martedì 21 ottobre 2025

L'eredità sinfonica: intervista a Roberto Giuliani, mente dei Maxophone e critico della Musica Contemporanea

 

Roberto Giuliani, polistrumentista, compositore e mente creativa, è una figura chiave nella storia del rock progressivo italiano. La sua firma è indissolubilmente legata ai Maxophone, la band milanese che, con il loro unico e omonimo album del 1975, ha lasciato un segno indelebile nel panorama prog nazionale e internazionale. L'opera, un crocevia di influenze classiche, operistiche e del rock sinfonico d'oltremanica, è oggi considerata un'autentica gemma di culto. Sciolta prematuramente per ragioni discografiche, la band ha consegnato alla storia un lascito di straordinaria raffinatezza compositiva. Dopo l'esperienza Maxophone, Giuliani ha intrapreso un percorso eclettico che lo ha visto spaziare dall'insegnamento alla carriera accademica come professore universitario e direttore editoriale, dimostrando una versatilità e una profondità culturale che vanno ben oltre il pentagramma. In questa intervista, Giuliani ci accompagna attraverso i ricordi di quegli anni d'oro, riflette sull'evoluzione del panorama musicale e condivide la sua lucida visione sul rapporto tra arte, cultura e società.


L'intervista... 

Come hai scoperto la tua passione per la musica e quali sono stati i primi passi che ti hanno portato a fondare i Maxophone?

La musica era in casa fin dalla culla. Mio padre è stato direttore d'orchestra, nel periodo d'oro della rivista... Wanda Osiris, Walter Chiari, Dapporto... e mia madre era violoncellista. Io avevo cominciato a studiare pianoforte a 5 anni, poi con la scuola avevo smesso, ma a 12 anni sulla scia dei Beatles e dei Rolling Stones comprai una chitarra acustica con le paghette e i soldini ricevuti a Natale.

Quali sono i ricordi più vivi e significativi di quel periodo? C'è un aneddoto particolare che vorresti raccontare?

Un aneddoto particolare c’è: ci capitò di affittare uno stanzone in una cascina appena fuori Milano, ad Assago, per le prime prove dei Maxophone. Poco distante vi era una stalla con una trentina di mucche. Ci accorgemmo fin da subito che mentre suonavamo gli animali cominciavano a muggire quasi a voler fare da coro. L'allevatore era contento perché diceva che il giorno dopo le vacche facevano più latte.

Il vostro album, "Maxophone", è un'opera di culto nel rock progressivo italiano. Quali sono state le principali influenze musicali e artistiche che hanno plasmato quel sound unico?

Le influenze musicali principali che posso identificare sono nell'ambito classico la musica del Novecento... Debussy, Bartok, oltre alla tradizione operistica italiana, e poi i gruppi prog inglesi, soprattutto Genesis e Gentle Giant.

C'è una canzone o un brano in particolare che, a distanza di anni, senti ancora più tuo o che ha un significato speciale per te?

Riascolto spesso "C'è un paese al mondo"... in questo brano si condensano tutte le influenze musicali che citavo precedentemente. Introduzione classica con riferimento a Bartok, solo di clarinetto su ritmica swing, solo di corno su base Verdiana, e nel finale il mio solo di chitarra, che diversi critici definirono il più "poetico" nel panorama del prog internazionale.

Quali sono stati i motivi che hanno portato allo scioglimento del gruppo dopo un solo album?

Dopo un tour nel quale facevamo da apertura ai concerti di Finardi e degli Area, ci accingevamo a registrare il secondo album. Avevamo già registrato e mixato un paio di brani: "Il fischio del vapore" e un altro, che vennero pubblicati come singoli, che dovevano precedere la pubblicazione dall'album. Come un fulmine a ciel sereno ci giunse la notizia che la "Produttori Associati" era in fallimento e che tutte le produzioni discografiche erano bloccate. Ci ritrovammo così senza etichetta discografica, con i brani già provinati e pronti per essere registrati e con un contratto di ferro che ci legava alle sorti dell'etichetta. Fu questo il motivo che ci portò a sciogliere la band.

Pensando a quel periodo, c'è qualcosa che, con il senno di poi, avresti fatto in modo diverso, sia a livello musicale che personale?

No, avrei fatto esattamente la stessa cosa. Il sound che volevo era proprio quello e lo stile compositivo, credo, si distingueva da tutti gli altri.

Dopo l'esperienza con i Maxophone, hai intrapreso una carriera nel mondo accademico e della cultura, diventando professore universitario e direttore editoriale. Come è avvenuta questa importante transizione?

Dopo Maxophone ho insegnato Educazione Musicale nelle scuole, dal '76 al '79, con dei ricordi bellissimi, e parallelamente ho proseguito la professione di musicista come arrangiatore e produttore. Ho avuto il piacere di lavorare con grandi Artisti e cantautori italiani.

