lunedì 12 dicembre 2011

Una serata in Piazza Adriatico


Venerdì  9 dicembre 2011 sono partito da Savona, direzione Genova, con il solito obiettivo del venerdì, quello del concerto di fine settimana.
Non avevo ben chiaro il programma, che avevo letto sommariamente sulla bacheca di facebook di Aldo Ascolese, non per superficialità, ma solo perché è un periodo intenso in cui faccio estrema fatica ad afferrare nei dettagli tutto quello che mi gira attorno.
Sapevo della finalità benefica dell’evento, della necessità di estrema solidarietà nei confronti di chi è stato da poco colpito dall’alluvione, e sapevo che tra i tanti gruppi musicali avrei trovato il mio amico Ascolese (e Origone) e la Beggar’s Farm di Franco Taulino.
Tutto vero, tutto così come l’avevo pensato, ma il mio passaggio in Piazza Adriatico ha lasciato un profondo  e doloroso solco che spero di riuscire a descrivere, almeno in minima parte.
Per chi non lo sapesse, Piazza Adriatico è quella zona di Genova che ad inizio novembre è stata drammaticamente colpita dalla violenza senza limiti della natura o… dell’uomo.
Non credo esista una sola mia parola che possa dare un contributo oggettivo a ciò che è stato raccontato dalla gente attraverso i media.
Non credo ci sia un solo mio pensiero che possa alleviare ferite che mai più si rimargineranno.
E allora perché parlo di cose che non mi hanno toccato da vicino? Con che diritto… neanche un po’ di cronaca, a questo punto della storia!
Mi sento autorizzato a farlo, solo perché mi è stato chiesto, da un uomo comune, da una donna comune, impegnati nell’esercitare un ruolo compreso tra il “cicerone e il guardiano del dolore”.
Mi hanno "spinto" a farlo, a me come ad altri, quando, quasi supplichevoli hanno sussurrato:” scrivi un pensiero sul quaderno, lascia la tua testimonianza!”.
Ho visitato una casa al piano rialzato di Piazza Adriatico, disposta su tre lati.
L’avevo vista appena arrivato, le finestre aperte e un proiettore che spingeva sul grande muro bianco del palazzo di fronte tutte le immagini de “Gli angeli del fango”, quel nutrito gruppo di volontari che ha contribuito alla ripresa  della vita nelle zone  alluvionate. Ma non avevo osato entrare, mi era sembrata un’intrusione, perché non avevo capito lo spirito di quella “visita in casa d’altri”.
Ci sono ripassato dopo un’ora, attratto da qualcosa di ben definibile, già provato altre volte, quella voglia di vedere da vicino un luogo dove è accaduto qualcosa di indimenticabile, in questo caso di negativo, estremamente negativo!
Ecco dunque cosa posso fare, raccontare semplicemente la mia serata e le mie emozioni, così come mi è stato chiesto.
Il giorno successivo al tragico evento avevo visto un messaggio di Ascolese che raccontava di essere impegnato tra il fango e l’acqua, ma non avevo capito che era stato colpito proprio il suo quartiere, o meglio, non sapevo che lui abitasse lì, e solo ieri ho saputo che anche in casa sua il livello dell’acqua è salito sino a trenta centimetri, e che le sue chitarre, strumento- anche- di lavoro, si sono rovinate.
Tra i vari palazzi posti a 90 gradi lo spazio è stato occupato da un palco e da stand gastronomici vari.
Ancora una volta la musica è risultato il fatto aggregante per eccellenza, anche se tutto ciò che ho percepito al contorno mi ha molto distratto, e non ho ascoltato nulla sino a che non ho avvertito che piazzarmi in prima fila e registrare la performance di Aldo e Beggar’s avrebbe avuto un suo significato… oltre la musica.
Sono tornato indietro con la mente, a quando esisteva il quartiere, a quando ci si sedeva fuori dai portoni e ci si conosceva per nome… ed ero bambino.
Qui ho respirato la stessa aria, anche se esiste il forte dubbio di aver assistito alla dimostrazione dell’esistenza di un forte  legame tra gli uomini, creatosi a causa della tragedia, frutto del  bisogno di condivisione, dalla necessità di dare e avere. Chissà cosa avrei provato tra questi palazzi due mesi fa?!
Non c’è allegria nelle fecce che incontro, e tutto mi appare forzato, come se la voglia di alzare la testa fosse tanta, ma il dolore troppo forte da lenire.
Non posso dire di avere partecipato ad una festa, ma piuttosto ad una prova di sana forza di gruppo, e magari ad un tentativo di scacciare tutto ciò che di indesiderato si può allontanare, cose e persone.
Ritorno nella casa e mi tranquillizzo un po’ quando mi dicono che non era abitata, perché in fase di trasformazione prima di una nuova destinazione uso ufficio, e ciò è testimoniato dalla perfetta imbiancatura dei soffitti. Solo quelli sono perfetti.
La prima cosa che mi ha colpito, una volta varcata la soglia d’entrata, è un disegno su di un muro, un gattino sdraiato su di una mensola ed una piccola pergamena recante una scritta, forse voluta da un bimbo: “Io voglio che nessun giorno della mia  vita sia un giorno triste”. Innocenza di  bambino… un delitto impedirgli di sperare!
Pareti macchiate, nastri che impediscono l’accesso, come fosse il luogo di un delitto.
Visitatori senza parole e “guardiani” del luogo desiderosi di raccontare, di sottolineare le gesta di questi magnifici volontari e degli abitanti del quartiere.



Un’emozione unica che porterò con me per sempre, un momento toccante capace di ferire e al contempo dare luce alla speranza che per ogni evento negativo esista poi un rimedio.
All’uscita dalla casa passo davanti a “La Bottega del caffè”,  la stessa vista poco prima  sulle fotografie, con il livello dell’acqua appena sotto alla scritta. E mi sembra di rivivere le immagini carpite da Youtube.




E poi la musica, la solita musica che generalmente mi fa star bene. Mentre sono appoggiato alla transenna, davanti al palco, vedo Ascolese che trova la forza per ironizzare con il “suo” pubblico, anche se il suo vero stato d’animo traspare e in quel momento lo  abbraccerei, e con lui la Beggar’s Farm, capace correre in aiuto di un amico e di una città che hanno bisogno… di tutto.
Il “ loro”filmato che ho scelto è di De Andrè,Volta la carta”, e il significato che voglio dare al brano è proprio il senso del cambiamento, simbolicamente rappresentato da una carta che si gira, come un “punto e a capo”, come spesso capita nella vita.
Una piccola riflessione, facile a farsi a posteriori… forse.
In questo periodo ho numerose prove della forza del vero lavoro di squadra. L’azione degli “Angeli del fango” è un ulteriore esempio di cosa possa fare un gruppo unito e motivato, con un obiettivo completamente condiviso.
Credo che questi esempi debbano insegnare, illuminare e aprire la strada a progetti diversi, che non abbiano l’unico collante della disperazione.
Anche in questo caso sottolineo che la mia non è retorica, ma la mera convinzione che la forza  e l’unione degli uomini e delle donne onesti e intelligenti, possa cambiare radicalmente tutto ciò che va modificato, senza fare rivoluzioni, ma con tenacia e buon senso.
Chissà se questi “volontari della disperazione” sono realmente consci della loro forza!