martedì 21 dicembre 2010

Boris Savoldelli


Qualche giorno fa ho descritto come Savona ha ricordato John Lennon a trent’anni dalla sua morte.
L’atto finale, svoltosi al Teatro Chiabrera mi ha permesso, tra le altre cose, di abbinare un nome conosciuto ad un uomo e alla sua musica: Boris Savoldelli, un vocalist eccezionale.
Boris non è solo singer di qualità, bensì uno sperimentatore, un innovatore e un esempio di tecnologia applicata allo strumento musicale più importate, quello che ci accompagna tutta la vita e le cui caratteristiche sono simbolo di distinzione e riconoscimento … parlo della voce.
La cosa che più mi ha colpito è l’utilizzo di differenti loop vocali/ritmici “messi in moto” in sequenza, il cui rincorrersi innesca l’effetto “band” su cui Boris unisce l’ultima traccia, quella cantata.
Spontaneamente mi sono girato verso Fulvio, il mio vicino di poltrona esperto di suoni, e i nostri sguardi si sono incrociati “raccontando” il nostro stupore meglio di mille parole.
E’ la sorpresa per ciò che non ti aspetti, per qualcosa di nuovo che, almeno inizialmente, supera la qualità tecnica. Non è facile proporre novità, e a volte nemmeno si cercano perché la musica conosciuta, la musica della vita, è sempre un porto più sicuro di quello a cui non abbiamo mai attraccato.
Savoldelli mi ha incuriosito e spero al più presto di poterlo rivedere dal vivo, perché trovo che l’esibizione on stage sia una dimensione decisamente adatta alla sua proposta.
Per adesso mi accontento delle sue risposte, e a fine post propongo parte della sua performance savonese.
http://www.borisinger.eu/site/index.php?mod=std




L’INTERVISTA

Poco tempo fa sei stato un ospite di “Impressioni di Settembre”, rassegnata dedicata alla musica progressive. Che link esiste tra te e quella musica, “la mia musica”?
Credo che il “Link” stia nel desiderio di produrre buona musica, senza preoccuparsi per forza di dover piacere a tutti e di doversi confinare all’interno di regole rigide e predefinite. Amo ribadire quello che il grande Miles Davis soleva ricordare nelle sue rare interviste, e cioè che al mondo esistono solo due categorie di musica: quella buona e quella cattiva. Ed io spero proprio di fare parte della prima categoria. Io non sono un fanatico del Prog, ma sin da adolescente sono stato affascinato dai suoni e dalla complessità delle composizioni di questo genere di musica che, tra l’altro, ha “sfornato” cantanti di grandissimo interesse. Negli ultimi 2 anni, poi, sia in italia che all’estero, sono stato “adottato” molto spesso dalla comunità prog ed ho partecipato, con gioia, a numerosi eventi che possono essere ricondotti al prog (come, per esempio, il festival impressioni di settembre dell’amico Riccardo Storti). A luglio, per esempio, con la mia partecipazione al festival Afrakà ad Afragola, ho avuto il piacere e l’onore di conoscere di persona (ed avere da loro numerosi complimenti ed attestati di stima), Lino Vairetti degli Osanna e Gianni Leone dei Balletto di Bronzo… mitici entrambi!

Ti ho paragonato a un “one man band”, un uomo che da solo costituisce un gruppo, termine che nella mitologia musicale ha un significato ben preciso e fa riferimento a strumenti classici e codificati. Non ti pare di rappresentare un po’ l’evoluzione tecnologica di quel ruolo leggendario?
Beh, la tua considerazione mi onora. Senza voler apparire immodesto ti dico che sì, lo penso anch’io. La voce è una mia passione sin dall’adolescenza. Ci sono arrivato dopo essere passato per studi classici di pianoforte; dopo aver studiato un po’ anche la batteria, il basso e la tromba. Sono arrivato alla voce quasi per caso, ma mi sono subito entusiasmato all’idea dei progressi e delle diverse timbriche che era possibile ottenere. L’ascolto, poi, di fenomeni come Demetrio Stratos, Mark Murphy, Diamanda Galas e Cathy Berberian mi hanno spinto a dare un ruolo “primario” alla mia voce. La conseguenza è stata la ricerca di interazione tra voce/acustica e tecnologia…e il risultato, almeno al momento, è quello che si può ascoltare nei miei cd e nei miei concerti in solo.

