mercoledì 2 dicembre 2020

Il Tusco-"Abbandonare la città"

Il Tusco-"Abbandonare la città"

Andromeda Relix


Il periodo di clausura forzata legato all’emergenza sanitaria ha portato ogni singola persona alla riflessione profonda. L’anima dell’artista è esplosa a tutte le possibili latitudini e, a maggior ragione, chi artista lo è veramente ha tratto innumerevoli spunti per alimentare un’ispirazione non sempre limpida. Come più volte ho detto e scritto, la fortuna di chi possiede un talento artistico (letterato, scultore, pittore o musicista) è quella di poter lasciare traccia indelebile del proprio pensiero, in una gamma di sentimenti che passano dal dolore alla felicità.

Questo preambolo mi serve per introdurre il quarto album di Il Tusco, nome in arte di Diego Tuscano - con esperienza musicale trentennale - che con la sua band propone "Abbandonare la città", la cui genesi è sottolineata dall’autore:

Abbiamo registrato il nuovo disco il primo week end di giugno 2020, in tre giorni pazzeschi, di un'intensità magica e inquietante: uscivamo dal lockdown dovuto al Covid-19 e non ci vedevamo da quattro mesi. Il titolo dell'album, la scelta di registrare su nastro, le tematiche di assurda e allucinata resilienza quotidiana, la sensazione fisica che ci sia davvero qualcosa di rotto in noi e nel mondo, la convinzione che la musica possa ancora aggiustarlo… tutto collimava.”

Aggiunge: “Terzo lavoro con Andromeda Relix: otto canzoni scritte in italiano e pensate in rock, senza mollare mai.”

La prima cosa che si manifesta quando si ascolta un nuovo artista riguarda l’esercizio automatico della comparazione, perché l’istinto riporta sempre alle situazioni musicali più conosciute, insomma, un porto sicuro.

La musica di Il Tusco - che non conoscevo -, nonostante gli accostamenti nobili presenti nel comunicato stampa ufficiale, presenta una buona originalità.

Certo, il rock e il blues non hanno grosse vie di fuga, ma la caratteristica di questo progetto è che il sound risulta molto "internazionale" nonostante il cantato italiano che, per aspetti tecnici, poco si presta al rock, e nella migliore delle ipotesi riporta ai “miti” di casa nostra, quelli che nemmeno riesco a nominare. Il motivo della realizzazione di queste atmosfere “straniere” credo sia dovuto all’esperienza vissuta da Tuscano con i SanniDei - una delle band simbolo dell'hard rock blues italiano - con i quali ha realizzato sei album in quindici anni, molto apprezzati in Inghilterra.

Dunque, un disco molto piacevole per gli amanti del rock, direi molto tradizionale, senza la frequente fuga in metal o derivati, un sound su cui spicca una voce incredibile per modulazione e timbrica.

Apre l’album “L’ultimo film porno”, brano degno dell’apertura di un vero concerto -abbandoniamo un momento l’idea di musica virtuale -, ritmo incalzante e virtuosismo chitarristico per il racconto di un quotidiano alienante, ma… “Quando ti risveglierai capirai che è un altro giorno…”.

A seguire la title track, superbo rock blues che induce alla dinamicità spinta. Un’esortazione a dare una svolta positiva al proprio percorso, fatto spesso di apparenza e di imposizioni… “Abbandonare la città” significa in realtà uscire da schemi che altri hanno scelto per noi, reinventando il concetto di ortodossia, idealmente diverso rispetto a quello di chi ha programmato in nostra vece, senza chiedere il permesso di farlo.

Il riff chitarristico di “Dolce Sorriso” caratterizza la traccia, diventando una sorta di tormentone musicale che penetra a fondo e stazione a lungo.

Tutti voglio toccarti, sguardi penetranti… languide carezze implori…” ma quello che alla fine resta è “…un dolce sorriso…”.

Strada contromano” è la ballad che non manca mai in un album di sano rock.

Momento intimista, non solo dal punto di vista musicale: “Io avevo la pretesa, di una vita come un ballo, e invece poi la cosa mi ha imposto un altro andazzo, strada contromano quella che ho infilato…”.

Il quinto pezzo è “Animaccia mia”, un blues lento, storia tradizionale con protagonista un uomo e una donna che si rincorrono: “Non riesco nemmeno a descrivere il desiderio che annienta la mia psiche, vorrei passare la notte con te, ma inventi scuse pazzesche perché pensi che io sia perduto senza te, ma tu non sai che io posso aspettare che tu finisca di giocare con la mia anima…”.

Altro riff impossibile da ignorare quello di “Mostro”: “Ma scusami un attimo, dimmi se ti sembra il caso di ridurti così, sembra che hai buttato il viso dentro al cesso, sembri veramente un mostro…”. Sezione ritmica sugli scudi, un rock potente nel rispetto della tradizione e un finale dallo strumentale prolungato… un brano molto seventies.

Con “Dosi omeopatiche” arriva il sapore di Deep Purple anche se nella parte centrale si intravede una buona apertura al prog.

Lirica ermetica che si presta all’interpretazione personale, e la sintesi potrebbe condurre verso la fuga da ogni eccesso, perché ogni cosa, assunta a piccole dosi, risulterà una condizione di vita ideale, e anche gli amori, se tossici, possono risultare deleteri.

A chiudere il disco un brano dal lungo titolo: “Il trionfo di Hobbes- Nel giardino di Voltaire c’è solo erbacce”.

Nel contenitore della realtà, c’è che si vale per quanto si ha…”: immagini distopiche per una scorribanda nella psichedelia che sembra rappresenti la più reale discendenza dal tragico momento contingente, musica immaginifica che interpreta stati d’animo che sono condivisibili, perché frutto di esperienze drammatiche comuni.

Cos’altro aggiungere… un disco dai tanti significati più o meno nascosti, che quando sarà ascoltato al riparo dalla giustificata ansia del momento potrà essere giudicato, anche, solamente, come un buon disco rock, ma ovviamente c’è molto di più!



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