venerdì 15 giugno 2012

Fabio Zuffanti-“O Casta Musica”


Tutto quanto segue voleva essere una recensione di un libro ufficialmente non ancora uscito, ma mentre battevo i tasti le mie parole sono diventate, consapevolmente, uno sfogo parallelo. Poco male, perché non credo sia buona cosa giudicare ciò che si è appena letto, senza un minimo di metabolizzazione; chiedo quindi a Fabio Zuffanti, a cui spesso mi rivolgerò direttamente, di perdonare l’apparente fuori tema, che  vivo come meno grave, essendo io perfettamente conscio della divagazione.

Ho appena finito di leggere “O Casta Musica”, di Fabio Zuffanti, nell'occasione inusuale scrittore.
Fabio è l’uomo dei mille progetti musicali, vulcano di idee che lascia e riprende senza mai dimenticare di chiudere i cerchi.
Maschera di Cera, Finisterre, Hostsonaten
Però non è di musica “attiva” che voglio parlare, ma piuttosto di ciò che gira attorno ad essa, di cosa pensa Zuffanti e alcune persone da lui coinvolte.
E vorrei parlare anche del coraggio di Fabio, che sicuramente sa di aver dato estremo fastidio facendo nomi e cognomi, prendendosi rischi che sarebbero meno importanti se l’autore non fosse un “musicista che vive di musica”.
Un mio amico artista -per diletto- scrisse tempo fa un libro di denuncia che toccava settori “pericolosi”. Molte le minacce personali, una macchina bruciata, la necessità di cambiare luogo di lavoro... eppure mi confessò: “ E’ stata la cosa di cui vado più vado fiero da quando sono nato, e lo rifarei subito!”.
Anche Fabio sarà orgoglioso di ciò che ha fatto e penso che troverà molte adesioni. Spero che nessuno riuscirà a bruciargli il basso!
Non ho in mano il book, di fatto dovrebbe uscire a settembre, e credo siano state fatte un centinaio di copie promozionali, ma ieri ho ricevuto il contenuto in  PDF. Non sono un privilegiato, ma dovendo coadiuvare Zuffanti in una presentazione, la mia conoscenza della sostanza era indispensabile. Amo molto la confezione, tutto ciò che è attorno al prodotto, che lo avvolge e lo racconta, ma visto che dovremo abituarci all’e-book, anche fogli di stampante sono un lusso, e in fin dei conti raccolgono il necessario.
Ieri è arrivato il file, e dieci minuti fa ho finito di leggerlo, e sono quindi queste a seguire annotazioni a caldo.
Tutto nasce un anno e mezzo fa, quando Fabio raggiunge l’orlo e… tracima. Capita spesso nella vita, a un certo punto non riesci più a trattenerti e vuoti il sacco, spesso facendo danni irreparabili, altre volte traendo giusto risultato. Vedremo in quale razza di categoria si è tuffato il nostro autore e, come direbbe il Lucio nazionale più volte citato nel libro, “… lo scopriremo solo vivendo…”
La scintilla si accende quando Zuffanti, nel breve lasso di tempo passato in un supermercato, non può fare a meno di ascoltare più volte la stessa cantante che passa in radio, Elisa.
Da qui l’effetto domino porta a ricordare cosa era avvenuto in situazioni precedenti in altri supermarket, oppure ascoltando la radio in auto o in ogni altra occasione in cui si  la radio di turno era stata subita. Ah Finardi, ma dove sta la tua radio libera!?
La rivisitazione di tutto questo porta Fabio -ma potrebbe farlo chiunque ami la buona musica- a denunciare una situazione in cui non esiste quella che lui chiama “democrazia musicale”, dove sono sempre gli stessi 15 ad avere spazio, mentre non ci sono occasioni per chi fa la musica che io chiamo di impegno. Scopriremo poi tra le parole degli ospiti un’altra possibilità, ovvero che “la casta”  non è rappresentata dalle Major, ma sono i musicisti stessi, sempre i soliti 15, che sono in grado di dettare legge.
