giovedì 31 marzo 2011

La scomparsa di Big Jack Johnson


Il leggendario chitarrista, mandolinista e cantante Big Jack Johnson si è spento alle sei di mattina di lunedì 14 marzo nella sua città natale di Clarksdale, Mississippi, dopo aver combattuto una lunga battaglia contro una brutta malattia nell’ospedale di Memphis, Tennessee. Aveva 70 anni. 
A darne la triste notizia il cugino, anch’egli valente musicista blues noto con il soprannome di "Super Chikan". Il suo stile ruvido e diretto tipico del down home blues del Mississippi aveva fatto guadagnare a Johnson il rispetto di decine di fan sparsi in tutto il mondo, Italia compresa, paese in cui il bluesman si è spesso esibito. 

Big Jack nasce a Lambert, Mississippi nell'estate del 1940 e a tredici anni è già un provetto chitarrista. La sua attività di musicista inizia nei primi anni Sessanta prima con i Nighthawks e poi con i mitici Jelly Roll Kings, che comprendono oltre a lui, due giganti del Delta blues come Frank Frost all’armonica e Sam Carr alla batteria. Johnson fa la sua prima apparizione su disco negli anni Sessanta come chitarrista in due famosi album dello stesso Frost, Hey Boss Man e My Back Scratcher. 
Nel 1979 registra con Frost e Carr il disco d’esordio della Earwig, l’etichetta fondata da Michael Frank. L’album è un capolavoro di essenzialità e si intitola fatalmente Jelly Roll Kings/ Rockin 'The Juke Joint Down. Nella seconda metà degli anni Ottanta incide il suo primo disco solista. The Oil Man che prende il nome dal suo lavoro giornaliero di autista di cisterne. A quel debutto seguiranno altri cd sempre di forte e genuino stampo elettrico incisi per diverse etichette tra cui Earwig, MC Records, Rooster Blues, P-Vine e altre ancora. Nel 1997 si riunisce agli ormai leggendari Jelly Roll Kings per incidere lo splendido Off Yonder Wall pubblicato dalla Fat Possum. Nel 2002 Johnson in coppia con Kim Wilson incide il bellissimo The Memphis Barbecue Sessions, in cui è ospite anche Pinetop Perkins. 
Qualche anno prima, nel 1992, Big Jack, che ho avuto la fortuna di incontrare a casa sua ovvero nel juke Joint di Red Paden a Clarksdale Mississippi, appare in Deep blues di Robert Mugge, uno dei più suggestivi documentari sulla terra dove il blues è nato. In quel film traspare non solo tutto il suo talento musicale ma anche la sincera espressività di una persona buona, gentile e generosa. Big Jack Johnson era lultimo dei Jelly Roll King ancora in vita. 

Adesso è oltre i cancelli del cielo a suonare nuovamente con gli amici di sempre Frank Frost e Sam Carr. E così ci piace ricordarlo: come un gigante buono che ci sapeva cullare con l’intensa dolcezza del suo blues. Goodbye Grande Jack. Ci mancherai.
(Fabrizio Poggi)

mercoledì 30 marzo 2011

Bernardo Lanzetti a Londra


Qualche news dal mondo “Lanzetti”. Qualcuno mi ha detto che….

"Dopo la recente collaborazione con il Trio CCLR (Cavalli Cocchi-Lanzetti-Roversi, vedi comunicato stampa ufficiale: http://athosenrile.blogspot.com/search/label/Bernardo%20Lanzetti-Savona), Steve Hackett si è incontrato a Londra, a metà marzo, con Bernardo.

Nell'occasione, dopo una lezione di canto durata meno di trenta secondi, con grande sorpresa e soddisfazione, Steve ci ha autorizzati a riportare che il suo "singing" è istantaneamente migliorato."




"Da segnalare anche la visita del Lanzetti alla Galleria d'Arte Moderna "Halcyon" allestita all'interno dei leggendari Magazzini Harrods dove non poteva mancare una foto a fianco di un dipinto originale di Bob Dylan."

Chissà cosa ci riserverà il futuro...



lunedì 28 marzo 2011

Runaway Totem- "Le Roi du Monde"


Non molto tempo fa sono entrato in contatto col mondo “Runaway Totem”, e ho successivamente raccontato le mie impressioni relative all’album live del 1994, “Ai Cancelli dell’Ombra”, da poco in distribuzione:


