lunedì 4 gennaio 2016

ELISA MONTALDO: “FISTFUL OF PLANETS-PART I”, L’ALBUM D’ESORDIO

Doveroso fare una premessa chiarificatrice, perché se è vero che Elisa Montaldo ha una buona fama di musicista inserita – e leader – di una band, il progetto solistico è il primo che lei propone, e quindi nasce l’esigenza di farlo conoscere, stimolando la curiosità di chi è abituato a vederla in vesti musicali un po’ differenti.

Elisa nasce come tastierista e compositrice, e il suo ruolo più conosciuto è quello all’interno de Il Tempio delle Clessidre, gruppo di rock progressivo che ha già rilasciato due album, ed ha avuto modo di calcare palchi famosi, tra America e Corea del Sud, passando per importanti festival europei.

Ma le sue scelte di vita, forse obbligate, forse volute, probabilmente entrambe le cose, l’hanno portata a vivere lontano dal suo mondo abituale, in discreta solitudine, una trasfertista musicale che, obtorto collo, trova modo di riflettere e rovesciare idee, esperienze e sentimenti sulla tastiera, sperimentando, osando e spaziando a piacere tra i generi.

Di positivo esiste la possibilità di assumere la piena responsabilità del lavoro che si vuole compiere, inventando ciò che forse non era possibile creare in passato, ma la mancanza di confronto, abituale per lei all’interno de Il Tempio…, potrebbe essere di impedimento nell’addolcire gli spigoli compositivi.

Dalle parole se ne esce con la musica, e quella contenuta in “Fistful of planets-part I” rappresenta una vincente carrellata di stati d’animo che tagliano ogni confine per proporre i tanti volti dell’autrice, capace di spaziare tra generi e strumentazione.

Nella sua camera d’hotel lascia l’elettronica, i settaggi complicati, il rock ragionato, il duro metal, e si riappropria delle origini, della semplicità apparente, del vestito acustico che da sempre ama, con una proposta supplementare, quella di esprimersi anche vocalmente, una necessità professionale trasformatasi in peculiarità dell’artista.

Nell’intervista a seguire è la stessa Elisa a spiegare i dettagli del suo lavoro discografico e molto altro ancora, ma “Fistful of planets” trova consistenza anche senza essere spiegato, perché sono soprattutto le atmosfere che colpiscono e portano ad una facile immedesimazione, e ci si rende facilmente conto che i viaggi e le solitudini di Elisa Montaldo appartengono un po’ a tutti noi, e sarà molto semplice trovare la giusta sintonia.

Da non perdere!

TRACKLIST

In the cold white desert – The blue planet

Senza parole – Satellite

To gather – The green planet

Eclectic rocks – Satellite

Blackgrass II – The brown/red planet

Vodka e limone – Satellite

Weeping willow – The purple planet

Robot madness – First comet of chaos 

BONUS TRACKS

Danza soterica di datura (Il Tempio delle clessidre)

Notturna (Il Tempio delle clessidre)

 


L’INTERVISTA

Il tuo album solo, “Fistful of planets”, presenta una Elisa Montaldo in versione nuovissima, al di fuori del contesto più conosciuto, che è quello di leader e tastierista de Il Tempio delle Clessidre: da cosa trae spunto questo tuo nuovo percorso?

In verità non è un percorso nuovo, in quanto da almeno cinque anni avevo bisogno e voglia di realizzare un mio lavoro solista, ma un pò per mancanza di tempo e possibilità, un pò per priorità, ho sempre dovuto dedicare il mio tempo ad altro. Finalmente in quest’anno mi sono creata le condizioni per poter lavorare da sola, seppure in modo “ambulante” e nomade, e sono arrivata a costruire un piccolo progetto discografico. Avevo tante mie composizioni create nel corso degli anni, ma ho voluto partire da zero. La volontà non era nuova, ma la musica sì, come anche questo mio percorso.

Album concettuale, dove emerge la tua spiritualità tradotta in musica: mi racconti qualcosa dei tuoi “pianeti e satelliti”?

Queste composizioni sono nate spontaneamente e vengono da idee puramente istintive. Da oltre un anno sono costretta, per lavoro, a spostarmi molto, spesso stando sola e lontana dalla mia città e dai miei cari per intere stagioni. Lavorando in hotel la sera ho avuto modo di sfruttare il tempo libero attrezzandomi per comporre e registrare autonomamente persino in condizioni logistiche difficili: ho imparato non senza difficoltà a gestire tutte le fasi della creazione di un disco, dalle registrazioni all’editing, fino al premix. I brani hanno preso forma in luoghi diversi e hanno come “assorbito” le atmosfere e le esperienze personali che ho vissuto in tali luoghi. Mi sono sentita come in un universo sconosciuto, pieno di pianeti in formazione: i brani più completi sono diventati così i “pianeti” (caratterizzati da diversi colori), mentre i brani più brevi ad essi correlati sono i loro “satelliti”. C’è un profondo legame tra questi pianeti, facenti parte della mia personale “galassia” e ho voluto esprimere questa idea attraverso la grafica del booklet che mostra i vari pianeti e le descrizioni dei brani come una sorta di mappa stellare. Inoltre ho voluto specificare i luoghi esatti in cui ho composto e registrato i brani, con tanto di latitudine e longitudine terrestre, dato che mi piacciono i giochi di contrapposizione, tutto ciò è diventato un macro/microcosmo immaginario ma tangibile!

