mercoledì 16 novembre 2016

King Crimson a Torino, 14 novembre 2016: luci ed ombre di un concerto storico


La ripetizione di un concerto all’esatta distanza di 43 anni non può essere per me un fatto qualunque. I King Crimson ritornano a Torino – due date consecutive – all’interno di un contesto più ampio denominato The Elements of King Crimson Tour 2016.
Rispetto a quel concerto antico, di cui sono stato testimone, l’unico elemento comune è Robert Fripp, of course, ma i nuovi compagni di viaggio hanno dato un bel contributo alla creazione di una nuova magia. Chiamare “nuovi” Tony Levin e Mel Collins suona un po’ strano, ma se il riferimento resta il 12 novembre del 1973, beh, tutto è cambiato.
Ripeto, la musica è sempre mistica, le trame affascinanti, l’avvolgimento sonoro totale, ma certo è che una tale formazione, e non parlo di nomi ma di logica di line up, è un caso unico. Ma andiamo per gradi.
Se dovessi dare un giudizio globale, parafrasando una frase storica di un noto allenatore di calcio, direi che… sono rimasto pienamente soddisfatto… a metà.
Il Teatro Colosseo è stracolmo quando una voce delicata detta le maledette regole della serata: la portavoce ci informa infatti che non sarà possibile tenere acceso alcun “electronic device”, salvo che nel corso del bis, quando “Tony” fotograferà il pubblico, che potrà ricambiare scattando foto a ripetizione per… pochi secondi. Non basta, l’esortazione è quella di “registrare” la serata solo con l’udito e godersi lo spettacolo. Grazie per il consiglio! E forse Fripp ha ragione, perché un evento del genere necessita di una sicura concentrazione, e lo scatto selvaggio non fa parte dei piani del buon Fripp. Ma l’accanimento del servizio d’ordine mi è risultato particolarmente sgradevole. 
Inizia così uno spettacolo suddiviso in due parti - con una sosta intermedia di venti minuti - che alla fine risulterà consistente anche dal punto di vista dello spazio temporale.
Prende posto sul palco la formazione sorprendente a cui facevo accenno che è bene sviscerare: 

Robert Fripp – chitarra, mellotron, pianoforte elettrico, tastiere
Tony Levin – basso, Chapman Stick
Pat Mastellotto – batteria
Gavin Harrison – batteria
Mel Collins –sax, flauto fiati
Jakko Jakszyk – chitarra, voce
Jeremy Stacey – batteria, tastiera

Il brano di apertura è esattamente quello del ’73, quel Larks’ Tongues in Aspic, Part One che conduce ai primi brividi di serata.
I tre batteristi sono posizionati in belle evidenza, con il centrale Jeremy Stacey che necessita di maggior spazio per le tastiere.
La domanda iniziale è proprio relativa al triplice drummer: operazione spettacolare o azione funzionale alla nuova strategia musicale? Con il passare dei minuti ci si rende conto che la triade di percussionisti è il fulcro dello spettacolo: tutto ruota attorno a loro, che sanno fare il lavoro solista ma al contempo svolgono il tipico lavoro richiesto da sempre al ruolo.
Agiscono a volte in simultanea, ma è possibile trovare Garrison che porta il tempo regolare mentre Mastellotto va in controtempo innescando un tourbillonn di ritmi da paura.
In alto capeggia il resto della band, un po’ ingessata, atteggiamento dietro al quale dovrebbe esserci precisa volontà, avendo visto da molto vicino Tony Levin, e sapendo quindi che la sua indole è un po’ diversa.
I brani passano e la pelle d’oca diventa caratteristica di serata: da Epitaph a Easy Money, passando per The Court of the Crimson King e The Letters, con il raggiungimento dell’apice con Starless.
Non sono riuscito ad apprezzare a pieno la voce di Jakko Jakszyk, ma avendo nella testa il timbro di Lake e Wetton, il condizionamento naturale mi impedisce una buona obiettività.
Il pubblico è apparso entusiasta, sottolineando l’eccitazione ad ogni fine brano, ma fare uscire una minima soddisfazione dal volto di Fripp non è roba per comuni mortali.
E proprio questa “relazione gelida” che rappresenta a mio giudizio una discreta lacuna, perché il concerto è il luogo deputato allo scatenarsi delle emozioni, dove nasce un rapporto osmotico che lega musicisti ad audience, ma ho personalmente patito la rigidità autoimposta della band, capace di regalare musica incredibile, ma abbastanza decisa nel… mantenere le distanze. Di fatto credo sia il primo concerto della mia vita in cui nessuno dei protagonisti sul palco apre la bocca per dire una parola, magari per presentare la band, meglio ancora per ringraziare… nulla di nulla.
Ma noi eravamo lì per la musica, e nella condizione migliore possibile per la fruizione di un evento del genere, probabilmente irripetibile. 
E quando arriviamo al bis, 21st Century Schizoid Man riporta ad un 5 luglio del 1969, quando Fripp e soci affiancarono gli Stones ad Hyde Park, due giorni dopo la morte di Brian Jones.

I King Crimson sono alla quarta renunion, sempre nel nome di Mister Fripp, che appare saldamente al comando di una nave da battaglia, capace ancora di realizzare sold out e fornire prove di longevità assoluta. In Italia non li abbiamo mai dimenticati e credo che il tour in corso ne sia la dimostrazione lampante.

Valeva la pena esserci anche se alle tante luci si contrappone qualche ombra, secondo un sentimento del tutto personale.

E per una volta non ho alcun filmato da mostrare!