giovedì 29 dicembre 2011

Sad Minstrel- "The flight of the Phoenix"


The flight of the Phoenixè un album della band genovese Sad Minstrel.
Non è una nuova uscita, ma credo meriterebbe la visibilità che forse non ha trovato una decina  di anni fa, epoca in cui è stato registrato.
Non sarei forse mai arrivato a Fabio Casanova-è lui il depositario del progetto S.M.- se non avessi assistito alla reunion della Nuova Idea al Tearo Verdi di Sestri Ponente, poco tempo fa, evento il cui ricavato è stato destinato all’Ospedale Gaslini di Genova.
Ad aprire la serata la band di Casanova, facente parte della scuderia Black Widow Records, organizzatrice della manifestazione.
Ecco un resoconto della serata:


Mi sono bastati frammenti di ascolto per spingermi  ad un approfondimento, attraverso il CD disponibile al banchetto del merchandising. Ma nel corso della performance sono stati proposti due soli brani dell’album e quindi ho avuto modo di ascoltare molti inediti, che probabilmente saranno ben presto ufficializzati attraverso il nuovo album.
Non capita spesso di impattare una nuova band unendo ascolto e “ resa da palco”, e nel caso specifico,  il folk elettrico associato alla figura di Fabio, molto simile ad un giovane Ian Anderson, mi ha indirizzato verso un filone musicale che ha scandito tappe importanti della mia vita. A completare il quadretto, il commento di un amico comune- mio e di Fabio-, il musicista Giorgio Neri, che mi racconta di un talentuoso musicista un po’ anticonformista… picture intrigante!
I Sad Minstrel propongono una musica che ha a che fare con la tradizione e con il folk. Profuma di “wood scozzese”,  di storie tramandate e condite con gli stilemi del rock. Le liriche, tra il poetico ed il sociale, sono in lingua inglese,  con una sosta decisamente marcata, all’insegna della proposizione delle proprie radici culturali espresse attraverso il dialetto genovese, utilizzato nel brano “Canzone della bambina di Triora”, che presento  a fine post. Ed è stupefacente vedere come il matrimonio tra idioma locale ed una musica tipicamente d’oltremanica (almeno nelle origini) possa dare tale risultato.
Ciò che i Sad Minstrel realizzano è un sound che diventa caratterizzante, che riporta a loro “non appena il brano parte”… e alla fine” l’age” dell’album diventa mero fatto statistico, deducibile dalla sola lettura dello splendido booklet (con i testi tradotti).
“The flight of the Phoenix” rappresenta un tuffo nel passato,  un’immagine di un  periodo talmente ricco, musicalmente parlando, che risulta un dovere rinfrescarlo con nuova linfa. A mio giudizio lo si può catalogare nella sfera degli album atemporali, che è sempre bene avere a portata di … ascolto.
Leggiamo il pensiero di Fabio Casanova, stimolato dalle mie domande.




L’INTERVISTA

Mi occupo di musica (per passione) quotidianamente e ho contatti col “mondo genovese” (BWR compresa) molto frequenti. Non sapevo però nulla dei  Sad Minstrel  sino a che non li  ho visti “aprire” per la Nuova Idea. Eppure uno dei lati positivi delle nuove tecnologie è proprio quello di dare la possibilità di avere larga  e capillare pubblicità. E’ una precisa scelta la tua, legata magari alla tua filosofia di vita, o manca la fiducia in quei mezzi che sanno dare estrema visibilità?

No, ne una ne l’altra, è solo una disgraziata mancanza di competenze e di collaboratori competenti in merito, e che abbiano voglia di interessarsi. Francamente, all’atto della pubblicazione dell’album contavo sulla collaborazione di Black Widow per promozione e diffusione, ma questo è avvenuto solo negli ultimi tempi a forza di insistere, mentre in precedenza ho registrato una quasi totale assenza, salvo proprio all’inizio (2003), all’epoca dell’uscita e della prima vendita. In effetti deve essere per questo, e mi  dispiace che non ti abbiano mai parlato del mio progetto prima che tu ci abbia visti. Di mio comunque devo dare atto che solo ora sto cercando di organizzare il progetto via siti, facebook, blog e propaganda varia, perché solo da poco ho capito come ci devo lavorare. Fino a un anno fa per la verità non ne ero capace, e anche adesso mi ci vorrà del tempo per far le cose come si deve. Come vedi, questione di capacità, mi ci vorrà il tempo di imparare.

Vedendoti sul palco, la prima cosa che mi ha colpito, ancor prima che iniziassi a suonare, è la somiglianza con un certo Ian Anderson di 40 anni fa. Ho letto nella biografia che proponete anche materiale dei Jethro Tull e sul palco ho sentito certi passaggi acustici che mi hanno riportato al “gruppo della mia vita”. Al di là dell’utilizzo del flauto traverso, quanto c’è di quel mondo nella tua musica?

