mercoledì 27 febbraio 2013

Alessandro Monti-Unfolk+Live Book


Dopo una serie di disavventure organizzative, non certo interessanti per i lettori, sono venuto in contatto con una musica ed un musicista imperdibile. Mi riferisco ad Alessandro Monti, artista veneziano dall’indole itinerante.
Ciò che ho ascoltato è un doppio CD, Unfolk+Live Book, che raccoglie una vita di suoni e di situazioni.
Come al solito resta determinante il pensiero dell’autore, esposto a seguire, che risulta il modo migliore per entrare in un mondo affascinante, tutto da scoprire e, soprattutto, da condividere.
Partiamo dai dati oggettivi.
Il primo CD è la riproposizione del lavoro di “start up” di Monti, quell’ Unfolk nato nel 2006, e ora rimasterizzato con l’aggiunta di alcuni inediti. La riedizione dell’album aveva come obiettivo la creazione di una nuova veste, che potesse raggiungere canoni di estrema qualità, per effetto delle cure di un professionista assoluto, Jon Astley, non uno qualunque! Operazione riuscita.
Il secondo CD è live, Live Book, con estratti da due soli concerti disponibili, realizzati sull’asse  Venezia-Leicester, basato sul materiale compreso nel secondo disco, il concettuale The Venetian Book Of The Dead, che vede la partecipazione del chitarrista e vocalist Kevin Hewick.
Intanto è bene sottolineare come Alessandro Monti lasci trasparire, senza alcuna volontarietà, la status di genio musicale, rilasciando con estrema semplicità una musica che sembra la sintesi dell' impegno musicale di lustri… il tutto in una sorta di contrasto che si può riassumere nell’urlare con moderazione, nel proporre tematiche sociali enormi attraverso suoni dolci e sognatori.
Pare l’inventore di un nuovo genere, quell’unfolk che non rappresenta una negazione ma una evidenziazione di diversità.
Tutto il primo album è caratterizzato dal suono del mandolino, una vera scoperta che cambia la vita quando avviene in età matura, quando cioè si pensa di avere molte certezze musicali e all’improvviso si aprono nuovi e positivi orizzonti. E di quei suoni non si riuscirà più a fare a meno.
Altro elemento importante è il tema del viaggio, che significa ampliamento culturale riversato poi sulle creazioni proprie. Ma significa anche nuovi stimoli, scoperte strumentali, sfumature ambientali, conoscenze umane e interazioni che conducono verso percorsi musicali impensabili.
E tutto questo va condiviso, soprattutto nella fase originale, quella della nascita, da cui poi dipenderà la piena accettazione da parte del pubblico.
Il gioco di squadra - anche questo è spesso una tardiva e felice scoperta - porta alla definizione di “collettivo”, l’ensemble che lavora con e attorno a Monti, creando trame uniche, che uniscono acustica, elettronica, etnia, sperimentazione ed un folklore trasversale, che pare non avere precise coordinate spaziali e temporali.
Il  secondo CD introduce novità.
Intanto è live…
E poi racconta di accadimenti drammatici e di morti legati al degrado ambientale e manageriale di Venezia e dintorni.
Ciò comporta l’utilizzo di testi e di un elemento nuovo, Kevin Hewick, la cui voce potrebbe da sola dare l’impronta ad un intero album.
Un po’ più elettrico, un po’ più tipico, strutturalmente parlando, questo concept, nel descrivere una situazione particolare, si adatta ad atmosfere e temi universali, uscendo da una iniziale dimensione ridotta, arrivando  rapidamente ad una rappresentazione globale, che assume valore assoluto perché raggiunta attraverso mezzi e metodi originali, qualcosa a cui pare nessuno abbia mai pensato.
E ritorno alla genialità di un  musicista che sembra veda chiaro anche nel buio, riuscendo ad inventare metodi espressivi innovativi, racchiusi a parole nell’etichetta unfolk.
Riassumo.
Un viaggio di cui non si cerca la fine…
Tanti compagni, nella speranza che aumentino…
La continua ricerca, tra tradizione e novità…
L’impressione è che Alessandro Monti sia solo all’inizio… nel suo cassetto ancora molte frecce mai scagliate, ma i calcoli non c’entrano, non ci sono pianificazioni e botti a orologeria… la musica uscirà da sé, al momento opportuno.
E che la condivisione abbia inizio!



L’INTERVISTA

Partiamo dal doppio CD che ho nelle mani, “Unfolk+Live Book”. Puoi sintetizzare la genesi e il percorso realizzativo?
