Parliamo di musica. Accadono fatti
che, di tanto in tanto, mi fanno soffermare su “settori” che considero mio DNA,
parte fondante della mia giovinezza, messi in archivio ma pronti ad essere
ripresi quando necessario, anche se, una volta fatti riemergere occasionalmente,
mi accorgo di essere rimasto in superficie, di aver perso mille rivoli di
storie appaganti. E a quel punto vado alla ricerca di ogni dettaglio e di ogni
possibile spin off.
Il recente libro che ho scritto
assieme a Pintelli e De Negri, quello dedicato a Woodstock, mi ha permesso di
rivisitare vita e musica di CSN&Y, dal momento che, nel corso delle
presentazioni, proponiamo in acustico un po' delle loro canzoni.
E così è accaduto che, in occasione
del Natale, nella lista dei desideri inviata a Santa Claus, ho inserito il
libro “Wild Tales-La mia vita Rock ’n’ Roll”,
biografia di Graham Nash, libro edito da Arcana.
Non una novità, con l’edizione italiana rilasciata nel 2013, ma la sinossi mi ha
subito allettato e quindi ho fatto richiesta ufficiale tramite mail a un’entità
superiore.
E qui è nato un problema: il libro è esaurito e introvabile, anche se mi hanno raccontato a posteriori che era disponibile una copia usata, quella che ho ritrovato sotto l’albero, 379 pagine che ho letteralmente divorato in cinque giorni.
Partendo dagli aspetti formali devo
dire che la traduzione dall’inglese non è del tutto soddisfacente, ci sono
imprecisioni e trasposizioni non sempre chiare, ma è poca cosa rispetto ad un
contenuto molto ricco.
Altro aspetto da sottolineare riguarda la data di uscita, un paio di lustri fa, e ciò rende la biografia largamente incompleta rispetto all’attualità. Questa mia affermazione potrebbe risultare poco chiara o esagerata, ma bisogna tener conto che le anime protagoniste del book sono lontanissime dall’ortodossia comportamentale, e nel corso della lettura ci si rende facilmente conto come la misura del tempo o meglio, degli avvenimenti in esso contenuto, sia incomparabile a quella dell’uomo comune, perché ciò che può accadere in un ristretto spazio temporale a persone come Nash e affini, potrebbe racchiudere avvenimenti che necessitano lo scorrere di dieci vite tradizionali, e forse non basterebbero ancora.
La lettura ha portato ad un rafforzamento delle mie idee a proposito della direzione che possono prendere le nostre strade, e sono sempre più convinto che sia utopistico pensare di governare i nostri percorsi in funzione di un obiettivo preciso: a parità di talento, impegno e cultura, trovarsi al posto giusto al momento giusto risulterà sempre determinante per il raggiungimento della nostra meta.
Alla fine, il racconto importante si
snoda su una quindicina di anni, a partire dal 1969.
Graham Nash, quando inizia la sua
storia americana, è già una star, nonostante la giovane età. La sua condizione
disagiata all’interno di una famiglia modesta che vive nei sobborghi di
Manchester è stata superata dal suo status di musicista all’interno di un
gruppo di successo sulle orme dei Beatles, i The Hollies.
Con loro, grazie ad un tour precedente, ha già toccato con mano la diversità tra la sua esistenza e quella di chi vive oltreoceano, e a un certo punto prende la decisione che gli cambierà la vita.
A seguire descrivo il suo momento magico, quello che mi realmente emozionato e che mi è parso di vivere con lui, nel corso della lettura.
Con la mia band, gli Hollies, eravamo
giunti ad una situazione di impasse. Eravamo cresciuti insieme, per molti anni
avevamo fatto musica, scritto canzoni, bevuto e ce l’eravamo spassata. Avevamo
realizzato una formidabile sequenza di hit, un successo incredibile, però, dal
mio punto di vista, stavamo prendendo le distanze gli uni dagli altri. Io ero
andato avanti, stavo puntando verso una direzione nuova e stimolante e il mio
cuore e la mia anima non erano più con gli Hollies. La stessa cosa valeva per
il mio matrimonio: da un po’ di tempo mia moglie Rosie e io ci stavamo
allontanando e sapevamo entrambi che le cose stavano volgendo al termine.
Ero pure innamorato degli Stati uniti
e di Los Angeles, l’avevo capito la prima volta che avevo posato piede sul
suolo americano. Era la Terra Promessa e io ero completamente immerso nella
scena hollywoodiana.
