sabato 30 gennaio 2021

CIRCA


I Circa fanno parte di un mondo quasi impossibile da descrivere nei dettagli, tante solo le diramazioni, le divisioni ed i rientri. E parlo ovviamente della lineup.
Esistono band che da cinquant’anni proseguono con la stessa formazione, limitandosi a sostituire chi, ahimè, non è più presente, ma nel caso della “Family Yes” tutto si complica, almeno se si vuole capirne la genesi e l’evoluzione.

Torniamo a bomba… un ramoscello degli YES si chiama “Circa”, e non ho trovato spazi in rete in cui se ne parla nella nostra lingua. Provo a colmare il vuoto, anche se mi rendo conto che trattasi soprattutto di un’esposizione cronologica che potrebbe risultare noiosa, ma resta in ogni caso un documento a cui fare riferimento se si decide di approfondire e indagare.

Circa è stato un supergruppo progressive rock fondato da quattro musicisti associati al mondo Yes: gli attuali membri degli Yes Alan White (batteria) e Billy Sherwood (voce, basso), l'ex membro Tony Kaye (hammond, tastiere) e il chitarrista Jimmy Haun, che ha suonato nell'album “Union”.
Dal 2012 la formazione è composta da Sherwood (voce, chitarra), Kaye (tastiere), Rick Tierney (basso) e Scott Connor (batteria).

Un pò di storia…

Jimmy Haun e Michael Sherwood (fratello maggiore di Billy) erano amici d'infanzia e formarono la band Lodgic, alla quale Billy si unì nel 1981. Pochi anni dopo lo scioglimento dei Lodgic, Billy Sherwood fu presentato al bassista degli Yes Chris Squire e ad altri membri degli Yes, tra cui Kaye e White, e Sherwood iniziò a lavorare con la band su materiale che avrebbero utilizzato nel loro album successivo. Nel frattempo, sia Haun che Michael Sherwood parteciparono a sessioni relative al secondo album della band spin-off degli Yes, Anderson Bruford Wakeman Howe
Il materiale di entrambi i progetti è stato sintetizzato per l'album del 1991 “Union”, che include così Billy Sherwood nella traccia "The More We Live-Let Go" e Haun e Michael Sherwood in altri episodi. Squire e Billy Sherwood scrissero altro materiale che non fu usato su “Union”, che utilizzarono successivamente con il nome di The Chris Squire Experiment, nel 1992, con una formazione che comprendeva White e Haun. (L'esperimento Chris Squire in seguito trovò l’evoluzione nei Conspiracy.)


Billy Sherwood continuò la collaborazione con gli Yes negli anni a seguire, unendosi alla formazione dal vivo per il “Talk Tour” del 1994, con Jon Anderson, Trevor Rabin, Chris Squire, Alan White e Tony Kaye.

Nel 1995, Sherwood e Rabin composero insieme molte cose, e due tracce dell'album d’esordio, “Circa 2007”, sono basate proprio su queste creazioni.
Billy Sherwood alla fine si unì agli Yes per alcuni anni prima di lasciarli nuovamente, senza abbandonare mai quell’universo musicale: a metà degli anni 2000 mise in atto numerosi progetti caratterizzati dalla presenza di musicisti targati YES, tra cui Kaye, White, Geoff Downes, Peter Banks, Bill Bruford, Steve Howe e Rick Wakeman.
Alla fine, Sherwood suggerì a Kaye di mettere insieme un nuovo progetto usando musicisti attuali ed ex. Si pensarono un paio di nomi - Family o Family Project -, e White and Banks furono contattati.

Tuttavia, nel 2006, con lo sviluppo del progetto, probabilmente non troppo soddisfacente, Sherwood e Kaye decisero di cambiare rotta e concentrarsi sulla creazione di una band unitaria. Reclutarono Alan White alla batteria e Jimmy Haun alla chitarra e registrarono il loro album di debutto: “Circa” è stato annunciato ufficialmente nel marzo 2007.

Il 30 luglio 2007 la band pubblica il loro album di debutto fatto di nove canzoni, “Circa 2007”, con le partecipazioni di Michael Sherwood e Cole Coleman. L'album include due tracce basate sul materiale Billy Sherwood co-scritto con Trevor Rabin nel 1995, ed è anticipato da un EP di due brani disponibili solo per il download, per un breve periodo, negli Stati Uniti.
Il debutto live della band avvenne il 23 agosto 2007 a San Juan Capistrano, con un set che includeva un esteso medley strumentale di brani degli Yes. Un DVD di questo show è stato pubblicato come “Circa Live” nel febbraio 2008. Seguirono alcune date nordamericane all'inizio del 2008, con Jay Schellen, un passato collaboratore di Sherwood e Kaye, a sostituire White in una data.

Nel luglio 2008 Jay Schellen sostituì definitivamente Alan White, che scelse di concentrarsi sul suo lavoro all’interno degli Yes. La nuova formazione registrò un album, “Circa HQ”, nella seconda metà del 2008, che venne pubblicato il 14 gennaio 2009.
Fu poi annunciato per febbraio 2009 un breve tour italiano con l'ex cantante dei Toto, Bobby Kimball, con un set composto da musica dei Circa, Yes e Toto.

Kimball e Circa si unirono per creare una nuova band, gli Yoso (originariamente chiamata AKA), anche se la formazione cambiò ulteriormente fino ad arrivare a quella formata da Sherwood e Kaye insieme a Johnny Bruhns alla chitarra e Scott Connor alla batteria.
Gli Yoso si sciolsero all'inizio del 2011, e il chitarrista Bruhns si trasferì per sostituire Haun -concentrato sul suo lavoro sulla musica per la pubblicità - nei Circa. Anche Jay Schellen se ne andò, preferendo l’impegno con gli Asia featuring John Payne e gli Unruly Child. Connor avrebbe dovuto assumere il ruolo di batterista, ma si ritirò e fu sostituito da Ronnie Ciago.