Abbiamo in scaletta giusto un pezzo dei Jethro, “Locomotive Breath”, la volta che tu ci hai sentito non l’abbiamo suonato, ma lo proponiamo spesso. Per la verità il tuo è un paragone che mi viene proposto sovente, e in effetti è vero, somiglio ad Anderson, ma davvero non lo faccio apposta, non è il mio obiettivo somigliargli. Anzi sia musicalmente che come scenografia ciò che mi piacerebbe ottenere sarebbe il Peter Gabriel di “Foxtrot” o di “Selling England”, quello delle maschere del fiore o della volpe. Poi magari funziono meglio da Menestrello, a volte Triste, giusto perché mi è più naturale, e in verità a me piace andare in scena proponendo ciò che sono senza recite, non sono così istrione e teatrante come richiederebbe un’Unifauno o nemmeno un Folletto. E allora finisce che sembro Ian Anderson senza volerlo perché (ma ti assicuro che è solo questione di attitudine e non di calcolo) probabilmente il menestrello mi viene bene. Prova a venirmi a sentire nelle mie serate da solo e dimmi se posso dare l’idea. Molti mi dicono di sì.

E’ passato molto tempo dall’uscita del vostro album. Cosa ti ha impedito di essere più prolifico e produttivo, tenuto conto che buona parte dei brani presentati il 15 ottobre erano inediti?

Esclusivamente il fatto che mi tocca affrontare il progetto Sad Minstrel come hobby, visto che economicamente non mi permetterebbe di mettere assieme il pranzo e la cena, e perciò ci posso dedicare solo i ritagli di tempo al di fuori del lavoro. Ma può darsi che in futuro le cose cambino, si tratta di organizzarsi in un altro modo. Sapessi quanta roba ancora ho da sfornare!

Ricevo una buona quantità di musica di giovani gruppi e trovo che ci siano in giro molte buone idee e tanta voglia di non “buttarsi via” alla ricerca del successo a tutti i costi. Cosa manca in questo mondo musicale per dare, a chi si  impegna e ha talento,  il corretto spazio?

Discorso molto bello da affrontare ma altrettanto lungo, vedrò se riesco a sintetizzare. Il fatto è che secondo me esiste un “Potere”, in senso musicale ed in senso assoluto, che ha interesse a fare in modo che le teste dei ragazzi crescano vuote, per poterle riempire con ciò che vogliono, e impone a tutti i media, e di conseguenza al gusto medio della gente, di fare ascoltare ed imparare solo stupidaggini, che impongano di non pensare, di non farsi delle opinioni proprie, in modo di dare poi il proprio apprezzamento, politico, economico o quant’altro, solo a ciò che al Potere può andar bene. In fondo, se ci pensi, Berlusconi ha cominciato la scalata con Cecchetto e il suo gioca-jouer. Non so cosa si può fare per invertire la tendenza. Agli ascoltatori posso proporre di ascoltare quanto più sia possibile ascoltare via internet indipendente, ai gruppi musicali di farsi il più possibile ascoltare via internet indipendente, rinunciando alle remunerazioni, tanto ormai quello è il destino per tutti, anche per noi. In ogni caso, l’ideale sarebbe buttarlo tutto per aria, questo attuale mondo musicale, e ricominciare da zero con altri mezzi di comunicazione.

Hai presentato (ed è nell’album) un brano in dialetto genovese, che ricorda un momento serio e doloroso del passato. La lingua inglese, che piaccia o no, è ideale per l’applicazione metrica e si adatta perfettamente alla “nostra” musica rock. Che tipo di difficoltà si incontra quando si vuole abbinare un dialetto locale ad una musica universale?

Premessa: secondo me, e lo metto come postulato, la melodia e l’armonia di una canzone sono più importanti del resto, sono quelle che comandano, e la struttura della composizione dipende da queste, compreso il linguaggio da usare. Se una melodia o un’armonia richiedono il genovese piuttosto che il piemontese, il gaelico, lo slavo o l’yddish, penso che il pezzo vada scritto in quell’idioma e basta. Poi uno se ne accorge subito, se quello che ha scritto ha più senso in inglese o in genovese. Se poi vogliamo affrontare il rapporto di tutto questo con il rock, boh, credo sia questione di metrica e basta. Per i pezzi rock, diciamo quelli adatti all’inglese, in genere il dialetto va benissimo perché la maggior parte dei dialetti italiani, o comunque tutti quelli che conosco io, finiscono la più parte delle frasi con parole tronche, che chiudono la frase con qualcosa di accentato sull’ultima sillaba. L’italiano in questo senso è molto più fetente e ci si lavora peggio che col dialetto. Le parole che finiscono con l’accento, cioè quelle che ci vorrebbero, adatte alle linee melodiche più comuni nel rock, sono poche e di solito rendono il discorso irreale o scontato, per esempio la classica rima “cuor/amor”  oppure certe tragiche assonanze “fa / qua / là / trallallà ” (chi ha voglia di farsi del male controlli certe rime di Mino Reitano)…. In effetti per fare un testo memorabile in italiano ci vuole un vero poeta, mentre per farlo in inglese, francese o un qualsiasi dialetto basta molto meno. Però è anche vero che cantare in dialetto richiede di solito un certo tipo di atmosfera musicale che non va molto d’accordo con i canoni del rock. Il massimo sarebbe riuscire ad arrivare al compromesso, a qualcosa che per musica ed atmosfera abbia senso come rock cantato in dialetto. Una parola…