Devo dire che esprimere giudizi rappresentativi del pensiero di RT è cosa per me complicata, perché penetrare nell’intimo, carpire le fondamenta della filosofia e, soprattutto, trasferire la sostanza nella maniera corretta, potrebbe condurre a un momento di decisa frustrazione. Fortunatamente è proprio Runaway Totem che racconta la sua verità, nelle righe a seguire.
Io posso solo chiudere gli occhi, dimenticare le parole lette e ascoltate, e lasciarmi andare, unico metodo che conosco per dare un contributo, se non professionale, almeno sincero.
La prima cosa che mi ha colpito di questo disco è il titolo, anzi, i titoli dei tre brani. La seconda evidenziazione riguarda le immagini contenute nel booklet. Tutto questo prima che ascoltassi l’album. Il mio poco tempo libero ha determinato (ma forse non è fatto casuale) la priorità delle mie osservazioni.
Parto dalla seconda, da quello che ho forse impropriamente chiamato booklet, ma che è in realtà un mosaico di pitture incredibilmente belle. Lascio la spiegazione a RT che risponde a mia specifica domanda, nell’intervista a seguire.
Il poster è composto da dieci quadratini, illustrazioni di ciò che la musica vuole raccontare. In realtà i soggetti, i fantastici colori e l’interconnessione dei singoli “pezzi” potrebbero ispirare una qualsiasi fiaba, una qualsiasi poesia, un qualsiasi romanzo.
All’interno del disegno generale, le parole: “Il Giardino del Nocciolo e del Melograno”, “Le Marriage du Soleil et la Lune”, “La Città Azzurra del Sole”.
L’impatto che l’immagine generale regala è fortissimo, e credo che tale picture possa essere considerata importante quanto la musica proposta.
La mia quarta domanda verteva sul “… matrimonio tra Sole e Luna..”, perché nella mia interpretazione rappresenta simbolicamente differenti sentimenti, racchiusi in un momento catartico. Il Sole e la Luna, due corpi astrali che hanno ispirato milioni di canzoni, poesie, racconti; due elementi con cui conviviamo da quando arriviamo su questa terra, sino alla fine e forse oltre; un uomo, il Sole, e una donna, la Luna, che alternativamente sanno donare luce, ma mai nello stesso momento. Un uomo e una donna che si rincorrono e non si incontrano quasi mai... e quando lo fanno è per poco, e tra un incontro e l’altro il tempo non è certo breve. Ecco... rappresentare musicalmente “ Le Marriage du Soleil et la Lune”, è qualcosa di estremamente poetico, tra sogno e speranza.
I tre brani raggruppati regalano 68 minuti di musica davvero articolata. Accanto all’utilizzo di strumenti tradizionali, c’è spazio per la sperimentazione, quell’osare, quel cercare il nuovo, che a volte passa obbligatoriamente (sembrerebbe una contraddizione) per strumenti antichi, di differenti tradizioni culturali.
Ma oltre ai sei componenti ufficiali, Runaway Totem, si avvale della collaborazione del “Modern Totem Ensamble” (una delle domande verte proprio su questo), un set di dodici artisti che comprende musicisti classici (Violino, Cello, Contrabbasso, Flauto, Oboe, Tromba, Trombone e Vibrafono), un poeta, un pittore, un fotografo e un gestore per il web, tutti coinvolti nello stesso progetto, ognuno con una parte, ma inseriti nel disegno generale.
Due lunghe suite e un brano più contenuto, mi hanno portato in una dimensione da sogno.
Atmosfere da paesaggio antico, dimensioni oniriche, voci soavi, frequenti cambi di trama.
C’è anche un deciso rock (che non avevo percepito ne “Ai Cancelli dell’Ombra) e l’attento ascolto riporta su tracce di percorsi noti, tra VDGG e Genesis.
E’ un album che, a mio avviso, suggerisce la condivisione e l’ascolto collettivo, perché certe sensazioni assumono altro valore se vissute collegialmente.
Ma forse tutto questo, il “Sole e la Luna” lo hanno già capito!


L’INTERVISTA

Ho da poco ascoltato e commentato “Ai Cancelli dell’ombra”, album dal vivo datato 1994. So che per Runaway Totem le dimensioni spaziali hanno poco significato, ma che tipo di collegamento esiste tra due album così lontani tra loro, temporalmente parlando?
Innanzi tutto bisogna premettere che sono due lavori di progetti diversi. “Ai cancelli dell'ombra” è un album live che fa parte del ciclo delle “Reminescenze”, e si tratta della futura pubblicazione di registrazioni live tenute prima della “entrata nell'Ombra” di Runaway Totem da eventi live. “Le Roi du Monde”, album appena rilasciato, fa parte del ciclo del “NOUS”. Le Roi du Monde è il III° movimento di “4 Elemenrti 5 e porta a compimento la prima sinfonia del “NOUS”. I lavori che compongono la sinfonia “4 Elementi 5” sono: ESAMERON I° movimento, MANU MENES II° movimento e appunto LE ROI DU MONDE III° movimento. Runaway Totem è orgoglioso di far convivere allo stesso tempo lavori del ciclo di “SINTESI” con lavori del ciclo del “NOUS”. Per Runaway Totem far convivere questi cicli contemporaneamente significa avvalorare la propria tesi che sta alla base della ciclicità del tempo, tesi che definisce il tempo come circolare e cioè un cerchio e non una retta con una partenza e un suo sviluppo fino all'indefinito. Applicando la formula matematica dei radianti al cerchio, si trasforma questo cerchio in un'onda sinusoidale sviluppata su due assi cartesiani X e Y, dove questo ci fa capire come il tempo abbia un continuo ripetersi in cicli simili, ma mai uguali. Cosa importante, gli elementi che di volta in volta sono al servizio di Runaway Totem ci sono da sempre e ci saranno per sempre: sia quelli già manifesti, sia quelli che ancora attendono il momento di fare la loro comparsa.

Nel “Modern Totem Ensemble”, indicato nelle note di copertina, oltre a molti musicisti di stampo classico si possono trovare altre “figure” che indicano come un progetto come quello di R.T. prescinda dalla musica, ma coinvolga tutte le forme d’arte utili alla realizzazione del progetto stesso. Che atmosfera regna in fase di realizzazione, di messa in pratica delle idee, quanto il gruppo di lavoro è sostanzioso? Difficile trovare la … coordinazione?
La “Modern Totem Ensemble” è un'entità che si manifesta e ruota attorno a Runaway Totem come un pianeta del sistema solare ruota attorno alla sua stella. Questo perché le musiche scritte e codificate nelle partiture da R.T., di questo lavoro, hanno bisogno di un'ulteriore movimento circolare. I componenti della “MTE”, come giustamente rilevato non sono solo dei musicisti classici (aggiungo veramente bravi) ma è composta anche da un poeta di cultura islamica, da un pittore che ha dipinto i quadri che compongono il libretto, da un fotografo che immortala i dipinti in forma da poter essere da tutti rimirati e ultimo e per questo non ultimo il webmaster per diffondere in rete RT. Tutto questo abbisogna di una coordinazione costante, ma ogni elemento è funzionale non a se stesso ma all'opera stessa. Come già accennato tutto questo lavoro lo si deve vedere, percepire come un sistema planetario dove al centro del sistema sta la stella e attorno ruotano i pianeti, i satelliti, e la stessa stella fa parte di un sistema più complesso di stelle, e queste stelle si conformano in galassie sino a formare l'universo. Di conseguenza il “disegno” è uno, gli esecutori sono vari, essi sono in equilibrio tra loro e questo con una regia specifica che mantiene un'armonia naturale, questa regia è creata dalla stella R.T. Va da se che l'atmosfera che regna nella realizzazione del disegno è di grande armonia ed equilibrio tra le varie componenti, e se questo stato mancasse tutti gli elementi collasserebbero come un sistema squilibrato.

