lunedì 14 settembre 2015

Suoni e rumori, gioie e dolori: qualche riflessione rivolta a... TUTTI!


Per motivi professionali mi capita spesso di raccontare, a chi è obbligato ad ascoltarmi, che cosa significhi lavorare in modo sicuro.
Ho usato appositamente il termine “obbligato”, perché è alla base dello scarso successo di argomenti che, nel pensiero generale sono, cito testualmente frasi raccolte in rete, “… le invenzioni dello stato per creare bisogni inesistenti in chi già svolge il proprio mestiere seriamente”.
E’ una visione errata della realtà, se si pensa alla materia in questione, perchè la maggior parte dei problemi che minano la nostra salute avvengono in luoghi a noi cari e ritenuti sicuri, lontano da quel demone che ha le sembianze del luogo di lavoro, e il motivo è, nella maggior parte dei casi, un comportamento inadeguato.
E’ a mio giudizio un problema sociale che riguarda la persona  in ogni sua azione, al lavoro, nel tempo libero, tra ozio e attività, e andrebbe trattato come tale, proponendo un argomento così importante, che ha che fare con il nostro benessere, attraverso un impegno scolastico, per riuscire a creare una cultura adeguata, anziché imporre delle leggi.
La vita privata si mischia quindi alle professioni e la mia lunga esperienza lavorativa -non è un vanto affermare di essere “antichi”!-, spesso in giro per il mondo, mi porta ad affermare con assoluta certezza che non esiste una separazione netta in grado di sezionare e modificare i nostri comportamenti a seconda della porzione di giornata.
L’esempio di cui voglio parlare è legato alla musica, mia vera passione, e nelle mie docenze si arriva spesso a toccare il topic "rumore" -che sconfina nel suono- con esempi relativi.
L’esposizione prolungata al rumore è causa di una malattia professionale, l’ipoacusia, e la presa di coscienza del problema ha fatto sì che siano stati stabiliti dei limiti, oltrepassati i quali diventa un obbligo la protezione.
E’ bene dire intanto che il suono/rumore è… rappresentato dalla propagazione di energia meccanica in un fluido elastico (gas, liquido, solido) che è in grado di eccitare il senso dell’udito. Ma non esiste una precisa distinzione tra i due stati, in quanto la sgradevolezza del rumore ed il piacere sonoro sono fattori soggettivi, e se è vero che una bella melodia proposta ad elevato volume può infastidire, la percussione di un martello su lamiere di diverso spessore può diventare “agreable”, se il “picchiare” è contenuto.
C’è stato un tempo in cui i palchi di tutto il mondo regalavano migliaia di watt a folle oceaniche, le stesse potenze che investivano i musicisti a pochi passi di distanza.
Erano quelli suonatori ventenni o giù di lì, quell’età in cui si pensa che niente possa fare male, non certo la musica rock, anche se suonata ai massimi volumi. Ma immaginare un rock soffuso sembrerebbe cosa di poco senso!
Sono molti i “sordi” provenienti dai seventies, ma quello che prendo sempre come esempio durante i corsi è Pete Townshend, mitico chitarrista dei The Who, gruppo conosciuto anche dai più giovani per effetto della colonna sonora di C.S.I.
Pete è sordo come una campana, e non sono serviti i suoi notevoli mezzi economici per risolvergli il grave problema.
Pete è sempre stato anche un po’… irascibile, e nel filmato a seguire, relativo credo al 2000, si spazientisce quando vede spuntare tra il pubblico gli earplugs “usa e getta”, quelli che, se usati dalla pluralità delle persone, colorano significativamente l’ambiente.
Townshend si rivolge a loro con la famosa frase: “It’s too late”, it’s always too late!”, ed è abbastanza facile pensare ad un'audience formata da non più giovani, secondo il chitarrista corsi ai ripari troppo tardi.


Pete Townshend soffre di TINNITUS, che è il nome latino dell’acufene, che è una patologia che colpisce l’orecchio umano, portandolo a percepire rumori costanti, in forma diversa (che siano fischi, ronzii, pulsazioni o fruscii) ed è causata da molteplici fattori, uno dei quali è l’esposizione continua a suoni di forte intensità (come nel caso del chitarrista) che provocano una progressiva perdita dell’udito. E quando il danno diventa definitivo, non solo non si sente più, ma nell’orecchio si forma un ronzio permanente, che si accompagna al fenomeno del recruitment («rafforzamento») che abbassa la soglia di fastidio alla presenza di un rumore molto forte. In pratica, si sente dolore molto prima degli altri.

