giovedì 3 novembre 2016

Storie e pensieri di Martin Thurn-Mithoff


La storia di Martin Thurn-Mithoff è rappresentativa di un periodo storico lontano, in cui il seme è diventato radice, e i cui risultati emozionano a distanza di lustri.
Martin, insieme ad un gruppo di amici, significa essenzialmente Analogy, una band seminale del rock italiano, che era in realtà composta da elementi dalle varie nazionalità, e a tutti gli effetti la si può considerare una joint venture realizzata tra Italia, Germania e Inghilterra. Ma il punto di partenza resta la zona di Varese.
Sono stato testimone, pochi giorni fa, di quello che è stato annunciato come l’ultimo live della storia degli Analogy, fatto che, reso pubblico sul palco del Teatro Govi di Genova, ha suscitato grande tristezza tra i presenti, pubblico e musicisti.
Ma… l’intervista che ho realizzato successivamente  con Martin lascia aperta la porta della speranza, perché tra i tanti miracoli che la MUSICA può compiere viene naturale inserire anche il forte cambiamento di situazioni negative, e all’improvviso, proprio dalla mente di chi si è preso l’onere di rendere pubblica la fine di una storia, ecco la riaccensione di una fiammelle, tenue ma reale: anche questa è probabilmente una storia di amicizia!



Un ringraziamento sincero a Martin per le sue parole…

Vorrei partire dall’ultimo evento genovese, quello in cui ci siamo conosciuti nella realtà, dopo una frequentazione virtuale: che cosa ti ha lasciato il concerto, sia dal punto di vista musicale e da quello umano, visto l’affetto dimostrato dal pubblico?

Ero molto teso prima del concerto perché era l’ultimo live del gruppo e avevo paura di tutte le cose che potevano andare male. Quando poi è saltata la corrente le mie paure sembravano aver trovato conferma. Poi però tutto ha funzionato (a parte qualche piccola stecca che nessuno sembra avere notato), grazie soprattutto al pubblico molto caloroso. Verso la fine, per essere preciso al penultimo brano prima del bis - Song for South Kensington -, è arrivata un specie di dolce tristezza quando Jutta ha intonato “I’m growing older and I don`t have much time; I’m looking for days and I’m looking for rhymes”. Questa tristezza ha continuato anche durante il bis e ha coinvolto il fantastico pubblico in un legame emozionale mai visto prima. Rivivo ancora oggi, nella mia testa, momenti della serata genovese.

Non sarei mai entrato nella tua sfera personale se non fossi stato tu a dare visibilità al tuo stato di salute, sottolinando pubblicamente, durante il bis, che l’evento del Govi sarebbe stato l’ultimo atto della vostra storia live, ma… mi pare ci sia però in atto un piccolo miracolo… o sbaglio?

Never say never”, ma sono quasi sicuro che l’evento del Govi sia stato l’ultimo live degli Analogy. Il mio stato di salute (ho ben due cancri, gola e pancreas) ruba “leggermente” le mie forze e non aiuta le mie capacità di chitarrista. Aggiungi poi il casino logistico di questa band, con i membri sparsi per l’Europa (Inghilterra, Germania, Italia), e la mancanza di soldi sul circuito dei concerti prog: sono convinto della nostra scelta! E poi… ritirarsi con un concerto e un pubblico come quello del Govi non è male. Parli di “miracoli”: sì, potrebbe essere, visto che ho già superato le prognosi dei medici, ma non penso che io sia in grado di fare concerti interi nel 2017. Magari qualche esibizione corta, come opening act di qualche nome grosso… o festival.

Sei tedesco ma la tua storia è legata all’Italia: che cosa ha rappresentato per te, e che cosa rappresenta oggi, il nostro Paese?