Mi hanno molto colpito i dipinti interni, interessanti quanto la musica. Da cosa scaturiscono?
L'idea è nata pensando alla composizione musicale di Musorgskji “Quadri di un'esposizione”. L'innovazione è stata non musicare dei dipinti ma dipingere delle musiche attraverso le partiture e i titoli dei brani. L'artista con solo questi elementi ha creato dei lavori simbolici apportando una simbologia sacra all'interno dei dipinti. Runaway Totem è fiero di questo risultato al di là di ogni più fervida fantasia. R.T. afferma che immergersi nei dipinti di ogni brano ascoltandone la musica relativa esplicata è un'esperienza totalizzante. Il libretto costruito in questo modo non da spazio a distorsioni sensitive e concede una visione totale dell'opera pittorica. Questo risultato è figlio dell'atmosfera respirata dai vari artisti e dall'equilibrio creato dalla stella, come già esplicato nella risposta precedente.

Il “Matrimonio tra il Sole e la Luna” evoca immagini poetiche. Qual è la vera importanza di soffermarsi a riflettere sui sogni, su ciò che non è alla nostra portata, sui desideri, su ciò che verrà?
La vita, la morte, ma quale vita? quale morte? Siamo in balia della materia vita intesa come essere materiale individuale? E la morte sempre intesa come essere materiale individuale? Due estremi che se si cerca di spiegare con la materia dell'essere individuale allora siamo lontani da tutto ciò che Runaway Totem ricerca. Se però si prende la materia sogno e cioè il “se” la personalità interiore, ecco che certi arcani vengono “svelati” e non “rivelati”. La vera forza sta nel sognare e cioè librarsi nell'etere (il 5° elemento) e svelare gli intrinsechi arcani nascosti nelle immagini e nelle storie che si dipanano in essi. Collegare il cervello e il cuore per poter entrare nell'oscuro e celestiale mondo di là. Questo collegamento va da sé che è di ordine sottile, non è minimamente percepibile dai sensi come gli elementi corporei e le loro combinazioni,. Ciò che interessa è l'applicazione “microcosmica”, cioè quella fatta con riferimento ad ogni essere considerato particolarmente; a questo riguardo si rappresenta rispettivamente il “sé” e l'”Io”, la personalità e l'individualità. L'insegnamento del ”sé” all'”Io” è, da questo punto di vista interiore, l'intuizione intellettuale sovrarazionale, attraverso la quale il “sé” comunica con l'”Io”, quando quest'ultimo sia “qualificato” e preparato in modo tale che questa comunicazione possa effettivamente stabilirsi. Due compagni inseparabili che risiedono uniti su uno stesso veicolo (corpo materiale individuale)! Il “sé” è solo potenzialmente nell'individuo, finché l'unione non è realizzata, perciò è paragonabile a un seme o un germe; ma l'individuo e l'intera manifestazione esistono soltanto per esso e hanno realtà solo perché partecipano della sua essenza, mentre esso oltrepassa immensamente l'intera manifestazione, essendo il Principio Unico di tutte le cose. Metafisicamente, tutto deve essere in definitiva ricollegato al Principio, che è il “sé”.

5)Cosa potrebbe dire “Le Roi du Monde” in questi giorni terribili, in qui tutto sembra far presupporre una precoce fine dei nostri sogni?
5)Kali-Yuga o Età del Ferro. Periodo attuale del nostro ciclo terrestre. Nel libro “Le Roi du Monde” Renè Guènon disse: “Vogliamo astenerci da tutto ciò che, in qualche modo, possa assomigliare a una profezia; teniamo a citare tuttavia una frase di Joseph de Maistre, che è più vera oggi che un secolo fa.” “Bisogna tenerci pronti per un avvenimento immenso nell'ordine divino, verso il quale procediamo a una velocità accelerata che deve colpire tutti gli osservatori. Temibili oracoli annunciano già che i tempi sono giunti.” Libro scritto e pubblicato nel 1926. Runaway Totem si astiene da tutto ciò che, in qualche modo, possa assomigliare a una profezia, ma i tempi sembrano non aiutare ad avere pensieri e sogni sereni. Comunque “Le Roi du Monde” direbbe: “Il periodo attuale del ciclo terrestre è il KALI-YUGA per cui siamo alla fine del Ciclo Cosmico di MANU”. Per noi umani è impossibile capire se il periodo finale di MANU sia adesso, o chissà fra quanti millenni per cui...

domenica 27 marzo 2011

SBAND 2011-JU-BAMBOO Savona, 1° serata


Ieri sera ho fatto una nuova esperienza … ho assistito a “Sband 2011”, quinta edizione della tradizionale gara tra band emergenti, organizzata dal JU-BAMBOO di Savona. Nell’occasione era richiesto anche un mio giudizio e quindi… nessuna distrazione e ricerca dell’obiettività, avendo come linee guida da seguire l’originalità, la presenza scenica e la tecnica. Fortunatamente l’esito del risultato era soprattutto in mano al pubblico votante, perché l’ultima cosa che vorrei causare ad un giovane musicista è un momento di amarezza.
Mi ha fatto piacere e non mi sono sentito fuori posto in mezzo a tanti potenziali “figli”, e ho utilizzato come commento, con un mio “collega giudice”, la solita frase consolidata, luogo comune in qui credo davvero, e cioè che “la musica è in grado di abbattere ogni tipo di barriera generazionale”.
In gara, per la prima di sette sere, quattro band:
Posso scrivere qualche traccia biografica solo su tre di esse, perché della quarta non ho trovato informazioni: anche questo è segno di giovinezza, ma in ogni caso, nel filmato a fine post, è fruibile uno stralcio dell’esibizione di tutti i gruppi presenti.

