Magna Cartaè stato un gruppo progressive folk-rock, formatosi
originariamente a Londra nell'aprile del 1969. Il loro primo concerto si tenne
il 10 maggio 1969, ad opera di Chris Simpson (chitarra, voce), Lyell
Tranter (chitarra, voce) e Glen Stuart (Alastair Urquhart, voce).
Il trio pubblicò album per la Mercury Records e la Vertigo
Records, riscuotendo particolare successo con “Seasons”, del 1970.
Un po’ di storia…
“Magna Carta” (1969) fu pubblicato come album di
debutto dalla Mercury, prima che il loro album del 1970, “Seasons”,
raggiungesse la posizione numero 55 della UK Albums Chart, anche se in seguito
Tranter tornò in Australia. L'album fu prodotto da Gus Dudgeon, arrangiato dal
produttore Tony Visconti, e i musicisti turnisti includevano l'organista Rick
Wakeman, il batterista Barry Morgan, il contrabbassista jazz Spike Heatley e
altri. Nel 1971, i Magna Carta si esibirono alla Royal Albert Hall con la Royal
Philharmonic Orchestra. Davey Johnstone si unì alla formazione, registrando “Songs From Wasties Orchard” (1971) e “In Concert” (1972), prima di
lasciare per lavorare con Elton John, con il quale suona ancora.
A Simpson e Stuart si unì poi Stan Gordon, che registrò e
pubblicò “Lord of the Ages” (1973). Poco dopo, Graham Smith, che aveva
suonato nelle sessioni di “Songs From Wasties Orchard”, sostituì Gordon. Questa
formazione di breve durata, arricchita da musicisti ospiti, registrò “Martin's
Cafe” all'inizio del 1974, ma l'uscita dell'album fu ritardata di un paio
d'anni a causa di una disputa tra il management della band e la casa
discografica. Al duo principale si unì poi Tommy Hoy (ex-Natural Acoustic
Band), prima che Stuart lasciasse per gestire un negozio di animali a Richmond,
nel Surrey.
Nigel Smith si unì in tempo per aiutare a registrare “Putting It Back Together” del 1975. Nel 1977, l'ex compagno di band di Hoy nella
Natural Acoustic Band, Robin Thyne, si unì alla band, insieme a Lee Abbott.
Poco dopo, fu aggiunto Pick Withers. Withers rimase solo per un breve periodo, andando
poi ad unirsi ai Dire Straits. Tra molte acrimonie, Thyne e Hoy lasciarono nel
1979 per formare NovaKarta. Tom McConville è apparso nell'album “Live In Bergen”, prima che la line-up cambiasse di nuovo per ospitare Al Fenn e
George Norris.
Tra il 1980 e il 1982, Doug Morter si aggiunse alla
formazione, insieme a una varietà di batteristi, tra cui Paul Burgess.
L'edizione del 1981, “Midnight Blue”, conteneva "Highway To Spain". Norris, Burgess e Morter se ne andarono, quest'ultimo passò alla
Albion Band. L'album solista di Chris Simpson, “Listen To The Man”, uscì
in questo periodo e vide il supporto di Abbott, Linda Taylor e Will Jackson.
Tra il 1984 e il 1986, Simpson e Taylor andarono in Medio Oriente per gestire
un club musicale, prima di tornare a casa per riformare i Magna Carta. Nel
1986, la line-up includeva, oltre a Simpson, Taylor e Abbott, Gwyn Jones, John
Carey, Paul Burgess e Simon Carlton. Nel 1988, “One To One” fu
pubblicato dall'etichetta Tembo, Jones lasciò la band lo stesso anno.
Nel 1990, Simpson e Taylor si sposarono e, con il semi-ritiro
di Lee Abbott, continuarono a suonare come Magna Carta come duo, così come con
una formazione più ampia per lunghi tour.
L'uscita olandese del 1992, “Heartlands”, fu seguita
da un tour nei Paesi Bassi. Il duo continuò a mantenere un fitto programma di
concerti e nel corso degli anni ha fatto tour in molti paesi diversi. Molti
album dal vivo apparvero nel corso del decennio, oltre alla ristampa degli
album degli anni '70 della band su CD.
Nel 2001, “Seasons In The Tide” è stato pubblicato
dall'etichetta Gold Circle, anche se l'etichetta fallì poco dopo. Nel 2002 fu
pubblicato il DVD “Ticket To The Moon”, registrato nell'isola olandese
di Texel nel 2001. Nello stesso anno, Magna Carta supportò i Fairport
Convention nel loro tour teatrale olandese.
Nel 2006, Chris e Linda Simpson hanno annunciato che il loro
matrimonio era finito.
Nel 2007, Magna Carta aveva già deciso che si sarebbe sciolta
nel 2009, principalmente in riconoscimento del deterioramento delle relazioni
tra i Simpson. Alla fine del 2008 hanno intrapreso un "tour d'addio"
nei Paesi Bassi.
All'inizio del 2011, “Midnight Blue” è stato
pubblicato in un doppio album con l'album live “Live & Let Live”. A
settembre e ottobre 2011, una nuova line up dei Magna Carta è andata in tour in
circa 17 locali nei Paesi Bassi.