Il 7 marzo 2011, Michi Sherwood (la moglie di Billy) rivela che l’imminente album della band si chiamerà “And So On”.
Tuttavia, con le date del tour nordamericano, Ciago lasciò la band, sostituito da Connor.

Nel 2012, Bruhns uscì dalla band, lasciando il gruppo senza un chitarrista. Sherwood colse l'occasione per passare alla chitarra e assunse Rick Tierney (precedentemente un musicista itinerante con Alice Cooper e The Monkees) per suonare il basso dopo averlo sentito eseguire perfettamente le linee di basso della sua discografia solista.

Nel 2013, tutto il materiale in studio dei Circa, e il primo album dal vivo, furono ristampati dalla Cleopatra Records. I Circa hanno anche pubblicato un nuovo live, “Live From Here There & Everywhere”, per la Glassville Records.

Il quarto album, “Valley of the Windmill”, è stato pubblicato l'8 luglio 2016 dalla Frontiers Records. Include diverse canzoni di lunga durata, e Sherwood lo descrive come "super proggy".

Il 15 aprile 2019 Sherwood ha annunciato sulla sua pagina Facebook che lui e Tony Kaye stanno attualmente "saccheggiando varie idee musicali" per un quinto album.


Discografia

Album in studio

Circa 2007 (2007)
Circa HQ (2009)
Overflow (2009) (una raccolta di “scarti” dei primi due CD dei Circa)
And So On (2011)
Valley Of The Windmill (2016)

Album dal vivo
Circa: Live (2008)
Live From Here There & Everywhere (2013)

FORMAZIONE

Membri attuali

Billy Sherwood - voce solista (2006-oggi), basso (2006-2012), chitarra (2012-oggi)
Tony Kaye - tastiere (2006-oggi)
Scott Connor - batteria (2010-2011, 2011-oggi)
Rick Tierney - basso (2012-oggi)

Ex membri

Alan White - batteria, cori (2006-2008)
Jimmy Haun - chitarra, cori (2006-2011)
Jay Schellen - batteria (2008-2010)
Ronnie Ciago - batteria (2011)
Johnny Bruhns - chitarra (2011-2012)

domenica 24 gennaio 2021

Eve Of Destruction/L'ora del fucile-Barry McGuire/Pino Masi


Il mio primo impatto con la musica, quando avevo ancora i pantaloni corti, riporta a brani musicali per me all’epoca sorprendenti, eseguiti dai gruppi italiani allora in voga che esercitavano in modo assolutamente libero l’esercizio di “copiatura” sonora, modificando e adattando il testo, che da inglese diventava italiano, cambiando completamente significato.
Non era una grande perdita, a quei tempi le liriche non presentavano ancora nulla di serio, nemmeno al di fuori dei nostri confini, anche se qualcosa, soprattutto in America, stava cambiando, con l’impegno sociale di Dylan e Baez.

La tecnologia fu di grande aiuto per la diffusione capillare della musica, attraverso prodotti e supporti sempre più alla portata di tutti, che permettevano peraltro la socializzazione, i quei primi anni Sessanta: rock’n roll, il twist, il folk, il beat, il rythm & blues, il funky… musica da ascoltare, musica per ballare.


L’Italia era ben predisposta al cambiamento, ma la cosa che risultò più rapida e semplice per i giovani musicisti e i loro "gestori" fu quella di pescare a man bassa nella produzione anglosassone e farla propria, in tempi in cui non si guardava molto ai diritti d’autore.
In pochissimi parlavano e cantavano in inglese, e spesso i grandi nomi stranieri si prestavano a mettere da parte il loro idioma naturale a favore dell’italico verbo, diventando loro stessi “cantanti italiani”.
Due le alternative per i gruppi e i cantanti: prendere brani di riconosciuto successo facendoli diventare la copia nostrana, oppure pescare nel mare magnum britannico, appropriandosi di canzoni sconosciute, rendendole “nuove” per il pubblico italiano. E attraverso questo modus il brano originale prendeva luce anche entro i nostri confini.

Di lì a poco, come è noto, tutto sarebbe cambiato, ma restano dei gioiellini che credo non siano conosciuti da tutti, per cui a partire da oggi, sporadicamente, proporrò un brano originale e la cover corrispondente, e sono certo che qualche cosa di inaspettato verrà a galla.

Dopo aver proposto i QUELLI/Tommy Roe, Michel Delpeche/ Dik DikManfred Mann e Tony Mark e i Markmen, Beatles e il corrispettivo gruppo de I Novelty e Fausto Leali e I Profeti, P.P. Arnold e Merrylee Rush, tocca oggi a Barry McGuire e Pino Masi con "Eve Of Destruction"/"L'ora del fucile".


Eve Of Destruction/L'ora del fucile - Barry McGuire/Pino Masi


"EveOf Destruction" di Barry McGuire, una canzone composta da P.F. Sloan, è stata la base musicale per una canzone politica, L'ora del fucile, pezzo forte del cantautore Pino Masi,  poi entrato a far parte del gruppo teatrale di Dario Fo.

La canzone originale di P.F. Sloan parlava di una ipotetica terza guerra mondiale, ma si espandeva al pericolo rappresentato dalla "Cina rossa"...


In italiano diventò "L'ora del fucile": ecco il testo…


Tutto il mondo sta esplodendo dall’Angola alla Palestina, l’America Latina sta combattendo, la lotta armata vince in Indocina;

in tutto il mondo i popoli acquistano coscienza e nelle piazze scendono con la giusta violenza.

E quindi: cosa vuoi di più, compagno, per capire che è suonata l’ora del fucile?

L’America dei Nixon, degli Agnew e Mac Namara dalle Pantere Nere una lezione impara;

la civiltà del napalm ai popoli non piace, finché ci son padroni non ci sarà mai pace;

la pace dei padroni fa comodo ai padroni, la coesistenza è truffa per farci stare buoni.

