lunedì 17 aprile 2023

Intervista a Bill Bruford, liberamente tradotta da un articolo di Sid Smith

 

"Sono stato cacciato dai King Crimson almeno tre volte!”

Bill Bruford parla della sua vita nel mondo musicale, tra Yes, King Crimson, UK e Earthworks 

“Ho sviluppato la capacità di affrontare ogni evento, soffrendo, ma senza guardare mai indietro…

 

Articolo originale di Sid Smith


Quando Bill Bruford si siede davanti al suo computer per parlare con la rivista Prog arriva, ovviamente, puntuale. Prende posto nel suo ufficio di casa, nel Surrey, e il suo sfondo mostra una gamma ondulata di aspre colline punteggiate di erba e ghiaioni, annidate sotto un cielo blu.

Indossando una camicia a quadri “campagnola” ma elegantemente stirata, e un gilet dall'aspetto pratico, sembra molto simile a un medico in procinto di intraprendere un consulto con un paziente nervoso. È facile immaginare questo geniale 72°enne, che è stato inserito nella Rock & Rock Hall Of Fame nel 2017, iniziare la conversazione con un educato ma fermo: "Ora, qual è il problema?"

Infatti, la chiacchierata è motivata dall'uscita dei sei CD Making A Song And Dance, un nuovo cofanetto che copre l'intera carriera del batterista. È una selezione molto personale che include Yes, King Crimson, UK, ABWH, brani dei suoi album solisti ed Earthworks, più numerose apparizioni con artisti diversi, come Roy Harper, Piano Circus e Buddy Rich Band. "Questo non è qualcosa che ho fatto in pochi giorni", spiega Bruford. "Ovviamente, c'è una certa quantità di cose editoriali in corso. Ci sono voluti qualcosa come sei o sette mesi per selezionare le 70 tracce distribuite su questi sei dischi".

Con la sua consueta meticolosità, Bruford ha organizzato la musica in quattro categorie distinte. "Ci sono collaborazioni relative a Yes e Crimson, per esempio. La band di Bruford e gli Earthworks sono sotto il titolo di “The Composing Leader”. Il mio lavoro in duo, prima con Patrick Moraz negli anni '80 e poi con Michiel Borstlap negli anni '00, mette in mostra l'improvvisazione e c'è anche un disco che ha il mio contributo come ospite speciale", dice, giustamente orgoglioso del set finito.

Ma aspetta un minuto. Bill Bruford non si è ritirato nel 2009? Lui sbuffa rumorosamente. "No, no, no. Sei come mia moglie, non hai capito!”

Calmandosi, continua: "Il mio più grande errore è stato l'omissione delle semplici parole 'dall'esecuzione pubblica'. Mi sono ritirato dalle esibizioni pubbliche. Ma tutto il resto va avanti, sai, la lotta come artista e tutto il resto. Mi sono solo ritirato dai live. Non suono più la batteria, mettiamola così. Ma sono d'accordo che questo può ingannare, anche se è il terzo box che ho preparato in sei anni. Chi l'avrebbe mai detto? Voglio dire, non potevo pensare allora che sei anni dopo il mio annuncio avrei parlato con Prog, nel 2022, di un cofanetto dei miei lavori. Sono stupito quanto te".

Lo stupore è una reazione frequente quando si toccano i progetti di Bruford, l'uomo capace di sviluppare già a inizio carriera un suo suono distintivo, tanto da diventare riconoscibile e punto di riferimento quando si parla di drumming di qualità.

Con qualsiasi artista /band abbia lavorato - Yes, King Crimson, UK e ABWH, il suo progetto “Bruford”, le versioni elettriche e acustiche dei suoi gruppi Earthworks, i duetti esplorativi che ha formato con i pianisti Patrick Moraz e Michiel Borstlap -, la sua presenza ha aggiunto grazia e, quando l'occasione lo ha richiesto, un sorprendente rilascio di potenza, in funzione di quanto richiesto dal copione.

Anche lontano dalle luci brillanti di una carriera leggendaria iniziata nel 1968, il ruolo di Bruford come musicista ospite e, in alcuni casi, agente provocatore, ha segnato una lista impressionante di associazioni che includono Genesis, National Health, Roy Harper e persino una breve escursione con i Gong. Connettendo tutti questi elementi si arriva alla sintesi della musica progressive nel 20° secolo, sotto il segno del nome “Bill Bruford”.

