Il secondo
impegno discografico sulla lunga distanza degli OLD ROCK CITY ORCHESTRA (ORCO) si
intitola Back to Earth, dieci brani che costituiscono un album
concettuale dai contenuti complessi,
ancorché comuni e popolari. Provo a spiegare.
L’attitudine
al concept è prerogativa di chi attinge e ama la musica progressiva, una sorta
di brand che costituisce una delle molteplici linee guida di chi aspira ad
esprimersi in quell’ambito. Credo però che l’album degli ORCO sia molto di più, prog o non prog, perché la possibilità di
raccontare una storia, con un inizio e una fine, magari lasciando intravedere
un sequel, è situazione stimolante che, previo enorme sforzo, conduce verso
grandi soddisfazioni personali.
Ci si è domandato,
sin dagli albori della musica di impegno, quale fossero le reali possibilità di
un artista/band che decide di passare alla massa un messaggio, rivolto al
sociale, alla riflessione comune, ai grandi temi che affliggono l’uomo: non
credo ci siano ricette magiche e medicine per ogni male, ma va sottolineato
come un musicista abbia la possibilità di amplificare un pensiero, veicolandolo
verso milioni di canali, che esistono ma, ahimè, spesso sono interdetti a chi è
dedito alla musica di nicchia.
Back to Earth, non mi pare un disco
tradizionalmente prog, musicalmente parlando, ma il fil rouge che lega i brani
annoda un mondo che parla di noi, dell’uomo comune -al di là delle differenze
sociali spesso insormontabili- e traccia un percorso, un viaggio reale che
diventa metafora di qualcosa di più profondo, di interiore e caratteristico di
ogni anima presente sulla terra.
C’è proprio
tutto nel disegno proposto dagli ORCO, un panorama che cambierà cammin facendo,
partendo dalla consapevolezza delle colpe originali, passando per l’impotenza
che si manifesta realizzando di essere pedina di un gioco superiore, attraverso
i solchi della “non conoscenza”, che si riempiranno solamente con il cumulo
delle esperienze capace di fornire energia -e quindi luce- che schiarirà il
sentiero che riporta a casa, in una terra familiare, provata e mortificata dal passare del tempo, ma buon
rifugio e, soprattutto, punto di partenza per un nuovo viaggio, probabilmente più
sereno di quello appena terminato.
La
progressione temporale, la ricerca continua, il bisogno del miglioramento passo
dopo passo, rappresentano davvero un moto “PROG”, che diventa un’attitudine
mentale e non la mera somma di tastiere vintage.
I risvolti
prettamente musicali raccontano di una diffusa atmosfera rock-psichedelica,
dove una sorta di acid rock californiano pesa più del british di inizio
seventies -anch’esso presente- e dove è difficile trovare una netta separazione
tra i tanti apporti dei singoli musicisti.
Partendo da
una decisa e precisa sezione ritmica (Giacomo Cocchiara e Mike Capriolo),
diventano fondamentali i fraseggi liquidi di Raffaele Spanetta, complementari
alla tastiere di Cinzia Catalucci, che tesse trame di Manzarekchiana memoria. La Catalucci è anche “proprietaria” di una
signora voce, che all’uopo si dimostra uno strumento che oltrepassa le esigenze
della proposizione lirica, compito suddiviso con Spanetta.
E così ci
si ritrova immersi in un’epoca antica -ma forse tale giudizio vale solo per chi
ha vissuto quel periodo- catapultati nel cumulo dei ricordi che provocano la
comparsa di un velo di soffusa tristezza, assolutamente in linea con il
racconto concettuale e con la filosofia musicale della band.
Un disco
che non lascerà indifferenti, un racconto sviscerato nell’intervista a seguire
e riassunto in un video musicale.
L’INTERVISTA
Chi sono gli OLD ROCK CITY ORCHESTRA? Come si formano e
che collante musicale utilizzano?
