mercoledì 23 marzo 2011

On the Road to YS, di Gianni Leone


Un po’ di storia del rock, targata Italia anni ’70

On the Road to YS
di Gianni Leone

Ritrovo nel mio archivio dopo tanti anni delle vecchie bobine… ci sono due brani registrati. Uno è marcato “7/4”, l’altro “Senza titolo”.

Perché “On the Road to YS”? Perché parliamo di un viaggio. Il materiale presentato in questo disco racconta una tappa importantissima, anzi fondamentale di quel viaggio, che quattro ragazzi intrapresero molti anni fa. Era il 1971. Dopo mesi e mesi di prove, un’estate ‘di fuoco’ trascorsa suonando nei locali di Rimini e dintorni, e poi a settembre la partecipazione al Festival Pop al Palasport di Novate Milanese, presente l’intera scena del progressive italiano oltre ai Colosseum - davvero un evento grandioso, stranamente poco ricordato -, una grigia mattina di ottobre il Balletto di Bronzo approdava a Milano. La Phonogram (poi Polygram, oggi Universal) ci aveva convocato per registrare un provino. Ci ritrovammo in una saletta minuscola all’ultimo piano di un palazzo storico in piazza Cavour. Trasportammo tutti i nostri strumenti, Hammond compreso, fin lassù. L’attrezzatura dello studio era davvero limitatissima: il registratore era a sole quattro piste! A noi, però, quella situazione appariva come la materializzazione di un sogno. Proprio lì accanto c’era lo studio grande, quello in cui registravano gli artisti importanti. Demmo una sbirciata: c’era un registratore a 8 piste (ridicolo, oggi), uno Steinway Grand Piano, un Hammond B-3, perfino un mellotron M-400 e un minimoog, strumenti allora quasi fantascientifici, specie per noi musicisti italiani. Poi tornammo nel nostro sgabuzzino e cominciammo a registrare. I tempi erano piuttosto ridotti, per cui fu necessario tornare anche il giorno successivo. Mettemmo su nastro due brani, allora ancora senza titolo (poi sarebbero diventati “Introduzione” e “Secondo incontro”) e con le parti vocali embrionali, del tutto dissimili da quelle definitive.

All’epoca io amavo cantare solo in inglese: avevo la convinzione che cantare in italiano mi avrebbe automaticamente fatto sprofondare nella melma dei cantanti melodici-tradizionali-commerciali, che disprezzavo oltremodo. Poi con gli anni ho cambiato totalmente idea in merito, nel senso che, pur continuando a disprezzare i canzonettari, ho rivalutato il suono della lingua italiana, anche nel rock. C’era da sottolineare, inoltre, che allora non parlavo ancora l’inglese, infatti la mia pronuncia era davvero improponibile per il mercato estero. Ciò nonostante andavamo avanti così, sfrontatamente (com’era nel nostro stile abituale d’altronde). I testi deliranti li aveva scritti - suggestionato dalle mie fantasie dark - Raffaele Cascone a Napoli, a casa di Lino Vairetti degli Osanna, immediatamente prima della nostra partenza per l’incandescente estate riminese.

Passate alcune settimane, arrivò il responso dalle ‘alte sfere’ della Phonogram: ci offrivano un contratto! A rileggerlo oggi, era davvero un contratto-capestro, ma per noi in quel momento rappresentava il massimo delle nostre aspirazioni. Rinunciammo, per di più, alle nostre royalties per pagarci i poster in formato gigante (100 x 140 cm) e la copertina dell’album “YS”, apribile e riccamente illustrata nei fogli interni. La tappa successiva fu andare in studio, stavolta quello grande, per registrare, appunto, “YS”. Era il marzo del 1972. La Phonogram mi impose di cantare in italiano ma io mi rifiutai, per cui pensammo di far cantare l’intero album a una delle quattro coriste, una ragazza siciliana, Giusy Romeo (poi diventata famosa come Giuni Russo). Il risultato però non ci convinse, per cui alla fine mi vidi costretto a cantare inviperito e imbronciatissimo tutti i brani e a fare un nuovo missaggio definitivo a metà maggio. A giugno “YS” uscì sul mercato. Il resto della storia (forse) lo conoscete già.