Si tratta della ristampa del mio primo lavoro solista (Unfolk appunto) in versione rimasterizzata, arricchita da vari inediti e un intero cd extra registrato live e in studio, ma con materiale appartenente al concept successivo "The Venetian Book Of The Dead". Io lo chiamo "The Young Person's Guide To Unfolk" (!) perché in effetti é una bella sintesi del nostro percorso. Il primo cd era stata una completa autoproduzione ed era uscito in un'edizione limitatissima di 350 copie. Nonostante questo si era guadagnato un piccolo spazio di culto tra il pubblico alternativo, grazie anche al catalogo indipendente Cd Baby (vedihttp://www.cdbaby.com/cd/alessandromonti) al cui interno erano apparse recensioni entusiastiche. In passato avevo collaborato con numerose band dell'area veneziana (tra cui gli amici Quanah Parker), ma soprattutto avevo realizzato due lavori "ambient" con Gigi Masin (1986-91) che si sono guadagnati nel tempo un grande numero di appassionati, soprattutto all'estero:
Poi avevo pensato di interessarmi alla produzione ed avevo avuto una grande occasione negli Usa producendo i Caveman Shoestore nel 1992, un gruppo di musicisti in bilico tra grunge e prog (!) e che sarebbero andati avanti collaborando addirittura con il grande Hugh Hopper dei Soft Machine. Francamente non avevo mai pensato di iniziare una mia avventura solista fino a quando non ho acquistato un bel mandolino in Irlanda e ne é uscito Unfolk, che successivamente é divenuto il nome del progetto e del Collettivo di musicisti.
L’incontro con Jon Astley appare come una svolta nella tua vita professionale. Come è avvenuto e come ha realmente inciso sul tuo percorso musicale?
Per spiegarti questo link devo partire da Kevin Hewick: ci siamo conosciuti tramite il vecchio myspace e siamo rimasti in contatto per mesi. Io avevo i suoi dischi degli anni ‘80 (su Factory e Cherry Red); Kevin era - ed é tutt'ora - una delle voci più belle di tutto il post punk inglese, con radici nel classic rock, nella new wave e nel folk alternativo (da Bob Dylan a Neil Young, dai Joy Division ai Led Zeppelin). Volevo registrare un tributo alla mia città Il Libro Veneziano dei Morti ("The Venetian Book Of The Dead") per dedicarlo a tutte le vittime del Petrolchimico di Porto Marghera; così ho deciso di spedirgli le basi strumentali nella speranza che potesse magari inserire delle voci… é stato così entusiasta dei pezzi e della tematica da venire qui a Mestre e registrare l'intero album! Mentre era qui abbiamo capito quanti ascolti avevamo in comune (King Crimson, Genesis, Vdgg, Dylan, Miles Davis ecc.). Il disco era talmente bello che volevo avesse un suono il più professionale possibile. Così dopo una serie di emails, su suggerimento di Steven Wilson, Kevin mi ha consigliato il grande Jon Astley che ha una politica molto interessante per gli indies con prezzi molto inferiori a quelli delle majors. Considero il mastering un momento fondamentale nella produzione di un cd e così ho deciso di spendere qualche soldo in più e farlo con lui: credo che abbia fatto un lavoro straordinario in The Venetian Book Of The Dead e ho voluto che eseguisse anche il remaster del primo lavoro. Ti confesso che sono fiero che Unfolk sia stato toccato dalle stesse mani che hanno toccato perle come "All Things Must Pass", "Led Zeppelin IV", "Who's Next" o "Small Faces"… Jon é anche una persona gentilissima e cordiale.
L’idea che ci si può fare, avvicinandosi superficialmente al tuo mondo, è quella di trovarsi al cospetto di un talento che emerge per caso, e che si fa largo senza forzare più di tanto la situazione? E’ una valutazione totalmente fuori strada?
E' tutto così strano: io ho scelto di non essere un musicista "professionista", ma di dedicarmi alla musica dal punto di vista puramente artistico ed espressivo. Non so che forza misteriosa abbia contribuito alla riuscita della mia visione musicale ma tutto, dalla copertina alla musica, per me é stata pura magia.
Venezia e la sua laguna. Quanto può essere influenzato un musicista dal luogo in cui vive?
Io sono per metà Veneziano (madre) e per metà Romano (padre) ma, nonostante sia andato spesso a Roma e ami molto quella città, ho vissuto sempre a Venezia-Mestre. Nel caso del mio secondo lavoro, The Venetian Book Of The Dead, l'influenza della mia città é stata totale, essendo un lavoro di denuncia sulla situazione ambientale in cui ho vissuto. Ma nel caso del primo, Unfolk, ho semplicemente tracciato una sorta di  geografia dei miei viaggi, ma ho condito il tutto con il mito di un musicista immaginario in cui peraltro mi sono identificato in pieno. Qualcuno ha colto delle antiche influenze Veneziane nel primo lavoro: ci sono senz'altro in alcuni punti e ne sono orgoglioso... pensa che un brano inedito é la famosa Peregrinazione Lagunaria, un pezzo tradizionale di autore anonimo. 
Mi parli del tuo impegno sociale, portato avanti attraverso la tua musica?