Dice il Dottor Claudio Albizzati: “«Cure vere e proprie per l’acufene non ve ne sono. Le medicine fanno poco, per non dire nulla, e gli stessi “mascheratori”, che sono simili agli apparecchi acustici e producono una serie di rumori bianchi o rosa, funzionano poco e male e sono più teorici che pratici. L’unico rimedio possibile è la prevenzione, ovvero non ascoltare la musica ad un volume altissimo, come invece purtroppo fanno oggi molti ragazzini con le cuffiette dell’ipod, né esporsi volontariamente a suoni di elevata intensità per lungo tempo. Solo il rispetto per le nostre orecchie può, quindi, aiutarci a tenere lontano l’acufene per il quale, lo ripeto, non c’è soluzione ma su cui, al contrario, c’è molta superficialità e disinformazione».

Ammesso che si tenga alla propria pelle -tutto da dimostrare in moltissimi casi- possiamo dire che non è necessario dotarsi di un fonometro (anche se esistono app gratuite per i nostri telefonini) per misurare i decibel, giacchè siamo in grado di proteggerci seguendo il nostro eventuale disagio personale, quei segnali che ci arrivano direttamente dal nostro corpo.
Ma quanto vale un decibel? Non è facile riconoscerlo, come facciamo con il chilogrammo o il metro, unità di misura con cui abbiamo dimestichezza!
Facile. Sto svolgendo una lezione in aula e per farmi ascoltare da tutti alzo un po’ la voce: mediamente raggiungerò i 65 decibel e quindi una normale conversazione ne prevede circa 60, mentre ai 30 rilevati in una biblioteca silenziosa si possono contrapporre gli oltre 130 caratteristici del decollo di un aereo.
Non so esattamente a cosa corrisponda la TECHNO sparata al massimo in discoteca, ma è facile presupporre un altissimo rischio legato ad esposizione prolungata.
Il primo limite di legge, quello che in ambiente lavorativo produce le azioni iniziali, è quello degli 80 decibel -gli step successivi sono 85 e 87-, valore che, senza entrare nel dettaglio, produce una serie di precauzioni che partono in primis dalla protezione individuale, sempre e ovunque possibile, e in modo relativamente semplice.
Io sono un assiduo frequentatore di concerti e riflettendo su situazioni simili vissute da adolescente, quanto la tecnologia non era certo dalla nostra parte, mi viene da pensare che a quei tempi mai avrei avuto cura del mio udito -anche se… mi volevo molto bene-, perché si era culturalmente impreparati al riconoscimento del pericolo e ai risvolti negativi verso la persona, e chi fa parte della mia generazione ricorderà bene, probabilmente con nessuna nostalgia, il tempo in cui si assisteva al cinema domenicale con una cappa bianca sopra la testa, prodotta dalla valanga dei fumatori che nel tempo avrebbero poi pagato le ovvie conseguenze -così come probabilmente pagheremo in parte anche noi, fumatori passivi.
Ora che sono “saggio” viaggio sempre con in tasca i miei protettori auricolari, colorati e cool.
Lo scorso anno, ad un concerto dei Big One, mi si avvicina un amico fotografo, nell’occasione impegnato professionalmente; ha dimenticato i suoi tappini a casa e mi chiede se ne ho un paio per lui perché, prosegue: “… non posso ascoltare il concerto, ma devo lavorare, e la musica alta mi infastidisce”.
Questo è un aspetto pericoloso, che in qualche modo contraddice una mia affermazione precedente, quella relativa alla possibilità di autoregolarsi per mantenere il giusto livello.
Traduco: se ascolto concentrato e rilassato qualcosa di “pericoloso” nei volumi, ma piacevole per la tipologia di ascolto, non avverto fastidio mentre la stessa atmosfera sonora, subita mentre l’attenzione è rivolta alla professione, diventa inaccettabile?
Da rifletterci su, io intanto suggerisco a tutti i miei amici musicisti e frequentatori di eventi live di avere cura del proprio udito, di pensare per tempo alle conseguenze di azioni inaccettabili nel momento in cui nasce la consapevolezza dei rischi a cui si va incontro.
E quando le probabilità diventano certezze forse è davvero… too late”, come Pete Townshend sentenziava. 
Ma qualcosa forse si sta muovendo, e il messaggio di speranza mi è arrivato proprio in questi giorni, quando ho assistito alla performance di una band vicentina, i Syncage, il cui giovanissimo bassista, Daniele Tarabini, sotto ai lunghi capelli nascondeva i famosi “tappini colorati”, per attenuare la potenza che certa musica richiede.
Un ragazzo saggio, che d’ora in poi porterò con me come esempio, nella speranza che l’opera di sensibilizzazione proposta con un sample calzante possa essere ancora più efficacie, e che l’immagine diventi complementare al verbo.
Dice Tarabini:" Occore avere consapevolezza dei danni che un sistema di amplificazione tradizionale causa alle orecchie, che altro non sono che i nostri principali strumenti di lavoro...".

Grazie Daniele!




“Ho perso il 70% dell'udito all'orecchio sinistro. Continuo a incidere dischi, ma ho dovuto smettere di fare concerti”.
Phil Collins