Dopo un altro tour nei Paesi Bassi, la band è tornata in
studio per registrare un nuovo album, “The Fields of Eden” (2015).
Nel dicembre 2019 hanno annunciato il loro ultimo concerto,
dopo 50 anni.
DISCOGRAFIA
Album in studio
Magna Carta (1969)
Also issued as This is Magna Carta
and Times of Change
Seasons (1970)
Songs from Wasties Orchard (1971)
Lord of the Ages (1973)
Took A Long Time (1976)
Also issued as Putting it Back
Together
Martin's Café (1977)
Prisoners on the Line (1978)
No Truth in the Rumour (1979)
Midnight Blue (1982)
Sweet Deceiver (1983)
One to One (1988)
Reissued with three additional tracks
as Rings Around the Moon (2000)
Reissued as Ticket to the Moon (2005)
Seasons (1991)
Lord of the Ages (1991)
Heartlands (1992)
Seasons in the Tide (2001)
In Tomorrow (2CDs and a DVD) (2005)
The Fields of Eden (2015)
Album live
In Concert (1972)
Live in Bergen (1978)
Live Two by Four At The Melusina
(1980)
State of the Art (1993)
Live at the BBC (1995)
Live at Grassington (1999)
Evergreen (2000)
Forever (2000)
A Touch of Class (2002)
Ticket to the Moon (DVD) (2002)
Compilation
Spotlight on Magna Carta (1977)
Old Master & New Horizons (1991)
Milestones (2CD) (1994)
Las Tierras del Viento (1995)
Limited Edition (1996)
Seasons + Wasties Orchard (1999)
Lord of the Ages + Martin's Cafe
(1999)
Where to Now? (2000)
Magna Carta Gold (2003)
Ages and Seasons (2003). Features 4
complete albums: "Seasons", "Songs From Wasties Orchard",
"Lord Of The Ages" and "Martin's Cafe".
In Tomorrow (2005)
Backroads (2006)
Airport Song (DVD) (2006)
Deserted Highways of the Heart...
(2007)
Tomorrow Never Comes, The Anthology
1969-2006 (2CD) (2007)
“Berlin”, terzo album da solista di Lou Reed, fu rilasciato
nell’ottobre del 1973, un capolavoro che merita un minimo di introduzione
all’ascolto.
Su invito del produttore Bob Ezrin, che gli rimproverava di
lasciare in sospeso le trame delle sue canzoni, Lou Reed decise di dare un
seguito in forma di concept album all’omonimo pezzo già apparso nel suo primo
LP solista.
All’epoca fu accolto con freddezza dalla critica e dal
pubblico, ma col tempo si è rivelato un album fondamentale nella discografia di
Reed e nella storia del rock, un lavoro sperimentale, cupo e introspettivo, che
racconta una storia di amore, dipendenza, morte e disperazione in una Berlino
post-bellica.
"Berlin" è un concept album diviso in due atti,
ognuno dei quali racconta una parte della storia. Nella prima parte Reed si
concentra sulla relazione tra il protagonista maschile, un ex-drogato, e la sua
amata, una prostituta. Il secondo atto esplora la morte della donna e il
conseguente dolore e disperazione dell'uomo.
La musica di "Berlin" è un tappeto sonoro oscuro che
crea un'atmosfera perfetta per le liriche intense ed evocative dell'autore. Gli
arrangiamenti sono ricchi e complessi, con l'uso di archi, cori e strumenti
elettronici che contribuiscono a creare una situazione quasi operistica.
I testi di Reed sono il cuore pulsante dell'album. Sono crudi,
onesti e senza filtri, e affrontano temi difficili come la dipendenza, la
prostituzione, la morte e la solitudine. Reed riesce a catturare la complessità
dell'animo umano con una sincerità disarmante, senza la paura di mostrare i
lati più oscuri della sua personalità e della società.
L’album necessita di un ascolto attento e ripetuto, essendo un'opera
complessa e sfaccettata, che ha il pregio di rivelare nuove sfumature ad ogni
ascolto.
In estrema sintesi si può dire che “Berlin” è un disco che suona
come nessun altro, un'opera unica e visionaria che ha influenzato generazioni
di artisti.
Tutte le canzoni sono state scritte
da Lou Reed; arrangiamenti di Bob Ezrin e Allan Macmillan.
Una curiosità… l'album era stato originariamente concepito
per essere un doppio vinile e venne solo successivamente ridotto a disco
singolo dietro imposizione della casa discografica. I tagli apportati
riguardano principalmente le code strumentali dei brani. Una versione della
canzone “Berlin”, più lunga di due minuti, è comparsa nella versione Stereo 8
dell'album.
Celestial Tapestry: alla scoperta
della giovane prog band diMemphis
Sono sempre alla ricerca di giovani band che sappiano esprimere
nuove forme di rock progressive, il genere che più amo. Allontanandoci dagli stereotipi,
quelli che pretendono di determinare quali siano i “luoghi unici deputati al
genere”, posso dare prova documentata di come esistano sprazzi di prog ovunque
nel mondo, e la mia certezza deriva dalla ricerca approfondita condotta in
passato da Mauro Selis, musicofilo e collaboratore di MAT2020, che ha fornito cospicuo
materiale che ha messo in evidenza ciò che mai avrei pensato esistesse: nessun luogo del mondo è immune dal prog!