Appartengo ad una generazione di artisti in cui l'aspetto dei testi é stato molto importante, sia dal punto di vista sociale che politico. Credo che un artista abbia il dovere di comunicare dei messaggi importanti attraverso le sue opere… ho cercato di farlo con il "Libro Veneziano", ispirato dal libro di Gianfranco Bettin "Petrolkimiko". Credo che l'impegno sia un aspetto che completa l'altro lato della mia musica, quello più strettamente musicale ed esoterico (del primo "Unfolk").
I viaggi sono in genere una incredibile fonte di stimoli. Cosa significa per te venire a contatto con nuove culture?
Gioia infinita e scoperta senza fine: sono un entusiasta della musica etnica e cerco sempre di portare a casa dai miei viaggi qualcosa da poter suonare ed utilizzare nei miei lavori…  
Faccio un po’ di fatica nel collocare la tua musica in qualche categoria conosciuta -  e ne sono felice. Tu come la definiresti?
"Non folk", ovvero quel folk immaginario che può essere o non essere, e può contenere qualsiasi stile o trasformazione. Un pezzo del doppio cd si intitola Secular Kosmisch Folk, un termine che avevo creato quasi per gioco per definire la mia musica. Secular sta per musica antica "profana", che si differenziava da quella religiosa; Kosmisch é un riferimento alla musica dei Corrieri Cosmici degli anni 70 (un pezzo é dedicato a Florian Fricke, grande ispirazione del mio lavoro); mentre Folk non ha bisogno di essere spiegato, ma é importante comprendere che la musica popolare é una materia organica che si evolve con i tempi inglobando tutto il possibile. Ho notato che molti hanno trovato accostamenti lontanissimi, dal prog alla musica etnica, dalla new wave al folk rock, dall'elettronica al jazz: per me é un buon segno! 
Come nasce in Alessandro Monti l’amore per la musica? Quali gli esempi seguiti?
Sono cresciuto in una famiglia in cui si ascoltava molta musica: mio padre aveva costruito con le sue mani un vecchio mobile giradischi. Ricordo che da bambino ero rimasto affascinato da un "microsolco" che si trovava su una mensola, la Sagra della Primavera di Stravinsky, un'opera fondamentale! La vera scoperta della musica é stata un momento sconvolgente: avevo 11-12 anni (circa 1971-72), un'emozione indescrivibile e che non si é più fermata. Così appena ho avuto la possibilità ho iniziato ad acquistare 45 giri, cassette e poi sono passato agli albums. Il primo disco serio che ho deciso di comprami era dei Van Der Graaf Generator, tutt'ora una delle mie bands preferite. Oggi ascolto soprattutto classica, antica, jazz e molta musica etnica…
Abbiamo una cosa in comune, l’incontro casuale - e il successivo amore - per il mandolino, strumento che una volta conosciuto ti rimane attaccato per sempre. Che cosa ti da in più rispetto a tutti gli altri strumenti?
E' davvero impossibile da spiegare… dal primo momento che ho sentito quel suono (in The Battle Of Evermore) sono rimasto letteralmente in estasi. Credo che dipendesse molto anche dal tipo di effetti e ambience di quella registrazione, ma ogni volta che nei dischi sentivo un mandolino ero felice. Io resto soprattutto un bassista e forse il doppio remaster esaurisce quello che volevo fare con il mandolino. Dopo i miei lavori come Unfolk sono tornato al mio vecchio strumento, il basso. Ho intenzione di mettermi a studiare la musica seriamente.
Forse c’è un’altra cosa che abbiamo in comune, il piacere del lavoro di squadra. Sbaglio nel dire che è una cosa in cui credi molto?
Hai assolutamente ragione e sono felice che tu abbia colto il mio concetto di "Collettivo". Ognuno dei musicisti ha dato un contributo determinante agli arrangiamenti. Se ho fatto qualcosa di valido é stato certamente l'aver scelto i giusti amici per creare pezzi diversi, ben sapendo le loro caratteristiche: senza di loro il lavoro sarebbe stato molto diverso.
Che cosa hai pianificato, o cosa speri di realizzare, nell’immediato futuro?
Vorrei ampliare questa mia piccola etichetta Diplodisc (marchio non depositato), un'occasione per produrre cose interessanti che non voglio assolutamente restino in un cassetto. Il prossimo lavoro é pronto: si tratta di "Spirali", il primo cd solista di Massimo Berizzi, tromba del Collettivo Unfolk, in cui partecipo al basso e alle percussioni etniche; un lavoro indefinibile che definirei "post jazz". Infine ho l'idea di un omaggio a Don Cherry, musicista che amo e che potrei davvero definire Unfolk per la sua visione multietnica... ho decodificato dai dischi (Relativity Suite e Brown Rice) le strutture portanti del basso di Charlie Haden e ne vorrei dare una mia personale rilettura... forse un giorno, chissà!