Il rock progressivo ha visto un rinnovato interesse negli ultimi anni. Come giudichi questo "revival" e come si posiziona il suono dei Maxophone nel panorama musicale odierno?

Evidentemente una discreta fetta di pubblico, sempre crescente, insoddisfatta dalle proposte musicali più recenti, che non si è fatta ingoiare dal mainstream imperante, ha guardato indietro, al passato, e ha riscoperto tutto il rock, dagli inizi del beat fino al progressive. In questa ricerca il sound Maxophone è evidentemente piaciuto. Numerose etichette italiane, tedesche, giapponesi e coreane hanno ripubblicato il disco su CD e su vinile. Posso affermare che da metà anni Novanta ad oggi sono state vendute oltre 30.000 copie a fronte delle 3000 scarse vendute all'epoca dall'etichetta originale.

Qual è la tua opinione sull'evoluzione dell'industria musicale, dalla distribuzione dei dischi fisici allo streaming? Pensi che la musica abbia perso qualcosa nel processo?

Parlerei più di involuzione. Credo che l'industria discografica sia moribonda se non già morta. Distrutta dalla tecnologia sempre più dominante e dalla scarsa qualità delle proposte musicali. Da anni ormai si rincorre più il personaggio che l'artista, chi ha più follower, e così siamo subissati da pseudo-cantanti tutti uguali, rappettari che blaterano stronzate su ritmiche fatte dal computer o recentemente dalla "deficienza artificiale". Non si suona più e non si crea più qualcosa di originale

Ci sono artisti o band della scena musicale attuale che apprezzi o che segui con interesse?

Ascolto volentieri Elisa, Giorgia e Fiorella Mannoia, e tra gli uomini Mengoni, Cristicchi e Jovanotti. Tutto il resto è pattume e provoca il cambio canale.

Oltre alla musica, quali sono le tue passioni o i tuoi interessi attuali?

Leggo qualcosa, guardo qualche film o serie televisiva (Montalbano, Gomorra) e insegno come volontario matematica nelle medie, dando ripetizioni ai ragazzini più in difficoltà.

Qual è la tua visione del rapporto tra arte e società, e come credi che la cultura (in tutte le sue forme) possa contribuire a migliorare il mondo?

Qualche stupido ha detto che con la cultura non si mangia. Affermazione che denota immensa ignoranza. La cultura in tutte le sue forme è il biglietto da visita di un paese, di un popolo, dell'umanità tutta, di una generazione. Nell'ambito musicale, dove il nostro Paese ha la enorme tradizione del melodramma (Rossini, Verdi, Puccini, Donizetti), della canzone popolare e dei cantautori, si assiste oggi alla desertificazione dei valori musicali e testuali. I giovani, soprattutto loro, sembrano anestetizzati dai media e dai social e subiscono e nuotano ignavi nel mainstream imperante. Ma io voglio "pensare positivo" e come insegna la storia dopo periodi bui arrivano sempre epoche luminose. Un risveglio delle coscienze critiche si è visto già nelle manifestazioni per Gaza, e spero che questo risveglio si estenderà alla riappropriazione della coscienza, per distinguere il reale dal virtuale, il vero dal falso, la cultura dal ciarpame, la bellezza dallo squallore che questo neocapitalismo tecnocratico di merda sta imponendo sul pianeta.

Che messaggio ti sentiresti di dare ai giovani musicisti che sognano di intraprendere una carriera nel mondo della musica, tenendo conto delle difficoltà e dei cambiamenti del settore?

Il consiglio è di studiare, ascoltare tanto e di tutto, e poi di suonare e cantare con gli altri, la musica è da sempre arte condivisa. Tra coloro che la eseguono e quelli che la ascoltano. È questa la sua grande forza.

 


La parabola artistica e professionale di Roberto Giuliani è una testimonianza della forza della passione e dell'importanza di una solida base culturale. Dalle sperimentazioni sinfoniche dei Maxophone, interrotte bruscamente dal fallimento discografico, a una carriera di successo nel mondo accademico e della produzione, Giuliani ha saputo mantenere un legame indissolubile con l'arte e l'educazione. La riscoperta e il successo postumo dell'album "Maxophone" ne confermano la qualità atemporale, dimostrando come la ricerca di originalità e la fusione di generi possano resistere all'erosione del tempo. La sua critica all'attuale involuzione dell'industria musicale, dominata da logiche di mainstream e da una presunta "deficienza artificiale", si bilancia con un messaggio di speranza rivolto alle nuove generazioni: studiare, ascoltare e soprattutto condividere la musica. L'impegno volontario nell'insegnamento della matematica ai ragazzi in difficoltà è un ulteriore segno di come l'eredità di Giuliani non sia solo musicale, ma profondamente etica e sociale, un invito costante a distinguere la vera cultura dal "ciarpame" e a lottare per un risveglio delle coscienze critiche.