Sono arrivato in Italia all’età di 18 anni (1968), quasi fuggendo dalla Germania, dove mi trovavo al cospetto del… servizio militare. Fuggivo anche dai Gesuiti e dal loro liceo, dove mi trovavo oppresso e vincolato (non meno per i miei capelli lunghi). Mi sono iscritto alla Scuola Europea di Varese per fare la maturità e lì ho conosciuto Wolfgang (ex-bass) e soprattutto Jutta. Perciò l’Italia rappresentava per me aria di libertà e l’idea di cominciare qualcosa di completamente nuovo, a partire dalla lingua che non sapevo parlare. Sono stato molto felice perché quegli anni a Varese, e poi Milano, sono stati caratterizzati da questo spirito, con piena creatività e collaborazione tra gli artisti (anche se la vita da “cappellone“ non era sempre facile). Se ti capita una cosa del genere in giovane età, il legame con il paese dura una vita, e ogni volta che vengo in Italia (almeno due, tre volte all’anno) mi sento come se arrivassi in una delle mie case. Ho poi vissuto in Inghilterra con Jutta, formando gli EARTHBOUND a Londra, ma avevo già 25 anni, e il mio legame col Inghilterra è molto meno emozionale, più razionale. E oggi? C’è sempre l’amore per il paese e gli amici conosciuti 45 anni fa e oltre, e la gratitudine per aver avuto la possibilità di fare la mia musica. Non penso che sia questa l’occasione e lo spazio per parlare di politica, e ne faccio quindi a meno. Parlare di differenze culturali però è lecito, perché ho sempre una certa mentalità tedesca (quante volte mi hanno preso in giro per essere “precisino” e “strapuntuale”), che è però arricchita e condita con ingredienti italiani e – per rimanere nella terminologia culinaria – contorni inglesi. Penso che la nostra musica rispecchi queste influenze. L’Italia ha disegnato la mia vita, e ne sono felice.

Il vostro album omonimo, del 1972, è introvabile e venduto a cifre astronomiche: come ti spieghi questo apprezzamento incondizionato?

Non ho una spiegazione che mi soddisfa. Magari la copertina che fece scandalo nel 1972 (per questo motivo c’era il poster con il piede attorno), magari la tiratura iniziale di solo mille copie… non lo so veramente. Fatto sta che il mercato dei collezionisti arriva a dei livelli assurdi. L’ultima offerta mi è venuta dalla Russia è di 8,000 € in stato perfetto con poster!!! Ma mi tengo l’unico esemplare originale che ho. Sono sicuro però che questo interesse abbia portato alle numerose riedizioni, dal 1992 in poi (vedi www.analogy.it), dopo un “silenzio” di quasi 20 anni, culminando poi nella pubblicazione di The Complete Works (AMS/BTF) nel 2010. Da lì nacque l’idea d’una riunione e di un album live (“Konzert” – AMS/BTF).

Come definiresti la musica degli Analogy? Possibile inserirla in qualche casella conosciuta?

Questa è la solita domanda e la più difficile da trattare. Il termine “Prog” nel 1972 non esisteva. Si parlava di “Pop d’avanguardia” per definire una musica sperimentale e fuori  dalla canzone tradizionale italiana. E noi facevamo tanti esperimenti. Come ho già detto, la nostra musica rispecchia le nostre origini “europee”, combinando elementi floydiani, blues, beat, elementi rinascimentali (The Suite) e, grazie alla band Londinese Earthbound, un tocco di new wave. A differenza di tanti gruppi prog italiani abbiamo sempre cercato melodie semplici e non ci siamo mai avventurati nel virtuosismo, probabilmente per mancanza tecnica. Ho sempre preferito chitarristi come David Gilmour a mostri come John McLaughlin, e la composizione alla velocità con la chitarra. Comunque, se volessimo immaginare un casella, direi Psychedelic Rock.

A vedervi dall’esterno la storia degli Analogy sembra soprattutto fatta di rapporti di  amicizia: mi sbaglio?

No, hai ragione! Questa amicizia ci ha legato dall’inizio. Jutta ed io eravamo una coppia, suo fratello Hermann-Jürgen (detto “Mops”, purtroppo morto 25 anni fa) suonava la batteria e Mauro era il suo miglior amico. Wolfgang (ex-bass) era mio compagno di classe a scuola. Scott era il batterista degli Earthbound a Londra, dal 1977 al 1979, ed è sempre stato un carissimo amico. Nicola (ex-keyboard) ha deciso di non partecipare alla reunion per via del suo lavoro (pittore) ma ha disegnato la favolosa copertina del nostro ultimo album (“Konzert”), e Roberto (“Hunka Munka”) è diventato un grande amico da quando è entrato nella band (settembre 2011). A proposito di Roberto: nel gennaio del 1969 il gruppo di scuola nel quale Wolfgang ed io suonavamo faceva una veglia in un club nel Varesotto. Ospiti d’onore erano I Cuccioli, con Roberto alle tastiere. Mi ricordo che sono rimasto talmente impressionato dalla sua performance che nacque immediatamente il desiderio di poter suonare, almeno una volta, insieme a lui. Non pensavo che servissero 42 anni per riuscirci, ma sono estremamente felice di avercela fatta, seppur in ritardo. Senza questa amicizia la nostra riunione non sarebbe stata possibile. Organizzare le prove, per esempio, richiede il noleggio di una sala prove, con amplificazione e batteria (normalmente nel nord d’Italia, come punto geografico centrale tra Calabria (Roberto) e Reading (Scott); e poi prenotare alberghi e voli ecc. Questo investimento, di tempo e soldi, si fa solo se c’è amicizia, oltre all’amore per la musica.

