mercoledì 14 marzo 2012

Roger Daltrey a Genova...

Fotografie di Enrico Rolandi

Teenage wasteland, It's only teenage wasteland…”… questo è il sunto di un grande evento…  siamo quasi  a fine concerto e Roger Daltrey, a pochi metri dal pubblico in delirio, rivolge il microfono verso l’audience che lo ripaga cantando in sua vece(minuto 9.12 del filmato a seguire), e quella frase, nata in origine per descrivere un forte disagio giovanile, assume un valore nuovo, che si adatta perfettamente ad un periodo storico molto diverso e tecnologico, ma suona come una drammatica sentenza, perché il disagio non è più solo quello degli adolescenti.
Ma per oltre due ore i tutti i problemi sono rimasti fuori dal Teatro Carlo Felice,  una fantastica e ampia  location, forse un po’ austera per mettere in onda il rock, ma sarà proprio la musica della serata che avrà il facile compito di  “scaldare “ cuori  muri e arredamento.
A occhio e croce  tutto esaurito per questa rivisitazione di “Tommy”, l’opera rock per antonomasia, un album e un film che ascoltai e rividi a ripetizione alla sua uscita.
Certe creazioni antiche non perdono fascino e forza, e le idee di Peter Townshend sono state vere anticipazioni di un futuro che solo lui era in grado di vedere.
Il pubblico mi è parso senza una precisa taglia di età , ed è stato confortante vedere tanti giovani - anche chi aveva quarant’anni era asincrono rispetto ai primi The Who- che cantavano conoscendo perfettamente le parole dei differenti pezzi.
Roger e la band, in tutto sei elementi, entrano senza introduzione, partendo dalla nascita di Tommy, e con lui arriveranno alla fine della storia, che non sarà  comunque l’epilogo del concerto.
Una riflessione che faccio ogni volta che rivisito le tappe cruciali della musica,   pensiero rafforzato nel concerto di Verona del 2007(ma allora c’era qualche artista di rilievo in più rispetto a ieri), è tornata prepotentemente a galla sul palco del Carlo Felice, non appena Roger ha iniziato a cantare (cioè qualche minuto dopo l’inizio del concerto).
La storia del rock racconta di tre eventi che hanno lasciato il segno più di altri, i Festival di Monterrey, Woodstock e Wight. L’unico gruppo al mondo che abbia partecipato a tutti e tre gli eventi sono stati The Who. Di quella band sono rimasti solo in due, dopo le dipartite premature di Moon e Entwistle. Non ho potuto fare a meno, ancora una volta, di pensare che davanti a me, a dieci metri di distanza, c’era uno dei due esseri viventi del pianeta che ha avuto questo privilegio, e ciò ha per me forte valore simbolico.
Il sound presentato è stato stratosferico; la grinta e la forza d’urto  non hanno perso vigore per strada, e probabilmente la musica è arrivata alla condizione di “autoalimentazione”, indipendente dagli interpreti. Perché affermo ciò?
Ieri mancava il genio indiscusso, Pete, colui che sembra imprescindibile se si cerca un grande risultato musicale. C’era Roger, la cui voce non è più quella di un tempo. C’era un’ottima band, con grandi musicisti, ma il mondo è pieno di artisti validi. Di cosa invece non è pieno il mondo è di situazioni musicali capaci di trascinare chiunque, giovani e meno giovani, facendo loro perder ogni tipo di inibizione e trascinandoli in momenti di movimento incontrollato. Dopo pochi brani le mani e il corpo di impiegati di banca, studenti e lavoratori di ogni fascia sociale, erano accomunati nello sfrenato bisogno di accompagnare Roger, di cantare e muoversi con lui. E a metà concerto molte barriere sono cadute, e parte del pubblico si è assestato a bordo palco, a contatto con un eroe positivo, uno nato dal nulla e ora nella leggenda.
Roger Daltrey ha attirato un largo pubblico, cosa che riuscirà a fare sino a che avrà forza per esibirsi, ma se dopo quindici minuti fosse stato sostituito (“Substituite” è il primo brano che ascoltai ad otto anni!) da un bravo clone, la musica avrebbe continuato a creare emozioni, perché il sound degli WHO brilla e brillerà anche quando Pete e Roger decideranno, o saranno obbligati a smettere. Questo è quanto ho percepito ieri.


