giovedì 17 settembre 2015

La Stanza Di Greta

Fotografia di Sergio Cippo

E’ sempre piacevole scoprire -dopo tanti anni di frequentazioni musicali, e dopo aver sentito in ogni luogo che nulla può più essere inventato, che le note sono quelle, inutile illudersi!- che la musica riesce ancora a sorprenderti.
Mi è capitato pochi giorni fa, al Prog To Prog, quando ho ascoltato un live di La Stanza Di Greta. Per la verità tutta la serata mi ha fornito spunti di novità, ma vorrei focalizzarmi oggi su questo ensemble torinese che ha stimolato curiosità e paragoni, perché occorre per forza cercare, sempre, la comparazione rispetto a qualche modello di riferimento! O no?
Eppure … non sono la copia di nessuno!
Intendiamoci, novità non significa automaticamente qualità, ed è probabile che la musica di LSDG possa anche non essere apprezzata, ma io ho trovato la proposta talmente fresca da pensare di doverla condividerla senza indugio, che è poi la mia missione nel mondo musicale. 
Amano essere definiti “pop” nel senso reale del termine, ovvero “popolari”, e ciò che ho visto sul palco dello Spazio 2011 è un misto di folk, rock, prog, avanguardia, etnia e sperimentazione.
Immagino che le mie parole non siano sufficientemente chiare per mostrare tutti i volti della band, e per semplicità ho inserito in questo articolo due video, uno in studio, ed uno che ripropone tutta la performance di Torino (circa 20 minuti), esclusa la magnifica versione di “Non mi rompete”, che è l’oggetto del primo filmato, realizzato in sala di registrazione.
Tutto stupisce, a partire dalla mancanza di strumenti fondamentali per il mondo rock, sino alla ridondanza di “materiale” sconosciuto ai più.
Le assenze importanti… manca completamente la sezione ritmica ma… non si nota! Esistono parti in cui il tempo scandisce lo sviluppo della trama musicale e basso e batteria trovano adeguate sostituzioni (la marimba è uno strumento a percussione, così come  i “bidoni”).
Presenze inusuali… provo ad elencare alcune delle cose che ho visto, sperando di non commettere errori: dell’ingombrantissima -ma efficace- marimba ho già detto; aggiungo il weissenborn, suonato sulle ginocchia -stile slide-, il didgeridoo, strumento a fiato australiano -che conoscevo attraverso la musica di  Xavier Rudd- sino ad arrivare al mandolino elettrico -suonato anche con l’archetto-, che può sembrare altro, per effetto di una forma e dimensione che riporta ad una mini telecaster.
Ma l’impressione è che ogni cosa si possa trasformare nelle sapienti mani di questi artisti, e oltre al "bidone" già citato, qualuque scatola di detersivo potrebbe ritornare comunque utile per raggiungere l’obiettivo: libertà espressiva senza alcun limiti e codifica.
Significativo lo spazio vocale affidato al chitarrista Leonardo Laviano, che va rapportato alla filosofia musicale del gruppo.
Ma la musica e le idee scambiate con Jacopo Tomatis completeranno il quadro che ho provato a descrivere.
Buon ascolto e lettura!

La Stanza Di Greta in studio…


L’INTERVISTA

Parto dall’incontro di pochi giorni fa, il concerto che vi ha visto come partecipanti al Prog To Rock: che giudizio date della serata?

Sicuramente positivo. Noi non siamo una band di progressive, né abbiamo mai voluto esserlo. Nella nostra storia abbiamo partecipato a festival di canzone d’autore, meeting di band giovanili, di indie rock, perfino a un Buscadero Day di spalla a svariati maestri del folk americano… E ci siamo spesso sentiti un po’ fuori luogo. Un festival prog ci mancava, e la serata è andata oltre ogni aspettativa, se prendiamo per buoni i feedback del pubblico. Forse dovremmo diventare un gruppo prog per davvero…

A fine set vi siete definiti ironicamente “fuori contesto”, ma ciò che ho ascoltato mi ha soddisfatto in pieno e mi induce ad approfondire: come e quando nasce la band? Possibile una sintesi della vostra biografia?

Viviamo tutti e cinque fra Torino, San Mauro Torinese e dintorni. Ci siamo incontrati un po’ per caso, nel 2009, per un’iniziativa benefica, ci siamo piaciuti e abbiamo cominciato subito con l’idea di lavorare a brani nostri. Da allora abbiamo suonato molto in giro, e cambiato idea su quello che volevamo fare e sul come farlo almeno un paio di volte. Questo spiega il nostro “ritardo”, almeno discografico: fino a oggi abbiamo autoprodotto solo due EP. Si chiamano “lato a” e “lato b”, sono usciti a tiratura limitata a 300 copie, e idealmente compongono i due sides di un vinile vecchio stile. Per i non feticisti, si trovano anche su iTunes, o su www.lastanzadigreta.com

Come si può spiegare a parole la vostra musica così originale?

Ci piace molto inventare delle definizioni. Siamo stati – a seconda del contesto – “post-canzone d’autore”, “pop psichedelico”, “pop progressivo e radicale”, “folk rock”, e molto altro. L’idea di “pop” è probabilmente quella a cui ambiamo di più. Soprattutto nel significato che aveva negli anni settanta: “popolare”, che piace al pubblico, ma che non per questo deve essere stereotipato o banale. In questo siamo un po’ “progressivi” forse.

