martedì 12 febbraio 2013

Franco Battiato al Teatro Carlo Felice


Da circa 39 anni non vedevo Franco Battiato dal vivo.
A quell’epoca ero in piena adolescenza, tendente all’hippy, e l’occasione  fu un festival alla “Woodstock”, ma ad Altare, nell’entroterra ligure; due giorni all’aria aperta, 48 ore che terminarono mentre Battiato era intento a far esplodere suoni che all’epoca erano per me incomprensibili, e mentre i miei genitori mi riportavano all’ovile tiravo un sospiro di sollievo. Non era la musica di Battiato la vera causa del mio malessere, ma il disagio che avevo provato coincideva con una performance a cui non ero preparato, e l’intransigenza tipica della gioventù mi aveva portato a bocciare la mezz’ora di suoni a cui avevo assistito.
E’ un uomo profondamente diverso quello che ho trovato il 9 febbraio al Teatro Carlo Felice di Genova, un musicista che in questi anni ho sempre seguito con piacere, toccato e incuriosito dalla sua musica, dal suo pensiero e dal suo modo essere artista.
Sono evidentemente in molti quelli che la pensano come me, ed in un momento socialmente così difficile, dove le risorse mancano e il morale  delle truppe ha toccato il punto, probabilmente, storicamente più basso, trovare un luogo da 2000 posti strapieno ha un significato ben preciso, e forse due ore di buona musica, in compagnia del giusto artista, possono essere una fonte di sollievo e una spinta verso la riflessione.
Apre il concerto Giovanni Caccamo, un giovanissimo musicista siciliano capitato più o meno casualmente sulla strada di Battiato - che ne ha immediatamente intuito la genuina potenzialità -  e che nell’occasione presenta quattro brani, due accompagnandosi al pianoforte.
Una novità per l’attento pubblico, che dimostra di apprezzare le tematiche esistenzialiste di Caccamo, e accetta incondizionatamente, per induzione, una proposta che appare comunque interessante, sia per contenuti che per il modo di proporli:


Il tour di Battiato consente la presentazione del nuovo album, il ventottesimo, “Apriti Sesamo”, e i brani che lo compongono sono quelli della prima parte di spettacolo.
Ciò che viene messo in scena è il sunto di una vita, l’intera evoluzione raccontata attraverso canzoni storiche. Ognuno può scegliere, interpretare, giudicare, e non c’è bisogno di far parte dello zoccolo duro, quello dei fan irriducibili, per arrivare a graduatorie universali.
Franco Battiato è una figura mistica e… terribilmente terrena, materia e spirito, preghiera e rivoluzione.
I primi quarantacinque minuti lo vedono  cantare seduto, quasi immobile, con le sole mani ad accompagnarsi, guidando un ensemble musicale di primo ordine (nel filmato a fine post è lo stesso Battiato a presentarlo), dove gli strumenti tradizionali si sommano ad un quartetto d’archi, e dove le tastiere interagiscono con gli ordinatori.
Il tappeto orientale su cui è seduto contribuisce a illuminare il dettaglio, un uomo saggio che entra in piena sintonia col pubblico e cerca di trasmettere i suoi valori, il suo credo, e qualche spiegazione a tutto ciò che trascende. E’ un lungo momento di intimità, e creare un magico e silenzioso attimo di estrema sintonia, di corrispondenza totale tra le parti, appare fatto difficilmente spiegabile con le sole parole.
Questo è l’ultimo Battiato, quello che sciorina i brani del nuovo disco, pieno zeppo di pulsante cultura, mentre sullo sfondo scorrono immagini suggestive.
Sembra quasi inchiodato nella sua posizione meditativa, mentre il cambio di marcia è in arrivo. Non è meglio, non è peggio, ma è tutta un’altra cosa, perché il Battiato che si alza e si avvicina al suo pubblico ballando e toccando ogni mano possibile, suscita entusiasmo. L’austero Teatro perde la razionalità e si avvicina al suo beniamino, mentre passano uno dopo l’altro “Bandiera Bianca”,“Up Patriots to Arms”, “L’era del cinghiale bianco”, “Voglio vederti Danzare”, “Cuccurucucu”, dopo che anche “La Cura” e “La stagione dell’amore” hanno colpito mente e cuore.
Battiato cambia volto, e nell’entusiastico incontro col pubblico ritrovo il vero, l’unico significato di “evento live”.

Il bis regala il terzo lato del triangolo serale, e il medley anni ’70 - una precisa volontà dei fan - mi riporta a quell’antica serata di tanti anni fa, descritta all’inizio, e questa volta i suoni di Battiato non sono per me “ostili”.



Ancora un sassolino da levare dalla scarpa, e “Inneres Auge” trancia un giudizio netto e applaudito sulla nostra classe politica:


Un occhio interiore - o terzo occhio - che appare necessario coltivare, seguendo una linea “verticale”, protesi “verso lo spirito”.
Una grande emozione Monsieur Battiato!