martedì 26 agosto 2014

Lorenzo Piccone


Lorenzo Piccone è un giovanissimo musicista savonese che si potrebbe considerare anomalo, un po’ controcorrente, con le idee chiare e la Musica in corpo; non un rapper o uno desideroso di un po’ di visibilità da Talent Show, come spesso accade, ma fulminato da una luce intensa e assoluta che lo ha indirizzato verso il blues e il jazz.
L’ho incontrato per caso, in un’occasione particolare: la piazza era gremita - pare fossero in 15000 quel giorno - in attesa di un significativo evento di natura politica, e sul palco si stavano esibendo tre musicisti di assoluto valore ed esperienza (Carlo Aonzo, Claudio Bellato e Loris Lombardo). La folla aspettava ben altro, ma la buona Musica ha il potere di calamitare l’attenzione, anche dei più distratti. A un certo punto si unì al trio quello che da lontano sembrava un adolescente: chitarra acustica, voce “americana” ed estrema disinvoltura nel proporsi.


Ovvia la mia curiosità nel capire chi fosse quel ragazzo col baschetto in testa e un’apparente e sorprendente maturità.
Per riuscire a combinare l’intervista a seguire ci ho messo molto tempo, più di un anno, e l’idea che mi sono fatto - ma potrei sbagliare - è quella che per Lorenzo, in questo particolare momento di piena evoluzione personale e musicale, ci sia spazio solo per l’essenza e non per il contorno, laddove col termine “contorno” intendo tutta quella serie di cose che hanno a che fare con la visibilità, le chiacchiere, le opinioni, i giudizi, e che risultano alla fine distrazioni per chi ha come unica volontà quella di creare e progredire.
Ma alla fine l’obiettivo è stato raggiunto, fortunatamente direi, dal momento che nello scambio di battute emerge l’anima di Lorenzo Piccone, nato per caso in una cittadina ligure, ma forse più in sintonia con qualche lembo di terra d’Oltreoceano.
Il suo attuale biglietto di presentazione è l’ EP Turning Back, quattro tracce che vengono disegnate a seguire dal propositore, brani che raccontano di un’incredibile anima blues che si manifesta attraverso l’omaggio ad alcuni punti di riferimento - Kirk Fletcher, Lowell Fulson e Otis Rush - e la title track che dimostra la felice vena compositiva di Lorenzo.
Un blues di qualità, un’ invidiabile padronanza dello strumento - la chitarra - e il piglio del musicista di razza, la cui necessità di crescere è facilitata dalla chiarezza degli obiettivi prefissati.
Sarà dura vivere di sola Musica, o forse sarà dura vivere di sola Musica… in Italia, ma il talento, la tenacia e l’umiltà di Lorenzo Piccone indirizzano verso il pensiero positivo, e forse il trovarsi nel posto giusto, al momento giusto, riproporzionerà tutti i valori.

Leggiamo il sentimento di Lorenzo Piccone e ascoltiamo il brano “Turnig Back”.



L’INTERVISTA

Puoi sintetizzare la tua breve ma intensa storia musicale? Come sei arrivato a sviluppare la passione per il genere che proponi?
Il primo input è arrivato da mio padre che è un grande appassionato di musica, sul suo ripiano dove tiene i suoi cd si possono trovare dischi che spaziano dall’opera lirica sino ai Led Zeppelin. Grazie a lui ho scoperto e conosciuto molta della musica che suono e che ascolto sempre; ovviamente non si finisce mai di ascoltare e imparare cose nuove, non necessariamente più difficili, anzi.

Leggendo le tue note biografiche saltano agli occhi alcuni artisti cittadini di grande spessore, Enrico Cazzante e Carlo Aonzo: che cosa hanno significato per te?
Enrico Cazzante è uno dei miei cantanti locali preferiti, ha veramente una grande voce e un gusto musicale altissimo, è stato lui ha spingermi la prima volta a suonare in pubblico a quella che era la “Taverna di Mu”, me lo ricordo bene, quella sera è stato gentilissimo e disponibile nei miei confronti, che ero molto emozionato! Con Carlo ci siamo conosciuti con gli strumenti in mano: eravamo al Babilonia & Friends, suonavo con un quintetto jazz e avevamo appena finito le nostre prove; nel mentre anche Carlo si stava preparando per fare le sue prove e accennando un pezzo di musica bluegrass non ho resistito ad andargli dietro per accompagnarlo, cosi ci siamo conosciuti. Da lì abbiamo iniziato a vederci ed è nata una vera e propria amicizia.