E quindi: cosa vuoi di più, compagno, per capire che è suonata l’ora del fucile?

In Spagna ed in Polonia gli operai dimostran che la lotta non si è fermata mai contro i padroni uniti, contro il capitalismo, anche se mascherato da un falso socialismo.

Gli operai polacchi che hanno scioperato cantavan l'Internazionale

Gridavano: Gomulka, per te finisce male. Marciavano cantando l’Internazionale.

E quindi: cosa vuoi di più, compagno, per capire che è suonata l’ora del fucile?

Le masse, anche in Europa, non stanno più a guardare, la lotta esplode ovunque e non si può fermare:ovunque barricate: da Burgos a Stettino, ed anche qui da noi,

da Avola a Torino, da Orgosolo a Marghera, da Battipaglia a Reggio,

la lotta dura avanza, i padroni avran la peggio.

E quindi: cosa vuoi di più, compagno, per capire che è suonata l’ora del fucile?

Autori: P. Masi, P. Nissim, G. Marini (?)



E da lì a poco sarebbero sbocciato in Italia il corso fortunato del cantautorato impegnato…



venerdì 22 gennaio 2021

ATLANTIDE


Gli ATLANTIDE provenivano da Cirigliano, Basilicata, ma i quattro fratelli Sanseverino suonavano già insieme in Italia, prima di trasferirsi in Germania, a Rottweil, dal 1973.
In quel paese collaborarono con band importanti, come Message, Atlantis, Scorpions, guadagnando una buona esperienza dal vivo e recensioni stampa.

Nonostante tutto questo decisero di pubblicare il loro album autoprodotto, Francesco ti ricordi”, pubblicato solo in Germania nel 1976, cantando in italiano, e con uno stile molto diverso dalla produzione tipica dell'epoca, essendo un album hard-rock con influenze prog molto ridotte e basato sul buon suono della chitarra di Mimmo Sanseverino.
Molto accentuata la cadenza dialettale del vocalist, ma il disco è molto ben suonato e comprende sei lunghi brani che variano in lunghezza da 5 minuti alle 11:15.

I fratelli Sanseverino rimasero tutti in Germania, dove vivono ancora. Uno di loro, Leonardo, è morto nel 2006.

Nell'immediato il disco non raggiunse però un gran successo di vendita, anche a causa della limitata distribuzione, che veniva compensata dalla distribuzione che la band faceva durante i concerti. Questo aspetto rese però il disco molto raro negli anni seguenti, diventando un oggetto del desiderio per molti collezionisti quotato milioni delle vecchie lire.
Negli anni '90 la casa di distribuzione tedesca, che aveva in giacenza un gran numero di copie del disco, ricominciò a venderle fino ad esaurimento, abbassando notevolmente il valore del disco che si attesterà poi intorno ai 350/500 euro.
Francesco ti ricordi” venne poi ristampato nel 1994 dalla Mellow Records, e nel 2014 dalla Mellotron Records.

Nel 2002 si tenne il loro ultimo concerto.
Gli Atlantide smisero di suonare dopo la perdita di Leonardo Sanseverino, il fratello tastierista ed organista, morto nel 2006.


Formazione:

Leonardo Sanseverino-organo e sintetizzatore
Domenico Sanseverino-voce e chitarra
Mario Sanseverino-basso
Matteo Sanseverino-batteria

Discografia:

Album
1976 - Francesco ti ricordi (S, SP 1476)



giovedì 14 gennaio 2021

Il dramma di Adriano Urso

Sono rimasto molto colpito da questa storia di cui oggi hanno parlato e scritto tutti i media e riguarda un dramma non per tutti evidente, quello relativo alla perdita della dignità conseguente alla mancanza di lavoro, anche se la tragedia che ha colpito Adriano Urso non pare strettamente legata a problemi economici. E quando passione e attività primaria coincidono, il non poter alimentare una delle due componenti porta ad un disagio che pare privo di confini.

Adriano era un pianista jazz molto noto ed era considerato, insieme al fratello Emanuele - conosciuto come King of Swing, anche lui jazzista - uno degli artisti più talentuosi del panorama romano.

Ho avuto modo di ascoltare una breve intervista che oggi ha rilasciato Emanuele, dalla quale emerge un quadro familiare ben preciso: “ragazzi” antichi i due fratelli, probabilmente fuori dal tempo sin dal periodo scolastico, lontani dalle mode del momento e amanti della musica del passato, così come di tutti quegli aspetti che potrebbero tranquillamente definirsi retrò.

Utilizzo di auto d’epoca, vestiti di un’altra epoca, linguaggio di un’altra epoca.

Abituato ad esibirsi quotidianamente in differenti contesti, Adriano aveva all’improvviso perso la sua musica la scorsa primavera, ritrovandola in estate ma rimanendo nuovamente senza da ottobre in poi.

Emanuele e Adriano Urso

Emanuele sottolinea come il vivere tutti assieme in una grande casa - immagino in famiglia - eliminasse l’urgenza immediata di avere entrate utili al sostentamento, ma il bisogno di incontrare la "sua" gente e alimentare lo status di “uomo che vive nella notte”, lo aveva spinto a trovare una sorta di impiego come “rider”, lui, diplomato in violoncello e laureato in Farmacia, un grande musicista, non solo un pianista… un musicista!

Fra gli appassionati uno ha ricordato:

«Quando suonava si stava improvvisamente zitti ad ascoltarlo».

È morto all’età di 41 anni, mentre cercava di consegnare cibo a domicilio, tradito dalla sua Fiat 750 d’epoca, costretto a spingerla inutilmente con l’aiuto di due passanti, sino a che il cuore ballerino - che il giorno successivo avrebbe dovuto essere oggetto di controllo - è scoppiato.