Ho verificato di persona il tuo impatto sul pubblico, ma la tua performance è risultata ridotta, essendo tu inserito in un contesto più ampio del formato “concerto”. Quale tipo di interazione o relazione riesci ad attivare col tuo pubblico nei momenti live?
Bella domanda! Vedi, esibirsi in solo è terribilmente complesso. Si ha sulle proprie spalle tutta la tensione e il rischio che, diversamente, in una band viene ripartito sui singoli musicisti. E questo è il lato negativo della performance in solo. Quello positivo, invece, sta nell’energia incredibile che si instaura tra chi è sul palco ed il pubblico. È un qualcosa di magico, un circolo virtuoso di output ed input (per usare un termine tecnico/musicale). Io lascio SEMPRE nei miei spettacoli in solo una buona dose di improvvisazione (e in questo posso a buona ragione essere definito un cantante jazz, ancorchè di un jazz non convenzionale), i brani che canto hanno un loro canovaccio di arrangiamento ben definito, ma la stesura definitiva cambia di concerto in concerto, anche in base al luogo in cui mi trovo, al pubblico, agli stimoli che da questo ricevo. È un lavoro molto affascinante e che mi permette di non annoiarmi mai. In questo la lezione di Mark Murphy (mio idolo assoluto, maestro e, negli anni, caro amico) è stata fondamentale. Lui canta da professionista dal 1956 e sin da allora la sua sfida è quella di non cantare mai nello stesso modo la stessa canzone. Una sfida che ho fatto mia e che mi stimola ogni sera. Rispetto al pubblico dei live, poi, è bellissimo “sentire” la differenza che c’è tra il pubblico generalista (quello, per esempio, dei festival/concerti ad ingresso gratuito) e quello specialista (quello degli eventi a pagamento per esempio… eheheh), oppure tra il pubblico italiano e quello russo o statunitense. Ognuno di loro reagisce in modo diverso…. è un emozione davvero unica. Credo si sia capito: io amo la dimensione live più di ogni altra cosa!

Girovagando nel tuo sito ho trovato che nel tuo album del 2007, “Insanology”, sono presenti le liriche di Alessandro Ducoli. Vista la tua attitudine all’utilizzo della voce come strumento/strumenti, che tipo rapporto hai con i testi e la “forma canzone”?
Il rapporto con Alessandro è di perfetta sintonia. Lui è un cantautore nel puro senso del termine e dà, quindi, netta prevalenza all’ambito testuale/lirico prima che a quello musicale. Io, invece, ho un approccio nettamente diverso. Scrivo sempre prima la musica (ritmo, armonia e melodia) e lascio per ultime le parole. Lui è stato in passato mio allievo di canto e, durante le lunghe chiacchierate, siamo arrivati alla scelta di provare una collaborazione. Mi è sempre piaciuto il suo modo di scrivere, le sue liriche che riuscivano ad essere sia molto “oniriche” che, immediatamente, molto “concrete”. Visto che lui si vantava (giustamente per come la vedo io) di essere un ottimo liricista, ho deciso di sfidarlo: “vediamo se sei in grado di scrivere delle liriche partendo da una melodia perfettamente scritta e immodificabile” gli ho detto! Una sfida veramente complessa, anche perché l’italiano, come sappiamo, è molto meno “maneggevole” della lingua inglese (ricca di monosillabi e bisillabi di senso compiuto). È stata una sfida che Alessandro ha colto immediatamente e il risultato, non solo a mio avviso, è stato stupefacente. Un risultato talmente buono che ha fatto sì che Alessandro abbia scritto tutti i testi anche del mio nuovo cd dal titolo Biocosmopolitan che uscirà, sempre per la newyorkese Moonjune records, il 15 marzo 2011.