Le presentazioni seguono la cronologia dell’esibizioni:



Biografia

I Mindlight si formano ufficialmente nel 2005. Il nucleo originario è formato da Martino, Roberto e Neil. Questi provengono dall’esperienza dei Piramis Aura di Varazze, gruppo dedito al progressive influenzato principalmente da PFM, Le Orme, Pink Floyd ed altre. Nel 2003 sotto il nome di Piramis Aura esce il demo “Alea acta est” recensito su diverse riviste di settore ricevendo critiche positive. A partire dalla pubblicazione del demo iniziano a manifestarsi i primi abbandoni nella band. Neil che fine a quel momento aveva partecipato all’attività dl gruppo in veste di fonico e bassista per le sessioni di registrazione, sostituisce il bassista precedente. Nello stesso periodo, Martino, polistrumentista e membro di gruppi rock-pop locali, che aveva anch’esso partecipato alle registrazioni del demo in qualità di chitarrista, entrerà in pianta stabile nel gruppo come tastierista. Nel 2004 il gruppo decide di avvalersi della collaborazione di Giulio. Egli proviene dall’esperienza con gli “Eternity”, band di rock-progressivo. Giulio è conosciuto nella scena locale per aver partecipato a diversi progetti live e studio assieme al tastierista dei Labyrinth Andrea de Paoli, ma anche per partecipazioni a gruppi rock e metal della zona. Attualmente è ancora in contatto con Andrea dei Labyrinth per la realizzazione di un progetto solista.Nel 2005 il batterista originario dei Piramis Aura cede il posto a Daniele Folco e la band decide di cambiare nome in Mindlight. Daniele è un batterista con alle spalle diverse esperienze live e registrazioni in studio con numerosi gruppi locali nei più disparati generi musicali. Va ricordata sicuramente la sua presenza nei Projecto, storica band power-metal di Savona. Il 2006 si apre nel migliore dei modi. Il gruppo allestisce un piccolo studio di registrazione ed inizia le sessioni per il demo “Mindlight”. Nello stesso periodo partecipano al concorso per band emergenti “Sband” indetto dal Ju-bamboo di Savona. Qui si imporranno sino alla serata finale piazzandosi al terzo posto nella classifica finale. Nel 2007 terminate le sessioni di registrazioni inizia la fase di mixaggio definitivo del demo conclusa nelle prime settimane dell’anno nuovo. Poco prima dell’estate la band decide l’ingresso del giovane batterista Simone, proveniente da diverse esperienze con gruppi locali adattandosi immediatamente nel sound dei Mindlight. Attualmente il gruppo sta lavorando su materiale nuovo e nello stesso tempo è all’opera per realizzare un progetto nel quale pezzi originali e cover ri-arrangiate saranno proposte assieme alla visione di video che rappresentino la musica dei Mindlight e forniscano un supporto visivo agli spettacoli del gruppo. Solitamente dal vivo i Mindlight eseguono brani di propria composizione, contrapponendo ad essi pezzi molto famosi come colonne sonore di film (es. Profondo rosso, Matrix, etc…) o di cartoni animati (es. The Simpsons). Inoltre è usuale per i Mindlight modificare continuamente la scaletta, inserendo di volta in volta brani nuovi, accenni a canzoni molto famose, assoli ed altro, per rendere sempre vario il proprio spettacolo.

WITHOUT...
Nati nel ponente ligure nel gennaio 2008 per partecipare al controfestival di Sanremo a Bardino (SV) riescono a registrare un demo in presa diretta grazie ad uno dei premi messi in palio.
Formazione a tre unita, da spirito autodidatta, istintivo e puramente rock'n roll.
"Pinazza" al basso, Pinkfloydiano perso e ispirato creatore della maggior parte dei riff portanti delle canzoni.
"Steva" alla batteria, "rimasto" agli anni 70/80 tra Manilla road, Black sabbath e Iron Maiden: scrive buona parte dei testi.
Martin voce e chitarra, alterna ai suoi "ascolti" Joe Cocker e Black Widow allo stoner dei Kiuss e Orange Goblin creando lui stesso riff, testi e arrangiamenti fatti con tutta la band.
I tre puntini dopo WITHOUT danno modo di poter modificare il nome ad ogni esibizione, sintomo di ecletticità e bisogno estremo di non ripetersi e non essere schiavi di etichette e cliché occultatori di fantasia.

MADAME BLAGUE



Biografia
La band propone un suono frutto della fusione di molteplici generi musicali (legati alla scena rock e non), arricchito dalle differenti esperienze musicali dei suoi componenti. Il risultato di questa miscela è un rock che sa essere insieme energico e delicato, solare e malinconico. esperienza: Il gruppo è di recente nascita, ma i componenti (con diverse formazioni) hanno suonato per manifestazioni del Comune di Varazze, per eventi del Comune di Millesimo, per la rassegna country di Perletto, si sono esibiti anche al Jubamboo al Beer Room e in altri locali della Riviera Ligure, dell’entroterra e del basso Piemonte. Set list: La scaletta che portiamo nei locali comprende sia pezzi nostri (ineditiche stiamo registrando), sia cover di classici della storia del rock (pezzi di JIMI HENDRIX, GUNS’N’ROSES, AC/DC, PINK FLOYD), ma anche brani di autori più moderni (MUSE, 3 DOORS DOWN, HIM); service: siamo in contatto con dei ragazzi che si occupano delle apparecchiature necessarie, nel caso il locale ne sia privo (disponiamo quindi sia degli impianti per un palco interno sia per quanto necessario per uno esterno). I prezzi quindi sono molto più contenuti rispetto ad un normale service.
VENA ALTERNATIVA




Biografia
I “ Vena Alternativa” nascono ufficialmente nel febbraio del 2010, con Stefano (seconda chitarra) e Emanuele (prima chitarra). In seguito sono entrati a far parte Riccardo (batteria) e Jenny (voce). Hanno composto fino a settembre tre pezzi: ''Go with the wind'', ''Fade away'' e ''Killer''. Il 20 settembre hanno registrato il loro primo demo presso ''Citta’ della Musica'' a Genova, con la partecipazione di Carlo (bassista). Al momento sono ancora in fase compositiva e presto faranno concerti nella zona di Savona.


Due band sono passate alla fase finale, ma forse è poco importante sapere quali!

venerdì 25 marzo 2011

Un nuovo incontro: Dino Cerruti


Un incontro casuale mi ha portato verso Dino Cerruti, bassista jazz savonese.