Abbastanza anomalo che un ragazzo sia attratto dal blues, dal jazz, dal country, generi musicali lontani dagli standard giovanili: che cosa ti ha colpito maggiormente di queste “antiche” forme espressive?
In ordine sono arrivati prima il Blues poi il country ed infine il jazz, con un ascolto quasi casuale di “Welllow weep for me” suonata da Dexter Gordon. Effettivamente per un ragazzo della mia età è un pò anomalo l’ascolto di questo tipo di musica, io però non riesco proprio a farne a meno, mi ritrovo perfettamente in certi tipi di suoni e di atmosfere e la cosa che molte volte mi ha colpito è stata la franchezza e l’essenzialità nel comunicare attraverso quel tipo di musica.

Da quanto leggo ti appassionano gli strumenti in genere, e ami cantare, ma qual è la situazione in cui raggiungi il massimo della soddisfazione?
Mi diverto moltissimo quando ho la possibilità di suonare blues in quelle situazioni che ti permettono di essere espressivo e non sempre al massimo, ma anche creando vuoti e pause. Anche quando suono acustico e magari il pubblico è silenzioso hai la possibilità di creare molte più sfumature e colori.

Difficile essere considerati come bluesman, oltreoceano, in quegli stati dove pare che l’accettazione dipenda molto dal luogo di origine, e dove difficilmente verrà rilasciata la patente musicale ad un europeo, giudicato poco esperto di dolore, quel “pain” necessario per tirare fuori la rabbia e la poesia necessaria per scrivere canzoni: come ti vedresti inserito in quel mondo?
Io sinceramente credo che il blues sia in qualsiasi posto del mondo. Penso sia in Brasile con la saudade, a Napoli, in Usa, in Francia, insomma ovunque, perché è un’espressione dell’animo umano. Il blues è una cosa semplice e complessa alo stesso tempo. Chiunque potrebbe scrivere un blues, certo ci vuole un motivo, e bisogna sentirlo dentro.

Da dove trai ispirazione per le tue canzoni?
Libri prima di tutto, articoli di giornale, film o racconti di persone che magari ho appena conosciuto. Cerco di essere una spugna sotto questo aspetto cercando di essere il più aperto possibile.

Tra i tanti tuoi ascolti, a chi daresti il primato del musicista - o della band -  più sorprendente, quella che ti ha fatto scattare la molla?
Che domanda difficile! Come posso scegliere tra i tanti che mi piacciono, è davvero quasi impossibile. Io ho iniziato con Bruce Springsteen e credo che sia quello l’artista che mi ha fatto davvero scattare la molla. Poi, dopo aver conosciuto Young, Dylan, Fogerty ecc. sono arrivati Clapton, B.B.King e tutta la vecchia scuola blues, quelli che con una nota ti arrivano in fondo al cuore.

Mi racconti qualcosa del tuo EP “Turning Back”?
Turning Back è un Ep registrato dal vivo in studio. Abbiamo lavorato sui pezzi che poi avremmo dovuto incidere e ci siamo concentrati nel cercare di creare quel “feeling” che spero sia rimasto nella registrazione. Siamo entrati in studio e abbiamo suonato. Il primo pezzo si intitola appunto Turning Back e l’ho scritto in un momento in cui dovevo prendere delle decisioni e fare delle scelte: sono un operaio. C’era la necessita quindi di dare un occhio al passato, appunto voltandosi e guardando indietro, lì sono rimaste le tue scelte positive e negative, ma penso sempre che ci sia qualcosa che sta al di sopra di questo, come una sorta di aura, e questo mi da forza specialmente in momenti più difficili. L’amore che i miei genitori e tutte le persone hanno per me è una di quelle cose che sicuramente fanno parte di quell’aura, il ricordo dei miei nonni anche.
Gli altri 3 brani sono puramente blues, Blues For Bobo, Reconsider Baby e Double Trouble. Double Trouble la considero attualissima dato il testo che parla di un uomo che non ha nemmeno un lavoro decente per vivere e si sveglia di notte già con questi problemi. Ho riarrangiato questi pezzi e ho voluto registrarli perché li sento miei e mi fanno impazzire!

Cosa ami e cosa eviteresti nella fase live?
Il live deve assolutamente divertirmi e vorrei che anche i musicisti che suonano con me si divertissero; in inglese suonare si dice come giocare! Penso anche che in fase live i pezzi possano assumere delle nuove sembianze e possano essere plasmati a seconda dello stato d’animo che uno ha, mi piacerebbe viverlo cosi, non suonando esclusivamente sempre e solo nello stesso modo e le stesse identiche cose.

Prova a sognare, in modo … realistico: cosa vorresti realizzare nel tuo futuro prossimo, musicalmente parlando?
Il mio sogno adesso è quello di fare un disco interamente di pezzi miei. Ci sto lavorando, prendendo spunto dai dischi che mi hanno segnato particolarmente, vorrei trovare una storia, un filone nel quale immergere tutto quello che ruota attorno alle canzoni. Mi piacerebbe riuscire ad avere nello stesso progetto la parte elettrica e la mia parte acustica in modo da poter creare un dialogo tra questi due lati della mia persona e del mio essere quasi un musicista.