domenica 16 aprile 2023

Vangelis e Jon Anderson nel 1977-Interviste di Hervé Picard


Nel settembre del 1977 su Best magazine veniva pubblicata una doppia intervista realizzata da Hervé Picard, focalizzata su un duo che nel tempo avrebbe dato vita ad una lunga collaborazione: Vangelis e Jon Anderson.

Rileggendole a distanza di 46 anni si palesa un mondo che non esiste più, ovviamente, ma sono interessanti le osservazioni che entrambi fanno su un paio di argomenti: il primo riguarda la grande differenza tra lavorare in una band rispetto alla dimensione solista, topic su cui il greco aveva le idee chiarissime; il secondo fa riferimento alla capacità di creare musica - magari attraverso il sintetizzatore che in quel momento sembra va la panacea per tutti i cali di tensione musicale - anche senza possedere grande tecnica e conoscenza dello strumento, mentre appare più rilevante l’avere qualcosa da dire e dirlo in modo sincero.

Era quello il momento in cui usciva il primo album solista di Jon Anderson, “Olias of Sunhillow”, registrato proprio negli studi di Vangelis.

 

Passiamo alle due interviste separate, partendo da Vangelis

Fin dai tempi di Aphrodite's Child, hai sempre mantenuto costantemente le distanze dalle band. Eppure, nel ’74 è stato annunciato che avresti potuto entrare negli Yes, cosa che non si è realizzata. Perché? Era un rifiuto di entrare a far parte di una band?

Avevo accettato di fare un provino con gli Yes quando Wakeman li aveva lasciati, a causa di una vecchia amicizia tra me e Jon Anderson. Non ho mai creduto che questa fosse la strada da percorrere a causa delle mie concezioni riguardo al “formato band”. Le nostre indicazioni musicali non erano le stesse. E non avremmo fatto progressi. Mi sento troppo claustrofobico in una band, perché ti ritrovi davanti un ostacolo, con meno flessibilità interna e palesi rigidità. La direzione di una band è fissa, sempre uguale. Per quanto mi riguarda, non posso fare sempre la stessa cosa. Ho lasciato andare tutto, la hit parade e tutto il resto proprio per non essere obbligato a ripetermi. Detto questo, sono sempre molto amichevole con gli Yes e a volte lavoriamo insieme.

D: C'è un'evidente affinità tra la tua musica e "Olias Of Sunhillow" di Jon Anderson…

Quando è uscito il disco, le persone della RCA con cui sono sotto contratto mi hanno detto che non era molto bello aver suonato nel disco, senza aver loro dato preavviso. Ma la cosa più divertente è che… non ci ho suonato, e loro erano convinti di aver riconosciuto il mio tocco. Io stesso sono rimasto molto sorpreso nel trovare il mio nome sulla lista dei ringraziamenti. Forse ho influenzato Jon, non lo so. Ed è chiaro che l’album è molto vicino alla mia musica. Ma forse è solo una coincidenza.

Perché hai scelto di lavorare da solo? Per accontentare chi deve lavorare con te? Perché credi che le band non si possano adattare al tuo pensiero corrente?