Lo studio estremo delle possibilità vocali, dell’utilizzo della voce come elemento assimilabile alla grande famiglia degli strumenti, non ha una scadenza e l’impegno continua per tutta la vita. Non si può, purtroppo, parlare di Demetrio Stratos, scomparso prematuramente, ma ho esempio di conoscenti, come Bernardo Lanzetti, che proseguono l’applicazione, sperimentando nuove vie, nonostante l’enorme esperienza e il ruolo consolidato. Da ascoltatore però, posso riconoscere grandi capacità vocali ed espressive, senza essere entusiasta della “qualità”, del timbro (non è ovviamente il caso degli artisti citati). Mettiti per un attimo dall’altra parte del tavolo … cosa ti emoziona di una voce ascoltata casualmente, alla radio, in un concerto, in un nuovo CD?
Altra bella domanda! Credo che due siano gli elementi fondamentali per emozionarmi: il primo è “impalpabile, indefinibile” ed appartiene esclusivamente alla sfera emotiva. Come dire, sento una voce e qualcosa scatta nel mio sistema nervoso e vengo irrimediabilmente attratto da essa. È una cosa difficilissima da codificare. Credo sia impossibile farlo. Ti faccio un esempio concreto. Qualche anno fa tornavo da un concerto, ero in auto da solo alle 3 di notte, piovigginava. In radio partì una versione del capolavoro di Prince “Nothing Compares To You” cantata da Jimmy Scott. Ebbene, la voce di Little Jimmy Scott non è certo da annoverare tra quelle rappresentative del “bel canto”, ma la forza che emanava, unita allo strepitoso arrangiamento costruitole intorno, mi ha obbligato a fermarmi, concentrarmi all’ascolto e ritrovarmi, solo in auto, a piangere per la forza evocativa della sua interpretazione! E la cosa divertente è che Jimmy è lontano anni luce dalla mia idea di “bella voce”. È veramente un qualcosa di indefinibile. L’altro elemento che mi emoziona quando ascolto una voce è la sua attinenza ed espressività riferita a ciò che sta dicendo ed all’arrangiamento utilizzato. Mi spiego, Lou Reed non può certo essere annoverato tra i cantanti esponenti del “bel canto”, cionondimeno la sua voce, e il suo stile parlato, funzionano perfettamente per raccontare i suoi testi e le sue atmosfere. Lo stesso vale per il grande Tom Waits. Sul fronte delle belle voci, invece, non si può rimanere indifferenti alla strepitosa vocalità di Frank Sinatra quando canta con l’orchestra o a Mark Murphy quando interpreta le grandi ballad jazz! Sono emozioni veramente uniche. Al di là della tecnica e del “mestiere” acquisito in anni di gavetta, quando alla fine di un mio concerto qualcuno viene a ringraziarmi per le emozioni che gli ho fatto vivere, provo una gioia immensa. Del resto, uno dei momenti più intensi del mio concerto in solo rimane la mia versione per sola voce SENZA ALCUN EFFETTO del capolavoro immortale “Nature Boy”.

Sono rimasto entusiasta dallo spettacolo artistico/musicale/teatrale che avete presentato al Chiabrera di Savona. Credo sia qualcosa di nuovo che potrebbe avere seguito infinito, tanti e tali sono le storie rock del passato di interesse comune. Cosa pensi di quell’esperienza? Credi sia una strada da perseguire?
Lo spettacolo “inventato” da Ezio Guaitamacchi (storico critico musicale italiano e direttore della rivista Jam) mi piace un sacco. Trovo sia un’ottima formula per divulgare la buona musica in modo non pedante o scolastico. Ezio, oltre che un caro amico, è un profondo conoscitore del mondo musicale, molto preciso nelle ricostruzioni, onesto intellettualmente, un giornalista che ama e rispetta profondamente la musica. Quest’idea di unire racconti, aneddoti e storie della musica a intermezzi musicali interpretati da musicisti molto diversi tra loro per gusti e formazione, la trovo molto efficace e spero che avrà lunga vita. Del resto c’è così tanto da raccontare sulla musica che credo si potrebbero fare centinaia di spettacoli diversi!