Alla ricerca di una vocalità alla “Jon Anderson”, così come
mi accadde per i Glass Hammer che conobbi seguendo le briciole di Jon Davison,
sono arrivato ad una nuovissima band di Memphis, e
anche qui le analogie con i Glass Hammer (di Nashville) sono evidenti, due band
che propongono prog nei luoghi deputati al folk/country/blues!
Loro sono i Celestial Tapestry, e grazie ai social sono
arrivato a loro, che gentilmente mi hanno aiutato nella decodificazione della
loro storia e del loro lavoro, che ben presto verrà sintetizzato in un album
omonimo.
La prima domanda posta riguarda proprio il nome scelto e ho
ricevuto una risposta vaga e velleitaria: “Arazzo Celeste” evoca immagini
cosmiche e intricate, tipiche del rock progressivo, suggerendo un suono ricco
di sfumature e atmosfere. Vediamo la sostanza, partendo dalla formazione e
anticipando che all’interno del quartetto esiste un perfetto equilibrio di genere:
due uomini e due donne!
Elias Thorne: chitarra, mellotron, voce principale. Si definisce un chitarrista
versatile con un tocco melodico e un'impronta bluesy, capace di creare tappeti
sonori ricchi e atmosfere malinconiche.
Anya Volkova: tastiere, sintetizzatori, cori. Una virtuosa delle tastiere
con una passione per la musica classica e la sperimentazione elettronica che,
lei dice, aggiunge profondità e complessità alla musica della band.
Kai Nakamura: basso elettrico, cori. Un bassista solido con un groove non
comune, a detta dei suoi compagni di viaggio capace di creare linee
melodiche e ritmiche complesse e avvolgenti.
Zoe Ramirez: batteria e percussioni, musicista energica e creativa, che infonde
un ritmo pulsante e dinamico alla musica della band, esplorando sonorità sia
rock che jazz.
E dai
cognomi emerge una sorta di multiculturalità che, probabilmente, si riflette
sulla loro musica.
Le influenze dichiarate sono quelle che portano al mondo
degli YES, Pink Floyd, King Crimson, Genesis, ma ci sono forti contaminazioni
genitoriali che apportano elementi di musica classica, jazz e world music.
Strumenti e sonorità
Mi sono affidato alle risposte della band, avendo ascoltato
una parte minimale del loro prossimo album.
Chitarre: ampia gamma di chitarre elettriche e acustiche, effetti a pedale per
creare suoni spaziali e riverberati, mellotron.
Tastiere: pianoforti acustici e elettrici, sintetizzatori modulari e analogici organo
Hammond.
Basso: basso elettrico a cinque corde per un suono profondo e corposo, basso
acustico per un tocco più intimo.
Batteria: batteria acustica con una vasta gamma di piatti, percussioni africane e
latine.
Stile musicale
Composizioni lunghe e articolate, con cambi di tempo e di
atmosfera frequenti, testi introspettivi e poetici, improvvisazioni
strumentali, uso esteso di effetti sonori e atmosfere psichedeliche.
Concept album in arrivo
Sarà un concept album incentrato sul tema del viaggio
interiore e dell'esplorazione cosmica, con brani che si susseguono come
capitoli di una storia epica. Ogni traccia rappresenta una tappa del viaggio,
con sonorità e atmosfere che cambiano in base al contesto.
Anche la grafica riporterà al modello “Roger Dean”,
psichedelica e onirica, con immagini che richiamano i sentieri musicali amati
dalla band.
Live: a detta loro si tratta di spettacoli visivamente
accattivanti, con proiezioni video e giochi di luci che accompagnano la musica,
con la partecipazione di altri musicisti (ho visto con i miei occhi cosa accade
da quelle parti in fatto di partecipazione musicale gioiosa), per arricchire il
suono e sperimentare nuove sonorità.
Ma ciò che più mi ha intrigato è la loro storia, giovanissimi
e fuori tempo per una proposizione antica e, come già evidenziato, nati in un luogo
famoso per tutt’altro genere.
Celestial Tapestry: dal Delta del
Mississippi al Cosmo
Memphis, Tennessee. Una città che pulsa al ritmo del blues,
dove ogni angolo si raccontano storie di chitarre lamentose e voci soul. In
questo caldo crogiolo musicale, quattro giovani si trovano a condividere una
passione inusuale: il rock progressivo. Elias, Anya, Kai e Zoe, provenienti da
diverse estrazioni sociali, si incontrano in un piccolo negozio di dischi
vintage, attratti da un'antica copia di "Fragile" degli YES.
Inizialmente guardati con scetticismo dai loro coetanei, più
interessati al blues e al soul, i quattro ragazzi decidono di dare vita a un
progetto ambizioso: una band in grado di fondere le atmosfere cosmiche del rock
progressivo con le radici blues della loro città. Le loro prove si svolgono in
un vecchio fienile ai margini della città, dove i suoni delle loro chitarre,
tastiere e batterie si mescolano al canto degli uccelli e al fruscio del vento.