Chi ti ha aiutato/accompagnato in questa nuova avventura musicale?

Ho cercato di fare il più possibile da sola perché mi sono come “chiusa” in un periodo di profonda crisi personale, riflessione e, possiamo dirlo, spesso quasi “eremitaggio”, soprattutto nell’hotel in mezzo alla neve, in Trentino! Una solitudine strana, spesso difficile e sofferta, ma piena di entusiasmo, dove osservavo le persone mentre suonavo al ristorante e creavo nuove melodie liberamente. Dunque, questa fase compositiva, di ricerca suoni e di stesura è stata solitaria. Discorso a parte è il brano “Blackgrass II”, composto e suonato da Karl Demata, in cui io ho inserito le tastiere: mi sono recata spesso a Oxford in questi ultimi due anni per le registrazioni e post produzione del disco del progetto VLY di cui faccio parte. Questo brano un pò country un pò colonna sonora è l’esempio di un altro lato di me: adoro questo genere di musica e ho sempre voluto poter fare qualcosa in tale campo. Ho poi aggiunto sul finale un ambiente e una conversazione per evidenziare ancora di più l’aspetto “cinematografico” che il brano mi ispira. Marcello Chiaraluce aveva ascoltato “Weeping Willow” apprezzandone molto l’atmosfera sognante ed evocativa: gli ho chiesto dunque di scrivere le parti di archi che avevo solo abbozzato con la tastiera. Ha scritto esattamente ciò che avrei voluto sentire, in modo del tutto spontaneo ed emotivo! I suoni sono stati poi processati da Matteo Nahum che dalla Spagna mi ha mandato le tracce “suonate” da ottimi virtual instruments professionali. Nel disco c’è anche l’apporto musicale di Mattias Olsson: fin dal nostro incontro (e jam session a sorpresa dopo i concerti) al NearFest in USA avevamo una voglia matta di fare qualcosa insieme. Già prima di proporgli di prendere parte al progetto VLY gli avevo chiesto di inserire qualcosa nel mio album solista, nonostante la mancanza di tempo siamo riusciti a combinare pochi giorni prima della chiusura del missaggio: Mattias ha una creatività irrefrenabile e ha realizzato trame percussive e piccoli camei elettronici in alcune parti dei miei brani già pressoché finiti, ma che grazie a lui hanno assunto un carattere ritmico più presente e preziosi suoni vintage a riscaldare il tutto. Non avrei il disco ora se non avessi avuto la fortuna di incontrare Giacomo Castellano: sono entrata in contatto con lui per partecipare ad un suo videoclip di prossima uscita: trovandomi a Firenze per la stagione estiva ho pensato che il destino mi stava aiutando: venendo a sapere che oltre ad essere famoso come chitarrista, turnista, compositore, è anche ottimo videomaker e produttore musicale, gli ho proposto di occuparsi del disco e lui ha accettato, dando un grande apporto nella co-produzione, migliorando gli arrangiamenti, gestendo al meglio i suoni e le frequenze, mixando il disco e rendendolo professionale e competitivo a livello sonoro; ha aggiunto anche un breve solo chitarristico in “eclectic rocks”. Pur essendo un disco senza pretese, registrato in casa (anzi, in hotel!) e autogestito ho voluto che suonasse al meglio e che potesse far uscire tutta l’attenzione e l’impegno che ho impiegato per cercare i suoni e creare certe atmosfere. La bravura, l’esperienza e la pazienza di Giacomo hanno reso possibile tutto ciò.

Lavorare in piena autonomia può essere più facile, ma la mancanza di contraddittorio può a volte portare ad arrestarsi alla prima soluzione trovata: quali sono i pregi e i difetti del lavoro di squadra a cui sei abituata e quali quelli dell’autarchismo adottato in questo caso?

È proprio vero, ci sono pro e contro in entrambe le situazioni. Innanzitutto, nel lavoro di squadra (come quello che si fa con il Tempio delle Clessidre) i brani spesso subiscono cambiamenti e influenze da parte di più persone; ciò può essere causa di rallentamento dei lavori, ma è anche un ottimo modo di confrontarsi, migliorare, vedere le cose sotto diversi punti di vista e trovare un’identità comune. I difetti possono essere, oltre alla maggiore difficoltà di gestione del lavoro stesso, conflitti su opinioni e gusti personali, il sentire le proprie idee cambiare troppo se manipolate da altri e non avere abbastanza spazio per esprimersi. Con il Tempio non mancano mai le difficoltà, ma direi che finora i pregi hanno superato i difetti! Nel lavoro “solitario” si è padroni di sé stessi, ma si può risultare “limitati” se non si apre la mente. Per esempio, ho periodicamente fatto ascoltare le mie composizioni ad alcuni amici e a mio fratello per raccogliere opinioni e impressioni, poiché sono un’eterna insicura e ho sempre bisogno del riscontro altrui. Ad un certo punto però mi sono quasi imposta di procedere liberamente senza pensare alle conseguenze, a creare e sperimentare, ed è stato un percorso affascinante, quasi zen, perché mi ha portato a superare limiti che credevo invalicabili, a imparare moltissimo e aumentare la mia capacità di resistenza e forza di volontà. Quando ascolto il prodotto finito mi rendo conto di quanto sentissi il bisogno di concretizzare questo mio mondo, e di quanto ancora ho bisogno di esprimere. La scelta dell’autoproduzione segue questa filosofia. Non so se piacerà, ma è sincero, libero e molto personale come desideravo che fosse.

