Quando ho appreso
della prematura dipartita di Alberto Gaviglio non sono rimasto sorpreso, sapevo della sua malattia,
ma a certe perdite non ci si riesce ad abituare, anche se, come nel nostro
caso, il rapporto personale era di relativa recente costruzione,
paradossalmente legato alla fine della Locanda delle fate e all'epilogo del 2017.
Da allora sono
rimasto in contatto con lui e ho seguito alcuni suoi passi, rivedendolo dal
vivo col fido Luciano Boero nel corso di una esibizione ligure nell’agosto del 2019.
Ma i ricordi personali non mi sembravano adeguati per una ricostruzione fedele dell’uomo e dell’artista, qualcosa che gli rendesse il giusto merito, e nell’immediato la frase sintetica più rappresentativa l’ho catturata dal suo stesso pensiero:
"Architetto
per necessità, Musicista & Autore per vocazione".
Ho quindi pensato
di lasciare il passo a chi con lui ha vissuto e mi sono rivolto all’amico - di
entrambi - Boero, che oltre ad essere un grande musicista è scrittore, ed è stato il collante che ha permesso di far nascere e
coltivare un progetto durato 40 anni.
Ma i rapporti
personali non vanno mai in pensione, a discapito dell’età che avanza e
dell’evoluzione della vita.
Luciano ha
accettato di buon grado il mio invito - come da sempre fa - e mi ha inviato il
suo toccante mood a caldo.
Non mi sono quindi
accontentato della dichiarazione ufficiale a seguire, ma ho cercato la
profondità che è frutto di un percorso fatto fianco a fianco, condividendo
gioie e dolori, sino alla fine:
“Dopo lunga malattia, ieri sera Alberto ci ha lasciati. Con lui se ne
va il musicista, ma soprattutto l’amico che ha contribuito a realizzare il
sogno di sette ragazzi: uno dei più apprezzati album prog dei ‘70. Sua l’invenzione
delle lucciole, suoi quasi tutti i testi. Che tu possa, Alberto, continuare a
inventare favole volando su quei prati della fantasia dove, grazie a te, le
lucciole vivranno per sempre".
Ecco come
Luciano si rivolge al suo amico Alberto…
MENTRE VOLI
IN ALTO
(lettera
all’amico Alberto Gaviglio)
“Mentre voli
in alto, in braccio a comete venute per te…”
Non son passate ventiquattr’ore
dall’ultimo saluto e già mi tormenti per le frasi che avrei potuto dirti e che invece
non ti ho detto. Ultimo saluto per modo di dire, tra l’altro, perché mentre
fissavo quello scrigno di legno che ti racchiudeva, già lo sentivo vuoto. La
tua presenza l’avvertivo ormai eterea e fluttuante oltre i bei coppi d’argilla
del quartiere romano della tua Acqui.
Ne hai fatto di casino. Hai
radunato tanta bella gente. Persino ex locandieri scomparsi da anni
dall’orizzonte ottico. Ne sono stato oltremodo felice.
Per non parlare poi dei social,
dove ancor ora ti starai stupendo di quanta popolarità godessi.
“Siamo due gemelli separati
alla nascita”. Me l’hai detto tu infinite volte quando scoprivamo per
l’ennesima volta che nelle questioni più disparate avevamo lo stesso punto di
vista, che entrambi avevamo avuto un trascorso giovanile impastato con gli stessi
tormenti, le stesse emozioni.
Anche l’aspetto religioso ci ha
sempre visto collimanti: entrambi agnostici. Non atei, giammai. Ateismo è presunzione,
assoluta certezza al pari della fede. Tutti e due col rammarico di non essere
riusciti a trovare il bandolo che portasse illuminazione alle domande senza
risposta.
Ti ho sempre detto che ti
invidiavo il testo di Molecole, che in punta di piedi muoveva un passo
nell’infinito alla ricerca di Dio.
