mercoledì 10 luglio 2013

The Beatbox al The Beatles Fest Genova

Foto di Antonio Scalise

Nei giorni 8 e 9 luglio, il Porto Antico di Genova si tinge di Beatles, attraverso una manifestazione denominata THE BEATLES FEEST GENOVA.
La direzione artistica di Mauro Sposito - come si vedrà anche con altri ruoli - determina una kermesse carica di elementi variegati, con lo scopo di ricordare, raccontare e celebrare il “mondo Beatles”, attraverso la musica e le parole: conferenze, seminari, mostre, mercatini hanno dato il senso della completezza, del trattamento dell’argomento utilizzando differenti mezzi e punti di vista.
Mi limiterò a raccontare ciò che ho potuto vivere personalmente, e cioè parte degli eventi della seconda giornata, essenzialmente tutto ciò che è ruotato attorno al concerto dei The Beatbox.
Di loro sapevo ben poco, anche se la lettura dei nomi della line up rappresentava garanzia di qualità. E poi   Alfio Vitanza è il primo batterista in assoluto visto dal vivo, nel lontano ’72, e la componente sentimentale ha il suo ruolo: allora erano i Latte e Miele - prima dei VDGG - oggi i Beatles!
Il caldo incredibile non ferma la circolazione umana, e nel percorso di avvicinamento verso lo spazio concerti appare quasi obbligatorio soffermarsi davanti ad un palco dalla locazione favorevole, dove tribute band si stanno esibendo con buon entusiasmo da parte dei presenti: The Shout, Nowhere band e The Beagles. Li ritroveremo sul palco maggiore.
L’interno della struttura raccoglie la fantastica mostra All You Need is Paint, curata da Silvia Chialli, che presenta una raccolta di tele dedicate ai Fab Four, elemento visivo che colpisce all’impatto, mentre è possibile venire a contatto con Beppe Brocchetta, Presidente di Beatles Fan italiani, che propone il suo libro, Liverpool e il mito dei Beatles.
Ma ci sono altri book - ed autori - che vengono sviscerati prima dell’atteso concerto: “Il Libro Bianco dei Beatles: la storia e le storie di tutte le canzoni”, di Franco Zanetti, e Il Caso del Doppio Beatle”, di Galuco Cartocci, entrambi sul palco a partire dalle ore 21.

Per saperne di più:

Ecco una testimonianza della presenza on stage di Zanetti e Cartocci.


E dopo le parole arriva lo spettacolo che… non ti aspetti.
L’ambiente è saturo, i posti a sedere pressoché esauriti, e chi ha un po’ di abitudine alle partecipazioni live sa che la parola sold out è qualcosa che ha a che vedere con l’utopia.
Nessuna mia analisi potrebbe fornire valore aggiunto all’argomento “Beatles”, ma il mio sentimento, più volte espresso negli ultimi mesi, è che certe voglie di antico superino l’esigenza di ancorarci al passato per fermare l’incedere del tempo, e si trasformino in necessità di riscoprire la semplicità di giorni  lontani, momenti sereni e carichi di speranze. Certo, non è argomento espandibile a tutti, perché come sottolineava Sposito - non solo Direttore Artistico, ma anche il John Lennon dei The Beatbox - l’audience era formata da più generazioni, e osservare il labiale di adolescenti sincronizzati sui testi poteva indurre a porsi qualche domanda.
In ogni caso i Beatles non possono essere accantonati, e forse gli studi sociologici e i tentativi di spiegare il fenomeno dovrebbero interrompersi davanti a delle belle canzoni, solo belle canzoni, che ancora oggi ci accompagnano nella vita di tutti i giorni.
Osservare il palco vuoto - di anime - fornisce molti indizi, perché gli amplificatori Vox presenti fanno pensare ad una piena emulazione.
The Beatbox entrano in scena ed è… un tuffo al cuore. Tutti i film in bianco e nero si materializzano davanti a me, e mi ritrovo immerso in una atmosfera che ricordo pienamente, nonostante fossi poco più che un bambino.
Stessi abiti - fatti confezionare su misura - stessi strumenti, stessi capelli, fatto quest’ultimo determinante per far tornare decisamente indietro le lancette del tempo.


Ma chi sono i The Beatbox?
Se Mauro Sposito è il Lennon della situazione e Alfio Vitanza il Ringo Starr, Riccardo Bagnoli impersona Paul McCartney, mentre Guido Cinelli è un George Harrison davvero credibile.
Il repertorio è circoscritto al periodo ‘62/’66, quello definito prolifico dal punto di vista live, e i  “Baronetti” sciorinano una serie di perle che tramortiscono gli spettatori.
Eccone alcune ordine sparso… Please Please Me, Michelle, Can’t Buy my Love, Se Loves You, Love me do, Eight Days a Week, A hard day’s night, Help, sino all’estremo bis Twist and Shout.
E’uno spettacolo molto lungo quello dei The Beatbox, diviso in due tronconi che permettono una breve sosta per il cambio d’abito e un minimo di idratazione.
La performance è abbastanza complicata, perché la ricerca delle sonorità cammina in parallelo con la necessità di imitare i comportamenti e il modo di porsi.
I sorrisi sui loro volti, anche se appaiono spontanei, sono la riproposizione della serenità che era palpabile negli originali, nel periodo iniziale, e nel filmato a seguire alcuni dettagli appaiono godibili.
Tecnicamente fantastici, i The Beatbox propongono in maniera precisa la “sezione Beatles” più complicata, quella delle armonie vocali, arte di cui erano maestri, ma anche dal punto dell’applicazione strumentale gli sforzi sono notevoli, e non passa inosservato un Bagnoli/McCartney a inizio concerto mancino, e poi improvvisamente destro quando imbraccia l’acustica, per diventare nella seconda parte di concerto un bassista totalmente "dritto": miracoli fatti in un solo mese!
Molto fedeli anche Sposito e Cinelli: niente appare improvvisato.
Che dire di Vitanza… un autorevole musicista genovese dice che “…”nessuno porta i tempi come Alfio…”, e lui si trasforma in un incredibile Ringo, che conduce in porto la nave.
Dopo 2 ore di musica il bis è richiesto a gran voce, ed è l’occasione per lo spostamento di tutti i presenti verso il palco, in piedi, riproponendo in scala ridotta quella partecipazione tipica di metà anni ’60.
Ma un bis non basta, e nella finale Twist and Shout le cover band di giornata si uniscono ai The Beatbox e la scena finale è davvero emozionante.
A distanza di qualche ora ho sentito il bisogno di ricercare in rete le fisionomie originali (le due che non conosco) dei componenti la band, impulso arrivato e subito smarrito: tutto sommato è bella l’illusione che sia in atto una continuità musicale e culturale, e che i “figli” dei Beatles siano tra noi, più attivi che mai.

Un ringraziamento personale alla parte di organizzazione che ho conosciuto, Mauro Sposito e Paola Donati.