Non è stato per lo spirito di dittatura che lavoro da solo. Mi piace molto creare in solitaria, ma ammetto che ho anche spesso desiderato confrontarmi con altri. Come dicevo, non sono fatto per le band, è vero, ma non ho motivo di credere che dovrebbero essere estinte! I gruppi hanno tutti origine nella musica leggera, accanto all'intrattenimento di varietà. Si inizia come amici, giovani, pieni di energia, e le case discografiche catturano e commercializzano questa innocenza. Era la strada degli anni Sessanta e oltre, la band era perfetta, perché l'industria ha questo bisogno di prodotti finiti. Ma se uno vuole lasciare l'intrattenimento, fare musica più profonda, non lo si può fare con una band. Non si può creare liberamente quando ci sono tante teste. Una band può avere un'esistenza limitata, se vuole fare musica vera, un incontro di compositore e interpreti. Più vai avanti, più lo capisci. La band è una soluzione per dilettanti, ci si aiuta l’un l’altro per esistere. È vantaggioso comune far circolare idee, ma va detto che questo privilegio è raro se abbinato al profitto e al fatto che una band si accontenta di una singola idea. Naturalmente ci sono dilettanti che hanno successo, perché, anche se non sono nessuno musicalmente, sono commercialmente convenienti in quanto le case discografiche li possono facilmente manipolare, giovani che non riescono a sentirsi molto sicuri delle loro capacità e che si accontentano di vedersi in TV e far colpo sulle ragazze piuttosto che lavorare sodo. Una band ha anche un secondo svantaggio, il problema dell'ego. C'è l'inevitabile gelosia quando arriva il successo. Inoltre, non puoi avere tutte le persone sempre desiderose di lavorare sulla stessa cosa allo stesso tempo, è impossibile. È come un matrimonio che cade a pezzi, e tutto peggiora quando la band aumenta come numero di persone.

Sei consapevole di appartenere a una nuova ondata di creatori, quelli che amano lavorare con uno stile diverso, autarchico, come Schulze, Anderson, Oldfield...?

Questo è corretto a prima vista, credo. Molti musicisti stanno prendendo in considerazione come me le infinite possibilità della musica sul sintetizzatore, e stiamo solo iniziando a scoprirlo: è uno strumento molto difficile, come un piccolo giocattolo. Ma il sintetizzatore è più flessibile del pianoforte. Normalmente, quando affidi a un altro pianista una tua composizione, non riesce completamente uguale all'originale. Ecco perché coloro che stanno veramente scoprendo il sintetizzatore lavorano da soli. Per la mia idea di musica, trovo sia l'unico modo per essere in grado di fare davvero un buon lavoro. Ma non mi piace suonare sempre da solo. In futuro potrò anche scrivere qualcosa per un'orchestra senza farne parte, ma in questo momento non vedo nessuno, tranne me, che si preoccupi sufficientemente di fare le cose in un certo modo. Un esecutore è meno preoccupato per la musica rispetto al compositore. Con il sintetizzatore, il compositore può bypassare l'esecutore, quindi è normale che ci siano sempre più compositori che creano la loro musica da soli.

Tutto questo non porta ad una nuova idea di virtuosismo? 

La definizione di strumentista è destinata a cambiare in modo significativo. Jon Anderson non è uno strumentista nel vecchio senso del termine eppure ha fatto, con molto sforzo, un disco meraviglioso. Ora il virtuoso non è più quello che è veloce su un pianoforte. Il synth-player è uno specchio dell'anima e il virtuoso è colui che sa come creare per far riflettere il suo vero io. Ecco perché i bambini e i ragazzi sono affascinati dal sintetizzatore, perché è più diretto, più naturale, più organico. Se hai qualcosa da dire, e non sei un musicista nel vero senso della parola, il sintetizzatore non ti aiuta ad esprimerti al meglio. Ma la sensazione sensuale può sostituire totalmente la tecnica, ed è per questo che uno come Jon è riuscito a fare il suo disco tutto da solo con strumenti per i quali non aveva la tecnica: aveva però qualcosa di reale da dire.

 

Epilogo 

Anche Vangelis stesso ha qualcosa di reale da dire, e quando lo si ascolta parlare, vivace, ancora molto greco, si riconosce il respiro fresco che emana dai suoi meravigliosi album. Vangelis è forse, tra tutti i creatori solitari, quello che ricorda di più i compositori sinfonici: ha un tocco da "mostro sacro", la potenza del lavoro ancora inaudito (i due album usciti all'anno sono una piccola parte della sua produzione complessiva, che l'industria evidentemente non può distribuire), un entusiasmo formidabile che porta la sua musica a scuotere il cuore. E ci si chiede davvero come un talento di queste dimensioni abbia potuto passare inosservato, fino ad ora. Forse il suo desiderio di non fare mai la stessa cosa due volte non è stato compreso dal pubblico? Forse la sua musica appare troppo esclusiva? Forse Vangelis é troppo puro per quest'epoca caratterizzata dalla mentalità ristretta che si nutre spesso di surrogati? Lui, indifferente, continua come una meteora sulla sua splendida rotta, imperturbabile, e non è troppo tardi per cominciare a seguire la sua rotta. 

