martedì 30 dicembre 2014

Stratten "Bologna '67/ '77"




Articolo già apparso su MAT 2020 del Dicembre 2012

Stratten
"Bologna '67/ '77" 

Bologna ’67 ’77è un vero colpo basso, non me lo aspettavo.
E’ bello… bello… bello. E che commento sarebbe questo? Dove risiede la professionalità?
Capita a volte di trovarsi tra le mani ciò che realmente ti mancava, ma avverti subito che ti appartiene da sempre. E’ sufficiente tenere in mano un cd e  guardare la foto di copertina per capire che ciò che sta per arrivare, la sostanza, sarà  qualcosa di significativo.
“Bologna ’67 ’77” si presenta con un’immagine che mi tocca il cuore, un vecchio registratore “GELOSO”, modello RECORD 680. Impossibile spiegarne il significato a qualche giovanotto!
Nel mio, modello 600, che custodisco in luogo sacro,  ci sono The Who, Mal dei Primitives, i Nomadi, i Beatles… e chissà cosa troverò qua dentro!?
Vediamo di riprendere i binari dell’obiettività, e mettiamo da parte il cuore.
Gli Stratten, questo il nome della band emiliana, realizzano un concept album che attraversa un periodo difficile, caldo, pieno di nuovi umori e di illusioni, e ne disegnano gli accadimenti attraverso nove brani che ti entrano dentro e non ti lasciano più.
Sarà quella voce modulante e accattivante di Alessandra Reggiani… saranno le trame musicali di Nicola Bagnoli… oppure la poesia di Vincenzo Bagnoli… o l’amalgama con le chitarre di Giulio Golinelli e Ian Zulli… o ancora la sezione ritmica formata dal drummer Matteo Dondi e il bassista Emiliano Colomasi, ma… tutto prende e tutto coinvolge, perché col primo brano si innesca  il racconto di una generazione attraverso delle pictures musicali che  lasciano il segno.
Mi sembra di rivivere i cortei, le lotte quotidiane, gli amori vissuti da adolescente, le speranze, le delusioni e… la TV dei ragazzi, e ancora gli sceneggiati della domenica sera, bianco e nero… bianco e nero… bianco e nero… Maigret e i Miserabili.
E’ un racconto intelligente, intriso di poesia, e pieno di didattica.
Anche la musica appare un viaggio nel tempo, fatto da tappe e variazioni stilistiche.
Il livello tecnico della band assicura ad ogni sosta una grande qualità esecutiva, e i passaggi attraverso i generi  più conosciuti  - rock, blues, jazz e pop - accompagnano la narrazione, diventando la colonna sonora di un film che lascia alla fine un sapore amaro: erano bei tempi? Potevamo viverli meglio? Perché certe atmosfere intristiscono e non facciamo niente per tenerle lontane?
Il ritornello di “Lotta di classe” - mistero sulla soglia della percezione - mi fa tornare bambino;  il jazzato “Deep sky”, unico brano cantato in inglese, mi riporta al  “mio”prog,  e il potente “Corteo”… ecco, se avessi l’occasione di condurre una trasmissione radiofonica a base di rock lo userei come sigla, e in breve tempo diventerebbe un tormentone, con quel riff da power chord, ricamato dal sitar e dalla voce liquida  di Alessandra Reggiani.
Un disco che profuma di storia, storie, attimi di cui sentiremmo forse il bisogno, almeno a tratti. E cosa siamo diventati? Cosa avremmo potuto fare per incidere di più sulle nostre esistenze e su quelle di chi ci circonda?


Mettiamo per un attimo tutto da parte e seguiamo il consiglio degli Stratten, prendiamo il booklet, lasciamoci incantare dalla vecchia macchina da scrivere Olivetti, alziamo gli occhi e leggiamo: Poesie da cantare e da imparare.

IL CORTEO…PER ME UN TORMENTONE!


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