La mia vita si era fatta complicata
ed ero giunto ad un crocevia infernale, con tante questioni irrisolte. La mia
situazione si evidenziò ulteriormente non appena scesi dall’aereo e mi diressi
verso la stazione dei taxi. Inutile fermarmi a ritirare i bagagli, avevo la mia
chitarra, tutto qui, nient’altro contava, ero in America e avrei visto la mia
nuova ragazza, sarei stato con Joni (Mitchell).
Risalimmo Laurel Canyon e ci fermammo
di fronte ad una casetta di legno, molto semplice, con un bel giardino sul
retro e un po’ di terreno, ma niente di ricercato.
Un furgone verde Volkswagen era
parcheggiato lungo il viale, accanto alla cassetta della posta. Udii un suono
melodioso di voci e capii che lei aveva compagnia e pensai che forse sarei
stato invadente. Tutto d’un tratto Joni comparve sulla soglia e non contò
nient’altro. Erano passati alcuni mesi dall’ultima volta che ci eravamo visti,
ma entrammo immediatamente in sintonia. Alle sue spalle, al tavolo della sala
da pranzo, due uomini stavano finendo di cenare: sorrisi mentre posavo gli
occhi su di loro.
“Ehi Willy!”, mi disse a gran voce David Crosby,
utilizzando un nomignolo a cui facevano ricorso solo i miei amici più stretti.
Lo avevo incontrato quasi due anni prima, quando faceva ancora parte dei Byrds,
e avevamo impiegato poco a diventare amici, perché eravamo sulla stessa
lunghezza d’onda. Il tizio che gli stava accanto era Stephen Stills, un
chitarrista pazzesco che aveva fatto parte dei Buffalo Springfield, ed era già
una leggenda underground. Loro due insieme erano un melange potente e vederli
mi mise del tutto a mio agio.
Dopo mezz’ora David disse a Stephen:
“Ehi, suona a Willy
quella canzone che abbiamo appena fatto!” Steve prese
la chitarra e accennò una strofa: “In the morning, when you rise, do you think
of me and how you make me crying…”. Le loro armonie a due voci erano perfette e ci restai di
stucco. Arrivarono alla fine e chiesi se potessero rifarla. Un po’ stupiti per
la richiesta, esaudirono il mio desiderio. Questa volta mi concentrai sulle
parole e sul modo in cui le loro voci si intrecciavano e si completavano a
vicenda. “Okay,
abbiate pazienza, fatela un’altra volta!”, e loro mi diedero soddisfazione.
Avevo già memorizzato le parole e avevo pronta l’armonia e sapevo di essere
pronto per inserire la terza voce. Armonizzai sopra la voce di Stephen e
scivolammo via. Che sound! Eravamo compatti, una cosa sola, una perfetta
armonia a tre voci.
Ma cosa avevamo fatto!
David e Stephen erano sotto shock e
Crosby disse: “È la
cosa più bella che abbia mai sentito”, e aggiunse: “Bisogna che questa
cosa vada in porto!”.
Il brano, una volta definito, prese il nome di “You don’t have to cry” e fece parte del disco di esordio “Crosby, Stills & Nash”, del 1969.
Da qui parte il racconto americano di
Nash, pazzesco, intricato, che vede entrare in scena Neil Young e decine di
altri attori del periodo, ma esiste un focus costante sulla figura di David
Crosby, tanto che ad un certo punto diventa lui il vero protagonista del libro,
una figura dipinta in modo fantastico dal punto di vista artistico e umano, ma
demolita per quanto riguarda la vita privata e, soprattutto, viene evidenziata la
sua attitudine all’autodistruzione legata all’utilizzo di ogni tipo di sostanza
stupefacente, e il quadro globale che ne deriva mette in mostra la labilità
psicologica di Croz, fatto che ha messo probabilmente fine ad una amicizia
durata decenni.
Dalla lettura emergono quattro figure
molto differenti tra loro, irrequiete, figlie dei tempi e dei luoghi, capaci di
grandi slanci e di rilascio di enorme negatività, quattro artisti che trovano
il matrimonio perfetto e immediato solo quando le loro voci e la loro musica si
incontrano, e all’impatto tutto il buio si tramuta in luce accecante.
