sabato 7 gennaio 2017

Marcello Chiaraluce – When the Dollhouse Burns


Marcello Chiaraluce – When the Dollhouse Burns (Guit-AL Records)

Quando Marcello Chiaraluce mi ha annunciato l’uscita del suo nuovo album gli ho subito chiesto una sorta di sinossi lirico-musicale e la sua risposta è risultata particolarmente intrigante: “Ciò che posso raccontarti potrebbe essere considerato come… flusso di coscienza. Ci sarebbe molto da dire sui testi, mentre la musica è volutamente “semplice” rispetto alle altre mie produzioni, proprio per dare più spazio e visibilità alle liriche.
Sono stati anni di profonde riflessioni, amori bellissimi e devastanti, e ho voluto che tutto rimanesse impresso nel disco”.

Riavvolgiamo il nastro, prima di proseguire con lo scambio di battute tra me e Marcello.

"When The Dollhouse Burns" è il terzo album solista di Marcello Chiaraluce, chitarrista e cantautore rock alessandrino che conosco da molti anni e che ho avuto modo di ascoltare dal vivo in svariate occasioni, accanto ai grandissimi del rock mondiale, ma anche nei suoi progetti autonomi, cambiati nel tempo, come lui stesso racconta.
L’album contiene dieci tracce originali in lingue inglese, da lui scritte e prodotte per la sua etichetta Guit-AL Records.

Ancora una volta l’idioma espressivo scelto è quello inglese, che più si addice alla musica rock, e Chiaraluce appare maggiormente a suo agio in questo ambito rispetto al passato. E’ questa un’evoluzione importante vista la premessa, quel dare rilievo assoluto al messaggio “relegando” l’essenza musicale ad apparente sottofondo, rivolgendo la ricerca alla formazione di una solida base sonora, quadrata e potente, scevra da orpelli, perché ogni spazio va coperto con i contenuti, i messaggi, le idee, che sono somma di esperienze passate e di una visione della vita che va progressivamente modificandosi.
Il concetto di “entropia” sottolineato a seguire da Chiaraluce, inteso come rappresentazione del “disordine”, presuppone un altro principio che arriva a ruota, quello dell’equilibrio, elemento a cui si tende in via del tutto naturale, una necessità che influenza il nostro quotidiano e quindi presente anche nelle espressioni artistiche.
Il “balance” di “When The Dollhouse Burns” è perfetto per il vissuto attuale di Chiaraluce - almeno questo è ciò che appare -, e gli esercizi funambolici e la virilità strumentale di un tempo appaiono accantonati a favore dell’organicità progettuale e di un obiettivo finale che non prevede narcisismo musicale, e anche quando l’assolo impera appare più come atto funzionale al momento piuttosto che dimostrazione di forza, tipica del “Guitar Hero” che emergeva nel lontano album “On A Winter Walk”, disco di esordio del 2007.
E anche l’utilizzo della chitarra va visto pensando al concetto di equilibrio, a quella perfetta convivenza tra la palese importanza dello strumento nell’economia del disco e l’allontanamento della tentazione di dare evidenza alla skill, il tutto a vantaggio  del pensiero basico che ha portato alla creazione di “When The Dollhouse Burns”.
Il rock dell’attuale Marcello Chiaraluce è sintesi di certi amori giovanili, quelli che in alcune occasioni si cerca magari di nascondere, ma che nel momento della maturità diventano motivo di orgoglio. E così ci si può ritrovare nel post-punk di “Angels”, nel vivo degli anni ’80 con “Just A Country Way To Say I Love You”, nel Britpop di  “Hard songs, Angry Hearts”, “When the Dollhouse burnes” e “Sweetest Lullaby”, nel ricordo di Tony Hadley con “Jewelry Room”, con una spruzzatina di EW&F (“Old Party Ghosts”) e un po’ di Real Rock (“Trush” e “Talk to me”).
A concludere il contenitore la splendida e strumentale “Nefertari”, che riesce a “parlare” come è più dei nove episodi precedenti.

Le comparazioni infastidiscono sempre i musicisti, così come le rigide etichette, ma il mood dell’album richiedeva un minimo di contorno “esogeno”, mentre  per l’obiettività di intenti leggiamo il pensiero dell’autore.


