venerdì 17 maggio 2019

Zerothehero-“Nobody”


Zerothehero-“Nobody”

Zerothehero è il progetto solista di Carlo Barreca, musicista genovese, bassista in primis ma con vocazione verso l’uso incondizionato di strumentazione varia, tra i protagonisti della Fungus Family, band progressive di lungo corso.
L’album da poco rilasciato è “Nobody”, quarantadue minuti di musica strumentale - eccetto un episodio - in cui Barreca mostra il suo volto più passionale ed esprime una necessità, quella di lasciarsi andare senza limiti e barriere, perlustrando spazi inusuali e godendo della piena libertà espressiva:

Ho suonato (quasi) tutto io, con l’aiuto dell’ottimo Luca Bonomi alla batteria. Metà dei brani sono nati come commento sonoro a “l’uomo dal fiore in bocca”, per un progetto realizzato qualche anno fa col “gruppo ironici d’assalto”. Per il resto ho impostato il lavoro come una sorta di Jam con me stesso, limando e ritoccando al minimo, lasciando imprecisioni e sbavature. Il tutto è per me un tributo a un certo modo di fare musica che sta scomparendo: le “salettate”, le improvvisazioni estemporanee, le combinazioni inattese. Ed è un omaggio diretto per un amico, con cui ho condiviso nottate in saletta, concerti senza scaletta e ore di interplay che a tratti sfiorava la telepatia”.

Questa è la filosofia con cui è stato realizzato “Nobody”, e l’intervista a seguire permette di entrare nei dettagli del disco, una preparazione all’ascolto che aiuta a comprendere.
La comprensione… è questa una possibile modalità di fruizione; esiste poi la censura al razionale e l’abbandono totale al fluire dei suoni, cercando la sintonia con l’autore, immedesimandosi, sostituendosi, entrando a far parte del viaggio, un itinerario con un inizio e una fine, stimolato dai ricordi e da una forte amicizia che viene fatalmente a mancare, ma che aleggia nei momenti più importanti, sicuramente quelli che hanno a che fare con la creatività.
C’è un forte profumo di Canterbury che permea l’album, e l’atmosfera appare quella che si respirava a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, nel Kent, un tempo e un luogo colmo di genialità musicale.

Spruzzate di Oldfield - “Chairs”- e di Barrett - nel cantato di “Hourglass” -, appaiono dall’esterno elementi formativi di Barreca, una storia non vissuta in prima persona, per ovvi motivi anagrafici, ma assorbita in toto, e gli ascolti di Gong e Wyatt si rovesciano più o meno inconsapevolmente nel racconto personale, favorito dalla possibilità di assoluta libertà, quella che solitamente è limitata quando gli obiettivi devono essere condivisi dal gruppo.

Carlo Barreca si lascia andare, si racconta attraverso dodici episodi che marchia a fuoco col suo stile, prendendo una certa distanza dall’ortodossia, quella che va di pari passo con l’idea della visibilità, concetto che non credo abbia mai sfiorato l’autore, dedito alla sperimentazione e alla soddisfazione personale, stati mentali che alla fine producono qualità.

Uno uomo, una cantina, un pò di fumo, tanti strumenti… una notte intera da vivere… musica per sé, musica per chi ci sta vicino, musica per chi ci ha ormai lasciato… musica per gente virtuosa!


La nostra chiacchierata…

Eʼ uscito “Nobody”, "album realizzato come Zerothehero, ovvero il tuo progetto solista parallelo, soprattutto, alla Fungus Family di cui fai parte; partiamo dalle origini, come nasce e come si sviluppa nel tempo “Zerothehero”?
Ho sempre suonato da solo, senza mai prefiggermi scopi precisi; mi piace lʼidea del “to play”, o “jouer”, cioè suonare per il gusto di farlo. I brani di Zerothehero (come anche quelli che porto in dote alla Fungus Family) nascono quasi sempre da soli.
Sono un ascoltatore piuttosto vorace, e mi rendo anche conto di quanto gli ascolti confluiscano nel mio modo di “scrivere”.

Mi racconti cosa contiene “Nobody”, come si differenzia dal tuo normale impegno musicale?
Qualche anno fa mi è capitato di lavorare con un amico attore; mettemmo in scena “Lʼuomo dal fiore in bocca” e scrissi alcuni semplici temi su cui potessi “ricamare” al basso. Lʼossatura del disco nasce lì, mentre altri brani sono nati dallʼesigenza di improvvisare senza rete. Farlo da solo è stimolante, quando lasci decantare alcune parti, le dimentichi, e poi dopo un mese ci risuoni sopra con orecchie nuovamente vergini.

Nellʼalbum fai quasi tutto tu, e metti in evidenza, anche, la tua veste di polistrumentista, ma… la tua necessità di autarchia musicale è cosa episodica o è la parte preponderante del tuo essere musicista?
Parto da una confessione: sono solo un bassista; tutto il resto è gioco, sperimentazione, “cosa succede se metto un dito qui?” (lessi questa frase secoli fa a definire lo stile chitarristico di Syd Barrett). Vorrei riportare altri strumenti nellʼambito Fungus Family, ma dal punto di vista del live i fiati sono molto delicati e lo stick è particolarmente “fragile” nellʼeconomia di un mix.

Il disco è praticamente strumentale, tranne in un episodio: esiste un contesto ben preciso in cui la voce entra nella sfera dell’improvvisazione?
Le canzoni a volte arrivano, quando capita le afferro al volo! Hourglass parla del tempo; a volte la corsa e lʼaffanno sono una forma paradossale di pigrizia: non abbiamo la forza e il coraggio di fermarci, riflettere, ma i nostri schemi mentali ci impongono stimoli continui, senza priorità, logica, senza il necessario vuoto.

Realizzando il disco hai pensato ad un omaggio a persone o a situazioni precise?
Nel periodo in cui lavorai a “L’uomo dal fiore in bocca”, Alejandro J Blissett, chitarrista dei Fungus e mio grande amico e compagno di improvvisazione, scoprì di essere malato di un cancro al fegato. Questo è il mio piccolo omaggio a lui, ed è anche il mio modo di ricordare quelle serate in cui si saliva sul palco senza neppure una scaletta, improvvisando senza meta.

Qual è il tuo pensiero sulla situazione della musica dalle nostre parti? Album come il tuo o come qualunque altro del “circuito qualità” non trova canali che portano allʼascolto, se non a quello di nicchia…
Negli ultimi due anni ho ridotto di molto la vita da spettatore, per dedicarmi a una meravigliosa bimba; mi pare, comunque, che i giovani abbiano meno interesse per la musica “suonata” dal vivo rispetto alla mia generazione (ormai sono nei 40). Grazie per aver parlato di “qualità”!

Hai previsto momenti di incontro (concerti e presentazioni) per proporre il tuo nuovo lavoro?
Da quando è “uscito” il disco (uso il virgolettato perché mi sto muovendo pochissimo per promuoverlo) è capitato un unico concerto, che però mi ha permesso di arrangiare il materiale in modo da non impazzire saltando tra gli strumenti. Il mio setup dal vivo prevede basso, pedali, un semplice looper, microkorg e il flauto traverso. Penso di ripetere, devo però trovare situazioni adatte; il solo del bassista è notoriamente più efficace del buttafuori nello svuotare i locali, dunque mi propongo con circospezione e parsimonia!