalità e si deve continuare a lavorare in team…
Una volta mi ero
rotto un dito e sono salito sul palco con il braccio ingessato, utilizzando le
uniche dita disponibili.. facevamo cose assurde, e poi abbiamo fatto esperienze
che purtroppo ora non si ripetono, mi riferisco all’apertura di concerti come
quelli di De Andrè, davanti a migliaia di persone, o come “spalla” della PFM,
che già a quei tempi riempiva i palazzetti né più né meno come Fabrizio. Io e
Finardi “contro tutti”… un vero scontro, perché il pubblico non voleva noi, ma
voleva gli altri, le star. Ricordo una volta al Palasport di Torino il volo di
un uovo sodo che si stampò sulla fronte di Eugenio... ma noi imperterriti, con
la grande voglia di farci ascoltare, abbiamo proseguito, e alla fine i
risultati sono arrivati.
Sono stato legato a
lui per un certo periodo di tempo, forse quello più divertente della sua
carriera che, come spesso accade agli artisti di successo, è quello degli
“inizi”. Prima di allora lui aveva fatto una certa gavetta, dapprima nella band
“Il Pacco” e successivamente con un disco in inglese per la Numero Uno, ma il
momento “clou” dei suoi primi passi verso il successo è stato sicuramente
quello condiviso con me. Ci incontrammo per caso durante una festa di fine
anno, e lui mi disse: “ Tra un paio di settimane inizio a registrare il mio
primo album, con la CRAMPS e tu ci devi essere”. Non posso dire che fu amore a
prima vista perché il nostro rapporto è sempre stato un po’…. vivace.
Ho toccato qualche
dolente nota?
Si cerca di mediare
le situazioni?
No, tutto
finisce... inevitabilmente questi rapporti finiscono. Dopo due o tre anni lui
ha preso la sua strada e io la mia, seguendo un sentiero che mi ha portato
anche ad un album solo. Mi chiedevi qualche ricordo di quei giorni… a quei
tempi il problema maggiore non era il budget, ma la mancanza di spazi e di
strutture per esibirsi, per cui io e lui, a conferma di quanto eravamo legati,
ci ritrovavamo a suonare dal soli, voce (anche con il mio contributo per i
cori), chitarre (la sua e la mia) e il violino, ovunque, sia davanti al
pubblico del Parco Lambro sia in ambienti più ridotti. Ricordo che una volta ci
siamo esibiti sopra un carro di fieno, dove era ovviamente impossibile
utilizzare la grande sezione ritmica formata da Walter Calloni e Hugh Bullen. Insomma, io e lui
eravamo adattabili a qualsiasi situazione, come due vere macchine da guerra.
Qualche altro
aneddoto?
Ma perché esiste solo
un disco di Lucio Fabbri, “Amarena”?
Perché … me lo
hanno chiesto solo una volta! Diciamo che non mi sveglio alla mattina con
l’idea di fare un disco da solo…
E’ l’ultima cosa
che risiede nei tuoi pensieri?
Non voglio dire che
sia proprio l’ultima, ma … non è nei miei pensieri; il mio è un approccio molto
pratico, da arrangiatore, per cui se c’è vicino a me qualcuno che ha qualche
ricchezza artistica interiore naturale, la prima cosa che faccio è quella di
portare, a lui o a lei, il mio bagaglio di esperienza e completare e rivestire
le canzoni proposte. Per me, prima di tutto, si fanno le canzoni degli altri.
Cambiamo registro. La
tua massiccia presenza al Festival di Sanremo in qualità di direttore
d’orchestra mi fa nascere qualche curiosità, soprattutto in relazione al fatto
che hai diretto chi ha inaspettatamente vinto, nel senso che era sconosciuto,
perdendo poi la visibilità in un piccolo spazio temporale. Mi riferisco ad
esempio ai Jalisse e ad Annalisa Minetti, cantanti che per
qualche motivo si sono trasformati in meteore. Come ti spieghi questo fenomeno?
Non credo di essere
il più adatto a dare spiegazioni su questo tipo di fenomeni … da sempre
succede, anche a livelli più alti. Pensa a un gruppo come i Mungo Jerry … hanno avuto un
successo pazzesco con “In the Summertime” a fine anni
sessanta, e poi chi li ha più sentiti?
Ma secondo te manca
la qualità o manca la volontà di investire ulteriormente su questi artisti?
Ogni storia è
diversa, ogni entità musicale ha una storia diversa, e io non mi sento di
criticare o sentenziare, anzi, avendo collaborato con loro da vicino ti posso
dire che le due ragazze sono cantanti straordinarie … posso dirti che “Fiumi di Parole” (Jalisse) è una
canzone di grandissimo valore. E’ stato buttato tanto fango attorno al concetto
di Jalisse come figura artistica, e a mio avviso sono stati rovinati da un
accanimento inutile dei media, inspiegabile perché … non davano fastidio a
nessuno …
Ma dovuto a cosa,
secondo te?