Gli Old Rock City
Orchestra sono quattro ragazzi con la voglia di esprimere le proprie idee
musicali senza troppi ragionamenti. È la spontaneità ciò che caratterizza
maggiormente l’identità della band. L’esigenza e il desiderio di “dire la
nostra” in questo variegato mondo musicale ha fatto sì che sei anni fa quattro
amici, musicalmente diversi fra loro, si riunissero e decidessero di dar vita a
un progetto originale. Old Rock City Orchestra è un nome che racchiude in sé
con un gioco di parole sia il “vecchio rock” dal quale traiamo ispirazione, sia
il nome della città da cui proveniamo, Orvieto, in latino Urbs Vetus, ovvero
“città vecchia”, che sorge appunto su un’antica rupe, una vecchia roccia. In
altre parole l’“orchestra dell’antica città rupestre”, ma anche ORCO non suona
male!
Come si può definire, a parole, la vostra musica?
Qualcuno ha definito la
nostra musica una sorta di proto-prog con influenze psichedeliche, altri
l’hanno denominata art rock, altri ancora hard-prog. Sicuramente ognuno di noi
ha contribuito con il proprio bagaglio musicale al sound della band
arricchendolo di molteplici sfumature di genere, dal rock classico al blues,
dal folk fino al metal. Da questa sintesi emerge la natura “prog” degli Old
Rock City Orchestra, un atteggiamento più che un genere. Al di là dei nomi e
delle etichette ci piace comunque pensare la nostra musica come un rock dal
sapore onirico, sognante, talvolta decadente.
Come si è evoluta la vostra discografia?
Dopo un breve periodo
di rodaggio della band trascorso a suonare cover di gruppi storici della scena
musicale anni ’70 abbiamo deciso di mettere in musica le nostre nuove idee e
così nel 2010 abbiamo realizzato il nostro primo EP di cinque canzoni,
diventato un vero e proprio album l’anno successivo con l’aggiunta di altri
quattro brani, per poi essere pubblicato nel giugno 2012 con il titolo “Once Upon A Time” per l’etichetta M. P.
& Records. Un disco rock dal sound psichedelico, vintage, che non guarda
però con nostalgia al glorioso passato musicale, anzi, è un voltarsi indietro
per proiettarsi in avanti. Dopo diverse esperienze live e molto tempo passato
in sala prove, a distanza di tre anni, è uscito lo scorso aprile il nostro
secondo lavoro “Back to Earth”, un
album sicuramente più maturo, meditato e per certi aspetti più esoterico.
Quali sono le maggiori soddisfazioni che avete ottenuto,
qualcosa che rimarrà per sempre nell’album dei ricordi?
Abbiamo avuto la fortuna
di toglierci diverse soddisfazioni in questi anni, in primis i concerti in
Inghilterra, Olanda, Belgio, Francia, ma soprattutto in Bulgaria nel 2013 in
occasione del Balkan Youth Festival, un evento internazionale che ci ha fatto
sentire quasi delle star! Ma anche le belle recensioni e i passaggi in radio
italiane ed estere, gli apprezzamenti e la stima di artisti affermati, così
come i “semplici” messaggi e telefonate di persone più o meno vicine che
esprimono il loro affetto per la nostra musica. La soddisfazione più grande
però è stata certamente l’apertura al concerto di Bernardo Lanzetti nel 2014.
Ascoltare da sempre la sua voce “impossibile” e leggendaria in dischi come
Mass-Media Stars dei suoi Acqua Fragile o Chocolate Kings targato PFM o ancora I
Sing The Voice Impossible come solista, e riuscire poi a condividere con lui lo
stesso palco, è stato davvero un sogno diventato realtà.
Come sono gli OLD ROCK CITY ORCHESTRA in fase live?
Durante i concerti
cerchiamo sempre di trasmettere tutta la nostra passione per il suonare e
questo fa sì che il nostro atteggiamento live sia piuttosto “rock”e diretto.
Ogni concerto ha una storia a sé, anche in base al pubblico, all’atmosfera e
alla sintonia che si crea tra ognuno di noi e tra la stessa band e gli ascoltatori.
Ogni volta è come affrontare un nuovo viaggio sotto forma di spettacolo, con l’alternanza di momenti molto energici e
momenti più intimi, più riflessivi. La durata dell’esibizione non ha
importanza; in quindici minuti o in due ore cerchiamo sempre di offrire un vero
e proprio show e non una semplice sequenza di brani, curando moltissimo anche
il “look” della band.