Un infarto, forse causato dallo sforzo fatto e dal freddo intenso che non gli ha lasciato scampo.

Morire, di questi tempi, non fa notizia, nemmeno se sei un giovanotto di quarant’anni, ma riesco a far mio il grande dolore di chi improvvisamente resta a mani nude, privato di ciò che ha di più importante, e se parliamo di musica e dintorni non si può chiudere gli occhi davanti ai tanti professionisti che, ultimamente, hanno perso… la professione.

Lascio agli esperti - politici, sociologi, scienziati e antropologi - la ricerca delle cause profonde, mi limito a prendere atto delle conseguenze e mi intristisco.

Quando la nebbia cala e offusca la mente la razionalità perde valore. Rivela un’amica di Adriano:

Prima di Natale mi hai scritto che d’ora in avanti avremmo suonato solo per noi, che anche con la fine dell’epidemia non sarebbe cambiato nulla. Senza musica eri perso, vedevi tutto nero”.

Ecco chi era e cosa era in grado di fare…





lunedì 11 gennaio 2021

Black Spirit


Tutti i membri dei Black Spirit erano italiani che lavoravano in Germania, a Volksburg.
Formatisi nel 1970, tennero i loro primi concerti nel 1971, con un buon successo di pubblico.

Fu nel 1973 che decisero di registrare una demo su cui lavorare per sviluppare ulteriori idee, ma il nastro fu… sottratto dal loro tecnico del suono, Johnny Pesce, quando lasciò il gruppo, e il tutto si trasformò in album nel 1978, quando Pesce riuscì a farlo pubblicare da una etichetta specializzata in rock progressivo, la Brutkasten.

Negli anni Novanta l'album, intitolato semplicemente “Black Spirit”, fu ripubblicato da Kissing Spell nel Regno Unito e (su CD) da Ohrwaschl (Germania).

Le note sulla copertina contengono alcuni errori, dato che Pesce è accreditato come batterista (non suonava nella band ed era solo un tecnico del suono) e si evince che le registrazioni risalgono al periodo che va dal 1969 al 1978 (in realtà sono tutte del1973).
L'album rientra principalmente nel filone hard rock, in stile Black Sabbath, cantato in inglese e con alcune influenze rock-blues, molto lontano dal tipico suono italiano.

I Black Spirit continuarono a suonare fino al 1978, cambiando alcuni batteristi dopo che Piras lasciò il gruppo nel 1974, e realizzarono molti concerti, soprattutto nella zona di Amburgo. Intorno al 1974 suonarono anche in Danimarca e Norvegia.

Dopo lo scioglimento il bassista Giovanni Granato tornò in Sicilia, il batterista Gianni Piras rimase in Germania per continuare a suonare, mentre il chitarrista Nicola Ceravolo e il tastierista e vocalist Salvatore Curto si trasferirono in Norvegia.
Proprio in Norvegia Curto pubblicò, nel 1983, un album in stile disco/pop.

L'album è dotato di una copertina apribile ed è ora molto difficile da trovare ed è costoso, perché era stato ristampato in numero limitato.



Una ristampa in vinile uscì per l'etichetta inglese Kissing Spell nel 1994, con una copertina singola con un design diverso.



L'unica ristampa ancora oggi disponibile è su CD, dell'etichetta tedesca Ohrwaschl.


Tracce:

Crazy Times - 8:19
Punk Rock'n Roll - 6:30
Nicolino - 7:32
Who Are You? - 2:39
Old Times - 12:14

Formazione:

Salvatore Curto (voce, tastiere)
Giovanni Granato - (chitarra, basso elettrico)
Gianni Piras - (batteria)
Nicola Ceravolo Chitarra



sabato 9 gennaio 2021

DAVIDE CRUCCAS - “Ballate fra terra e cielo”

DAVIDE CRUCCAS

“Ballate fra terra e cielo”

2020 – GTCD006 – G.T. MUSIC 

Nella musica, così come nella vita, gli sforzi e l’impegno, alla lunga, dovrebbero ripagare.

Certo, ci vuole talento per comporre un brano musicale o far parte, come strumentista, di una band di successo, ma anche per diventare un grande chirurgo o un super carpentiere, servono attitudini, impegno ed esperienza.

Questo inizio, forse fuorviante, mi serve a sottolineare come Davide Cruccas - che non avevo mai avuto opportunità di ascoltare - abbia alle spalle una lunga gavetta fatta di sangue e sudore, sacrifici e perseveranza. Al mestiere di “cantautore” ci è arrivato per gradi, quasi in punta di piedi, dopo anni di blues nei pub piemontesi e performance da strada londinesi: nulla capita per caso.

Come ho più volte sottolineato negli ultimi tempi, la figura del cantautore ha perso -fortunatamente a mio avviso - il significato che fu il marchio di fabbrica dei seventies italiani, quel diventare bandiera di un movimento molto politicizzato, spesso un’élite che ha mantenuto tale status nel tempo.

Ma ogni rappresentazione espressiva è figlia del periodo in cui nasce e prolifica, e oggi riproporre tale modello antico attraverso forze fresche rappresenterebbe un ossimoro.

Molto meglio tornare all’etimologia del termine cantautore, che si può sintetizzare nella figura di chi costruisce e a seguire propone la sua creazione.

Cruccas mi ha convinto da subito attraverso la sua freschezza e genuinità, mi piacciono i suoi racconti, la sua verve, la sua malinconica linearità, ma è certo che tutto questo non mi avrebbe colpito se non ci fosse stata piacevolezza di ascolto, atmosfere accattivanti e una voce che resta impressa.

A fine articolo propongo una bignamica biografia estrapolata dal comunicato stampa ufficiale, ma proverò a descrivere, passo dopo passo, l’album che ho tra le mani, “Ballate fra terra e cielo”, rilasciato la scorsa primavera.