Nell’occasione, presentazione del metodo Vocal Care", di Danila Satragno, si è esibito in un brano dei Beatles. Una voce fantastica e un basso elettrico incredibile. Stop.
Ho scoperto poco dopo alcuni legami importanti tra noi, oltre all’amore per certa musica.

Ero in fatti presente alla libreria Ubik assieme a Margherita Pira, la mia professoressa di italiano alle superiori, stessa insegnante di Cerruti. Dino è più giovane di me, ma abbiamo seguito lo stesso percorso scolastico, con gli stessi educatori, e abbiamo ricordi simili da condividere. Lo avevo già visto suonare nel corso del “Mandolin Cocktail” di Carlo Aonzo, ma in veste differente. La versatilità, come vedremo più avanti, è una sua peculiarità.

Scambio di numeri di telefono e programmazione di un incontro per un caffè.

Più che un’intervista è stata un chiacchierata, sicuramente troppo breve per entrambi, perché quando si parla di una passione i vincoli temporali sono una maledizione.




Non è usuale vedere proporre un brano musicale dove il solo accompagnamento della voce è un basso elettrico.
E’ una cosa che io e Danila Satragno facciamo spesso. Questo mi da l’opportunità di affrontare una delle domande che mi hai inviato e che riguarda l’evoluzione e lo sviluppo del basso. Io ho iniziato a suonare “per colpa dei Genesis”, perché dopo gli inizi con i Deep Purple, sono loro che mi hanno fatto innamorare di certa musica. Col passare degli anni, come è capitato a tutti i cinquantenni che suonano il mio strumento, sono stato fulminato da Jaco Pastorius. Ho passato anni a cercare di scimmiottarlo. Però con la sua evoluzione la funzione del basso in quanto strumento accompagnatore è andata via via scemando. E’ stato fatto del basso il più grosso fenomeno degli anni ’80, giustamente, perché secondo me è lo strumento che più si è evoluto negli ultimi venti anni. Mentre la chitarra elettrica moderna la si considera da Hendrix in poi, per il basso l’evoluzione parte da Jaco. Tutto il tecnicismo esasperato ha fatto però perdere di vista il cuore. Con un basso e una linea melodica si fa un pezzo musicale, ed è per questo che funziona. E’ chiaro, non si può fare con una cantante qualsiasi, ma con Danila viene facile, perché grazie alla sua preparazione eccezionale, teorica e pratica, riusciamo a capirci al volo e creiamo così l’atmosfera giusta. Una nota sopra, una nota sotto… melodia, armonia e il tempo giusto. L’evoluzione del basso dovrebbe essere nella testa dei ragazzi e ti parlo quindi dei miei allievi, a cui tengo molto. E’ importante capire cosa succede in un pezzo a partire dalle toniche. Quando si fa un pezzo tutti ricordano la parte melodica, ma nessuno ricorda il resto. Pensa a “Firth or Fifth” dei Genesis… è un opera d’arte, ma cesellata su toniche grosse così, suonate da Rutherford, mentre gli altri si appoggiavano su di lui. Questo è il concetto che si è perso nei ragazzini e che ho perso anche io negli anni ’80; momenti determinanti per lo sviluppo tecnico dello strumento, ma si è perso tutta quella poesia e quella dolcezza che derivavano dalla musica. Anche se io adoro un certo tecnicismo e ancora oggi mi delizio con tutti i video di Jaco ( purtroppo non l’ho mai visto dal vivo) o Patitucci, una cosa “tranquilla” come Carpet Crowl, è un godimento. Quindi sto parlando, in un caso, di divertimento (per chi suona e per chi guarda) e nell’altro di magia… ti siedi, chiudi gli occhi, tre note e nasce un capolavoro.

Beh, nell’immaginario comune basso e batteria rappresentano la sezione ritmica e niente di più!
Essendo a contatto con gente che studia, so perfettamente che la prima cosa per catturare l'allievo è la dimostrazione di tecnica e velocità d'esecuzione, ma il basso è tutt’altra cosa . Ci marcio sopra ancora adesso su questo, e mi diverto come un bambino, perché a me piace suonare ogni cosa. Non sono uno di quei jazzisti che dice “… io il basso elettrico non lo uso…”, la musica mi piace tutta. Patisco solo un po’ il liscio.

Anche io, perche mi fa stare male fisicamente, non so perché, forse qualche trauma giovanile!
Forse anche in quel caso c’è da fare qualche distinguo, perchè sentire dei professionisti, come Castellina Pasi, ad esempio, è un po’ diverso. Patisco anche il metal, ma è tutto molto soggettivo.

Sai, io credo che ci sia ben poco di razionale nel nostro gradimento istintivo per un genere piuttosto che un altro, per una band più di un’altra!
Ma tu ami la musica prog?

Sono nato con quello e i grandi gruppi come Genesis, ELP e Gentle Giant li ho visti dal vivo negli anni ’70.
Anche io ho visto i Genesis, ma già con Collins alla voce. Ho visto tutti i membri del gruppo, ma separatamente.

Hai visto Hackett Quest’estate?
Me lo sono perso. Ma dimmi, qual è lo stato del prog?

Ci sono tanti giovani che lo propongono, ma lo mischiano ad arti diverse.
Forse oggi il prog è un po’ miscelato al metal, a una tecnica esasperata!?

Beh, sotto al nome “new prog” puoi trovare un po’ di tutto.
Pensa, l’ultimo gruppo progressivo che ho seguito sono i Marillion.

Quindi parliamo di anni 80!? Ma volevo chiederti qualcosa di Annalisa Scarrone, perché ti aveva citato nell’intervista che le avevo fatto tempo fa, e ricordo che lo fece quasi con orgoglio.
Vedi come gira il mondo... ora sono io che cito con orgoglio lei! E’ una ragazza”musicale”, seria, molto intelligente, anche se mi pare che la musica che attualmente propone le stia un po’ stretta. Con lei ho fatto un po’ di concerti, e ricordo che qualsiasi cosa le proponevi dimostrava enorme entusiasmo. Ho sentito che anche ad “Amici” ha cantato un pezzo di Charles Mingus che avevamo registrato qualche anno prima insieme in studio. Ogni tanto ci chiamava per andare in studio per preparare qualche demo. E’ un pezzo che si intitola “Shadows and Light", di Joni Mitchell e lei ha voluto riproporlo.