Il tuo avvicinamento all’utilizzo della voce è stato graduale: a che punto dell’evoluzione ritieni di essere? Incominci a trovare soddisfazione e risultati appaganti?

Ho deciso di studiare canto dal momento in cui mi sono trovata a gestire il mio lavoro come musicista a tempo pieno nel modo più completo possibile: piano bar, intrattenimento, matrimoni, insomma ovunque serve una voce che canti. Dopo due anni di studio mi sono fermata per partire appunto per il Trentino, ma avrei voluto continuare. Ho avuto la fortuna di avere un maestro davvero molto bravo (Gino Pecoraro) che ha saputo condensare tutto in poco tempo e rendermi vocalmente autonoma. Vorrei riuscire a fare tante cose che tecnicamente ora non sono in grado di fare, mi impegno molto e lavorare sei ore al giorno in media per quattro mesi di seguito (e stiamo parlando solo della stagione invernale) è una bella palestra! Nel lavoro che faccio devo direi che ho pressoché sempre successo, mi sono costruita un repertorio adatto alla mia vocalità e riesco a rendere il massimo possibile con un’attenta scelta delle canzoni da cantare. Nel disco però le voci non sono come avrei voluto, anche perché ho dovuto registrarle in condizioni difficili, da sola, avvolta nelle spesse tende della camera per cercare di insonorizzare l’ambiente, senza nozioni sull’uso di un microfono a condensatore e con poca esperienza nel campo. Spero di migliorare ancora, sono in costante evoluzione e ciò mi fa comunque essere soddisfatta del risultato ottenuto al momento.

Nell’album hai inserito due tracce del tuo lavoro con “Il Tempio”: necessità di mantenere saldo il legame o precisa scelta artistica?

Ci sono diversi motivi. Il primo è quello promozionale; questo mio disco è nato dall’esigenza di avere un prodotto da offrire durante i miei spettacoli da solista: quando mi esibisco mi capita spesso che mi chiedano un mio cd, dunque ho unito il desiderio che avevo da anni con questa esigenza. Mi è sembrato giusto inserire due tracce del “Tempio” per far conoscere il progetto a chi non ascolta questo genere, cercando di “spargere il verbo” il più possibile! Il secondo motivo, più personale, è quello di voler raccogliere insieme due brani particolari: “Notturna”, l’unico cantato da me e per me “magico” per come è nato (quasi in una trance improvvisa) e “Danza esoterica di Datura”, esistente già prima della nascita del Tempio e che amo follemente. Purtroppo, solo ieri ho realizzato che nel cd le due tracce sono invertite rispetto alla tracklist del libretto!

Accanto a “Fistful of planets” hai aggiunto “Part I”: potrebbe essere questo l’inizio di un tuo nuovo filone musicale?

Ho inserito “part I” perché di fatto lo sento come un album incompleto… da un lato ho volutamente fermato lo sviluppo di questo disco in questo preciso punto, in cui i brani sono puri, curati e completi, ma brevi, quasi come pennellate di colore… breve anche perché ho voluto staccarmi un pò dalle classiche suite prog e ho voluto raccontare in modo più ermetico le mie emozioni. Un’ “istruzione per l’uso” che mi piace dare è quella di ascoltare il cd nei seguenti modi: in viaggio, sentendosi come in mezzo a un film e, se in autostrada, guardando il paesaggio intorno di tanto in tanto godendosi le melodie e i diversi colori musicali, ascoltandolo anche due volte di seguito, oppure in modo più tranquillo e rilassato concedendosi una breve pausa da tutto lo stress della giornata, magari sdraiati o accomodati sul divano di casa, ad occhi chiusi. Ho il desiderio di realizzare la “part II” al più presto, ho già gran parte del materiale pronto, devo solo trovare stanze d’hotel, neve, emozioni, lacrime e sorrisi… e tutto ciò non tarderà ad arrivare, ne sono certa. Prima però dovrò controllare i miei moti istintivi e lavorare al terzo album del Tempio e al secondo di VLY.

Chiudo dicendo che faccio musica per vocazione e sento che in qualche modo devo essere tramite di questo linguaggio sovraumano: voglio regalare emozioni, trasmettere benessere, a volte malinconia, riuscire a fermare il tempo per chi ha voglia di essere trasportato in mondi sconosciuti dove però è possibile trovare sé stessi nella musica di qualcun altro. Credo profondamente in questo potere che la musica ha, lo subisco e lo esercito devotamente cercando di fare nel mio piccolo il meglio possibile.