Visti i tuoi successi di pubblico e critica all’estero, che differenze trovi tra la nostra situazione e quella degli altri paesi, relativamente allo stato di salute della musica e di ciò che gira attorno ad essa?
Domanda complessissima. Io, al momento, sono più conosciuto all’estero che in Italia, a causa di una serie di eventi prevalentemente determinati dal fatto che la persona che per prima ha creduto in me vive e lavora a New York. Si tratta di Leonardo Pavkovic, boss dell’etichetta Moonjune, che mi ha dato buona visibilità all’estero e mi ha permesso di affrontare ormai 4 tour in Russia e Ucraina ed un paio di tour negli States. Nel corso del 2010, però, sempre grazie a Leonardo sono entrato in contatto con Vic Albani, storico manager del grande Paolo Fresu, e grazie sia a Vic che a Paolo (che ha partecipato alla registrazione di due brani del mio prossimo disco: Biocosmopolitan) sto cominciando a farmi conoscere anche qui in Italia. In merito alla differenza, infine, credo che in Italia si continui a pagare una dimensione musicale un po’ ristretta, dove c’è un netto divario tra i grandi del pop (che, nonostante la crisi, continuano a viaggiare ad alti livelli) e una sorta di “sottobosco” musicale, anche di ottima qualità, che fatica ad “arrivare alla fine del mese”. Quello che posso dire è che, dal punto di vista sia delle idee che della tecnica, i musicisti italiani non hanno nulla da invidiare a nessuno. Quello che manca, temo, è un maggiore spirito di collaborazione, che forse ci aiuterebbe ad emergere un po’ di più.

Qual è il tuo insostituibile riferimento musicale vocale, presente o passato, un mito magari difficile da raggiungere?
Domanda a cui ti rispondo subito: Mark Murphy. Mark è, da sempre, il cantante più STREPITOSO che io abbia mai sentito. Sono il maggiore collezionista al mondo (con un dj texano di nome Steve Cumming…che però ha 4 dischi in meno di me…eheheh) di Mark. Posseggo 156 tra dischi e cd da lui cantati. La vita, fortunatamente, mi ha permesso di conoscerlo e di diventarne amico. Ho avuto la possibilità di studiare con lui e questo mi ha aperto la testa come mai mi sarebbe potuto accadere! Mi rivolgo a te ed ai lettori di questa intervista: se non conoscete Mark Murphy DOVETE procurarvi qualcosa di suo…rimarrete di stucco!!! INARRIVABILE!

Nonostante tu sia giovane, hai una buona esperienza alle spalle. Se analizzi la tua storia musicale, intravedi qualche treno che , purtroppo, non hai preso per paura di osare?
Anzitutto grazie per il giovane…e hehehe. Non amo guardare indietro, nel senso che preferisco pensare al futuro e non piangermi addosso. Posso però, col senno del poi, bacchettarmi perché, per almeno 10 anni (tra i 20 ed i 30 circa), ho in qualche modo “rallentato pesantemente” la mia carriera. Non ho dedicato alla musica e a me stesso come musicista la giusta attenzione. È stato un periodo “difficile” della mia vita, in cui avevo necessità di mettere a fuoco seriamente i miei obiettivi. C’è voluto del tempo, ma ora sono pronto a recuperare il tempo perduto!

Qual è il piano/desiderio per l’immediato futuro musicale di Boris Savoldelli?
Non invertire il trend, per usare un termine quasi da marketing. Sono molto soddisfatto di quello che mi sta accadendo il questi ultimi 2 anni. Sto finalmente cominciando a raccogliere un po’ di frutti del duro lavoro che ho fatto e che continuo a fare ogni giorno. Spero di riuscire a raggiungere un paio di obiettivi che mi sono prefisso per il prossimo anno, e soprattutto spero di poter continuare a fare quello che faccio perché mi sto divertendo come un pazzo! E finchè ci sarà gente che come te mi chiederà di raccontare qualcosa di me e gente disposta a leggerlo, beh, sarà già un bel risultato!

Inoltre, come dicevo qualche domanda fa, il 15 marzo 2011 uscirà in tutto il mondo il mio nuovo cd: Biocsmopolitan. Si tratta del secondo capitolo che prosegue il discorso interrotto con il fortunato Insanology. È un disco di cui sono ORGOGLIOSISSIMO. Chi ha amato Insanology rimarrà sicuramente colpito da Biocosmopolitan.