A proposito, vista la vostra esperienza all’estero, quali
sono le maggiori differenze che rilevate tra la situazione musicale italiana e
quella riscontrata in altri paesi?
Le difficoltà nel
trovare i giusti spazi per esprimere la propria musica in Italia sono maggiori
che all’Estero. Non suonando un genere commerciale le problematiche si
ingigantiscono, ma la vera differenza tra il nostro paese e il resto
dell’Europa, almeno in base alla nostra esperienza, è nella cultura
dell’ascolto e nella curiosità di sentire anche qualcosa di nuovo e non solo il
gruppo storico, la tribute band o il fenomeno del momento. Essere disposti ad
ascoltare e ancor più ad ascoltare qualcosa che non si conosce sono i due
aspetti fondamentali per la sopravvivenza e la crescita di una band che tenta
di affacciarsi nel panorama musicale con un progetto originale. All’Estero la
sensibilità nei riguardi degli artisti cosiddetti “emergenti” è sicuramente
maggiore, in Italia invece, forse per pigrizia, forse per ignoranza, molto
spesso, senza generalizzare, ci si trova di fronte a un vero e proprio rifiuto
della novità.
Mi parlate del nuovo album? Trattasi di concept?
Uscito lo scorso 30
aprile per la stessa M. P. & Records, “Back
to Earth” è il nostro secondo lavoro, realizzato nel 2014 tra Italia e
Bulgaria. È una sorta di concept album che narra la storia di un personaggio
che, dopo un senso di smarrimento, decide di intraprendere un viaggio alla
riscoperta di se stesso e del mondo che lo circonda. È un viaggio musicale,
surreale e introspettivo, a tratti fiabesco. Alla fine il protagonista giunge
in un luogo dal sapore antico dove lo attende la visione del Pianeta Terra, il
suo mondo originario e ritrovato, abbandonando così il suo status di “pedina”
costretta a muoversi su una scacchiera che non lascia spazio all’esprimersi
della natura autentica dell’uomo, insieme ragione e istinto. Questo è il quadro
generale dell’album, dieci brani “autonomi” ma allo stesso tempo legati tra
loro da un unico filo conduttore.
Che giudizio date dell’attuale stato della musica?
Oggi la musica viaggia
a due tempi. Esiste il mondo delle Major, dei talent show e di tutto quello che
il grande business musicale propone come prodotto commerciale all’ascoltatore
di massa. Poi esiste il mondo della musica indipendente nel vero senso della
parola, quello degli ascoltatori appassionati che acquistano ancora i dischi,
quello degli artisti che seguono la propria strada e che spesso sono di
grandissimo livello e con un’importante carriera e storia musicale alle spalle.
Anche chi vuol provare a far conoscere la propria musica, quella non conforme
alla moda del momento, si muove su questo terreno, sperando di essere prima o
poi notato. In un periodo di profonda crisi sociale e culturale anche la sfera
della musica inevitabilmente soffre, ma la presenza sempre maggiore di vecchi e
nuovi artisti che portano avanti con passione il discorso musicale autentico,
la musica come espressione artistica, è di buon auspicio per il futuro.
Si scrive musica per se stessi, ma subito dopo nasce
l’esigenza di diffondere il più possibile il proprio credo musicale. A chi vi
rivolgete principalmente, tenuto conto della particolarità della proposta, che
richiede impegno compositivo, ma anche concentrazione nell’ascolto?
Il primo passo è
scrivere per se stessi, poi effettivamente l’esigenza e il desiderio di far
conoscere le proprie idee e di comunicare la propria arte viene fuori, e la
scommessa più grande per noi è proprio quella di non rivolgerci esclusivamente
a un ascoltatore ideale. Ovviamente l’amante e il conoscitore di un certo
genere musicale piuttosto che di un altro è facilitato nell’ascolto e nella
comprensione della nostra musica, ma la vera conquista è quando il “digiuno” di
questo tipo di musica apprezza i nostri dischi, assiste magari per caso a un
nostro concerto e dice di essersi emozionato ascoltando il nostro sound. Noi
come tanti altri nuovi artisti di questo genere abbiamo in un certo senso il
dovere di educare ad una musica particolare e a volte difficile come può essere
quella della grande categoria del progressive rock, così come hanno fatto i
nostri “padri musicali” prima di noi lasciandoci in eredità un patrimonio dal
quale riprendere non tanto i contenuti, quanto la forma, lo spirito e la voglia
di creare sempre qualcosa di nuovo.