La prospettiva di un cambiamento può essere scoraggiante, inquietante e talvolta decisamente sconvolgente per molti di noi, ma non nel caso di Bruford. La trasformazione è qualcosa su cui ha sempre prosperato. Da un punto di vista commerciale, lasciare gli Yes nel 1972 per unirsi ai King Crimson - un gruppo allora pieno di line-up problematiche e una possibile durata limitata - sembrò un'idea folle a molti osservatori dell'epoca. Gli album degli Yes stavano allora raggiungendo la fascia alta delle classifiche mentre i dischi dei King Crimson a malapena toccavano le zone più basse della Top 20, e allora…  perché mai rinunciare a quel tipo di successo e subire un netto taglio allo stipendio? Per Bruford si trattava sempre di mettersi in situazioni in cui poteva imparare e migliorare. Questo il suo pensiero: “Una volta che sei arrivato al punto in cui ti stai solo ripetendo o sei seduto in un posto perché è comodo o previsto, allora è il momento di cambiare”. E i King Crimson si fermarono inaspettatamente nel 1974, nel 1984 e, per un'ultima volta nel caso di Bruford, nel 1996.

Bruford non è nostalgico, per lui alla fine di ogni capitolo occorre svoltare e proseguire. E non era nemmeno curioso di sapere cosa avrebbero fatto alcune delle sue vecchie band; ad esempio, dopo aver lasciato il Regno Unito ha ascoltato Danger Money del 1979 degli UK con Terry Bozzio? "Non l'ho fatto. Né ho sentito Tales From Topographic Oceans. Preferisco passare rapidamente ad una cosa nuova piuttosto che assecondare una vecchia curiosità!”

Stare alla larga è molto meglio. Continua Bill: "Occorre sempre indossare un nuovo abito, eliminando i vestiti dell'ultima band, senza tornare indietro a ripensare come sarebbero potute andare le cose, e magari, nel mio caso, continuare a chiedersi perché si è stati cacciati o era nata la voglia di mollare tutto. Tutta quella roba la trovo molto marginale. Una volta presa la decisione, vado avanti e guardo al futuro".

Ma da dove venga quella resistenza e quella spinta a continuare ad andare avanti?

"Nasce dal desiderio di dare un contributo personale, e se devo definirmi un batterista, voglio essere un vero batterista, che cambia le cose come hanno fatto tutti i miei eroi: Art Blakey, Max Roach e Joe Morello. Volevo solo seguire quel particolare percorso e dare un mio apporto. Il problema è che mi piace sconvolgere le cose, perché ci sarà sempre un elemento, un punto di rottura che porterà allo sconvolgimento delle cose. Non puoi fare una frittata senza rompere le uova, e la sofferenza fa parte dello stile di vita del musicista, almeno credo. Se vuoi fare qualcosa che durerà nel tempo, da qualche parte occorrerà partire dal cambiamento, solitamente passando attraverso lo sconvolgimento di qualche situazione”.

Questo turbamento può manifestarsi in modo molto diretto e viscerale. Racconta la storia di quando Bruford tornò in servizio attivo nel 1981, con Adrian Belew e Tony Levin, ora nei ranghi. Nel corso di un concerto in Germania - un paese che era stato molto entusiasta della precedente incarnazione della band -, nonostante ciò che Bruford giudicò essere una buona performance, con la presentazione di nuova musica interessante, i Kong Crimson trovarono problemi con l’audience. Mentre la band stava lasciando il palco, un grosso pacco di carne fu lanciato dal pubblico e atterrò con un tonfo ai suoi piedi.

"Capisci cosa intendo per cambiamento? Chiaramente il ragazzo che mi ha lanciato il suo fegato tritato tra il pubblico tedesco era sconvolto da qualcosa! Durante i movimenti di Robert Fripp con i King Crimson, ho sentito, nel complesso, di essermi abituato a tutto. Ogni tanto si esauriva la band e in qualche modo mi sono abituato alla situazione senza patire troppo. Penso di aver sviluppato una pelle abbastanza spessa e non la prendo mai sul personale. Non sono quel tipo di persona".

