Paul Roland – White Zombie - Realizzazione CD limitata e numerata
Dark
Companion
White Zombie è
l’album in fase di rilascio di Paul Roland,
artista britannico che ha esordito musicalmente in un periodo significativo, compreso tra
la fine degli anni ’70 e l’inizio ’80, e che nel tempo è riuscito a diventare
buon rappresentante di un filone che abbina la cultura più tradizionale ad
elementi fantascientifici, al contempo capace di far propri aspetti che trascendono la
materia e proseguono in profondità.
In questo
caso specifico, se è vero che l’idea madre reca una firma certa, la squadra di
accompagnamento, che supporta e interagisce con Roland, è tutta italiana: a
seguire i protagonisti e i riconoscimenti ufficiali.
Sono
diversi i modi che consentono la fruizione di un disco, e senza volermi
addentrare in inutili dettagli mi sento di affermare che alla piena “non
conoscenza” legata spesso al primo impatto, si può contrapporre la
consapevolezza di ciò che si sta per ascoltare, ed è questa seconda modalità
quella che considero di grande rispetto per chi crea e successivamente
condivide. E di certo è la più soddisfacente.
Il
progetto parte da lontano, dagli anni ’90, quando un giovane Roland,
affascinato dal film “White Zombie”, del 1931 - con Bela Lugosi come
protagonista -, pellicola di riferimento del cinema voodoo, inizia a scrivere le basi di quella che avrebbe dovuto essere la
colonna sonora del film. Musica perlopiù strumentale, “con canti e cori che
dipingevano la schiavitù di uomini ridotti dallo scienziato folle a zombie,
automi per aumentare la forza lavoro nelle fabbriche”. Il tutto fu abbandonato per molto tempo, ma non dimenticato.
Il nucleo
centrale è quindi composto da canti in francese-creolo, a cui successivamente
sono stati aggiunti altri brani, creati da Roland dopo l’inizio della
collaborazione con il “gruppo italiano” (Max Marchini, Paola
Tagliaferro, Alberto Callegari…).
Una storia
complessa, durata circa tre anni, di cui racconterò i dettagli nei prossimi
giorni, con l’ausilio di uno dei protagonisti.
Questa piccola
premessa è utile ad evidenziare l’entità del lavoro e la ovvia necessità di
poterlo catturare nella sua essenza, senza banalizzazioni, avendo almeno idee
basiche sugli intenti originali dell’autore.
Gli
Zombie, quelli “veri”, sono legati alla religione del vudù - un misto di cattolicesimo
e spiritismo africano - basata su elementi esoterici, sulla continua lotta tra
il bene e il male, sui rituals, la moralità e gli elementi sociali: “Vudù”
significa essenzialmente “spirito”, ed è proprio l’oltrepassare la materia che
pare contraddistingua l’intero disco e, soprattutto, l’iter creativo,
coinvolgente per tutti gli “attori”, tanto da diventare un’importante
esperienza di vita.
E’ questo
uno di quei casi in cui diventa imprescindibile l’elemento didascalico, perché
potrebbe/dovrebbe scatenare la decisa interazione e il coinvolgimento, elementi
che permettono di godere appieno di un album unico. Sì, unico!
Viviamo in
un periodo poco florido per l’industria discografica, ma anche la fase creativa
sembra essere un optional, e ciò riguarda anche i grandi della musica.
Il primo
ascolto di “White Zombie” - preceduto dalle note informative di cui
sopra - mi è bastato per dare forma ad un giudizio ben delineato che non si è
modificato dopo i successivi due giri di giostra.
La
positività del mio commento è legata alla creazione di un contenitore realmente
innovativo ancorché fatto di essenzialità, e ciò che resta nell’aria - e
perdura a lungo - è una sorta di mood magico costituito da una potente miscela
di ingredienti che non appaiono soltanto tecnici, anzi.
I ritmi
tribali (“Song Of The Black Toad”, “Ti Bon Voodoo”, “Wanga
Wanga”, “Sugar Mill Scene”, “Bitter Sleep”, “ Baron
La Croix”, “Chant Of The Black Cokerel”, “Servant Of The Spirits”)
sono esaltati da una voce caratterizzante come quella di Paul Roland - capace
di riportare indietro nel tempo ma, soprattutto, di interpretare in modo quasi
attorale la performance - coadiuvato nel compito specifico dalla “Gran
Sacerdotessa” Paola Tagliaferro (e in un caso da Anna Barbazza), ma
l’impressione è che l’incidenza dei singoli musicisti sia elevatissima, e non
mi riferisco alle particolari skills di ognuno di essi, ma all’effetto
“tassello giusto nel posto corretto” (e Paolo Tofani mi pare
l’esempio più calzante).
La tracklist:
Sono
rimasto particolarmente colpito dal brano “Wake Madelena Wake”, acustico
e piuttosto intimistico, che si diversifica dal comune denominatore
ritmico-sonoro ed esprime una pregevole delicatezza che penetra e… non ti
lascia più…
Ma è il
disco in toto che va afferrato senza sezionamento alcuno, godendo del puzzle
che qualche anima superiore ha realizzato per noi, semplici fruitori del
genialità altrui.
Un album
da condividere, nella speranza di poter assistere, prima o poi, ad un live che,
dalle premesse, appare come un’esperienza formativa.
E’ prevista anche la
realizzazione di un EP singolo, “Mambo Jo”(edizione limitata di 300
pz), che vede la presenza di due inediti, con il già citato Paolo Tofani
alla tricanta vena elettrica.
Un
ventata di aria fresca tra tante venature di grigio…
IL TEAM nel dettaglio:
· Etichetta Unifaun production –
Dark Companion records
· Mixed and Mastered Alberto
Callegari – Elfo Studios- Tavernago PC.
· Foto cover Franz, foto booklet
Pinco Palla.
· Cover design Max Marchini.
· High Priestess - Paola
Tagliaferro