Provate ad esprimere un desiderio… realistico: cosa vorreste
vi accadesse, musicalmente parlando, nei prossimi tre anni?
Innanzitutto,
musicalmente parlando, vorremmo continuare ad esistere,
cosa non scontata viste le innumerevoli difficoltà, e ci piacerebbe farlo con
un terzo album, partecipando magari alla tournée di una band affermata come
supporting act o più semplicemente gruppo spalla e, perché no, partecipare ad
un grande festival. Sognare non costa nulla!
Tracklist:
1- When you pick an apple from the tree 4:14
2- Feelin' alive 4:08
3- Rain on a sunny day 2:09
4- Mr Shadow
3:45
5- Melissa 2:54
6- Lady Viper
2:38
7- My love 3:01
8- Tonight tomorrow and forever 3:02
9- Why life
3:52
10- Back to Earth
9:17
LINE UP
Membri:
Cinzia Catalucci - Vocals/keyboards
Raffaele
Spanetta - Guitars/vocals
Giacomo
Cocchiara - Bass/backing vocals
Mike
Capriolo - Drums/percussion
BIOGRAFIA
La band nasce ad
Orvieto nel 2009 da un’idea di Cinzia
Catalucci (voce e tastiere) e Raffaele Spanetta (chitarra). L’intenzione è quella di fondere le sonorità tipiche del
rock delle origini, psichedelia, musica progressiva, blues-rock, il tutto
arricchito da atmosfere classicheggianti e orchestrali. La line up è completata
da Giacomo Cocchiara al basso e Michele “Mike” Capriolo alla batteria.
Alla fine del 2010 il
gruppo registra un EP. I brani della band sono trasmessi in numerose radio e
webradio nazionali ed internazionali, tra cui la radio statunitense Aural Moon
che trasmette integralmente l’EP nel corso del programma New Moon on Monday
dedicato alle novità della scena progressive mondiale.
Nel 2011 gli Old Rock
City Orchestra sono citati nel capitolo dedicato alla scena prog contemporanea
del libro Rock Progressivo Italiano - An introduction to Italian Progressive
Rock scritto da Andrea Parentin.
Tra il 2011 e il 2012
la band completa la registrazione in studio del suo primo lavoro. L'album
d'esordio, dal titolo Once Upon A Time, esce il 20 giugno 2012 per l'etichetta
indipendente M. P. & Records (Rick Wakeman, Sonja Kristina, Bernardo
Lanzetti, Le Orme, Pierrot Lunaire, ecc.) ed è distribuito in tutto il mondo da
G. T. Music Distribution.
Recensito anche dal
magazine Classix! e dalla rivista olandese di musica prog iO Pages, Once Upon A
Time è stato presentato ufficialmente il 29 dicembre 2012 presso il negozio di
dischi Tarkus Records di Roma.
Nell'estate del 2013
la band intraprende un tour europeo in Inghilterra, Francia, Belgio e Olanda
concludendosi, infine, in Bulgaria con la partecipazione degli Old Rock City
Orchestra al 18° Balkan Youth Festival di Sandanski.
Nell'estate 2014 la
band è opening act per Bernardo Lanzetti, ex-cantante di PFM e Acqua Fragile,
nonché voce storica del progressive rock internazionale e vincitore del FIM
Award 2015 alla carriera.
Nell'aprile dello
stesso anno gli Old Rock City Orchestra tornano in studio per le registrazioni
del secondo album, pubblicato il 30 aprile 2015 per la M. P. & Records, mixato
in Italia, masterizzato in Bulgaria e distribuito dalla G. T. Music
Distribution.
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