Restando in tema, un amico comune, Pino Tuccimei, romano, era presenta alla serata del Govi, ed è chiaro l’affetto che vi ha sempre legato: cosa ha rappresentato per voi la sua figura?

Qui c’è un malinteso. Abbiamo conosciuto Pino durante il Festival di Villa Pamphili nel 1972, ma non ci siamo rivisti fino al marzo del 2013. Durante questi 41 anni però, lui è rimasto sempre nella mia testa, e anche lui non ci ha dimenticato. A suo tempo eravamo legati a Antonio Cagnola e Aldo Pagani, più tardi abbiamo lavorato con la Trident Agency di Maurizio Salvadori e con Elio d’Anna (Osanna) per la zona di Napoli. La scuderia di Pino però era sempre un sogno, mai realizzato. Dalla fine di dicembre 2012 Pino è il nostro manager. Ma lui è molto di più. Per me è diventato un carissimo amico come hai giustamente notato durante e dopo la serata del Govi, e posso solo raccomandare il piatto di pesce con un buon vino bianco che si mangia casa sua, con la sua cara moglie Lucia.

Che cosa ricordi delle tue collaborazioni - assieme a Jutta - con altri artisti italiani, oltre agli Analogy?

Beh, cominciamo con Franco Battiato. Lo abbiamo conosciuto a Ferragosto del 1970. Noi avevamo un residence, per sei settimane, all’ Hotel Des Alpes ad Airolo (Svizzera), dove si suonava ogni sera per circa quattro ore. A Ferragosto finimmo verso l’una di mattina e decidemmo di andare a vedere, in una sala vicino, questo Battiato, di cui non avevamo ancora sentito parlare. Arrivati, ci trovammo in mezzo a gente che ballava il liscio, e Franco era seduto fuori con la faccia annoiata. Dopo qualche chiacchiera lui disse che avrebbe voluto andare a casa, ma per contratto doveva fermarsi un'altra ora. Allora salimmo sul palco e ci unimmo alla sua band, affrontando una lunga versione di “Whole Lotta Love”, dei Led Zeppelin. Dopo 10 minuti la sala si svuotò e lui potè “chiudere” la serata. Questa “collaborazione” fu l’inizio di un lungo rapporto e di tanti incontri ai festival dell’epoca, fino alla partecipazione al suo album, “Sulle Corde di Aries”, tre anni dopo. Jutta contribuì come vocalist in tre brani, mentre io ero responsabile per il testo d’un recitativo, ma allo stesso tempo stavamo pensando ad una collaborazione live dopo lo scioglimento dei Pollution. Purtroppo eravamo troppo lontani da una musica comune. Franco era immerso negli esperimenti elettronici e noi volevamo continuare con il rock psichedelico. Restando in tema culinario, la pasta siciliana di sua madre era una favola.
Un'altra avventura fu l’incontro con Simon Luca (L’Enorme Maria) durante il Cantagiro 1972. Anche se è stata corta e limitata a questo tour, questa collaborazione ha portato ad alcune amicizie durate nel tempo, tra cui quella con i The Trip (specialmente con Joe Vescovi), e con il Rovescio della Medaglia.
Dopo lo scioglimento degli Analogy, nel dicembre del 1973, ci aggregammo alla sezione musicale del Collettivo Teatrale La Comune (Dario Fo), diretta da Paolo Ciarchi. Tanti concerti a Milano, Genova, Bolzano, Bologna ecc. e la pubblicazione di un live su MC (“Cammina, Cammina”) furono il risultato tangibile, ma ricordo anche 24 ore in prigione a Milano, San Vittore: durante un concerto nella sede di Re Nudo, in Via Maroncelli, la polizia ci ha arrestò sul palco assieme ad una parte del pubblico per spaccio di droga. Asserivano di avevano trovato un spacciatore davanti all’ingresso con una scatola di fiammiferi contenente hashish, ma si trattava ovviamente di una mossa politica per chiudere Re Nudo (tra l’altro riuscita). Nell’estate del 1974 Gianni Damiani, un regista milanese, ci invitò a comporre un musical rock sul tema di Arianna e Teseo (il testo c’era già). Per un mese ci rinchiudemmo in una specie di castello nel Oltrepò Pavese con Sergio Conte, tastierista dei Jumbo, ma il progetto non si concluse per mancanza di soldi. Due brani di questo progetto si trovano sul nostro album “25 Years Later”, pubblicato nel 1995.
Dopo un anno in cui Jutta e io abbiamo lavorato come duo, ci siamo trasferiti a Londra dove abbiamo conosciuto dei musicisti dell’ underground locale, come Kevin Ayers (Soft Machine) e Lol Coxhill, facendo tante jam sessions prima di mettere su gli Earthbound. Mancano altri “colleghi” con i quale abbiamo collaborato, ma sarebbe veramente troppo lungo elencarli tutti. Magari, visto che si tratta di un gruppo italiano, i Come le Foglie, per i quali ho inciso un brano sulla chitarra solista sul loro album “Aliante” (“Cara Milano”).