Esiste un punto di riferimento musicale che vi mette tutti d’accordo?
No. Ci sono naturalmente ascolti che condividiamo, e artisti che stimiamo tutti, ma i nostri gusti sono spesso in aperto contrasto gli uni con gli altri, e le nostre collezioni di dischi sono piuttosto diverse fra loro. Quando discutiamo di arrangiamenti, i riferimenti vanno dai Dire Straits ai Godspeed You! Black Emperor, passando per gli Allman Brothers. Abbiamo trovato un accordo condiviso solo quando si è trattato di scegliere la nostra prima cover, da inserire nel nostro secondo EP: “Non mi rompete”, del Banco, pezzo che amavamo tutti molto.

La prima cosa che mi ha colpito guardandovi sul palco - ma forse anche prima, quando osservavo scendere dal furgone la marimba - è la diversità di strumentazione rispetto all’usuale, e vedere sul palco il risultato di tanta originalità (non solo scena quindi, ma rilevante sostanza), regala grandi soddisfazioni a chi è lì per ascoltarvi e magari non vi conosce: come si è creato l’ensemble, dal punto di vista strumentale?

In maniera abbastanza casuale, e per continui tentativi di trovare un amalgama che funzionasse. Siamo partiti come tre chitarristi, per cui è sembrato naturale che uno imparasse a suonare il mandolino. Avevamo la batteria, ma portarsi dietro sia quella che la marimba era logisticamente faticoso, e poco originale. Avevamo un bravo suonatore di didjeridoo, quindi ci è sembrato naturale impiegarlo. In realtà si è partiti da una fase in cui tutti cercavamo di suonare più o meno tutto, dai piani giocattolo alle seghe musicali, (il nostro studio infatti è un magazzino pieno di strani oggetti sonori) ad una fase di specializzazione di ognuno di noi su alcuni strumenti, che si è resa necessaria soprattutto per il live.

Un’altra cosa che mi ha colpito è la mancanza di basso e batteria, ma lo scandire dei tempi è garantito all’occorrenza, e ci sono tratti del set che ho ascoltato caratterizzati dall’incalzare ritmico che è tutt’altro che parte irrilevante nella vostra proposta: mi spiegate la vostra filosofia musicale relativa all’argomento?

Proprio per quella sperimentazione di singolo e di gruppo di cui parlavamo prima, ci siamo dati subito la regola che se qualcosa mancava, bisognava trovare il modo di sostituirla. In tutte le produzioni del mondo ci sono il basso e la batteria. Questo da un lato risolve il problema del ritmo e delle basse frequenze – che sono necessarie in un contesto pop – ma dall’altro rende molto difficile essere originali, perché le soluzioni non sono infinite, soprattutto se si scrivono canzoni. Se uno si toglie delle certezze, è invece molto più facile inventarsi qualcosa di diverso. Ti servono delle basse frequenze? Puoi usare un didjeridoo. Ti serve un ritmo? Puoi usare un bidone. Puntiamo molto sull’aspetto ritmico della nostra musica: la marimba, che è uno strumento fantastico e si fa perdonare di pesare quanto una cassa da morto, ci dà una grossa mano, e quello che normalmente farebbe un batterista è diviso dal vivo fra quattro mani (e quattro piedi) che suonano una kick drum, un bidone dell’immondizia, un paio di piatti e un djembé – oltre a molte altre cose.

Liriche intimistiche, etnia, sperimentazione, rock, effetto scenico: siete consci che non siete la copia di nessuno? E’ questo un vostro obiettivo primario?

Grazie del complimento – sì, ci facciamo molta attenzione. È la parte divertente. È anche la parte difficile, perché poi non si sa bene in che circuito andare a suonare, e per chi…

Da un po’ di tempo la vostra attività musicale è accompagnata da quella didattica: me ne parlate?

L'attività didattica è una delle ramificazioni fondamentali della nostra associazione culturale, altreArti. Ci occupiamo di laboratori per tutti i livelli e tutte le fasce di età, operiamo nelle scuole di ogni ordine e grado e forniamo laboratori extracurriculari di musica d'insieme sia nella nostra sede principale di strada (a Torino, in strada del Cascinotto 120 bis, al confine con San Mauro Torinese), sia in altre succursali del territorio. Ogni nostra proposta è incentrata sulla musica “popular”, dalle lezione di blues, gospel e folk nelle classi, agli ensemble monostrumentali, alle band… (https://www.facebook.com/altreartijam)

Qual è nella vostra scuola il tipo di approccio nell’affrontare l’argomento “musica” con un adolescente fornito di passione e buona volontà? Che cosa offrite di diverso rispetto ai luoghi tradizionali?

La nostra metodologia nasce da anni di esperienza sul campo, e dal desiderio di creare una realtà non solo in grado di trasmettere l'amore per la musica, ma anche di plasmarsi a 360° con la sensibilità e i bisogni dell'allievo, sia questo un bambino, un adolescente o un adulto. Quello che ci contraddistingue è l'approccio pratico, diretto: chi studia con noi impara fin da subito a mettere le mani sullo strumento e a creare un “suo” suono. La teoria e la tecnica arrivano in un secondo momento: sono invece fondamentali l'esperienza della musica d'insieme, l'interazione con gli altri musicisti, l'ascolto, la sonorizzazione e il ri-arrangiamento di qualunque canzone o genere musicale attraverso l'improvvisazione, l'estro e il gusto personale. Che è un po’ quello che cerchiamo di fare anche nella nostra musica…

Meglio  il live o lo studio di registrazione?

Li amiamo entrambi, per motivi diversi. Senza la dimensione live, sarebbe difficile esistere come gruppo e progredire musicalmente. Ma, da feticisti del suono, ci piace anche molto lavorare in studio sui piccoli dettagli. Anche troppo.

Che cosa avete pianificato per l’immediato futuro?

Il nostro primo LP, finalmente! Ci sono già 9-10 canzoni in pre-produzione. Lo registreremo probabilmente in autunno, e speriamo veda la luce all’inizio del 2016.
La Stanza Di Greta live…