Zuffanti definisce il suo libro ingenuo e lui di conseguenza.
Ho riflettuto su ciò che lui ha appena compiuto, un suo magnifico progetto che dovrebbe di diritto “passare” ovunque, scuole comprese. Mi riferisco a “The Rime of the Ancient Mariner”. Non è dell’album che voglio parlare, ma del fatto che dal momento della genesi al completamento dell’opera, seppur con grande pausa temporale, sono passati una quindicina di anni. Ma qualcuno si rende conto di cosa voglia dire impegnarsi in un progetto musicale?
Ora, prendiamo ad esempio una canzone (eufemismo) come quella che presentò qualche anno fa una certa Arisa o Arista - nemmeno mi viene il nome - e che vinse “Sanremo giovani” … bene, penso che per realizzarla ci potranno volere tre ore, forse due. Poi però occorre trovare il coraggio per proporla, e qualcuno tale coraggio ce l’ha e dal suo punto di vista forse ha ragione, visto il risultato in termini di visibilità!
Ecco, quando rifletto su questi argomenti, mi viene da pensare - e da chiederti - … ma se queste persone hanno successo e vengono pure pagate fior di quattrini, non saremo noi, uomini e donne italiani, un popolo di dementi dal punto di vista culturale?
La gente va educata e quindi il terreno fertile dovrebbe essere quello dei  giovani.
I genitori possono fare alcune cose, anche se difficilmente arriveranno a fare ciò che ho ideato diabolicamente io, e cioè utilizzare la mia autorità di padre (non autorevolezza in questo caso) per imporre ai miei due figli (18 e 15 anni) di non alzarsi dal divano sino a che “The Dark Side of the Moon” non  fosse terminato. E che soddisfazione sentirsi dire: “ … avevi ragione papà!”.
Ma la scuola dovrebbe fare qualcosa in più, magari riducendo di un’unità i temi sul Manzoni o su Dante e dare in pasto alla classe un album appena uscito da recensire, dividendo i testi dalle musiche, le traduzioni dall’artwork… un fantastico lavoro di squadra dai molteplici risvolti.
Utopie? Se fossi un insegnante ci proverei.
Non sto andando fuori tema, sto divagando pensando a ciò che ho trovato nel libro, al grido di dolore, alla sensazione di delusione, alla frustrazione che, in maniera maggiore o minore proviamo tutti noi che amiamo la buona musica.
I tempi cambiano e tutto muta.
Ci hai fatto caso caro Fabio che non esistono più i juke box? Erano il simbolo degli stabilimenti balneari e dell’estate, e con quelli ci siamo creati ricordi indelebili, tra Battisti e… Battisti. Ma la mia adolescenza di inizio anni ’70 è testimone di altro materiale, perché in quelle scatole musicali ho più volte inserito la moneta per sentire “Inside” dei Jethro Tull, “Question” dei Mody Blues, “Hocus Pocus” dei Focus, “Peel the Paint” dei Gentle Giant”, “ I Know What I Like “ dei Genesis, e potrei continuare.
Erano obiettivamente altri tempi.
Eppure, come sottolineato nel libro, noi siamo stati i cultori del prog (che viene assunto come esempio di degna musica, ma non è il solo), perché i Van Der Graaf, i Gentle Giant, gli Yes e i Genesis sono diventati famosi nelle nostre terre e solo successivamente li abbiamo condivisi col mondo.
Non conosco nei dettagli i meccanismi che regolano il businnes musicale, ma mi scontro quotidianamente, anche in prima persona, col problema.