Cosa rappresenta per te la perfomance live? Che tipo di interazione riesci ad ottenere?

La performance live è il compimento del tutto. Solo in quel contesto si vede se ciò che hai messo su ha un senso oppure se era solo un tuo sogno. Se il live non funziona, hai sbagliato tutto ed è meglio che lasci perdere e ti dai all’agricoltura. Credo che un giorno ci scriverò su un concept, sulla questione. Riguardo all’interazione con la gente, oggi come oggi noi siamo davvero troppo burbe per poterti rispondere qualcosa in merito. Per adesso, Sad Minstrel ha bisogno di crescere. Tra un po’ di concerti, quando ci saranno, rifammi la stessa domanda e ti dirò. Però posso raccontarti cos’è l’interazione con la gente riguardo alle mie serate lavorative, quando chiedo a chi mi ascolta cosa vorrebbe che gli suonassi e se la so gliela suono. E lì davvero mi piace interagire, fare in modo che la scaletta la facciano gli spettatori, per poter ridere piangere e far casino assieme a loro. Spero un giorno di arrivare a fare qualcosa di simile anche con Sad Minstrel.

Da quanto ho visto e letto sei tu il depositario del progetto “Sad Minstrel”, ma a suonare siete in molti. Che tipo di legame esiste tra voi? Siete un gruppo di lavoro alla pari o sei  lo … Ian Anderson della situazione?

Direi mezzo e mezzo. All’inizio ho radunato una band per metter su i miei pezzi così com’erano, e tra l’altro ho dovuto buttare tutto per aria un paio di volte, il che in parte giustifica i miei ritardi di uscita e pubblicazione. Ma poi, una volta trovati quelli giusti, (almeno spero per la maggior parte), la band si è consolidata ed è diventata qualcosa che va al di là della prova e del concerto, è diventata un’entità a sé stante, che comprende anche me senza però più essere il capo, e sforna musica anche indipendentemente da me. Così a questo punto c’è lo spazio per il mio ruolo diciamo di Anderson, che compone tutte le parti e poi le fa suonare ai ragazzi, e per quello della band in propria autonomia, con me membro tra i sei componenti... Sono due cose diverse e coesistenti, pian piano ve le chiariremo. Ah, a proposito della band è doveroso citarne i componenti : in ordine di entrata, c’è il “Tuffa”, Luca Tuffanelli, che suona chitarra e mandolino, Lele Traverso alle tastiere e voce, Stefano Toaldo alla batteria, la “Chicca” Giulia Carlini al flauto traverso e voce e Fabrizio Nuovibri al basso. Bravi cristi, potresti fare due domande anche a loro.

Se dovessi indicarmi un artista/gruppo che ti ha spinto sulla via della musica, chi nomineresti?

Beh, due categorie: i cantautori italiani anni ’70 e il rock progressivo inglese della stessa epoca. Per fare nomi e cognomi, Fabrizio De Andrè e Francesco Guccini (ma anche molti altri) in Italia, e Genesis e Pink Floyd (ma anche altri) all’estero. Non posso risponderti esaurientemente sull’argomento senza raccontarti qualcosa dei miei progetti futuri. Il che non avrebbe senso finché non li avrò realizzati, giusto? Porta pazienza e se ci riesco vedrai e ascolterai e ti farai un’idea.

Giorgio Neri,  seduto accanto a me mentre suonavi, mi parlava, positivamente, del tuo essere alternativo nella vita di tutti i giorni. Ma qual è la filosofia musicale e di vita di Fabio Casanova?