 

Intervista a Jon Anderson

di Hervé Picard


Jon, raccontami come è nato il tuo album solista…

È stato un esperimento molto interessante e per me molto arricchente in quanto mi ha costretto ad imparare, a non accontentarmi di quello che ero stato, a cercare di andare oltre me stesso. Il fatto di essere interamente responsabile di ciò che facevo, avere il controllo totale, era più allettante del lasciare la responsabilità ad altri. Niente e nessuno rivendicava la proprietà delle idee, nemmeno io, erano tutte nate dentro di me. È stato un esperimento fantastico, che esalta enormemente la personalità. All'inizio avevo solo scarsa conoscenza delle tastiere o delle percussioni, ma non cercavo di suonare qualcosa di così definito che avrebbe richiesto una grande tecnica, mi lasciavo andare e le mie idee erano contenute dai limiti delle mie possibilità, mentre spingevo sempre più oltre questi limiti. "Olias of Sunhillow" è di gran lunga ciò che mi ha dato di più, parlando a livello individuale e personale. Non che debba essere un punto di partenza per il mio futuro. Penso che questo esperimento continuerà, senza dubbio. Facendo questo album ho avuto la sensazione di essere sulla strada giusta. Questo non vuol dire che non credo più nelle band, no. C'è musica che va fatta collettivamente e altra individualmente. Quando faccio musica per gli Yes, è normale che siano gli Yes a suonarla, nasce per questo. Ma quando la musica è davvero personale, l'ideale è essere in grado di fare tutto da soli. Potrei fare "Olias" con i musicisti, e il nuovo disco sarebbe senza dubbio migliore, tecnicamente più riuscito, e potrei ancora rifarlo e ancora con altri e sarebbe sempre diverso, ma l'idea di "Olias" che viene solo da me è più vicina alla mia idea e al mio sentire. Non pretendo di essere un maestro delle tastiere o delle percussioni, ma trovo che ciò che ho tirato fuori mi attragga e suoni bene. Ciò che conta non è l'abilità tecnica, ma l'accuratezza di ciò che si fa nel momento in cui viene fatto, per quanto modesto possa essere. C'è effettivamente in questo momento un movimento ampio di solisti, ma credo che esista solo in virtù dell'esistenza del sintetizzatore. Senza questo, nulla sarebbe possibile. In questo non si dovrebbe vedere un preoccupante aumento dell'importanza dell'ego personale, o una nuova concezione del ruolo del compositore. C'è solo un nuovo modo per riuscire ad esprimere la musica che le persone hanno in testa, niente di più: che si ricorra ai musicisti o a un sintetizzatore per l’esecuzione non fa davvero differenza, se il risultato si adatta bene a ciò che era richiesto.


Epilogo

La modestia di Anderson è grande, ma "Olias" mette le cose nella giusta prospettiva. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, ma l’album deve essere giudicato con parole diverse da quelle che si usano normalmente per una band. Mentre gli Yes stanno arrancando un po', Anderson ha trovato una strada nuova, e sulla base di tutte le evidenze il confronto favorisce il lavoro solista. L'album degli Yes, dal suono medio, odora di compromesso tra ego diversi, mentre quello di Anderson non conosce limiti, l'ego liberato continua audacemente per la sua strada. Prima o poi, possiamo credere che Anderson lascerà gli Yes, perché si è ritrovato in una dimensione individuale che qualsiasi vocazione collettiva non farebbe che indebolire. I tempi stanno cambiando e spingendo tutti noi a muoverci con loro. "Olias of Sunhillow", quel piccolo miracolo della musica, ha fatalmente dato il via alla scomparsa della band.