Le persone che elenchi, i vari Vasco, Jovanotti, Pausini, Giorgia, Ligabue, Ramazzotti, Pezzali, per me non esistono. Ma io non ne faccio una questione di principio, semplicemente non mi piacciono, non mi danno niente, mi fanno anzi stare male, e non riconosco in loro nessun valore artistico. Non è un fatto di “semplicità musicale”, il mio corpo li rifiuta, anche adesso che ho raggiunto una tale onestà intellettuale da poter  entrare  in un negozio di dischi  e acquistarne uno di Orietta Berti, se solo realizzasse qualcosa  che per qualche irrazionale motivo mi coinvolgesse.
Eppure, come Zuffanti denuncia, c’è spazio solo per loro, i soliti, a Sanremo come in radio o in televisione. E poi i figli di padri illustri… da qualsiasi parte ci giriamo c’è l’inganno!
E che dire della musica dal vivo? Cosa bisogna fare per portare a teatro dei giovani e far loro capire cosa significa sudare e presentare un evento di qualità?
Un concerto che inizia alle 21 nasce quattro ore prima e finisce quattro ore dopo, se si abita di fronte al teatro, oppure si possono aggiungere 200-300 chilometri di viaggio, andata e ritorno, anche notturno, con i rischi conseguenti. I musicisti di nicchia, quelli che non fanno parte della supposta casta, per essere pagati, spesso devono portarsi il pubblico senno… niente. Se poi sono fortunati avranno un cachet che gli permetterà di guadagnare 60-70, forse 100 € a testa. Già, ma non sono lavoratori, sono musicisti!
In una recente occasione in cui ho organizzato un evento, un mio collaboratore dal muso buono, poche ore prima del concerto, entrava nel bar di fronte, pieno zeppo di giovani, e  provava a convincerli alla partecipazione, con ogni subdolo mezzo. Tutti ben predisposti alla ghiotta occasione, sino a quando scoprivano che occorreva stare seduti su di una comoda poltrona rossa, e non ci si poteva muovere per bere e chiacchierare. Bere? Chiacchierare ad un concerto? Ma da quale pianeta arrivano i nostri giovani?
E’ altresì incomprensibile come ci si sia assuefatti a pagare 15 euro per una misera pizza margherita e una birretta (grande truffa!) mentre sembra insopportabile spendere 10 euro per tre ore di performance (spesso c’è la doppia band).
Questi sono i fruitori medi della musica, e noi siamo gli alieni, anche un po’ stupidi quando ci commuoviamo ascoltando “And You And I”.
Non sono pienamente d’accordo sulle critiche alle cover band, non in toto almeno. Certo, non avrei mai pensato nella mia vita di vedere la pubblicità di un tributo a Pezzali, nemmeno agli 883, ma proprio a lui,  personalizzato!
Ma esistono musicisti che si rifanno ai grandi del passato che non sono più in  attività in quella forma aggregativa, e che, pieni di talento, riescono a fare rivivere la musica di un tempo, varcando i nostri confini e assumendo piena autorevolezza: parlo di The Watch (Genesis), Big One (Pink Floyd),  o dei nutriti discepoli di sua maestà Ian Anderson, che riescono a proporre ensemble a volte più gradevoli dell’originale. Spesso queste cover band trovano il consenso di membri dei gruppi originali, e il loro progetto è parallelo a produzione nuova.
Caro Fabio, non so dove risiedano le cause profonde, non sono ancora riuscito a capire se è nato prima l’uovo o la gallina, se il pubblico chiede spazzatura perché è ciò che preferisce o perché è l’unica cosa che conosce e che ha imparato negli anni.
I modelli sono davanti agli occhi di tutti.
Mi viene da ridere quando Zuffanti accenna ai talent show, dove a rilasciare giudizi definitivi c’è gente come Simona Ventura. Ma come si permette di provarci? Cosa ha mai sentito nella sua vita da poter giudicare? “ Ehm, mi dispiace ma non mi hai fatto arrivare niente, non mi hai emozionata!” Ma di che parla? A ciascuno il suo mestiere e lei è pure brava. Ma la musica non è affar suo.