Non lo so … si è
detto che il pezzo fosse copiato (ma io non ho mai avuto la riprova), ma ti
voglio dire qualcosa di più di questa canzone: avendo vinto Sanremo, abbiamo
partecipato dopo qualche mese all’Eurofestival a Dublino, ovviamente con lo
stesso brano e in un ovvio contesto di musica leggera. Pensa che, appena
arrivati, i Jalisse erano dati oper secondi dai bookmakers locali. Poi, per una
serie di vicissitudini che non ti sto a raccontare, non hanno vinto, ma sono
arrivati comunque quarti, davanti a tutta l’Europa. Evidentemente quella
canzone, quell’arrangiamento, quel modo di proporsi, non era nell’insieme
trascurabile.
Beh, non è un caso
che abbia vinto il Festival e che quindi abbia trovato un notevole gradimento!
Infatti, ci sarà un
motivo! E allora, tornando alla tua domanda.. perché molti scompaiono? Non lo
so. Probabilmente hanno avuto un’unica intuizione e poi la creatività è venuta
meno. Se poi aggiungiamo la stampa contraria, o il segno negativo del pubblico,
tutto si complica. Pensa alla Minetti … era considerata una modella, ma nessuno
aveva approfondito la sua storia tanto da sapere che in passato si era già
presentata a Sanremo con un gruppo prodotto da Enzo Miceli, che è lo stesso che
produce Daniele Silvestri. Certo, è anche vero
che, essendo una bella ragazza, si era presentata anche a Miss Italia, ma non
per questo occorre pensare a un bluff. Si tratta di una cantante che si è
presentata a Miss Italia e non di una modella che, per capriccio e ambizione,
si è messa a cantare. Comunque non hai idea di quanti siano gli artisti con cui
ho lavorato che hanno avuto un solo attimo di celebrità! E poi c’è sempre la
doppia possibilità: qualcuno che rema contro oppure un certo calo di creatività
come dire… fisiologico.
Ero più che altro
curioso di sapere se c’è del talento dietro o si costruiscono, talvolta,
castelli di sabbia, destinati a crollare alla prima mareggiata!
Lo immagino …
Mi preme chiederti se
hai un ricordo particolare di Andrea Parodi, cantante dei Tazenda, prematuramente
scomparso e mio compagno di strada in alcuni stralci di adolescenza, a Savona.
Come è normale che accada nella
vita, non solo quella dei musicisti!
Eh sì, occorre
farci l’abitudine, anche se non ci si riesce mai completamente.
Vista la tua collaborazione con
XFactor, in qualità di esperto, mi dai un tuo giudizio sui Talent show? Sono
utili, servono davvero? Il giudizio di un esterno come posso essere io è
condizionato da molti fattori ed è poco professionale.
Ti faccio una breve
analisi, anche un po’ fantascientifica. Esiste “Amici” ed esiste “X-Factor”. Non voglio
evidenziare le differenze, anche se posso dirti che ne esistono e sono
profonde. I ragazzi che partecipano a questi talent show (che è bene dirlo,
esistono in tutto il mondo), sono bravi (perché se non sei bravo non ti
prendono), vanno ai provini e si mettono in gioco. Punto. Immaginiamo ora che
questi due programmi non siano mai esistiti. Questi ragazzi, bravi, a volte
bravissimi, dove vanno? Come fanno a farsi conoscere dal grande pubblico?
Possono non piacere o essere antipatici o suscitare invidie, ma vale lo stesso
discorso fatto per i Jalisse: se non sei bravo non ci arrivi. Certo, si possono
anche criticare con affermazioni tipo: ”..eh, ma non sono
bravi come quelli degli anni 70…”, ma
intanto sono quelli che abbiamo oggi, e la TV offre, credo, solo queste due
possibilità per farsi ascoltare. Se invece non ci fossero, che altre
possibilità avrebbero questi giovani? Piano bar? Orchestre da ballo? Di sicuro
non potrebbero fare il percorso di Finardi, visto che abbiamo parlato di lui,
perché quelle strade non esistono più. Non c’è un tessuto politico che ti
sostiene, che magari un tempo strumentalizzava l’artista, sfruttando il
messaggio proveniente dai testi, ma dava comunque la possibilità di
“camminare”. Oggi allestisci il tuo studio casalingo, sfruttando le nuove
tecnologie, registri dei demo e inizi a mandarli in giro, ma forse neanche più
quello, perché la musica finisce direttamente su internet, ottima – sebbene
molto dispersiva - alternativa ai Talent. Quindi, se levassimo i Talent,
otterremmo una maggior ricerca sulla rete, che è comunque un labirinto, non
sempre chiaro e agevole, soprattutto se ricerchi musica nuova. Come
alternativa, dal punto di vista del “live”, nei locali trovi solo cover band,
formate magari da ottimi musicisti e pensi: ” … bravo quel ragazzo! Chissà perché’ non
ha successo ?!”. E come ci potrà mai arrivare senza vere
opportunità? E allora torniamo ai Talent, che sono una benedizione, perché se
per sbaglio nasce da qualche parte un Peter Gabriel o un Paul McCartney, quello va per
forza dritto ad X-Factor; quindi ben vengano le critiche, ma la realtà è che
siamo tutti in attesa di un nuovo Phil Collins, o un nuovo Peter
Gabriel, e nel bene o nel male è solo lì che possiamo andare a cercarlo. Non
esistono altre opportunità di scoprire e far scoprire al pubblico nuovi
talenti. Possiamo quindi giudicarli negativamente e dire che non sono
abbastanza bravi, meno bravi di altri in altri tempi, e un dubbio potrebbe andare
anche a chi li seleziona … può anche essere che i “giudici” mandino via
prematuramente qualcuno che ha qualità … che osannino uno che ne ha di meno …
tutto può essere, ma credo che se ti si presenta davanti un Peter Gabriel te ne
accorgi subito, sia che vada ad Amici o a X-Factor o al Telegiornale...
