martedì 28 ottobre 2014

Steve Rothery-The Ghosts of Pripyat


Anche in tempi di crisi del mercato musicale, momenti in cui l’offerta appare superiore alla domanda, e dove tutto è facilmente e gratuitamente raggiungibile, accade che attorno a certi nomi/eventi/uscite discografiche, si crei una attesa da altri tempi. Si potrebbe affermare che alcuni artisti sono in grado di stimolare aspettative da “acquisto a scatola chiusa”.
Steve Rothery, membro fondatore dei Marillon, fa parte di questa schiera di icone musicali, perché la storia non si può cancellare, e la capacità di disegnare Musica di qualità è caratteristica che rimane appiccicata per sempre.
The Ghosts of Pripyat è un album atteso, nobilitato da alcune presenze qualificanti.
Non ho modo di conoscere il motivo della scelta del soggetto, ma vale la pena sottolineare la difficoltà di realizzare un valido commento concettuale attraverso un album strumentale, che si prefigge di raccontare la desolazione nella città fantasma di Pripyat, in Ucraina, popolata e svuotata in un ristretto spazio temporale - 3 lustri - essendo risultata esposta pesantemente al fenomeno della radioattività post Cernobyl.
Non tanto le letture, ma soprattutto le immagini, possono essere il giusto veicolo da cui trarre spunto per raccontare attraverso i suoni, e la fotografia scelta per la cover è particolarmente stimolante, e spinge verso la creatività.
Per questo viaggio drammatico Steve utilizza la sua band di prestigio: Dave Foster (Mr. So and So) come seconda chitarra, Leon Parr alla batteria, Yatim Halimi (Panic Room) al basso e il “nostro” Riccardo Romano (RanestRane) alle tastiere.
Potevano bastare? No, in un paio di brani è presente Steve Hackett (l’iniziale Morpheus” e “Old Man of the Sea”), mentre Mister Steven Wilson incrocia la chitarra con Hackett e Rothery in “Old Man of the Sea”. 
Sette tracce per 54 minuti di composizioni che colpiscono al primo assaggio.
L’immagine a cui accennavo è un potente indirizzo all’ascolto (l’artwork è firmato da Lasse Hoile, noto per la collaborazione con la family ‘s Wilson), e ciò che evolve col passare dei minuti porta ad un coinvolgimento che supera stili e generi di cui i protagonisti sono sempre stati alfieri.
È un album diverso dallo standard di Rothery, che gioca molto più sull’atmosfera che non sul virtuosismo, un disco che si ripropone di far vivere un’ambientazione tragicamente statica, in cui le guests stars si calano nella parte e non prendono il palcoscenico in solitudine.
Al di là della piacevolezza di ascolto, mi preme sottolineare l’originalità della proposta, con una base di partenza all’insegna del… progetto ambizioso, e un arrivo fatto di semplicità e piena accessibilità, e arrivare diretti all’obiettivo dovrebbe lo sforzo richiesto a chiunque decida di raccontare - o raccontarsi - un pezzo di vita.

Questa la set list:
1)Morpheus
2)Kendris
3)Old Man Of The Sea
4)White Pass
5)Yesterday’s Hero
6)Summer’s End
7)The Ghosts of Pripyat

Davvero un bell’album.