venerdì 12 dicembre 2014

Paoli Siani racconta…



Intervista già pubblicata sul web magazine UNPROGGED (http://www.unprogged.com)

Paolo Siani è stato uno dei capisaldi di una formazione storica italiana, la genovese Nuova Idea. Festival, album, TV e grande visibilità per una band di Prog Rock innovativa, carica di talenti puri e capace di incredibili performance live.
Tra mille difficoltà il gruppo si è ricostituito e ha dato prova di rinnovato entusiasmo e immutato talento da palco. E ancora una volta il protagonista, il collante, l’uomo della sintesi, è Paolo Siani. A lui ho chiesto di soddisfare qualche curiosità.



Sei stato uno dei fondatori della Nuova Idea, evoluzione del “complesso” dei Plep: come ricordi il passaggio dal beat al pop (a quei tempo il termine prog non era ancora nato)?

Ma in verità noi (Plep) siamo sempre stati curiosi nel senso che, quando non scrivevamo ancora brani nostri, ci piaceva elaborare quelle che oggi si chiamerebbero covers, cioè i brani che avevamo in repertorio per le nostre esibizioni dal vivo. Ascoltavamo molte cose nuove… Moody Blues, Traffic, ma lo choc (musicale) lo abbiamo “subìto” dai Vanilla Fudge e dalla loro bravura nell’arrangiare brani altrui.

Di cosa sei maggiormente orgoglioso quando ripensi al percorso disegnato con la Nuova Idea?

Probabilmente della nostra assoluta indipendenza musicale che ci è costata non poche battaglie con le Case Discografiche, quando ci chiedevano cose più commerciali (ricordo che abbiamo rinunciato anche a partecipare al Festival di Sanremo con una canzonetta che ci avevano proposto).

Che tipo di fermento musicale ricordi nella Genova degli anni ’70?

Beh, c’erano dei luoghi dove si incontravano musicisti anche di altri gruppi, per lo più Bar, dove si scambiavano quotidianamente esperienze ed opinioni: c’erano più gruppi in ogni quartiere di Genova, il problema allora era trovare delle Sale Prova adeguate.

Mi soffermo sulla tua figura di batterista: che drummer sei stato? Da chi hai maggiormente appreso e come valuti la tua evoluzione personale?

Diciamo che ho sempre preso la musica molto sul serio, forse perché era così anche nella mia famiglia. Dapprima ho cominciato da autodidatta, poi mi sono iscritto al Conservatorio Paganini, dove ho frequentato il corso di Percussioni Riunite. La svolta professionale comunque, l’evoluzione di Paolo musicista, l’ho avuta quando, lasciata la Nuova Idea, mi sono trasferito a Milano per lavorare all’interno di una Casa Discografica come batterista, oltreché come produttore. Mi autodefinirei un batterista “deciso” sullo strumento, cioè un batterista il cui target è quello non di esibire chissà quali tecnicismi, ma di scandire il tempo in maniera precisa e strutturalmente semplice. Se poi devo indicare un modello lo farei citando almeno Max Roach, Carmine Appice e John Bonham.

Qual è stato, professionalmente parlando, l’incontro più gratificante, più sorprendente e significativo, che ti/vi ha fatto pensare ad una situazione di grande privilegio?

Ricordo volentieri due episodi: il primo è il Festival Pop di Viareggio davanti ad un pubblico per quei tempi oceanico; il secondo quando partecipammo alla trasmissione RAI del sabato sera “Senza Rete”, in cui suonammo rigorosamente dal vivo accompagnati dall’orchestra diretta dal Maestro Pino Calvi, trasmissione ricca di star mitiche nel nostro paese.

Esiste un episodio che non tutti conoscono, ma che credo tu abbia ben chiaro, ed è riferito allo sdoganamento del prog in Italia, dopo la vittoria dei Vanilla Fudge al Festival di Venezia, nel ’69: che ricordi hai di quei giorni?

Ne ho parlato prima, ricordo che finimmo un concerto a Genova e andammo di corsa alle Rotonde di Garlasco (PV) ad ascoltarli, e fu davvero un concerto che ci confermò la grandezza di quel gruppo americano, sia dal punto di vista strumentale - e  delle voci - che e soprattutto per l’energia con la quale fecero quel concerto indimenticabile. Finalmente qualche spiraglio di luce per il tipo di musica che proponevamo da tempo.