Graham Nash sembrerebbe il più
equilibrato, e uso il condizionale perché devo attenermi alla sua versione, ma
cercherò di leggere le altre biografie per avere una panoramica completa.
Nash appare il più oculato anche in altri campi, da quello imprenditoriale a quello artistico, impegnato politicamente, curioso, aperto alla tecnologia, molto più di un musicista, e in questo senso la sua fuga dagli Hollies nel momento di maggior successo - anche con loro, come con Crosby e Stills, è entrato nella Rock’ n’ Roll of Fame - è comprensibile, perché la soddisfazione personale di Will poteva arrivare solo lontano dai sobborghi di Manchester, luogo in cui i ragazzi, compiuti i sedici anni, erano costretti a lasciare la scuola e a cercare lavoro.
Negli States Graham troverà una nuova
moglie - Susan - con cui costruirà la sua famiglia, completata da tre figli
(due maschi e una femmina), e darà sfogo alla sua necessità di fare musica,
quasi sempre con i suoi “ondivaghi amici”.
E le soddisfazioni, anche inaspettate non mancheranno. Ne riporto una clamorosa.
Nel 2010 ebbi un altro onore
significativo e inatteso. Stavo badando a delle cose in casa quando ricevetti
una telefonata che mi parve sospetta fin da subito. Una signora qualificatasi
come “Donna Barbara”, del consolato britannico, mi chiese se fossi seduto,
ovvero pronto a ricevere una richiesta inaspettata. Mi disse: “Sua maestà, la regina di Inghilterra,
le ha concesso l’onorificenza di ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico”.
Pensai mi stesse prendendo in giro e
quando mi ripresi dallo shock non potei fare altro che pensare a come si
sarebbero sentiti i miei genitori: il loro figlio di Salford, dei bassifondi,
che aveva cercato di ottenere il meglio dalla sua vita, veniva ora onorato
dalla regina d’Inghilterra! Ridicolo… impensabile!
Successivamente venni a sapere che
era stata l’opera di convinzione di un vecchio amico con cui avevo suonato nei
miei inizi e che mi aveva sempre seguito… la sua tenacia nel sottolineare i
miei meriti aveva portato la situazione sino a questo punto, e quando lui mancò
qualcuno lo sostituì nell’opera di “presentazione delle prove”.
Ufficiale dell’Ordine dell’Impero
Britannico suonava bene, i Beatles erano membri dell’Ordine dell’Impero
Britannico, ovvero un gradino più in basso; David Gilmour comandante
dell’Ordine dell’Impero Britannico, un gradino più in alto.
Dovetti sottopormi ad una lezione di
quarantacinque minuti su come farsi accogliere dalla regina, fui istruito a non
darle la schiena e a non toccarla e nemmeno a iniziare una conversazione. La
faccenda sarebbe stata diversa se fosse stata lei a parlarmi per prima, ma si
trattava di un’evenienza rara. E alla fine ci trovammo a quattrocchi:
“Buongiorno vostra maestà”, esordii, ignorando la
regola della conversazione. “È splendida stamattina!”.
Dopo alcuni convenevoli le dissi: “Devo dirle una cosa, vostra maestà,
quello che mi sta facendo è un onore pazzesco. Mia madre e mio padre sono
entrambi morti, ma sarebbero stati incredibilmente fieri di vedermi qui,
insieme a lei.”
Lei rispose: “Molto carino, e come stanno gli
Hollies?”
La regina di Inghilterra che mi
chiede degli Hollies?
“Sono certo che stiano tutti bene, vostra maestà, ma
sono sicuro che lei sappia che non vivo in Inghilterra da più di quarant’anni,
e in tutta onestà non sapevo che qualcuno stesse tenendo d’occhio ciò che stavo
facendo per meritarmi questo onore.”
Mi guardò dritto negli occhi, mi prese la mano e disse: “Beh, ora lo sa!”.
Cosa sia poi accaduto di
significativo, dal 2013 ad oggi, non lo so, a parte che Graham e la moglie
Susan non sono più insieme.
Di Stills e Young - e Nash - si seguono le vicende musicali e David Crosby ci ha lasciato da poco.
Un libro che consiglio, perché credo
sia difficile immaginare cosa ci sia dietro alla bellezza di certe canzoni, che
in realtà nascondono momenti di vita compicati, difficili da credere veri.
E ora non mi resta che cercare le altre biografie, sentire altre campane… mai fidarsi di una rock star!