Esiste una band o un musicista la cui musica ti entusiasma o ti ha entusiasmato?

Per quanto riguarda la musica rock – parlo da amatore della musica classica – direi The Who e Pink Floyd, e questo già dagli anni sessanta, quando loro erano gli eroi della mia adolescenza. Come chitarristi direi David Gilmour e ovviamente Eric Clapton, ma la lista sarebbe molto lunga se dovessi elencare tutti i nomi che mi hanno influenzato.

Mi racconti un paio di aneddoti musicali straordinari della tua vita, uno positivo e uno negativo?

Un paio di aneddoti musicali li ho già evidenziati (Battiato/Re Nudo) ma ce ne sono tanti altri. Difficile scegliere. Un’esperienza negativa (inizialmente) fu proprio il Festival di Villa Pamphili a Roma. Il nostro brano d’apertura era Dark Reflections, che comincia con tutta la band e un forte arpeggio alla chitarra in evidenza. Il batterista fa il conteggio, la band comincia e… la chitarra? Niente! Nessun suono… davanti a 20.000 persone! Tutti fermi finchè non arriva un tecnico con un largo sorriso sulla bocca e un cavo in mano, dicendomi che sarebbe meglio se avessi messo il jack nella chitarra! Che vergogna! Il resto del set andò bene, e l’applauso alla fine rimise a posto le nostre anime. Tutto questo fu preceduto da una esperienza positiva che dimostra il livello di amicizia che esisteva tra i musicisti in quei giorni. Dopo il soundcheck avevamo due ore prima della esibizione. Un cantautore romano che avevamo incontrato per la prima volta lì ci invitò a fare un giro di Roma con il suo maggiolone. Si trattava di Antonello Venditti!
Altro “aneddoto” positivo: aprile 1970. Noi in quei giorni stavamo suonando in un club di Milano: durante una sosta un signore in giacca e cravatta entrò nel nostro camerino, sigaro in mano (la Jaguar parcheggiata fuori), e ci chiese se volevamo incidere un disco. Sembrava proprio venire fuori da una favola,  rispettando il “clichè” da film! Si trattava di Antonio Cagnola, e il risultato fu il primo 45-giri e la nascita del primo album omonimo.

Di solito chiudo le interviste con una domanda sul futuro, ma in questo caso vorrei che mi dicessi tutto ciò che vuoi, a ruota libera, perché sono certo che ci sono cose importanti che non ti ho chiesto, per cui… lasciati andare e, come ha detto Pino quando ci siamo lasciati… ti aspettiamo sul palco per un nuovo concerto!

Sul futuro……
Abbiamo parlato dell’ultimo concerto al Govi ma vorrei riprendere il discorso a causa di “eventi” inaspettati. Qualche giorno fa mi è arrivata una mail da Pino Tuccimei nella quale lui offre un “colpo grosso”, proponendo delle esibizioni di solo 45 minuti per l’estate prossima. Non posso specificare altro, ma resta il fatto che si tratta di una offerta che… non si può rifiutare! Personalmente sto trattando con una casa discografica per pubblicare un album “solo” con brani che ho inciso senza gli Analogy, durante gli anni 1981 e 2004, in Inghilterra e Germania. Se va in porto, bene. Se no, non fa niente perché il mio cuore è sempre con gli Analogy.