Non sei solo uno dei fondatori della Nuova Idea, ma anche il propulsore del nuovo corso della band, che ha ripreso, tra varie difficoltà, una nuova via: sei soddisfatto dei risultati?

Il giorno che sarò soddisfatto dei risultati probabilmente smetterò di fare musica. Certamente non mi sarei aspettato una risposta di pubblico così importante dopo decenni di silenzio, ma voglio pensare che il bello debba ancora venire.

La Nuova Idea è sempre stata giudicata “una bomba” da palco, e da quanto ho potuto vedere nel concerto genovese di qualche mese fa, è questa una caratteristica che vi è rimasta appiccicata: come nasce l’alchimia tra persone che abitano lontane tra di loro, si vedono poco e non hanno molte occasioni di confrontarsi e allenarsi in team?

Probabilmente il fatto che abbiamo vissuto le stesse esperienze musicali, ed anche un modo di intendere i concerti dal vivo come un happening in cui sfogare tutto quel che si ha dentro, senza freni, senza inibizioni, con tutta l’energia possibile ed in piena onestà intellettuale, rivolti al pubblico con la voglia sincera di offrire il massimo e, per quanto possibile, emozionarlo.

Ultimamente hai pubblicato molti pensieri critici relativi all’evoluzione del mondo musicale, tra businnes e tecniche di registrazione: puoi provare a comparare il prima e il dopo, tracciando un bilancio tra ciò che reputi positivo e quello che ti appare come deleterio?

Non credo sia possibile fare paragoni e, se anche lo fosse, non mi pare un esercizio che possa servire ai giovani, dal momento che ritengo sia molto difficile spiegare in quale contesto sociale la ‘’nostra’’ musica è nata. Io credo comunque che oggi sia tutto più facile: strumentazione, tecnica, tecnologia e internet danno la possibilità ai giovani di provarci nel migliore dei modi. Purtroppo i media nazionali non fanno la loro parte e quindi stanno viziando le nuove generazioni con la convinzione che il successo sia a portata di mano e che basti riuscire ad entrare in qualche Talent per ottenerlo. Solo con molti sacrifici e con un talento vero si possono raggiungere risultati; oggi tutti possono registrare e stampare dischi in proprio con suoni molto buoni e tecnicamente ineccepibili, ma a discapito della ricerca della propria sensibilità musicale ed espressiva: non si punta più sulla ricerca di un’idea ma sul risultato (il successo) che si insegue a tutti i costi.

Che cosa vedi di nuovo e positivo nel panorama attuale? Ci sono talenti importanti che meriterebbero maggiore visibilità?

E’ il limite del nostro paese direi. Non si è mai investito molto sull’educazione musicale e oggi lo si fa ancora meno; non c’era grande professionalità quando si vendevano dischi a milioni puoi immaginare come sia caduta del tutto oggi che di dischi non se ne vendono più. Direi che la visibilità è diventata quasi impossibile se non fosse per l’autopromozione che ogni musicista (talentuoso e non) si fa nei social networks ovvero tramite coraggiose etichette indipendenti.

Sei stato il promotore o attore di progetti musicali nati a scopo benefico: è più facile oggi alimentare le collaborazioni artistiche rispetto al passato?

E’ senza dubbio molto più facile oggi, vuoi per i vantaggi che offre il web per cui si può collaborare senza muoversi da casa, ma anche, secondo me, per un cambio di mentalità in positivo dei musicisti stessi che ho sempre trovato - salvo rare eccezioni - molto disponibili a partecipare ad eventi pensati per aiutare persone in difficoltà: più coscienza sociale, meno divismo personale. Da questo punto di vista ciò continuerà ad essere il mio target.

Puoi tracciare un ipotetico futuro della Nuova Idea?


Non sono molto superstizioso, ma non mi piace tracciare il futuro. Quello che posso dirti è che sto lavorando alacremente al prossimo album per il quale ho già ottenuto collaborazioni importanti e che, spero, incontrerà il favore del pubblico. Il mio rapporto con Nuova Idea è bipolare nel senso che amo il gruppo che mi ha fatto nascere musicalmente, ma sono altrettanto interessato a portare avanti anche il mio nome come produttore con l’aiuto impagabile di mio figlio Alessandro.