Parliamo un po’ di savonesi. Dino Cerruti, Carlo Aonzo, Claudio Bellato, musicisti che, ognuno col proprio strumento, sanno spaziare oltre il proprio genere di riferimento. Carlo è quello che musicalmente conosco meglio e che non finirò mai di ringraziare per avermi avvicinato al mandolino, strumento che ho scoperto ha un utilizzo molteplice, non solo legato al pensiero comune, tradizionale e regionale.
Ognuno di noi è eccellente in un campo specifico. Io sono un improvvisatore e, qualunque cosa mi metti davanti, più o meno cado in piedi. Certo, se mi addentro nel campo di Carlo, dove potrei “essere costretto” a leggere un brano del 700, posso anche trovarmi in imbarazzo. Viceversa, quando Carlo viene nella mia area, può trovare difficoltà nell’improvvisazione, ma penso che sopra un certo livello di professionalità ci si può vendere benissimo, e sempre con dignità. Credo che la qualità generale sia calata di molto. Il mio riferimento sono soprattutto agli anni ’70, e penso che il livello attuale, rispetto ad allora, sia sceso davvero; forse cresciuto a livello tecnico, ma peggiorato dal punto di vista del gusto e dell’interpretazione. Sono rimasti in pochi ad essere competitivi e la maggior parte dei musicisti pensa alla velocità esecutiva. Prendiamo come esempio una canzone che nemmeno amo troppo,” Pensieri e Parole”, e cerchiamo di vederne la bellezza semplice! La gente ormai è abituata a Ligabue che confeziona una hit con tre accordi e un testo che cattura i giovani , e tutti i brani che seguono saranno uguali. Quindi quando ti trovi davanti un Aonzo che ha una cultura enorme, sia dal punto di vista dello strumento che della letteratura, o Bellato che passa da Emmanuel a Django… insomma, c’è da stupirsi, perchè è tutta gente che è andata alla ricerca di qualcosa… e l’ha trovata.

Pensa che Carlo mi ha dato indicazioni sulla letteratura blues (che non è il suo campo) ed è attraverso lui che sono arrivato a Fabrizio Poggi.
Sì, è molto preparato e poi sullo strumento riesce a trasmettere tutto ciò che ha in testa, che non è solo tecnica. Certo che più sei bravo meglio è, ma non c’è relazione diretta tra bravura e trasmissione emozionale. Credo che sia una questione di curiosità.

E voi tre siete dei gran curiosi!?
Eh sì, il musicista vero deve essere così.

C’è qualche bassista italiano o straniero che ti ha stregato?
Come ti ho detto nasco con Jaco Pastorius, che rappresenta la vera svolta, e poi Marcus Miller come elettrici. Dopo di loro il nulla, o meglio un’evoluzione del loro lavoro, considerandolo come punto zero. Ma di nuovo non c’è stato più niente. Poi io adoro il modo di suonare di Jack Bruce, di Noel Redding, di Paul McCartney. Prova a sentire la linea di basso di “Something”… fantastica! Tutti ascoltano la melodia, ma nessuno pone attenzione a ciò che Paul è riuscito a realizzare. A livello italiano il bassista è sempre stato sottovalutato, quasi considerato un chitarrista mancato. Eppure ci sono bravi musicisti, come ad esempio Dario Deidda, ma lavora soprattutto come turnista.

Mi pare sia anche la sorte dei batteristi … prova a leggere l’autobiografia di Bill Bruford e capirai cosa intendo.
Tu pensa che musicisti fantastici come Bruford, Collins, Backer o Bruce sono partiti dal jazz... prima non aveva sentito altro, e hanno costruito carriere differenti , basate magari sulla sperimentazione (Soft Machine, Nucleus). Tutti arrivavano da lì, e dopo di loro è arrivata quella generazione basata sul nulla, quella dei Duran Duran, che comunque, rispetto a ciò che si sente ora in giro si possono considerare decenti. Ma se faccio la comparazione tra “And Then There Were Three” ( che quando è uscito io consideravo brutto rispetto ai precedenti) con la musica attuale, posso tranquillamente considerarlo un capolavoro.

Bruford ha smesso di suonare ufficialmente, ma ha finito laddove aveva iniziato, col jazz.
Anche Ginger Baker ha fatto un disco jazz come aggiunto a un duo formato da Bill Frisell Charlie Haden. Se ascolti i suoi passaggi di batteria li senti “pesanti”, ma capisce che gode nel suonare quella musica. Sarò forse nostalgico, ma i ricordi migliori sonoi quelli legati a quegli anni.

Ti ha aiutato in qualche modo la formazione scolastica che hai avuto all’ITIS, nel tuo percorso professionale?
Mi ha aiutato tantissimo. In quegli anni l’ho maledetta , ma il metodo appreso mi è servito, e tutto quello che sono riuscito a fare è venuto un po’ meglio proprio per quella metodologia di studio. Io riesco a tirare giù un pezzo o a scrivere qualcosa perche mi sono dato un modo che mi è stato trasferito, soprattutto da Omero (mitico prof di elettrotecnica, non più tra noi).

Sono contento di questa tua citazione perché la farò leggere alla moglie. Pensa che l’unica canzone intera che ho scritto nella mia vita l’ho dedicata proprio a lui, quando avevo venti anni!
Noi lo disegnavamo alla lavagna, sull’isola di Bergeggi mentre fumava, e quando entrava in aula si arrabbiava un pò. Poi all’epoca si fumava in classe.

E lui fumava… sei mesi si e sei mesi no…
Per me è stata una rivelazione, e se sono uscito bene dall’ITIS è stato merito suo.

Hai qualche rammarico per un treno mai preso per paura?