Il loro primo concerto, organizzato in un piccolo club
locale, è un successo inaspettato. Il pubblico, inizialmente perplesso, viene
conquistato dalla loro energia e dalla loro originalità. La band comincia a
farsi conoscere nel circuito musicale locale, attirando l'attenzione di un
critico di una rivista nazionale. La recensione positivissima apre le porte di
un tour un po’ più allargato, ma sempre di dimensione locale.
In questa occasione la band affina il proprio sound,
sperimentando nuove sonorità e influenze, gettando le basi per il loro
primo omonimo e prossimo album, un concept ispirato dal contrasto generazionale.
In ogni loro concerto, la band rende omaggio al “casalingo”
blues, eseguendo cover di classici del genere e inserendo elementi blues nelle
loro composizioni originali. “Celestial Tapestry” diventa così un ponte tra due
mondi musicali apparentemente distanti, dimostrando che la musica non ha
confini e che è possibile fondere tradizioni diverse per creare qualcosa di
nuovo e originale.
L'ispirazione: un melting pot
musicale
Cresciuti a Memphis, i membri della band hanno
inevitabilmente assorbito l'anima del blues. I lamenti della chitarra, le
ritmiche sincopate e le storie di sofferenza e redenzione hanno lasciato
un'impronta indelebile nel loro modo di suonare. Tuttavia, il blues è solo una
delle tante tessere del loro mosaico musicale.
L'incontro con un vecchio disco degli YES è stato un punto di
svolta. Sono rimasti affascinati dalle atmosfere cosmiche, dalle composizioni
complesse e dalla libertà espressiva di questo genere, e hanno così iniziato a
esplorare la discografia dei gruppi storici dei seventies, scoprendo un
universo sonoro completamente nuovo.
Oltre al blues e al rock progressivo, i membri della band
hanno attinto a diverse altre fonti di ispirazione: la musica classica, il
jazz, la world music e persino la musica elettronica, e queste influenze si
manifestano nelle loro composizioni.
Parliamo di ventenni alla ricerca della propria identità
musicale. Sono giovani ribelli che sfidano le convenzioni e le aspettative
della loro comunità, scegliendo di seguire la propria passione piuttosto che
conformarsi ai modelli precostituiti.
Facendo parte della generazione Y, sono nativi digitali, cresciuti
con internet, i social media e la musica on-demand, e quindi sto scrivendo di
una generazione è caratterizzata da un forte senso di individualismo, da una
grande apertura mentale e da una passione per l'innovazione.
La loro scelta di dedicarsi al rock progressivo li pone in
contrasto con la generazione precedente, più legata alle tradizioni blues di
Memphis. Questo conflitto generazionale diventa una fonte di ispirazione e di
motivazione per la band, che è determinata a dimostrare che la musica può
evolversi e rinnovarsi.
Aver appreso tutte queste notizie sui Celestial Tapestry mi
porta ad alcune considerazione di carattere generale.
Il pregiudizio generazionale verso il
prog rock
Il rock progressivo è spesso definito un genere musicale
"da vecchi", legato a un'epoca passata e poco adatto ai gusti delle
nuove generazioni. Ma perché questo pregiudizio?
Con le sue lunghe suite, i testi complessi e le sonorità
sperimentali, viene spesso associato a un'immagine stereotipata di musicisti
barbuti e occhialuti, più interessati alla teoria musicale che alla spontaneità
e all'energia del rock.
Alcune persone trovano il rock progressivo troppo complesso e
poco immediato. Le canzoni lunghe e articolate richiedono un ascolto più
attento e concentrato rispetto ai brani pop, più brevi e orecchiabili e
subentra il concerto di “prodotto per la nicchia”, lontano dai grandi successi
commerciali e dalle tendenze musicali del momento.
Nondimeno, sempre più giovani si stanno appassionando al rock
progressivo.
In un panorama musicale dominato dalla musica pop e dall'hip
hop, molti giovani cercano sonorità più complesse e originali. Il rock
progressivo offre un'ampia gamma di possibilità espressive, permettendo agli
artisti di sperimentare con diverse sonorità e strumenti.
Inoltre, il rock progressivo è sempre stato un genere
anticonformista, che ha sfidato le convenzioni e le regole del rock
tradizionale. Questa attitudine ribelle può attrarre i giovani che cercano di
distinguersi dalla massa.
I social media - ed è questo un caso - hanno contribuito a
diffondere la musica di band progressive meno conosciute, creando una nuova
generazione di fan.
Il caso dei Celestial Tapestry
Nel caso dei Celestial Tapestry, la loro giovane età e la
loro provenienza da un luogo simbolo del blues, potrebbero
rappresentare un ponte tra generazioni e generi musicali, con un approccio
fresco e innovativo, una fusione di sonorità e la proposizione più o meno conscia
di un messaggio universale: temi come l'amore, la perdita, la ricerca di sé
stessi… risuonano in ogni era.
Non resta che ascoltare ciò che ho potuto assemblare, ovvero alcune immagini che faranno parte del ricco booklet incluso nel
disco - che, pare, uscirà anche in vinile - e un brano simbolo del loro album, intitolato “Endless Mystery”. Gli aspetti sinfonici iniziali portano lontano dalle citati contaminazioni locali, ma trattasi di un unico brano di 4 minuti e quindi per trarre un giudizio definitivo mi riserbo l'ascolto totale, molto soddisfatto dell'incipit.