La conversazione si sposta sul documentario di Toby Amies “In The Court Of The Crimson King”, che ha avuto la sua anteprima al SXSW Film Festival in Texas nel marzo 2022. Bruford è uno dei numerosi ex e attuali membri intervistati per il film di 90 minuti e ha visto il montaggio finito, anche se il documentario non sarà distribuito fino alla fine dell'anno. "È fantastico", è il suo verdetto, ma aggiunge: "Stavo pensando a me stesso e alla mia pelle spessa, diversa in quel senso da quella di Adrian Belew, perché Adrian sembrava così infelice e così emotivamente distrutto dal rapporto con Robert, mentre io mi sono sempre sentito piuttosto rafforzato dall'essere nella sua orbita e molto diverso da alcuni dei personaggi, diciamo, più morbidi, come Mel Collins o Ian McDonald, tutte situazione terribilmente tristi. Non sono quella persona e non so perché. Sono stato allegramente cacciato dai King Crimson circa tre volte, ma continuo a presentarmi come il brutto anatroccolo!"

La storia degli YES è caratterizzata dal concetto delle “porte girevoli”, quando si parla di arrivi e partenze. Il ritorno di Bruford all'ovile avvenne 16 anni dopo aver lasciato la nave nel 1972 e arrivò sotto forma di “Anderson, Bruford, Wakeman e Howe, un progetto per il quale conserva un certo affetto, soprattutto per il loro album omonimo del 1989.

Il primo e omonimo lavoro di ABWH non è stato un brutto album. Penso che abbia fatto un quarto di milione, che non era male. Quando ci sono i soldi di mezzo, appaiono improvvisamente persone in giacca e cravatta che vogliono ascoltare le riprese del disco mentre questo viene costruito, e pretendono di dare suggerimenti tecnici. Quindi, il problema diventa questo… chi paga il pifferaio vuole anche suonare la melodia. Così, prima che me ne rendessi conto, improvvisamente il progetto diventò Yes con un sacco di ragazzi californiani in più, perché qualcuno ai vertici aveva deciso che così sarebbe stato un disco migliore e avrebbe venduto più copie. Non sono nemmeno sicuro che le vendite del secondo disco abbiano superato ABWH, soprattutto perché su “Union” (dove si utilizzò il nome YES) si pagarono otto o 10 musicisti, compresi i turnisti. Così si trasformò in una cena per cani".

Il problema degli Yes era che a guidare era sempre il lato commerciale, pensando più alla convenienza piuttosto che alle decisioni artistiche.

"La band ha sempre consumato denaro velocemente e quindi aveva bisogno di più soldi in arrivo e doveva mantenere un certo profilo. A quel punto, ti leghi sempre più ai soldi e a persone che pensano solo al business e alle quali deve rendere conto.”

Questi problemi non esistevano con Bruford solo o gli Earthworks o qualsiasi altra formazione in cui lui aveva potere decisionale.

Le soddisfazioni per Bruford arrivano sempre con i suoi progetti, come la band con Allan Holdsworth, Dave Stewart e Jeff Berlin, e in seguito Earthworks dal 1986 al 1988 e la seconda incarnazione degli Earthworks che ha funzionato dal 1997 al 2008. È in questo ambito che gli viene fornita una piattaforma come compositore in grado di seguire le sue inclinazioni più jazzistiche. Album come il suo debutto solista, “Feels Good To Me” (1978), e “One Of A Kind” della band di Bruford (1979) e “Gradually Going Tornado” del 1980 sono pieni di scrittura raffinata che mette in rilievo il suo virtuosismo strumentale. Earthworks mise in mostra alcuni dei giovani talenti tra i più brillanti della scena jazz britannica, come il pianista Django Bates e il sassofonista Iain Ballamy dei Loose Tubes, che contribuirono con il loro ardore al compimento delle idee di Bruford.

"Django Bates e Ian Ballamy erano bambini. Ricordo di essere andato al 21° compleanno di Iain che era stato nella band per un paio d'anni. Mi piace quando un musicista maturo/esperto usa i servizi di ragazzi più giovani, che probabilmente sono meglio attrezzati di lui. È un equilibrio di bisogni e requisiti. Ho bisogno del loro sangue caldo e della loro abilità e loro hanno bisogno di una piattaforma internazionale che io posso offrire. Quindi nasce uno scambio reciproco e i migliori gruppi funzionano proprio in questo modo, sfruttando il team work.”