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Apre il disco “Storia di un cantante disoccupato”, una ballad veloce di facile appeal, autobiografica ma applicabile ad una marea di anime, musicisti e non: “Fin troppo semplice sentirsi miseri, io sono ricco e non si vede e non ho mai leccato nessun piede”.

Segue “Nelle mie tasche”, musicalmente impreziosita dall’intervento prolungato del violino. Capita che le salite che affrontiamo quotidianamente siano addolcite da porzioni di strada pianeggiante: sono quelli gli attimi in cui tutto appare sotto un’altra luce, la positività si fa largo tra le tante ombre oggettive e basta poco per arrivare a sfumature tenui, capaci di scacciare l’oscurità. Coinvolgente il ritornello: “Grazie per questa giornata di sole, per sempre la ricorderò, ho un libro nuovo e domani se piove di pagine mi coprirò, voglio cantare ma non ho parole, domani le inventerò…”.

Come Charlie Brown” racconta di sogni disattesi e di progetti che non si sono realizzati, ma la delusione non demolisce i sani principi ed essere considerati un loser non è la peggiore delle cose se si posseggono determinazione e testardaggine, come accade  da sempre a Charlie Brown: “Solo, sei rimasto solo come Charlie Brown, credi ancora agli aquiloni e perdi al volo tutte le occasioni; forte sei rimasto forte come Charlie Brown, credi ancora nella gente e non cadrà la tua stella perdente…”. Pezzo musicalmente melanconico che rispecchia il tema proposto, sonorità acustiche delicate che lasciano addosso un mood nostalgico.

Un altro inverno” tratta il tema della lontananza rispetto ad affetti e alla terra amica, nella ricerca di sé stessi e della realizzazione personale, o forse solo della comprensione dei propri desideri reali, non sempre comprensibili: “Passerà un altro inverno sopra l’autobus delle sei, passerà un altro giorno che oggi smetto e non smetto mai, passerà un’altra notte sveglio presto pensando ai guai…”. Un gradevole arpeggio iniziale dà il via ad una ritmica che ben rende l’idea del movimento, con un virtuoso gioco vocale finale che evidenzia le skills dell’autore.

Quando si guarda indietro, al tempo passato, viene automatica la ricerca del bilancio e spesso nasce naturale la domanda: “Che me ne faccio” … delle stesse risposte alle solite domande: “Che me ne faccio, dicevi, di questi 20 anni, e ridevi, ridevi, poi alzavi il braccio alla luna, brindavi, che favola eri…”. Arrangiamento sontuoso per un brano riflessivo e stimolante per la mente.


Siamo ancora vivi” rispolvera il passato blues di Cruccas e affronta il problema di chi è costretto a lasciare la propria terra per “provare a vivere”: “Eravamo stanchi, coi vestiti sporchi, in balia dei venti tra i capelli bianchi, fermi in mezzo al mare… ci odieranno, ci useranno, non avremo niente ma saremo vivi… ci hanno tolto tutto ma siamo ancora vivi…”. Sonorità lancinanti per un tema drammatico che la musica può solo sottolineare.

Ballata fra terra e cielo” fornisce altri spunti interessanti ed evidenzia la caducità delle nostre vite, quelle che nell’età dell’illusione viviamo come se il futuro fosse un presente replicabile all’infinito, salvo poi capire che così non è, come accade al protagonista della canzone che trova la saggezza nel momento della maturità e nel confronto con un padre, un tempo, forse, difficile da comprendere:  “Passeremo sopra a questo mondo, la sciocchezza di un momento, si sorride e si va via, qualche sogno resta nel cassetto, vecchi amori dentro al petto e finché batte siamo qua…”. La musica prende un altro andamento, tra folk e prog, un connubio che riporta alla combinata PFM/De André.

Sogni sbagliati” sono quelli che, spesso, caratterizzano gli inizi di un percorso, quando non si ha coscienza delle prove a cui si sarà sottoposti cammin facendo. Basterà una fotografia per alimentare i ricordi e accorciare spazi temporali immensi e a quel punto verrà voglia di fuggire dal dolore che un frammento del passato è in grado di causare: “Passa un ricordo e mi porta via, ho le ginocchia sbucciate medaglia al valore al mio dire la mia…”. Melodia che può far sanguinare i più sensibili e virtuosi.

Chiude l’album “Il re della pioggia” una poesia conclusiva la cui bellezza lascio giudicare al lettore presentata a seguire in una forma basica, voce e chitarra:

https://www.youtube.com/watch?v=ypRi_6Bkp_o&feature=emb_logo


Concludendo… un disco carico di significati, musicalmente molto curato, semplice, diretto, rispettoso della forma canzone, un bilancio di vita in cui risulterà facile riconoscersi.

Aggiungerei non semplice, perché l’ascolto attento, tra musica e liriche, porta ad una razionalità che fa male, ad una dimensione umana votata all’insoddisfazione; i momenti di luce intensa, in linea generale, esistono, ma sono davvero poca cosa rispetto a quella nebbia che a volte cala e offusca la vista, un’opacità rispetto alla quale ci si trova spesso impotenti.

Potrà essere d’aiuto, in quei momenti, ascoltare una canzone? Beh, non sarà risolutiva ma diventerà comunque un nutrimento per chi ne usufruirà e una "testimonianza per sempre" per chi l’avrà creata.

Un bell’album per Davide Cruccas.


BIOGRAFIA SINTETICA

Da sempre appassionato di canto, con una voce potente ed espressiva, chitarrista autodidatta, un approccio musicale che spazia dal blues al folk alla canzone d’autore, Davide Cruccas decide di cimentarsi come cantautore nel 2008 con la produzione del primo EP.

Nel 2009 la passione per la musica lo porta a mettersi in gioco come busker per le strade di Londra, un’esperienza di tre anni nei quali espande il suo panorama artistico e registra una demo in lingua inglese, partecipa a numerosi open-mic e viene ospitato in diverse trasmissioni radiofoniche londinesi col suo trio folk-rock (chitarra, violino e fisarmonica).