“Eloise” è una canzone che non mi stanca mai, periodicamente
la metto in circolo e trovo solo conferme positive.
In questi giorni ho elaborato l’idea che l’arrangiamento utilizzato
possa ricondurre ad una sorta di proto prog, in quanto il brano possiede almeno
due caratteristiche che riportano al genere che molto tempo dopo avremmo definito
progressivo:
a) La lunghezza inusuale, cinque minuti e mezzo, almeno due
minuti in più rispetto allo standard dell’epoca:
b) Le trame sinfoniche, quasi solenni, che riconducono ad una grande orchestra
al servizio dell’ortodossia, ciò che il mellotron aveva iniziato a produrre.
Ma vediamo qualche nota/curiosità in più…
"Eloise"
è una canzone pubblicata per la prima volta nel 1968 dall'etichetta MGM. Fu
cantata da Barry Ryane scritta da suo fratello gemello Paul Ryan.
Con una durata di oltre cinque minuti, presenta una forte orchestrazione, voci
melodrammatiche e un breve intermezzo lento.
Ha venduto tre milioni di copie in tutto il mondo e ha
raggiunto la vetta della classifica in 17 paesi, tra cui l'Italia, i Paesi
Bassi e l'Australia.
Il singolo fu pubblicato con il titolo "Barry Ryan
with the Majority". I Majority
erano una band pop che, per un periodo, fu il supporto di Ryan e che, dopo
essere stata rinominata Majority One, ebbe un certo successo in Europa. Ryan ne
pubblicò nel 1968 anche una versione in lingua italiana.
Dopo aver verificato che il successo in duo col fratello non
sarebbe arrivato, Paul decise di allontanarsi dalle luci della ribalta e di
concentrarsi sul songwriting. "Eloise" fu la seconda canzone che scrisse,
influenzato dall'arrangiamento di Richard Harris di "MacArthur Park"
dopo averne ascoltato un mix grezzo a una festa a casa sua. Dopo averlo
ascoltato, Paul si chiuse in sé stesso e scrisse "Eloise" in tre
giorni. La canzone fu poi registrata agli IBC Studios alla fine di una sessione
di registrazione con la madre Marion ed ebbero solo un paio di possibilità a
causa della lunghezza della canzone. Tra i musicisti in studio c’erano Jimmy
Page e John Paul Jones - futuri Led Zeppelin - e Glenn Ross Campbell.
Tutti erano ansiosi di ascoltare il risultato perché era un
brano davvero insolito per l’epoca e si ipotizzava che sarebbe stato un grande
successo.
Secondo Barry Ryan il disco influenzò Freddie Mercury dei
Queen, e nel corso di un'intervista del 2017 ricordò di aver letto le memorie
di Freddie, asserendo fu influenzato da “Eloise”, canzone che utilizzò anche come
argomento per pubblicare 'Bohemian Rhapsody' perché la sua casa discografica
non voleva saperne di un brano così lungo, ma Freddy aggiunse: "Se
Barry Ryan ha avuto un grande successo di cinque minuti e mezzo perché non
possiamo averlo anche noi?"
La versione dei Damned
Sulla scia del successo commerciale dell'album “Phantasmagoria”
del 1985, i Damned pubblicarono la loro cover del brano come singolo nel 1986
che raggiunse il numero 3 nella UK Singles Chart.
Ma questa è un’altra storia…
Barry Ryan è morto nell'autunno del 2021, quasi 73enne, per
un improvviso arresto cardiaco.
Uvarovite
& The Thermal Breaks - “Bubblers in Balikesir”
Fibermech Records
(11 tracce-56 minuti)
Accade di entrare in una libreria e
di essere ammaliati dalla copertina, dall’involucro, dall’elemento estetico,
tanto da trovarsi sulla via di casa con un nuovo book tra le mani, un libro di
cui non si conosce nulla, né contenuto né autore, ma oramai sentiamo che ci
appartiene, e alla fine scopriremo, magari, che l’acquisto è stato indovinato.
Nel campo musicale può accadere la
stessa cosa… l’amore scocca a volte per una copertina suggestiva, per un
titolo, per un’idea che sgorga spontanea.
Cosa si cela dietro a denominazioni
così inusuali?
Qualche chiacchiera con i
protagonisti, riportata nel corso dell’articolo, risulterà alla fine icastica.
Il progetto si presenta come
multietnico, con musicisti provenienti da posizioni geografiche diverse, che
trovano la sintesi in un luogo di lavoro in terra straniera.
Appare chiaro quindi come la musica
sia la grande passione, ma attività collaterale, situazione normale in questo
ambito.
Partiamo dai componenti la band e
proseguiamo con qualche etichettatura atta a chiarire la tipologia della
proposta.
Leader della band è Marko Mounier,
un francese che vive per un quarto del tempo nel suo paese, per un altro quarto
in Italia e poi… in giro per il mondo.
Trombettista, pianista e tastierista,
viene denominato “Il Professore” (oltre che Uvarovite Man”)”, per effetto della
sua posizione all’Università del Vetro di Parigi.
L’anima e il motore, rigoroso e
fantasioso.