Si. Ho iniziato a suonare professionalmente a trentatré anni perché quando ne avevo venti i miei genitori avevano un’attività, e a ventisei mi sono sposato, avendo nella testa di fare una vita da persona regolare. Non ce l’ho fatta, e quindi se avessi iniziato prima… non avrei preso un treno più grosso, ma mi sarei mossi in anni migliori e più stimolanti, perche ho iniziato nel ‘96 e già c’era un po’ di crisi. Chi ha iniziato prima ha dieci anni di vantaggio su di me, e ha fatto dieci anni di esperienza che comunque contano. Poi dopo una certa età tutto si livella. Per vivere, a vent’anni facevo il cameriere nel ristorante di mio padre, c’era quello e io lo facevo, e ancora grazie, ma se mi fossi mosso prima… ma avevo la paura di non potercela fare.

Considerami nella stessa barca.
Stavo bene, i soldi entravano e non mi ponevo grossi problemi, e andavo a suonare (l’ho fatto per anni) al giovedì per divertimento, sino a che non ce l’ho più fatta.

Alla fine però ci sei riuscito.
Be, non lo so… guadagno quanto prima…

Sai , dico sempre che quando passione e lavoro coincidono si può concretamente parlare di stato di felicità!
Sì, ma non è comunque facile, e a volte occorre scendere a compromessi e suonare di tutto. Suonavo il liscio e guadagnavo bene, ad esempio, ma poi ho detto che se mi facevo prendere dal fattore soldi...allora tanto valeva continuare col lavoro di prima.

Un’ultima cosa. Mi racconti un tuo incontro professionale che ha lasciato il segno?
Partendo dagli inizi, volevo il jazz e sono riuscito ad avvicinare i nomi savonesi più importanti, e poi personaggi grossi ne ho conosciuto tanti …

E validi dal punto di vista umano?
Tutti umanamente. Tutta gente che ha i piedi per terra, se non disperata (tieni conto che un jazzista di successo può arrivare a guadagnare 4000€ a performance) e parlo di incontri magnifici. Ma non è come incontrare MaCartney, con tutti i suoi miliardi … insomma tutta gente che ha fatto grande gavetta, ha patito la fame e magari la patisce ancora ora.

Sul libro di cui ti parlavo, quello di Bruford,è tutto ben specificato.
Sai, con certa gente, magari stratosferica, funziona come stiamo facendo io e te ora, con estrema semplicità. Ci vuole un po’ di fortuna per diventare famoso, ma i musicisti famosi sono davvero pochi, perlopiù cantanti.

Ad Annalisa Scarrone è capitato così!
Non solo lei. Io ho frequentato gli studi di “X Factor (un po’ di lavoro è arrivato) e mi sono fatto qualche idea. E’ un businnes di un anno, e se ti sai gestire bene diventi dignitosamente famoso, ma se poi vai nel dimenticatoio diventa pericoloso. Ma questo non può essere il caso di Annalisa che è intelligentissima.

Grazie Dino, al prossimo caffè.


giovedì 24 marzo 2011

Intervista a Manuel Smaniotto



Il trio “Tagliapietra, Pagliuca & Marton è on the road.
Dopo il debutto del Tour a Vicenza, lo scorso 25 febbraio, ecco le prossime date:
9 aprile Auditorium Al Porto Antico di Genova
14 aprile Teatro Toniolo di Mestre VE
16 aprile Cinema Teatro Politeama di Varese
Ho avuto occasione di vederli in anteprima a Roma, nella “Prog Exibition” di inizio novembre, ma rispetto a quella occasione è cambiato il drummer. Parlo di lui oggi perché lo conosco personalmente. Manuel Smaniotto, questo il suo nome, mi ha raccontato un po’ della sua storia, come in precedenza avevano fatto Aldo Tagliapietra e Tony Pagliuca:
Anche di Tolo Marton avevo scritto, anche se non sono ancora riuscito a sottoporlo alle mie solite domande:
Ma perché conosco Smaniotto? Manuel è un giovane batterista veneto, che a un certo punto della sua giovane vita è stato sottoposto a un provino particolare da parte del “Lincoln Quartet”, una delle migliori cover band italiane dei Jethro Tull.
Particolare perché, mi raccontò Lincoln Veronese, Manuel non aveva mai suonato “Tull”, ne musica prog, un po’ differente dallo standard conosciuto, e sin dall’inizio si era dimostrato “nella parte”.
Predisposizione naturale, forse.
Qualche anno fa ho assistito ad un concerto ligure, a Noli per la precisione, del LQ, e ho quindi visto direttamente all’opera Smaniotto, che assieme a Giacomo Lelli, Jacopo Gobbato e Lincoln Veronese diede saggio del suo talento.
Col passare del tempo, grazie alla collaborazione del LQ con Clive Bunker, indimenticato primo batterista dei Jethro, Manuel ha affinato la sua tecnica, e nell’intervista a seguire delinea il suo percorso e sviluppo personale, che lo ha portato all’interessamento da parte di Aldo Tagliapietra.
Un grande “in bocca al lupo” a tutta la band e a Manuel Smaniotto, il più giovane, affinché questo bell’inizio di carriera possa trasformarsi in un sogno che si realizza.
Una delle mie frasi preferite, apparentemente un luogo comune, ma per me una profonda verità, è quella che fornisce una possibile definizione di felicità, che tradotta in poche parole si potrebbe sintetizzare in “far coincidere il proprio lavoro con la propria passione”. Provaci Manuel!


L’INTERVISTA

Partiamo dal fondo e cioè dal presente. Hai appena debuttato come batterista con il trio Tagliapietra-Pagliuca e Marton, visto alla”Prog Exibition “ di Roma, a novembre. Come sei arrivato a questo importante successo professionale?
Questo risultato è arrivato in maniera abbastanza inaspettata, nel senso che per quanto riguarda la musica prog non ho mai cercato di raggiungere grossi obiettivi in quanto credo di possedere capacità tecniche normali. Questo genere musicale l’ho sempre suonato per passione nei Lincoln Quartet e quando Aldo ha avuto il mio numero e mi ha contattato per un provino ero sorpreso, ma allo stesso tempo determinato a mettermi in gioco e fare del mio meglio.