I Talent… ah se potessi mandare in miniera la De Filippi!
Qualche anno fa, in tempi non sospetti, scrissi un articolo su suggerimento di un mio ex compagno di scuola. Sua nipote era una fantastica giovane cantante jazz e fui felice di intervistarla, benché fosse un’emerita sconosciuta. Ha un gran talento e lo capii subito.
Arrivò successivamente al cospetto della Maria nazionale ( ora è una singer molto famosa) e nello spazio di tre giorni dalla sua entrata mi scrisse, con un po’ di imbarazzo, se potevo togliere il suo brano che avevo inserito nel post, di matrice jazz. Sconveniente orientare il possibile lettore del mio blog (i miei picchi più alti di lettura li ho avuti quando arrivò in finale) verso un genere poco consono allo standard del programma!
E che dire delle radio. Zuffanti cita Massarini come esempio, anche se appare dispiaciuto per non essere stato disponibile a lasciare una sua testimonianza.
Era la primavera del 1972, avevo sedici anni, e mi potevo informare solo attraverso Ciao 2001.  Un pomeriggio mi sintonizzai su “Per Voi Giovani” e un DJ diverso da quelli attuali, mi raccontò a parole - e poi con esempio musicale- chi fossero i VDGG e che cosa contenesse Pawn Hearts, e ci fu spazio per Rondabout e quindi Fragile.
Impossibile spiegare a parole la musica, eppure quell’archetipo di DJ riuscì nell’impresa e arrivai al primo concerto della mia vita adeguatamente preparato. Quel sant’uomo- me lo ha confermato lui stesso- era Carlo Massarini.

Il libro è scritto in maniera molto semplice e diretta, senza nessun fronzolo di contorno e in questa veste arriva al lettore.
Molti gli autorevoli ospiti, da Eugenio Finardi a Mario De Luigi, da Massimo Gasperini a Mattia Shellet, da Mox Cristadoro a Stefano Isidoro Bianchi, da Giancarlo Onorato a …Tommaso Labranca. Grande intervento il suo, per lucidità chiarezza e intelligenza.
Sarà casta o no, ma è reale il fatto che le decine di meravigliosi nuovi artisti che scopro settimana dopo settimana, sono solo piccole realtà locali, mentre potenzialmente potrebbero conquistare buonissimi spazi.
Nascere nel posto giusto al momento giusto ha una buona valenza, e mi ha colpito una frase che ho letto di Cristiano De Andrè a proposito di Finardi: “ Ha avuto la fortuna di avere 20 anni in un momento speciale della storia musicale”.
Chissà che la teoria dei corsi e ricorsi storici non si avveri anche in questo caso!
Ma cosa si può fare per cambiare il modo di agire e di proporre le cose?
Parlare del libro di Zuffanti e diffondere il messaggio è un primo passo, perché non siamo di fronte a nessun Vangelo o dogma inamovibile, ma il solo discutere e scambiare civilmente le opinioni può essere uno start up, uno scossone alle coscienze.
Caro Fabio, io una certezza ce l’ho, e so che altri la pensano come me: la somma di dieci singole persone motivate, con un unico obiettivo, non fa 10, ma forse 100, 1000, 100000, e una goccia di pioggia può trasformarsi in temporale.
Io qualche idea ce l’ho, e al più presto ne potremo parlare.

Info supplementari al seguente link:

Un esempio di musica che tocca il cuore… melodia, atmosfera, complessità tecnica, voce calata dal Paradiso… tutto appare semplice perché tutto è studiato nei particolari, che si fondono in un unico suono, e quando la tensione aumenta il pubblico percepisce la magia che sta avvenendo, diventando un corpo unico con chi si esibisce sul palco, e comprende che ciò che sta vivendo è un attimo di pura, rara e semplice  felicità. Solo la musica, la musica come questa, ha un tale potere. Con questa musica sto bene e a volte male… i soliti alti e bassi della vita!