                                       
Ottimi musicisti dicevo, ed ho visto per la prima volta Simon Townshend senza “l’ingombrante” vicinanza/peso del fratello. Molto simile negli atteggiamenti, anche se più “goffo”, si è dedicato come sempre a ritmica e accompagnamento, ma con maggior coraggio di quando è relegato in una postazione defilata. Una bella voce, e per lui la soddisfazione di aver presentato un brano di sua composizione, con la gratificazione di sentirsi appellare da Roger- mi pare due volte- come “brother”.
Tommi” dicevo, e poi un piacevole sconfinamento nel repertorio storico.
Vado a memoria e, oltre alla già citata “Baba o’ Riley”, ricordo “I can see for miles”, “Going Mobile”, “The Kids Are Alright”, “My Generation”, “Who Are You?” e “Behind Blue E yes”. Il resto è ancora intrappolato nella mia videocamera.
A proposito di “Behind Blue Eyes”, dopo poche note Roger si ferma… un problema audio lo costringe ad arrestarsi e ricominciare, e la mente  scorre  veloce al giugno 2007, Arena di Verona, quando proprio su quel brano Roger si arrese dopo aver perso la voce, e Pete prese in mano la completa direzione di un evento che per me resta tra i migliori visti in assoluto.
Daltrey canta e incanta, facendo ciò che tutti si aspettano da lui, il lancio del microfono-boomerang. E poi chitarra acustica, armonica e ukulele, fiancheggiato dai due chitarristi in perenne cambio di strumento.
Sullo sfondo, un megaschermo carico di immagini significative-didascalie dei vari brani- non è riuscito a rubare la scena ai musicisti, che hanno catalizzato in modo totale l’attenzione del pubblico( sembrerebbe scontato ma non è così!).
Ci si  aspettava Won't Get Fooled Again nel bis e non è arrivato, ma forse è meglio così… difficile immaginare un brano simbolo senza gli attori originali al completo (almeno quelli rimasti).





“Roger Daltrey performs The Who's Tommy and more”, uno di quei concerti da “Io C’ero”, e un bagno tonificante all’interno di quel mare pulito che è la Musica, quell’arte capace di aggregare, emozionare e scatenare forze interiori che si tende spesso a tenere nascoste, ma che quando trovano il giusto canale per venire a galla provocano sconvolgimenti positivi che possono cambiare, o almeno migliorare, le vite di persone sensibili.
Un nota curiosa, forse di merito.
Tutto si è svolto nella massima semplicità, e dopo un doveroso annuncio sul divieto di effettuare riprese video o scatti fotografici, nessuno ha poi impedito che i presenti andassero a casa con un "ricordino". Anche nel momento in cui un centinaio di persone hanno pensato di  abbandonare il proprio posto per accalcarsi davanti a Roger (esisteva comunque una separazione tra palco e platea), nessuno della sicurezza è intervenuto. In questi casi conta molto il volere iniziale dell’artista, ma resta una dimostrazione di intelligenza e l’abbandono di una rigidità-conosciuta- che sarebbe stata inutile al cospetto di persone animate dalla sola voglia di vedere più da vicino un mito vivente.
E ora aspettiamo trepidanti … “Quadrophenia”… lunga vita alla musica di Pete e Roger!

Questo il presente…





 ... e questo il passato



Note dal comunicato stampa…

L'esperienza live di "Tommy" prenderà vita ogni sera sul palco nella vibrante complessità sonora creata da Roger Daltrey, accompagnato in questo progetto da una band composta da musicisti di assoluto rilievo: Frank Simes (chitarra), Scott Deavours (batteria), Jon Button (basso), Loren Gold (tastiere) e ancora alla chitarra SIMON TOWNSHEND, fratello del leggendario chitarrista di The Who, Pete Townshend, il quale ha così commentato la notizia del tour:
"E' fantastico vedere Roger che porta in concerto Tommy con la sua band. Il mio cuore e il mio spirito sono con loro e Roger ha il mio appoggio totale. Roger ha messo in scena dal vivo una versione eccezionale di Tommy, utilizzando la sua fedele rappresentazione del lavoro originale come ossatura di uno spettacolo che comprende anche altro materiale. E' meraviglioso sentire come Roger e la sua nuova band hanno saputo reinterpretare le vecchie canzoni degli Who".