“Molecole
di Dio
Nell’universo,
nell’eternità
Dai
nostri sogni sparsi in tutti gli angoli
Al
grande volo verso l’aldilà…
Molecole
di noi
Noi
che facciamo la Sua volontà
Noi
particelle micro-indispensabili
Del
gran disegno che Lui solo sa…”
Ne parlavamo sovente, di queste
cose ed altre, nella telefonata del lunedì pomeriggio, che per me coincideva
col momento in cui la lavasciuga sfornava il bucato. Col telefono nella tasca
posteriore, indossati gli auricolari, era un piacere stirare parlando con te del
più e del meno.
Sì, è vero, si partiva sempre con
l’acciacco del giorno, ma non durava tantissimo. Era facilissimo slittare su
altri argomenti. La musica in primo piano. Magari annunciavi la nascita
dell’ultima creatura, il brano “perfetto” - lo facevi spesso -, quello che
avrebbe scalato le classifiche di mezzo mondo. Mi leggevi la frase “clou”,
quello che in gergo chiamavamo slogan, quello che, se non c’è, il tuo testo rimane
anonimo e non “funziona”.
Eri facile agli entusiasmi. Forse
mi raccontavi le tue cose perché sapevi che io, altrettanto sognatore, godevo però
di un pizzico di pragmatismo in più che faceva da giusto contrappeso alla tua
maggior spregiudicatezza artistica. Come me, hai sempre preferito una critica
sincera a un falso complimento.
Sai cosa pensavo proprio ieri
mentre ascoltavo osservando lo scrigno di legno a centro navata? Che in
un’occasione così si tende a pensare al passato, a ciò che di buono la persona
appena scomparsa ha fatto nella vita.
E lì ci sono stati fiumi di parole:
Architetto, Musicista, Compositore… Alberto, eccellevi in tantissimi campi e un
libro non sarebbe bastato a descriverti in toto.
Nella mia testa, mi veniva però di
sovvertire lo scontato - ti ricordi, lo facevamo spesso per gioco durante le
nostre conversazioni telefoniche - prendere il microfono e parlare invece di
futuro.
Perché, se è vero che nessuno di
noi muore veramente finché rimane nei pensieri di chi resta, allora tu vivrai ancora
a lungo.
Sai Alberto, prima di ogni
insegnamento artistico - e tu mi hai insegnato come ci si destreggia con le
parole coniugando il bel suono con un buon significato - con te ho imparato il
valore della lealtà e dell’amicizia. Valori imprescindibili, se ci si trova
all’interno di un gruppo.
Sembra semplice, scontato, ma non
lo è affatto e tu lo sai bene.
Vabbè, in campo artistico succede
che le parole a volte scappino di bocca, magari persino per augurarsi la morte,
per poi finire abbracciati dieci minuti dopo con un pace-carote-patate.
L’importante è ciò che si intuisce esserci “dentro” all’altro. La bella gente
la si fiuta e la si riconosce. Se la si perde, prima o poi la si ritrova.
Ebbene, in futuro, son certo
continuerai ad ispirarmi questi valori. Son certo che sarà lo stesso anche per
le persone a cui hai voluto - e che ti hanno voluto - bene.
Sarà il tuo modo di continuare a vivere
con noi, di seguirci dalla stanza accanto.
Sempre parlando di futuro, dato
l’agnosticismo che ci accomuna - il che equivale a un “non si sa mai” - se per
caso ti capitasse il brano perfetto, che può scalare le classifiche di mezzo
mondo, i piedi tirali pure a me. Non stare lì a disturbare nessun altro.
Ciao. Ci vediamo.
Lucky
A conclusione ho preparato un
medley a lui dedicato, un estratto dei due concerti di fine 2017: sarà facile
afferrare l’atmosfera che avvolge i “Locandieri”, e sarà altrettanto naturale immaginare
l’attuale dolore legato ad un percorso materiale che si è interrotto, mentre il
legame affettivo proseguirà nel tempo, indissolubile, sentimento che solo le
persone virtuose e sensibili possono provare.
Ecco la mia ricostruzione, con l’intenzione
di ricordarlo sul palco, immaginando che ci resterà per un tempo infinito…