Nonostante la tua abitudine ad esibirti con Clive Bunker, musicista tra i più importanti della storia del rock, suonare con Tagliapietra, Pagliuca e Marton mi pare già un traguardo di un certo livello, non alla portata di tutti i giovani musicisti. Cosa si prova ad essere seduto al posto di Michi Dei Rossi, all’interno di una band che ha fatto la storia del prog di casa nostra?
Questa è una domanda che mi hanno fatti in tanti. Prima di questa esperienza delle Orme conoscevo solamente i classici, ma avevo ben chiara la personalità e la tecnica di Michi Dei Rossi che emergeva soprattutto nei live, quindi non sarebbe stato facile per nessuno sedersi al suo posto, ma devo dire che mi sono approcciato a questa esperienza con una dose di incoscienza che sicuramente mi ha aiutato a sentire meno alcune responsabilità.

Mi racconti qualcosa del tuo iter professionale?
Fin da bambino sono sempre stato attratto dalla batteria, ma ho iniziato seriamente a suonare nel 2000 quando rimasi letteralmente folgorato da un live di Ian Paice. Da quel momento ho suonato in varie cover bands e nel 2007 ho fondato un gruppo tributo ad Elisa con mia sorella Silvia (attuale corista di Elisa) collaborando con musicisti quali, Max Gelsi e Andrea Fontana (rispettivamente basso e batteria di Elisa). Inoltre ho avuto l’onore di duettare alla batteria con Clive Bunker (Jethro Tull) e accompagnare Goran Kuzminc (cantautore). Nell’ultimo anno ho fatto parte di vari progetti originali quali “Inedito” (pop italiano) e i “Danka” arrivati nel dicembre 2010 alle ultime fasi delle selezioni di San Remo 2011 svoltesi a Roma.

Torniamo un attimo a Bunker. So del tempo trascorso assieme, in occasione dei concerti col Lincoln Quartet. Immagino che siano stati momenti in cui hai cercato di “rubare” il più possibile, approfittando dell’esperienza non comune di Clive. Sapresti raccontare concretamente che cosa guadagna un giovane dalla vicinanza di personaggi simili?
Avere la possibilità per un giovane musicista di trascorrere del tempo un personaggio come Clive Bunker è senza dubbio una fortuna immensa. Da lui durante le prove, nei sound-check e nei camerini, ho appreso tante piccole cose che poi, al momento opportuno, mi danno sicurezza e che hanno contribuito a formare il mio stile. Devo tanto del mio modo di suonare a Clive sia dal punto di vista tecnico, ma soprattutto nell’approccio ai live riuscendo a trasformare la paura in energia.

Quando ti ascoltai qualche anno fa a Noli, mi raccontasti di avere altri progetti paralleli. C’è solo la musica nella tua vita professionale?
Fino a questo momento oltre alla musica che riempie buona parte della mia giornata ho sempre avuto un altro lavoro, la mattina, che mi ha permesso di avere una sicurezza economica e quindi di suonare solamente in progetti di alta qualità. Visti gli ultimi sviluppi però, sto valutando l’idea di concentrarmi a pieno in quella che è stata fin da sempre la mia più grande passione e aspirazione ovvero fare il musicista.

Ho sempre in macchina un CD che Lincoln mi regalò, che è, o era la sua visione della nostra terra. Una canzone mi colpì particolarmente ed è quella dedicata a Venezia, la vostra città, “raccontata” con amore non comune. La sensibilità tipica di un musicista permette di rendere vivo per sempre un momento di riflessione, magari attraverso un testo o una musica, o entrambe le cose. Il batterista di un gruppo, nell’immaginario comune, dà un contributo diverso, dal punto di vista della composizione ( anche se la lettura dell’autobiografia di Bill Bruford farebbe cambiare idea a parecchie persone). Quanto sei interessato … quanto vuoi … quanto riesci a creare/registrare momenti personali che resteranno fissati “per sempre”?
Beh, magari senza rendermi conto ogni volta che mi trovo sul palco o in studio con altri musicisti sto fissando ed esprimendo delle emozioni attraverso il mio strumento che, nonostante sia essenzialmente ritmico, riesce comunque a comunicare se suonato con il cuore. Diciamo che ogni volta in cui mi sono trovato coinvolto nel creare e nell’arrangiare ho sempre partecipato in maniera molto attiva a tutte le fasi della produzione di un idea e questo è un aspetto della musica amo particolarmente.

Se non ricordo male, non avevi mai fatto musica prog quando provasti per il Lincoln Quartet, e riuscisti da subito ad entrare nella parte, non certo semplice. Tra la musica dei Jethro e quella di Elisa c’è un abisso, senza voler dare giudizi di qualità. Qual è la situazione in cui riesci a trovare piena soddisfazione?
Infatti prima di incontrare il Lincoln Quartet non mi ero mai avvicinato al prog ma non mi sono mai lasciato spaventare dall’idea di affrontare generi nuovi. Ho sempre amato ascoltare e suonare vari stili musicali e oggi posso dire che trovo tanta soddisfazione sia nell’esecuzione di parti complesse e impegnative tipiche del prog che nel portamento di un 4/4 dov’è richiesta la massima precisione nel tempo e nelle dinamiche, caratteristiche peculiari del pop.

Mi dici il nome di un album del passato che hai conosciuto solo dopo il tuo avvicinamento al prog, che ami particolarmente?
Aqualung è sicuramente uno degli album che amo di più e anche se non può essere definito puramente prog è stato comunque importante per farmi avvicinare alle sonorità rock-progressive anni ‘70.

E… il nome di un batterista che ti appare come inarrivabile?
Sono vari i batteristi che ammiro e dai quali prendo ispirazione, ma Steeve Gadd ritengo sia un importante punto di riferimento per la sua personalità e la classe nel portare il tempo.

Cosa vorresti ti accadesse, musicalmente parlando, nei prossimi 5 anni?
Per i prossimi 5 anni mi auguro di crescere come professionista in tutti gli ambiti musicali, ma soprattutto di dare continuità al progetto TPM.