Giorgio è un amico e un testone (in senso buono), presto cercheremo di fare qualcosa assieme e quella volta sarai il primo che informeremo. Quando mi definisce “alternativo” credo che Giorgio si riferisca al mio stare al mondo un po’ fuori dai canoni e non certo agli “alterna” modaioli da movida. Probabilmente incuriosisce il fatto che io possa abitare in mezzo al bosco, in un vecchio rudere, e vivere, e anche discretamente bene, delle storie che racconto alla gente, che devo dire se le lascia raccontare di buon grado. Io faccio il musicista di lavoro e quando faccio una serata, da solo o in compagnia, Sad Minstrel o altre formazioni, voglio che la gente se ne vada contenta. E la prossima volta che mi vede, magari perché mi incontra in fila al supermercato, sia contenta di incontrarmi, mi chieda come va, quali balle gli racconteremo la prossima volta e poi andarsene tutti quanti a bersi un bianchino al bar.  Credo che in fondo la mia filosofia musicale e di vita sia questa. Poi ogni tanto posso raccontare storie un po’ più profonde, difficili e non sempre troppo comprensibili, per musica o per testo. Ma ci tengo a non dare mai l’idea del predicatore dal pulpito, perché non vorrei mai esserlo. Mi fa un gran piacere lo sconosciuto che mi ha sentito magari per la prima volta e viene a fare due chiacchiere alla fine del concerto. Mi spiace solo che in genere non riesco a dar retta a tutti per questioni di tempo.

Prova ad esprimere un desiderio musicale da far avverare entro tre anni.

Se te ne dico uno personale faccio la figura dell’egocentrico. Allora a livello assoluto vorrei che, entro i prossimi tre anni, venisse lavata l’anima, a tutti gli italiani al di sotto dei quarant’anni, da tutto ciò che gli è stato propinato via media in questi recenti anni di merda. Che potessero riscoprire lo stupore, l’ingenuità, il piacere di scoprire e di imparare, e magari la gioia di far casino una sera, senza altri additivi che non siano ciliegie o castagne, secondo la stagione. Per me, magari, un aiuto ad organizzare, sempre entro i prossimi tre anni, una serata prog con noi, il Tempio delle Clessidre e la Locanda delle Fate, e magari anche Giorgio Neri se ci sta. Dovunque. Sarei già contento così.




Biografia

SAD MINSTREL – progressive rock

Sad Minstrel è il nome del progetto solista che Fabio Casanova, polistrumentista, autore e compositore, ha ideato dopo lo scioglimento di Malombra, il gruppo di cui ha fatto parte fino al 1999.
Fabio suona e compone musica fin dall'adolescenza, interessandosi ai generi musicali più svariati, dalla canzone d'autore e la new-wave negli anni '80 al progressive rock negli anni '90 alle incursioni nella musica etnica, con particolare risalto al folk celtico e a quello popolare della Liguria, nel nuovo secolo. Oggi è un affermato musicista che propone serate acustiche nei locali e nelle feste di paese, a base di cantautori anni '70, musica dialettale ed altro. Nell'ambito del rock, però, il ruolo in cui è maggiormente conosciuto è quello di tastierista della formazione Malombra, di cui è stato co-fondatore e con cui ha pubblicato due album, "Malombra" nel 1993 e "Our Lady of the Bones" nel 1996.

Dopo lo scioglimento della formazione, Fabio ha ripreso parte del materiale che aveva composto per il gruppo, lo ha rielaborato e ci ha aggiunto alcune composizioni più recenti, ma soprattutto ha cercato di dare al lavoro un'atmosfera più possibile vicina alle sue principali influenze musicali, mescolando il rock con il folk, le ballate acustiche con un po' di psichedelia e un po' di dark, e così è nato il progetto Sad Minstrel con l'album "The Flight of the Phoenix". Fabio lo ha proposto all'etichetta discografica Black Widow, che lo ha pubblicato nel 2003 come CD e LP.

In "The Flight of the Phoenix", Fabio ha cantato, suonato la chitarra elettrica ed acustica, le tastiere, il tin whistle e effettuato la programmazione MIDI per  basso, batteria e percussioni, realizzando completamente da solo tutti i pezzi.

Dopo lunghe vicissitudini, Fabio è recentemente riuscito a dare una dimensione live al progetto Sad Minstrel, che ha fatto il suo esordio dal vivo nel 2009, a Genova e dintorni. Alle atmosfere rarefatte e fatate del progressive si è aggiunta una solida base ritmica tipicamente rock.

La formazione comprende : Fabio alla voce, chitarra elettrica ed acustica e flauto irlandese - Luca Tuffanelli alla chitarra elettrica e mandolino - Lele Traverso alle tastiere e voce  - Stefano Toaldo alla batteria - Giulia Carlini al flauto traverso e voce - Fabrizio Nuovibri al basso.
Il repertorio live è costituito, oltre che dai brani di "The Flight of the Phoenix", da alcune composizioni nuove, un omaggio a Malombra e la cover di un pezzo dei Jethro Tull, una delle band che maggiormente ispirano il sound di Sad Minstrel. La durata del concerto è di circa 2 ore e mezza.