Guardando indietro alla sua carriera ci sono punti lungo la strada in cui Bruford si è mosso in mondi molto diversi tra loro. C’è un Bruford che fa parte dell’Atlantic Records che suona al Madison Square Garden. Ce n’è uno che respira l'atmosfera dei jazz nei club newyorkesi come Birdland o Iridium.

A volte è stato il destinatario di molti soldi, registrando un album nello stato di New York o a Montserrat. Poi di nuovo, lo stesso uomo si è trovato impegnato alla scrivania del suo ufficio a smistare le prenotazioni in un Travelodge appena fuori dall'autostrada in modo che lui e gli Earthworks potessero ammucchiarsi nel loro furgone a noleggio e mettersi sulla strada per lo spettacolo successivo. Comunque, sempre a suo agio in tutte le situazioni.

Quel tipo di fiducia e autostima, quell'innato senso di obiettivo e direzione è cablato nella composizione psicologica di Bruford. Nella sua veste di musicista professionista, non si è mai tormentato su quale potesse essere il passo successivo. Non ha dubbi personali: "So sempre dove dovrei essere, anche se a volte può essere doloroso. Sono stato felice delle mie scelte, che sono state molte. Dovrei suonare con questo o quel giovane? Questa canzone o quella? Decisioni che, si spera, siano poi nel migliore interesse di tutti. L'ho già detto e lo ripeto: ho suonato quello che volevo, quando volevo, dove volevo, e con chi volevo, per tutta la mia carriera. "

Dopo aver terminato di esibirsi dal vivo Bill si è cimentato in altre attività, anche la scrittura, e nel 2009 ha pubblicato “Bill Bruford: The Autobiography. Yes, King Crimson, Earthworks, And More”, con grande successo.

Nel 2016, si è laureato presso l'Università del Surrey con un dottorato di ricerca dopo aver esaminato aspetti della creatività e della psicologia della performance, un argomento che esamina in modo considerevole nel suo libro del 2018, “Uncharted: Creativity And The Expert Drummer”.

Quando non è impegnato a mettere insieme i suoi cofanetti scrive articoli accademici.

Come con il suo drumming sul palco e su disco, Bruford affronta e presenta qualsiasi processo senza soluzione di continuità, senza grumi o protuberanze. Tuttavia, il trucco che ha imparato molto tempo fa, è far apparire senza sforzo tutto quell'impegno per migliorare costantemente e sfidare sé stesso.

A questo punto si potrebbe pensare che per uno come lui, con la sua esperienza nel settore, ottenere il dottorato sia stato facile.

"Mi stai prendendo in giro? No, è stato vero sudore", dice indignato. "Mi sembrava un lavoro insormontabile, con un supervisore che diceva: <<Pensi che io voglia sapere cosa pensi tu? Dimenticalo. Non mi interessa quello che credi. Voglio sentire invece la forza della tua argomentazione. Tutti hanno un'opinione, ma non aggiunge nulla, non significa nulla. Queste sono le fondamenta che tutti gli scrittori accademici devono tenere a mente nel loro lavoro, e se non lo fai stai sprecando del tempo prezioso.>>”

Ma, ricevere il dottorato di ricerca e diventare formalmente il dottor Bruford, lo studioso, gli avrà dato un senso di reale realizzazione? Si ferma un attimo a riflettere su questo. "Sì, è una bella sensazione, come lo è finire un album. Mi piace avere un risultato fisico, come un CD o una traccia, o finire un brano in studio di registrazione, oppure un libro, e negli ultimi cinque anni ho fatto un bel po’ di scrittura accademica. Questi elementi tangibili sono artefatti della mia esistenza culturale e la dicono lunga, agli altri, sul tipo di persona che sono e, naturalmente, lo dicono anche a me! Non c'è mai stato un momento di noia nella mia vita!".

E con questo il nostro tempo è finito e il dottor Bruford passa al suo prossimo appuntamento della giornata.