È da poco uscito il libro di Giuseppe Scaravilli “Premiata Forneria Marconi-Il lungo viaggio”, Arcana
Edizioni.
Utilizzo le note di copertina per sintetizzare la storia dell’autore, che conobbi in qualità di flautista alla Convention dei Jethro Tull di Novi Ligure: mi sembra ieri, eppure era il 2006!
Giuseppe Scaravilli è nato a Seregno
ma vive in Sicilia dall’età di otto anni. È laureato in Legge, è uno storico ed
è stato un disegnatore di fumetti. È più conosciuto come leader dei Malibran,
band progressive che guida dal 1987, e che ha pubblicato dischi venduti in
tutto il mondo. Oggi è più impegnato come saggista, avendo dato alle stampe
cinque libri dedicati al rock degli anni Settanta e ai Jethro Tull in
particolare.
La scrittura e il successivo commento di un contenitore
che si focalizza sulla band più famosa d’Italia in un generico ambito rock - la
più conosciuta all’estero - reca in sé un paio di rischi che vado ad elencare.
Se il creatore è lui stesso
musicista - ed è questo il caso - è possibile che istintivamente si possa
scivolare su dettagli troppo tecnici, quelli che, forse, non arriverebbero alla
comprensione diffusa, perché i particolari che tanto piacciono agli “espertoni”
potrebbero rappresentare un muro difficilmente superabile da chi si limita al
piacere istintivo dell’ascolto.
Aggiungo che essere musicisti, e scrivere del lavoro e della vita di “colleghi”, potrebbe significare mettere dei filtri tesi a non minare rapporti personali.
Dal punto di vista del recensore il rischio è quello di insinuarsi tra le righe: ovviamente avrei molto da dire sull’argomento PFM, così come potrei dilungarmi sulla storia di due dei protagonisti del libro, miei cari amici - “Fico” Piazza e Bernardo Lanzetti -, ma più che un commento al contenuto, vorrei fare una disamina di come gli argomenti vengono proposti e quanto possono essere esaustivi per un pubblico di lettori appassionati di musica, ma non solo quelli.
Quando esce un nuovo libro su di un
argomento conosciuto, viene sempre da chiedersi… “Ma ce n’era davvero
bisogno?”. È un pensiero che, in primis, rivolgo a me stesso quando arrivo
alla fine di un progetto, e quindi, anche in questo caso, ritengo lecita la
domanda.
Della/sulla PFM si è scritto molto,
lo hanno fatto singoli componenti la band, così come saggisti esterni al
gruppo, ma ho molto apprezzato l’approccio utilizzato da Scaravilli.
È il racconto di una storia
fantastica, quella di una band straordinaria, che nel tempo si evolve e aggiorna
il suo software mano a mano che nasce la necessità di nuovi aggiornamenti, trasformazioni
che a volte appaiono naturali, o meglio, imposte dal tempo che passa, con
mutazioni di ritmi e pensieri, ma non della genetica.
Dagli albori alla contemporaneità,
Scaravilli racconta l’oggettività, quella tratta dalle fonti da cui attinge, ma
ad ogni passaggio aggiunge il suo commento, così come la sua sensibilità di
musicista. Tutti gli album trovano un’analisi dettagliata, song by song, così
come alcuni eventi, vissuti in prima persona o raccontati da chi era presente.
Onestamente, molte delle cose scritte
dall’autore me le ero perse, o forse dimenticate, ma è facile rendersi conto
come il book assuma una doppia veste - quella meramente storica associata a quella
emotiva - che riguarda un contatto diretto tra musica e fruitori della stessa.
Scaravilli non trattiene la penna,
espone il suo pensiero senza timore di apparire irriverente, anche se si sforza
di controbilanciare ogni velata critica con una possibile giustificazione.
Anche le due interviste finali, quelle
realizzate con Giorgio “Fico” Piazza - primo bassista della PFM - e con
Bernardo Lanzetti - unico cantante di ruolo mai entrato nella band -, unite ad
alcune sottolineature legate all’abbandono di Pagani e Mussida, spingono verso un’idea
abbastanza diffusa, e cioè quella che tutto abbia sempre ruotato attorno alla figura
di Franz Di Cioccio, a cui Scaravilli dà però il merito di avere sempre portato
avanti, con tenacia e rigore, un ideale di musica che, senza di lui, non
sarebbe arrivata al livello da tutti conosciuto.
Questi aspetti non sono semplici da proporre se si vuole mantenere un giusto equilibrio, ma Scaravilli si destreggia alla grande all’interno di una storia davvero complessa ed intricata, quella che ha portato un gruppo di musicisti talentuosi a compiere un percorso unico, da session men di successo a star internazionali.
Sono molte e significative le
immagini in bianco e nero inserite dall’autore - il colore è bandito da Arcana! -
ma la più dannatamente rock è quella di copertina, realizzata da Armando Gallo,
che vede la PFM in concerto ad Osaka nel 1975.
Qualcuno legittimamente ritiene che
certi gruppi dovrebbero rendersi conto di quando è giunta l’ora di scrivere la
parola fine e ritirarsi con dignità. In queste pagine sono stato sfiorato da
questo dubbio e non ho voluto nascondere quel che ritengo qualche punto oscuro
in questa scintillante carriera pluridecennale…
Sono queste le parole con cui inizia l’ultimo capitolo, intitolato “Considerazioni Conclusive”.
Quattro righe con cui termino il commento,
un pensiero che lascio aperto, sicuro che saprà stimolare la curiosità del
lettore.
Un libro imperdibile, e se qualche giovincello curioso non avesse idea di cosa sia stata - e cosa sia oggi - la PFM, potrebbe/dovrebbe cogliere l’occasione per appropriarsi della storia della musica italiana, partendo da quel giorno in cui i membri di quello che sarebbe diventato il gruppo prog italiano più conosciuto nel mondo, registrò “Emozioni” assieme a Lucio Battisti e, come racconta “Fico” Piazza, “alla fine tutti avevano le lacrime agli occhi!”.