Ecco cosa mi ha raccontato Marcello Chiaraluce…


Marcello, partiamo dal titolo dell’album…

Il titolo dell’album lascia intendere il leitmotiv di tutte le composizioni: la casa delle bambole rappresenta ciò che cerchiamo di controllare nel dettaglio, ciò a cui vogliamo imporre la nostra volontà con la presunzione di sapere cosa sia meglio o peggio per qualcuno o qualcosa. Quando questa casa brucia… le nostre certezze vanno in cenere. A quel punto subentra l’entropia, una grandezza fisica che rappresenta il disordine, ma che spesso non inseriamo nelle nostre equazioni giornaliere quando affermiamo/sognamo… “staremo insieme tutta la vita”, “con questo lavoro mi pago la pensione”, “questa casa la lascerò ai miei figli”, ecc. Il cambio di tutte le carte della mano però, può rivelarsi un’occasione per chi riesce a non andare in depressione. Se la vita viene vista come un percorso, pensando a qualcosa come Siddharta di Herman Hesse, possiamo vivere tante vite e non una sola. La vera reincarnazione avviene in vita e non dopo la morte.

La musica può raccontare tutto questo?

Un disco rock non può e non deve avere la presunzione di poter esprimere un concetto così difficile, ma può sempre accennare ai vizi della società e mettere in luce situazioni che viviamo tutti e che abbiamo paura ad ammettere.

Entriamo meglio nel contenuto…

Denuncia sociale e… amore, cioè la forza attraverso la quale si muove tutto, e questo “tutto” è osservato dai suoi lati più spigolosi, perché l’uomo riesce a vederlo da una sola prospettiva alla volta. Così si parla della fine di una storia, dei rapporti lui-lei e l’altro e dell’amore non corrisposto: discorsi che sentiamo tutti i giorni mentre la radio ci racconta di quanto sia bello il Sole e il Mare. Cito un verso di Manlio Sgalambro in un brano di Franco Battiato, “Strani Giorni”: Ascoltavo ieri sera un cantante, uno dei tanti e avevo gli occhi gonfi di stupore, nel sentire “il Cielo azzurro appare limpido e regale”, il cielo a volte invece ha qualche cose di infernale! In questo verso è contenuto quel rovescio della medaglia, quella contraddizione insita nell’uomo quando vive le cose belle e tende a sporcarle: questo è il concetto che ha dato vita all’album.

Cosa mi dici della parte strettamente musicale?

Dal punto di vista musicale c’era una volontà di tornare all’essenziale.
L’album precedente, “Crime of the Rhyme”, era iper prodotto, con una band di otto elementi e arrangiamenti barocchi. La Marcello Chiaraluce Band era arrivata ad esibirsi persino con coriste, orchestra da camera, ospiti illustri… avevamo un pò perso di vista il divertimento e la continua ricerca per superarsi stava diventando dannosa per la creatività. Questo album invece è stato fatto da un trio di musicisti che prima di tutto sono amici nella vita. Come una vera e propria garage band, abbiamo scritto, arrangiato e provato i brani nella saletta prove con l’unica volontà di fare musica. Arrangiamenti essenziali, chitarra, basso e batteria e focus sui testi. Ne risulta una musica più grezza, aggressiva, diretta e senza fronzoli inutili e con tanta chitarra.

Come si è evoluto il tuo ruolo all’interno del progetto?

In questo album sono tornato soprattutto a suonare la chitarra e a proporre lunghi assoli, riff potenti e un sound meno noto della mia tavolozza, quella componente AOR e new-wave di fine anni ‘70, inizio ‘80, che ha influenzato i miei ascolti giovanili.

L’album termina con un brano strumentale…

Sì, il primo da me registrato, dal titolo NEFERTARI. È un brano diverso da tutti gli altri e ha delle componenti di musica contemporanea e fusion, una composizione che chiude il capitolo WHEN THE DOLLHOUSE BURNS, ma lascia aperta la porta della mia curiosità, quella caratteristica che mi porta sempre alla ricerca di nuove strade musicali.

Nel disco hanno suonato: Marcello Chiaraluce - voce, chitarre - , Luca Grosso - batteria - , Luca Ogliaro – basso.
Laddove necessario è intervenuto Massimo Rumiano con Organo Hammond, Wurlitzer, Piano Rhodes e tastiere.

La registrazione è stata realizzata da Claudio Cattero nello studio Manifatture Musicali di San Didero (TO).

Il disco è disponibile su tutti i principali digital store e presto anche in copia fisica.