Il 13 marzo
2015 ci lasciava Daevid Allen
Dalle pagine del SECOLO XIX lo
ricordavo così…
La notizia è fresca,
attesa, ma toccante per chi ha vissuto un’epoca musicale felice e si accorge
che, ad uno ad uno, i tasselli scompaiono. Daevid Allen non era più giovanissimo, aveva 77
anni, ma faceva parte di quel gruppo di miti musicali che sembra non possano
mai avere fine terrena: i suoi followers sapevano bene che aveva i giorni
contati. Difficile in poche righe raccontare di lui, probabilmente conosciuto
esclusivamente dagli addetti ai lavori e dagli appassionati del genere, ma è
indubbio che il suo genio abbia dato contributo
fondamentale a quella corrente musicale conosciuta come il Canterbury Sound. Poeta, musicista,
artista poliedrico, Daevid parte dall’Australia per approdare in Europa, dove
il suo genio troverà terreno fertile nella Beat
Generation. Siamo all’inizio degli anni ’60, e l’Inghilterra è scossa
-successivamente assuefatta- dalla musica di Beatles e Stones, e ciò che Allen,
Hugh Hopper e Robert Wyatt propongono - sono loro i suoi iniziali compagni di
viaggio- è qualcosa di decisamente alternativo, tra jazz e psichedelica, rock e
sperimentazione - musicale e di vita -, il tutto nell’ottica
dell’estremizzazione del concetto di arte. E’ un fenomeno talmente precoce che
anticipa il movimento prog, sbocciato nel passaggio tra i due decenni,
contenitore perfetto per chi ha idee, talento e voglia di osare in totale
libertà, senza soffermarsi sulle separazioni e distinzioni di genere, tipiche
sino a quel momento. Se si volesse dare un’immagine che ricalca l’idea comune,
si potrebbe disegnare il filone della musica progressiva con tante branchie, e
una di queste simboleggia il “gruppo” di Canterbury, erroneamente sottolineo,
se si osservano i fenomeni dal punto di vista cronologico. Le storie di Allen e
amici superano l’elemento musicale, perché il dare vita al nuovo assoluto è
qualcosa che assume valore didattico, nel senso del metodo -anche un “non
metodo” può rappresentare una scelta precisa-, dell’innovazione che arriva
senza magari rendersene conto, del saper captare la musica che gira intorno,
che aspetta solo di essere afferrata: King Crimson, Pink Floyd, Jethro Tull,
YES, Genesis, VdGG, Gentle Giant, ELP, prototipi prog, inventarono ciò che
prima non esisteva. Non tutto è di facile presa, e fu per me davvero complicato
assistere ad un concerto dei Soft Machine -credo fosse il 1973- che proponevano
il loro free-jazz, con il mitico Elton Dean al sax, il cui virtuosismo era noto
a noi adolescenti che lo ascoltavamo, quasi per obbligo, sui vinili. La sottolineatura
della figura di Daevid Allen dovrebbe far scattare un minimo di curiosità,
quello stato che sono uso chiamare “effetto domino”, e sono certo che la
scoperta delle sue creazioni musicali sarebbe in grado di stupire anche i meno
aperti verso mondi musicali sconosciuti.
Utilizzo un simbolo, un unico lavoro a cui non voglio dare una valutazione assoluta, ma rappresenta il mio incontro con Daevid e i suoi Gong, con cui creò il filone mitologico che li rese celebri; “Angel’s Egg”è l’album in questione, un disco che mi introdusse in un mondo nuovo, accessibile, con sonorità e atmosfere che a distanza di lustri non mi hanno ancora stancato, e tutto questo deve pur avere un significato! Cosa resta di quei giorni? Esiste ancora quel mondo? Cosa lascia Daevid Allen? Molti protagonisti se ne sono andati, altri resistono nonostante gli impedimenti fisici (da anni Robert Wyatt è paraplegico), altri si riciclano con grande difficoltà (Richard Sinclair è ormai italiano, ma… ha vissuto giorni migliori); ciò che resta è sempre la musica, e occorre riflettere su come il movimento globale del Prog, che ha avuto enorme visibilità per un solo decennio, sia… più vivo che mai, sebbene seguito da un popolo esiguo - mi riferisco all’Italia - nonostante la frequente complicatezza di certe trame, che non hanno mai avuto l’obiettivo dell’orecchiabilità.
Utilizzo un simbolo, un unico lavoro a cui non voglio dare una valutazione assoluta, ma rappresenta il mio incontro con Daevid e i suoi Gong, con cui creò il filone mitologico che li rese celebri; “Angel’s Egg”è l’album in questione, un disco che mi introdusse in un mondo nuovo, accessibile, con sonorità e atmosfere che a distanza di lustri non mi hanno ancora stancato, e tutto questo deve pur avere un significato! Cosa resta di quei giorni? Esiste ancora quel mondo? Cosa lascia Daevid Allen? Molti protagonisti se ne sono andati, altri resistono nonostante gli impedimenti fisici (da anni Robert Wyatt è paraplegico), altri si riciclano con grande difficoltà (Richard Sinclair è ormai italiano, ma… ha vissuto giorni migliori); ciò che resta è sempre la musica, e occorre riflettere su come il movimento globale del Prog, che ha avuto enorme visibilità per un solo decennio, sia… più vivo che mai, sebbene seguito da un popolo esiguo - mi riferisco all’Italia - nonostante la frequente complicatezza di certe trame, che non hanno mai avuto l’obiettivo dell’orecchiabilità.
Il folletto Daevid Allen non può più danzare per noi, ma la sua
genialità musicale ha lasciato un segno indelebile, da preservare e diffondere,
nella speranza che qualche giovane talentuoso sappia raccoglierne l’eredità. E
noi, appassionati di musica, attendiamo fiduciosi.