Da circa un anno e mezzo
partecipo agli spettacoli organizzati da Franco Taulino ( e non solo) e trovo siano emozionanti,
almeno per il pubblico. Vedere assieme, e da vicino, i musicisti più disparati,
sullo stesso palco, magari in un contesto ambientale gradevole, è cosa
emozionante (mi risulta anche per i musicisti). Ma la cosa che più mi colpisce
è che all’improvviso le varie entità si trasformano in vero gruppo che riesce a
interagire con l’audience. Qual è la tua opinione … che ricordo hai
dell’esperienza di Oviglio, e che differenze trovi rispetto agli incontri del
passato?
In realtà non è che
io faccia molte di queste esibizioni. Complimenti comunque a chi ha organizzato
e sponsorizzato il concerto di Oviglio. Mi sono trovato su un palco a suonare
con ottimi musicisti dell’ottima musica, e soprattutto con un pubblico che
sorprendentemente ha gradito moltissimo. Non eravamo lì per fare musica da
ballo, con tutto il rispetto, ma buona musica, che un pubblico caloroso,
preparato e intelligente ha gradito. Per me è stata una bellissima esperienza!
Non ho purtroppo termini di paragone, per tornare alla tua domanda, perché
potrei solo fare comparazioni tra i vari concerti della PFM. In questa
occasione i musicisti erano diversi, così come l’equipaggiamento tecnico, ma è
stata assolutamente una sorpresa piacevole ed una bellissima serata.
Sono contento che tu ti sia
trovato bene perché significa che prima o poi ti ritroverò su qualche palco
alessandrino.
Certamente.. perché
no!
Un’ultima domanda. Sei
musicalmente felice ho hai qualche rimpianto per un treno passato e mai preso?
Non è semplice
ricordare gli eventuali treni persi o quelli inaspettatamente presi, ma penso
che dopo una carriera, dopo una vita di lavoro, le cose si bilancino e se
magari qualcosa è andato perso, altro è arrivato, dando soddisfazioni ancora
maggiori. Io non sono molto propenso a tirare le somme, non credo sia mai il
momento di farlo …
E’ ancora presto?
Sai, per qualche
motivo io ho sempre la sensazione di essere un po’ agli inizi, nonostante gli
anni di lavoro alle spalle, anche perché mi misuro costantemente con dei
musicisti di livello così alto, probabilmente irraggiungibili, che diventano
uno stimolo e una motivazione per guardare sempre avanti, evitando i bilanci
personali.
Possiamo quindi dire che sei
contento di tutto ciò che hai fatto e ottenuto nel corso della tua carriera?
Assolutamente sì .
Esiste però un’ombra di tristezza, che non riguarda la mia carriera, ma la
piega che ha preso il mondo dello spettacolo e quindi anche la musica italiana,
perché non esiste più quella magia di una volta legata al fenomeno “disco”.
Sono cresciuto ascoltando vinili, lavori di grande successo mondiale e locale.
Era il periodo in cui usciva un album e non si vedeva l’ora di ascoltarlo e
condividerlo. Da un po’ di anni non si registra più musica nuova a grandi
livelli e tutti sono molto meno invogliati, non tanto gli artisti, ma chi è
deputato a investire e … non investe più. La crisi economica ha colpito anche
le case discografiche e accade che un artista di discreto successo abbia una
situazione patrimoniale più florida di chi dovrebbe investire su di lui, e in
qualche modo riesce ad autoalimentarsi. Ma in questo modo non c’è spazio per i
“nuovi” per mancanza di fondi.
Non è solo un fenomeno italiano.
Da molti anni aspettiamo un disco dei Jethro Tull, ma possiamo solo vederli sul
palco. Eppure le idee non mancheranno!
Sì, ma non
intendevo quello … i grandi, se vogliono, un disco lo fanno, ma la creatività è
un dono riservato principalmente ai giovani: il problema sono i “nuovi”, manca
il ricambio e questa è per me la grande tristezza di questo inizio secolo.
Molti infatti si auto producono.
Sì, ma non è la
stessa cosa, chiunque può farlo oggigiorno, ma non è altrettanto facile creare
i presupposti per incrementare la diffusione della musica, quindi di dischi se
ne fanno sempre meno.
Forse occorre rivolgersi ad altri
mercati che chiedono .. l’Oriente, la Scandinavia …
Certo, occorre
trovare delle alternative … auguriamoci un futuro migliore …
E chi mai potrà impedirci di
sognare?!!
Il lavoro di Lucio...