La sezione ritmica è formata dal
batterista e percussionista Henry Mex - scuola messicana, ritmo pazzesco
e sempre sul pezzo - e dal bassista Daniele Tagliabue, direttamente da
Cantù, entrambi con una lunga esperienza come session man in studio e su navi
da crociera.
Chiudono la line up due musicisti
interscambiabili - Andrea Colombi e Alberto Fabbri - entrambi
vocalist e chitarristi, molto conosciuti nel circuito lombardo.
Gruppo che appare affiatato e che
presenta un rock contaminato dal blues e dal folk, con particolare attenzione
ai testi, mai banali, seppur a volte criptici.
L’album, rilasciato da poco, ha
caratteristiche ben precise, essendo un concept ma formato da episodi - undici -
ognuno dei quali può brillare di luce propria. Il cantato è rigorosamente in
lingua inglese.
Il fil rouge, il comune denominatore,
riporta ai diversi sentimenti che legano gli esseri pensanti, delineati ad uno
ad uno mentre storie apparentemente separate sbocciano e si uniscono tra loro.
Questa
la Setlist
Viscosity
Why
does the pull change?
I
must ask
Gulin's
nails
The
dumper zone
Platinum
or Rhodium?
The
boosting is not enough
Ramada
Hotel
Ten
microns
Efficiency
is our priority
Raki
Apre il disco “Viscosity”
e appare subito chiara la necessità di metafora.
Il termine, che può prestarsi a
differenti definizioni, parte dall’elemento tecnico per estrapolare il concetto
di amicizia, di legame consistente di cui spesso si ha bisogno, capace però di
trasformarsi in prigione se fuori dai limiti; e allora, quale sarà la giusta
“viscosità” in una relazione in cui domina l’affetto?
Lo start musicale è grintoso, cinque minuti
di energia pura che prevedono una discreta dicotomia tra una prima parte
sognante - e qui il corno francese utilizzato da Mounier calza a pennello - ed
una seconda molto “ruvida”, dove i giochi solistici di Colombi e Fabbri
riportano alla migliore tradizione del rock.
Segue “Why does the pull
change?”, il brano più lungo con i suoi suoi sette minuti e mezzo.
Nasce una sorta di dilemma che appare
senza soluzione.
Perché cambiamo? Perché non esiste
una valida motivazione nonostante la nostra voglia - e applicazione - di una
continua analisi? Si tira e si spinge, si elidono le forze e ci si ritrova al
punto di partenza.
Testo scritto da Tagliabue all’apice
del suo esistenzialismo.
Anche in questo caso esiste un cambio
di movimento, e dopo un iniziale momento acustico si mette in luce la ritmica
di Mex, capace di sciorinare i tempi composti tipici del prog all’interno di
trame decisamente tradizionali.
Il terzo pezzo, “I must ask”,
fa riferimento al periodo della conoscenza e della nascita della band, quando un
incontro lavorativo quasi fortuito a Balikesir, città della Turchia, li portò a
legare e a pianificare un futuro musicale comune.
In quella occasione vennero in
contatto con Sirtacchio, potenziale manager della band, che qui diventa simbolo
di ignavia, di incapacità di prender posizione, di pigrizia di azione, indolenza
e viltà eletta a norma di vita, o forse solo paura delle conseguenze. Il “devo
chiedere” rappresenta il perenne prendere tempo, sempre e comunque, delegando
ad altri l’azione e la responsabilità. Sirtacchio diventa quindi la
rappresentazione di un comportamento umano da evitare.
Inizio acustico e quadretto
idilliaco, con il piano di Mounier che incanta e disegna a mano libera
paesaggi orientali e atmosfere sognanti. Gli arpeggi chitarristi di Colombi
introducono il blues finale, utilizzato per rinforzare il messaggio di dolore e
delusione.
Con “Gulin’s neals” si
entra nel sociale.
L’antefatto riporta ad una giovane
donna, amica comune, dedita per professione a lavori manuali, quelle che
nell’immaginario comune richiedono abbigliamento adeguato, sicuramente poco
femminile. Ma lei non riesce a rinunciare alla raffinatezza dei particolari,
non può essere un’altra e così mantiene le sue unghie colorate e ben curate in
ogni situazione, anche in quei momenti in cui le mani richiederebbero ben altra
protezione.
La donna sempre al centro, senza
condizionamenti e confini, la donna come fulcro del mondo, la vera opera
d’arte!
L’anima italiana diventa
preponderante e la melodia prende il sopravvento. Il lungo gioco di chitarre e
tromba si trasforma in dialogo, quello tra la protagonista e chi non riesce ad accettare
il suo coraggio.
Altro brano dai forti connotati
sociali, ma dall'atmosfera gioiosa, è “The dumper zone”, primo estratto dall'album e uscito come singolo in digitale...
L’immagine che fa riferimento al
termine “Dumper” rappresenta una sorta di ostacolo al normale corso delle cose,
una barriera che si frammezza allo scorrere dei flussi, un muro che tende ad
incrostarsi e spesso si trova in balia del vento.
Ma forse una piccola ed elementare
protezione potrebbe creare un riparo sicuro, un luogo in cui poter sostare per
riflettere, godendo della più alta visione possibile.