Nel 2012 rientra in Italia continuando a portare in giro la sua musica in numerosi live, anche come opening act per artisti più affermati (Claudio Lolli, Zibba e Almalibre).

Dopo qualche anno di pausa ricomincia a scrivere nuovi testi, e nel 2019 decide di entrare nuovamente in studio per registrare l’album “Ballate fra terra e cielo”, contenente 9 brani.


TRACKLIST

01. Storia di un cantante disoccupato (03:49)

02. Nelle mie tasche (02:46)

03. Come Charlie Brown (03:40)

04. Un altro inverno (04:35)

05. Che me ne faccio (02:50)

06. Siamo ancora vivi (04:28)

07. Ballata fra terra e cielo (03:58)

08. Sogni sbagliati (04:02)

09. Il re della pioggia (02:38)

Prodotto da Davide Cruccas, Paolo Rigotto e Vannuccio Zanella, e distribuito da G.T. Music distribution, “Ballate fra terra e cielo” è disponibile in CD e in formato digitale.


Contatti e link utili:

davidecanta@gmail.com

www.youtube.com/davidecruccas

www.soundcloud.com/davidecruccas

https://www.facebook.com/cruccas.davide





martedì 5 gennaio 2021

CROMOLUX-“Dust Of The Time”


Commentare il progetto dei CROMOLUX mi riporta all’essenza della (M)usica, alla passione vera, alla sfida contro tutto e tutti pur di alimentare necessità basiche, alla voglia di creare e condividere.

La zona di “lavoro” è quella di Alba e dintorni e la storia che viene presentata in questo articolo profuma di un basso Piemonte che regala soddisfazioni da ogni punto di vista, un tessuto sociale molto attivo in cui nasce una band che, dal 1983, non ha mai cessato la propria azione.



L’intervista a seguire, realizzata col batterista Enzo Patri, permette di entrare nei rivoli di un’incessante attività che, nel tempo, ha assunto una dimensione sempre più professionale e autarchica, tanto che il nuovo album, “Dust Of The Time”, nasce e viene rilasciato come produzione propria, ad eccezione del mastering finale.

A fine chiacchierata viene fornita la modalità che permette di acquisire l’album, tenendo conto che la stampa del CD prevede, come nelle occasioni precedenti, un numero limitato di copie che verranno regalate a chi lo richiederà anche se, nel caso specifico, le eventuali donazioni saranno devolute in beneficenza.    

Vediamo qualche nota generica partendo dalla sintesi del mio feeling successivo all’ascolto.

“Dust Of The Time” è una cartolina sonora che riporta al passato, una sorta di pop di estrema qualità che rispecchia i tempi di avvio della band e che ha mantenuto il mood di quei giorni, capace di lasciare in tutti quelli che hanno vissuto quel periodo una devastante - almeno per me - nostalgia.

I brani, presi singolarmente, potrebbero vivere di luce propria, ma approfondire la proposta porta ad avere una visione concettuale che è poi quella di Biagio Cairone, autore della quasi totalità delle liriche, pensieri che riportano al quotidiano che, per un osservatore esterno quale io sono, presentano gli stilemi di un importante bilancio personale.

La lingua utilizzata è quella inglese, che è certamente di grande appeal, ma va segnalato che i testi sono stati pensati nella nostra lingua e solo successivamente tradotti. In ogni caso il booklet contenuto nel CD presenta la traduzione per ogni canzone.

Provo a delineare la scaletta, costituita da nove episodi, utilizzando il metodo step by step.


Si apre con “Desire” e arriva una significativa sorpresa, la vocalità di Cairone ricorda quella di David Bowie, così come l’atmosfera generale.

Un testo molto poetico che evidenzia la passione che nasce tra un uomo e una donna, un disegno che diventa struggente quando l’uso della chitarra elettrica tocca gli anfratti della psichedelia.

 

A seguire “Sign Of The Moon” e va segnalato come certi elementi “naturali” e quasi mistici (il sole, la luna) abbiano ruolo preminente nella narrazione, tanto da caratterizzare l’immagine di copertina.

Musicalmente parlando siamo al cospetto di una ballad quasi west coast che sfocia in un modus floydiano molto coinvolgente, mentre la luna diventa testimone di un atto finale, di un amore che scema, di una luce scomparsa, in attesa di un nuovo giorno.


Silent Walk” apre ad un mood distopico che è sentiero del disco.

We are sitting now on the edge of the sky, watching the life that’s moving under our feet; close your eyes, it’s only way to really see the truth, because tomorrow you know we’ll be gone from here”.

Ritmo lento e regolare, voce cavernosa e lungo assolo gilmouriano, il tutto a disegnare un’ambientazione tra sogno e angoscia.



Burned Man” sarebbe stata una potenziale hit in tempi remoti.

La sensazione che il tempo dei sogni sia finito e che, dopo tanti errori, non ci sia più la possibilità di voltare pagina: rimpianti e rimorsi tangibili sottolineati da un ritornello vincente e da arrangiamenti ad ampio respiro, dove i fiati contribuiscono alla creazione di uno spleen impossibile da tenere alla larga.

 

Rilevante il duetto vocale in “Fly”, pezzo acustico e intimistico, con un finale struggente che prende il largo, tra arpeggio di chitarra e tromba, un’ambientazione in un formato bianco e nero.

Un mondo visto dall’alto, col giusto distacco, con il cuore e la mente libera, in uno stato di moderata follia che annulla il pregresso e crea serenità: “I, here alone, in this madness of the fly I can see the clouds touch my legs, touch my heart”.

 

Melanconico è “1961”, un brano di oltre sette minuti che propone il tema della lontananza dagli affetti legata alla necessità di sostentamento: un treno che corre nella notte, tanti uomini tutti uguali pronti a scavare nelle budella di una montagna, il cuore rimasto nel luogo di origine ma con un obiettivo che mantiene vivi.