Emozioni continue, un sample di cosa
possa rappresentare un brano che contiene messaggio, competenza strumentale e
bellezza estetica, un fiume in piena che diventa docile torrente, un salire e
scendere un difficile pendio con facilità, un’agitazione smisurata che diventa
quiete positiva.
“Platinum or Rhodium?”.
Dilemma che riporta a Shakespeare!
In realtà la lirica di Fabbri prende
in considerazione il valore delle cose materiali, elementi apparentemente
irrinunciabili, ma evanescenti e “di passaggio”.
Cosa scegliere tra l’oro e… l’oro?
Esistono altri criteri di valutazione? Possiamo immaginare una diversa lega tra
“metalli”, non risulterà vincente cercare un bilanciamento con aspetti più
eterei e trascendenti ma fondanti?
La voce di Colombi conduce un dramma
che si snocciola in momenti differenziati. Una marcetta riporta alla classicità
pura, mentre le lancinanti svisature dell’elettrica penetrano nell’anima e
realizzano un’andatura in pieno stile seventies, quando queste sonorità erano
il nutrimento quotidiano.
Altro
brano è “The boosting is not enough”.
Ci sono quei giorni, quei momenti, in
cui l’energia non appare sufficiente, gli sforzi sono enormi e tutto appare
inutile. La piattezza regna sovrana e non si intravedono all’orizzonte cambi di
rotta, nonostante l’impegno constante.
“L’energia non è abbastanza”,
chiediamo aiuto ma non sempre arriva, e l’indifferenza fa scendere quella
nebbia che solo il tempo farà sparire, sperando che il tutto avvenga in un
tempo accettabile.
Un pezzo di bravura di Mounier, che
utilizza il suo piano chiudendo gli occhi e lasciando andare mani e mente, solo
così si può raccontare musicalmente il parallelo tra infinita tristezza e
speranza di luce infinita.
“Ramada Hotel”,
fa immediatamente pensare al rock settantiano degli Eagles, ma c’è molto di più
in sottofondo.
Il Ramada di Balikesir è il luogo in
cui tutto è nato, punto di incontro casuale ma fondamentale: un piccolo palco,
strumenti folkloristici, voglia di musica dopo una giornata piena di lavoro. E
la band prende forma, le anime si fondono e si ravvivano sentimenti, quelli a cui solo
l’unione di intenti può garantire solidità.
Una traccia molto dura, metallica,
con un sottofondo drammatico e un ritmo incalzante che toglie il fiato e
preannuncia la novità ad ogni svoltar d’angolo… sonoro.
Con “Ten microns” il
topic si sposta sul tema del desiderio e dell’obiettivo apparentemente
inarrivabile; puntare in alto, sempre più in alto, appare legittimo, sognare ad
occhi aperti un esercizio quotidiano, ma quanto siamo disposti a mettere in
gioco per toccare il cielo con un dito?
Unico strumentale, un brano tutto
atmosfera ed effetti, molto ambient, riflessivo e pitturato nel sonoro, una
misura melodica che non lascia indifferenti, un aiuto nel sottolineare il
virtuosismo di questi musicisti!
“Efficiency is our priority”
fa riferimento ad una frase che il gruppo era solito formulare nelle occasioni
più svariate, irridendo tutti quelli che mettevano da parte i sentimenti e la
voglia di relazione a vantaggio del profitto a tutti i costi.
Ma esiste qualcosa oltre alla
perfezione di comportamento e l’ortodossia nei principi?
Un crescendo di effetti in stile
floydiano, un ritmo cadenzato e controllato, una marcia verso l’ignoto, due chitarre
elettriche laceranti il cui prodotto si lega indissolubilmente alla lirica.
Chiude l’album una ballad, quella che
non può mai mancare in un album rock.
“Raki”, apparentemente leggera e
divertente, nasce ripensando a due episodi particolari.
Precisiamo che il “Raki” è una
bevanda all'anice turca, ottenuta da un distillato a base di mais, o patate,
aromatizzato con anice e menta, con una gradazione alcolica minima del 40%. Conosciuto
anche come "latte di leone", è considerata la bevanda nazionale.
Il primo episodio riporta agli
incontri serali del Ramada, quando la ricerca del lavoro era assoluta priorità.
In quel contesto nacque l’opportunità per Tagliabue di approfondire l’arte
della preparazione del Raki, una sorta di “mestiere” che lo porterà a creare
tutorial dedicati e divenuti di grande successo, fonte di futuro e sicuro
reddito. Perché anche quando tutto sembra perduto l’intraprendenza e
l’inventiva possono venire in nostro aiuto.
La seconda motivazione mette al
centro Andrea Colombi e il suo abuso episodico di Raki. In questo caso la
mancanza di consapevolezza, il senso di sfida, l’incoscienza e l’idea di
immortalità, portano al disagio e al malessere fisico: niente di preoccupante
se l’errore si trasforma in apprendimento e indicazione del corretto modello di
vita.
Chitarre acustiche e cori vacanzieri
per il finale di album, un motivo lineare e un ritornello che si trasforma in
tormentone, ti si appiccica e non ti molla più!
Che altro dire… una sorpresa, un
disco inaspettato, un gruppo di musicisti preparati e capaci di proporre nuove
idee, in un momento in cui la buona musica latita.
Ho raggiunto telefonicamente “Il Professore”
a cui ho chiesto lumi sul nome della band e sul titolo dell’album…
Dimmi Marko, cosa significa “Uvarovite & The Thermal
Breaks”?
I termini sono stati estrapolati dalla
mia professione e dai miei studi.
“Uvarovite” è un minerale che si
trova generalmente in forma di piccoli cristalli ben disposti. Il suo colore è
un verde smeraldo e presenta forme spesso molto complesse. La sua bellezza è
ciò che ci ha colpito.
Ma accanto a tanto splendore che si
vede in natura si cela talvolta una nascita non controllata - e non voluta -,
non sempre spiegabile. E quando l’uvarovite appare all’improvviso emerge il
contrasto tra perfezione estetica e danno che ne deriva, una sorta di virus a cui
non sempre si trovano le contromisure.
Le “rotture termiche” sono invece
qualcosa che in senso tecnico sono più comprensibili, a cui è più facile porre
rimedio.
Anche noi sul palco mettiamo in
evidenza le nostre contraddizioni e differenze.
Un’ultima cosa, mi spieghi il titolo
dell’album, “Bubblers in Balikesir”?
Anche qui esiste una miscela tra
elemento tecnico - e quindi vicino al nostro lavoro - e il luogo in cui nasce
il progetto, Balikesir appunto.
I “bubblers” permetto di introdurre
dell’aria in una massa vetrosa e hanno il compito di creare movimento,
omogeneità, aggregazione, affinaggio. In questo senso li abbiamo considerati il
simbolo della nostra unione di intenti, almeno in questo particolare momento
della vita, ciò che verrà di conseguenza sarà ben accetto!
Non ci resta che attendere l'uscita di “Bubblers
in Balikesir”, senza pregiudizi e aperti al nuovo, le sorprese non
mancheranno.
Come e dove?
A dicembre, su tutti gli store digitali, in
attesa dell’uscita del CD, 100 copie numerate e firmate.
Il brano che anticipa l'album, "The Dumper Zone", lascai buone sensazioni!
Fantastico l’artwork e il booklet
annesso, con una meravigliosa copertina firmata dall’astro nascente dell’Art
Design, Semih Orale.
Il testo di The Dumper Zone
Time slips by like whispers in the
breeze, it gently flows away
As we stroll through memories of
youth, on a golden sunny day
Do the leaves still dance with
laughter? Is the sun still shining bright?
And by the way, does it ever feel
like night?
Does it ever feel the same underneath
the fading sky?
And when the stars align, do you
remember all our dreams?
Is the laughter still infectious? Do
we still share the joy?
And by the way, does the world still
seem so free?
Is the old café still buzzing with
the tales of yesteryear?
Do the echoes of our laughter still
linger in the air?
Are the children still at play in the
park that we once knew?
And by the way, do they smile like we
used to do?
Does it ever feel the same underneath
the fading sky?
And when the stars align, do you
remember all our dreams?
Is the laughter still infectious? Do
we still share the joy?
And by the way, does the world still
seem so free?
Time may fade but memories remain,
like shadows in the light
We'll hold onto these moments, as
they dance into the night
For the age goes away, but the heart
stays true
In the echoes of our laughter, I'll
always find you.
Does it ever feel the same underneath
the fading sky?
And when the stars align, do you
remember all our dreams?
Is the laughter still infectious? Do
we still share the joy?
And by the way, does the world still
seem so free?
Greg Kochè un vero e proprio fenomeno della chitarra, capace di incantare e
divertire il pubblico con il suo stile unico e la sua versatilità.
Qualche pillola della sua vita…
Chitarrista statunitense, nasce a Milwaukee nel 1966.
Influenzato da Jimi Hendrix fin da giovanissimo, ha iniziato
a suonare la chitarra all'età di 12 anni.
Il suo sound spazia dal blues al rock, dal country al jazz,
mescolando generi e influenze in modo originale.
È stato vincitore del Bluesbreaker Guitar Showdown nel 1989,
un concorso prestigioso presieduto da Buddy Guy.
La musica di Koch è piena di energia, passione e un
pizzico di follia. È in grado di suonare qualsiasi cosa, dal blues più classico
al rock più moderno, passando per il country e il jazz.
Oltre ad essere un chitarrista eccezionale, Greg Koch è anche
un grande showman, capace di coinvolgere il pubblico con la sua simpatia e il
suo senso dell'umorismo.
Greg Koch ha sviluppato un proprio stile originale detto
"chicken pickin", a volte anche “hybrid picking”. Koch
tiene il plettro tra il pollice e l'indice della mano destra e lo usa per
pizzicare le corde basse della chitarra; usa le altre tre dita per pizzicare le
corde alte.
Greg Koch definisce questa tecnica "gristle", e lui
stesso è stato chiamato "The Gristle King" (il "gristle" è un genere
chitarristico strumentale, nel quale i brani contengono un crescendo di assoli).
Tiene regolarmente seminari e workshop in tutto il mondo,
dove condivide la sua esperienza e la sua passione per la chitarra con altri
musicisti.