Meravigliosa la seconda metà del pezzo, completamente strumentale, sognante, capace di disegnare il concetto di viaggio, tra disperazione e speranza.

 

E arriviamo alla title track, “Dust of the time”, giustamente rappresentativa dell’intero album.

Ora lasciatemi tranquillo, io chiuderò gli occhi alla fine del giorno, abituatevi senza di me; ho vissuto tanto che un giorno dovrete per forza dimenticarmi, ma non crediate che io muoia, ma accade il contrario, che sto per vivere…”.

Non è mai facile decodificare i pensieri di chi scrive e lascio all’interpretazione personale questa “polvere del tempo”, un incedere musicale sontuoso che scava nelle profondità dell’ascoltatore virtuoso.

L’utilizzo, nel finale, di un apporto esterno estratto da un documentario della BBC dedicato a George Orwell, contribuisce concettualmente a sottolineare la necessità di eliminare quella nebbia che ogni tanto appare nelle nostre vite, capace di incantare, di offuscare la mente e di allontanare la ragione.

 

Il brano numero otto si intitola “Raining Light”.

Anche in questo caso troviamo una dicotomia che divide il cantato dallo strumentale, rimarcando un’altra caratteristica del disco che è più tipica della musica progressiva, ovvero la proposizione di brani lunghi - un terzo superano i sette minuti - entro i quali è possibile abbinare il messaggio alla voglia di dilatare gli aspetti musicali.

Il concetto di “pioggia di luce” e di “gocce brillanti” in caduta libera conducono ad un pensiero positivo per il finale della storia.


La conclusione è affidata a “Red”, l’episodio più lungo.

Il colore scuro invade ogni angolo della terra, mentre ciò che tutti sognano è un mondo colorato, perché la nostra vita ha bisogno di tutte le sfumature esistenti.

Una chiusura che abbina la visione realistica alla speranza che ci sia ancora spazio per una completa libertà, quella di cui parla il protagonista aggiunto, Martin Luther King.

Una canzone che potrebbe essere un manifesto, capace di toccare il cuore e la mente.

Davvero un bell’album, alla faccia dei “musicisti nei ritagli di tempo”.

Un vero viaggio, un vero concept, un vero percorso fatto di parole importanti e di sonorità  significative.

Un piacere averlo ascoltato e averne scritto.

Per i dettagli rimando all’intervista realizzata con Enzo Patri, titolare della sezione percussioni.

 


Partiamo dalla band e dalla storia: come e quando siete nati, con quale obiettivo e cosa avete realizzato sino ad oggi?

Ci siamo formati alla fine del 1982 esibendoci per la prima volta dal vivo nel 1983. La formazione comprendeva due chitarre, tastiere, basso e batteria. Proponevamo alcune cover e brani composti dal nostro chitarrista Biagio. Alcuni testi erano in italiano e altri in un inglese un po’… improvvisato! Da allora Biagio Cairone, Ezio Bogliolo, Enzo Patri e Alberto Flori hanno continuato fino ad oggi a suonare con la denominazione CROMOLUX. Negli anni hanno fatto parte del gruppo, in aggiunta ai su menzionati, altri chitarristi, percussionisti, cantanti, fiatisti. Gli ingressi più significativi sono senz’altro stati quelli di: Paolo Ciliutti (chitarre e voce, durante i primi anni), Bruno Battaglino (voce e flauto per oltre una ventina di anni) e Alfredo Ottaviani (chitarre e cori dai primi anni 2000). Agli inizi degli anni Ottanta, poco più che ventenni, non ci ponevamo alcun obiettivo se non quello di suonare (soprattutto dal vivo). Da considerare anche che in quegli anni le documentazioni sonore sono rappresentate esclusivamente da alcune cassette audio con materiale qualitativamente molto scadente, per cui poco resta di quel prolifico periodo. Nel 1996 vengono registrati due brani nello studio di Emanule Ruffinengo (in seguito produttore e arrangiatore con Area, Pooh, Ornella Vanoni, Chick Corea…) poi pubblicati ufficialmente sulla cassetta “A place to survive”, panorama delle band del cuneese. Con l’avvento del cd e la possibilità di registrare a costi molto contenuti, la nostra produzione è avvenuta sempre in modo autonomo: “Finisterre” (2004), “Il confine” (2009), “Anima persa” (2015) e quest’ultimo “Dust of the time” (2020). Il tempo è trascorso ma noi abbiamo comunque sempre continuato a provare quasi una volta a settimana per il gusto di ritrovarci e penso che le motivazioni siano ben espresse da Biagio: “Se siamo ancora insieme è perché il piacere di suonare è per noi privo di velleità”, e da Ezio: “Il successo della nostra unione è dato dalla musica: abbiamo il semplice piacere di farla”.

 

Il nome che avete scelto per la band ha una motivazione precisa?

Nasce da un particolare tipo di carta tipografica usato negli anni Ottanta. A noi piaceva.

 

Da chi è composta la vostra formazione?

In questo ultima produzione da: Biagio Cairone (chitarre, voce, tastiere), Alfredo Ottaviani (chitarre, armonica, cori), Ezio Bogliolo (tastiere), Enzo Patri (batteria), Alberto Flori (basso). Come riportato nelle note di copertina i brani sono stati composti tutti da Biagio Cairone, così pure i testi, ad eccezione di “Fly”. Tutti gli arrangiamenti sono di Biagio, Alfredo ed Ezio.

 

Avete avuto nel tempo la possibilità di esibirvi dal vivo?

Agli inizi abbiamo fatto parecchi concerti, soprattutto in provincia. Erano gli anni che ad Alba non c’erano manifestazioni musicali e noi nel 1983 ci siamo inventati “RICCAROCK” in un salone parrocchiale a Ricca d’Alba. Verso la fine degli anni Novanta abbiamo ridotto notevolmente le nostre uscite. L’ultima è stata per il trentennale della band nel 2012. Abbiamo invitato a suonare sul palco molti degli amici che avevano collaborato, riproponendo una scaletta che ripercorreva un po’ la nostra storia.

 

Avete appena realizzato un CD di brani originali: quali sono i contenuti lirici?

Giro direttamente la domanda a Biagio. “I temi trattati sono spesso autobiografici: l’amore e i rapporti con gli altri, esperienze di vita e ricordi indelebili del passato. Sensazioni vissute di gioia e felicità ma anche di rabbia, malessere, confusione. Riflessioni sul mondo che ci circonda con i suoi colori, profumi, suoni, umori. Molte volte vengono citate la luna e il sole, ed è per questo che ho proposto agli altri la rappresentazione del sistema solare per la copertina”. Anche in questo CD, come già accaduto in passato, sono stati inserite sezioni con voci fuori campo: un estratto di un documentario della BBC su George Orwell in “Dust of the time” o la voce di Martin Luther King nella conclusiva “Red”.

 

Come definireste la vostra musica a chi non l’ha mai ascoltata?

Difficile da definire! Abbiamo iniziato suonando cover di rock e poi quasi subito Biagio ha incominciato a proporre brani propri; nella composizione è naturalmente influenzato da quanto ha ascoltato nei vari periodi. Ad oggi pensiamo che Biagio abbia composto la musica di almeno 200 brani di cui molti sono stati regolarmente provati e suonati. Generalmente i nostri pezzi possono essere etichettabili come Pop-Rock con derivazioni Prog, dove sono sempre presenti i testi ma viene concesso molto spazio alle parti strumentali con assoli di chitarre o inserti elettronici.

 

I testi sono in lingua inglese: da dove nasce la scelta?

Per parecchi anni nella band era presente un cantante che componeva i testi e li eseguiva in italiano. Da questo CD siamo tornati agli inizi, quando la voce era Biagio, che per l’occasione ha scritto anche i testi e ha preferito cantarli in inglese perché ha ritenuto che tale lingua sia particolarmente adatta all’impiego nel genere musicale che proponiamo. Sono stati scritti in italiano (infatti ci sono le traduzioni a fronte di ogni brano) e poi tradotti in inglese. Potremmo poi disquisire su come sia più facile cantare in lingue come l’inglese dove le parole sono spesso costituite da una o due sillabe, oppure come un termine breve possa racchiudere il significato di più parole in italiano, o, ancora, come le parole tronche (in italiano terminano tutte con una vocale…) siano più facili da cantare. Questo è però un discorso troppo tecnico in cui eviterei di entrare!

 

Nel progetto compaiono alcuni ospiti: sono collaboratori di lungo corso? Che ruolo hanno avuto?

Per la prima volta abbiamo invitato questi amici che hanno contribuito perché c’era necessità di una doppia voce femminile (Fabiana in “Fly”) e di fiati “veri” e non campionati (Matteo in “Fly” e “Burned Man” e Francesco in “Burned Man”).

 

Ho captato che siete molto autarchici e fate tutto in proprio, dalla creazione sino alla distribuzione passando per registrazione e arrangiamenti: precisa scelta o necessità contingente?

Per parecchi anni abbiamo pagato affitti in sale prove in condizioni spesso precarie, posti in cui portavamo gli strumenti ogni volta. All’incirca nei primi anni del 2000 abbiamo allestito una nostra sala, ricavata all’interno di un capannone industriale di proprietà di uno di noi. Questa è diventata la nostra “casa/studio” (disponibile solo ad un’altra band dove militano alcuni di noi) e l’abbiamo dotata di tutto ciò che serve per provare e anche per registrare in qualsiasi momento si decida di farlo. Non siamo quindi condizionati da giorni, orari, ecc. per cui con molta calma (un po’ di alcol, nicotina e molte parole…)  proviamo i vari brani e poi decidiamo quali possono essere registrati in multitrack digitale. Seguono tutte le fasi di missaggio, equalizzazione, sovraincisioni e naturalmente gli arrangiamenti che spesso sono suggeriti dopo i numerosi ascolti dei pezzi. Solo l’ultimo passaggio prima dell’incisione, il cosiddetto “mastering”, viene affidato a studi professionali per ottenere il master definitivo, sempre sotto il nostro diretto controllo. La distribuzione è la cosa più semplice: infatti i nostri cd (la stampa ne prevede almeno 300 copie) sono sempre stati regalati a chi ne ha fatto richiesta senza pretendere alcuna somma, salvo in alcuni casi, come quest’ultimo, per scopi benefici.

 

Anche l’artwork è molto curato e così il booklet annesso che presenta anche le traduzioni dei testi: chi ha seguito questi aspetti?

Abbiamo sfruttato la risorsa interna: Biagio, infatti è un grafico molto apprezzato in zona ed in passato ha collaborato alcune volte alla realizzazione di copertine di dischi e cd. Sua è la creazione della copertina dell’LP “Forse le lucciole non si amano più” (1977) del gruppo prog LOCANDA DELLE FATE. Abbiamo inoltre deciso per la traduzione dei testi in italiano perché ci pareva giusto dare importanza e accessibilità alle liriche scritte da Biagio. Nella realizzazione grafica ha collaborato anche Andrea, figlio di Biagio.

 

Come hai già indicato avete stampato un numero di copie limitato: come sarà possibile ascoltare “Dust of the time”?

Per un brano è stato creato un video (SILENT WALK) che si può vedere su Youtube   https://youtu.be/YPBwZWDLAt0. Le copie che non sono state ancora distribuite possono essere richieste su whatsapp al 3394479799. Le regaliamo, ma se qualcuno vuole fare un’offerta di almeno 5,00 euro, contribuirà alla raccolta fondi per la Comunità l’Accoglienza di Ricca d’Alba.